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Raji: Libro Tre
Charley Brindley
Ottobre 1932. All'inizio della Grande Depressione, le scuole e le università di tutta l'America stavano dimezzando e addirittura chiudendo i loro campus. Raji e Fuse, come tanti altri giovani, sarebbero stati lasciati alla deriva. Dopo essersi concentrati solo sugli studi accademici negli ultimi quattro anni, non erano preparati alle brutali realtà economiche di un mondo che stava sprofondando nella miseria e nella disperazione.


Raji

Libro Tre: Dire Kawa

di

Charley Brindley

charleybrindley@yahoo.com

www.charleybrindley.com

A cura di
Karen Boston
Sito webhttps://bit.ly/2rJDq3f

Copertina di

Charley Brindley
© 2019

Tutti i diritti riservati

Tradotto
da

Giulia Geppert

© 2019 Charley Brindley, all rights reserved

Stampatonegli Stati Uniti d’America

Prima EdizioneFebbraio 2019

Questo libro è dedicato a

Tatta Marie Brindley

Qualche libro di Charley Brindley
è stato tradotto in:
Italiano
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e
Russo

I seguenti libri sono disponibili in formato audio:

Raji, LibroUno (in Inglese)
Non resuscitare (in Inglese)
L’Ultima Missione della Settima Cavalleria (in Inglese)
La Ragazza dell’Elefante di Annibale, LibroUno (in Russo)
Enrico IX (in Italiano)

Altrilibridi Charley Brindley

1. La miniera di Oxana
2. L’ultima missione della Settima Cavalleria
3. Raji Libro Uno: Octavia Pompeii
4. Raji LibroDue: L’Accademia
5. Raji Libro Quattro: La casa del vento dell’Ovest
6. La ragazza dell’elefante di Annibale
7. Cian
8. Ariion XXIII
9. L’ultimo posto sull’Hindenburg
10. Il Re e la libellula: Libro Uno
11. Il Re e la libellula: Libro Due
12. Il mare della tranquillità 2.0 Libro Uno:Esplorazione
13. Il mare della tranquillità 2.0 Libro Due:Invasione
14. Il mare della tranquillità 2.0 Libro Tre
15. Il mare della tranquillità 2.0 Libro Quattro
16. Il mare dei dispiaceri, Libro Due di Il bastonedi Dio
17. Non resuscitare
18. La ragazza dell’elefante di Annibale, Libro Due
19. Il bastone di Dio, Libro Uno
20. Enrico IX
21. L’incubatrice di Qubit
22. Il Gioco di Casper
In arrivo
23. Il Re e la libellula: Libro Tre
24. Il viaggio a Valdacia
25. Le acque calme scorrono profonde
26. La Signora Machiavelli
27. Ariion XXIX
28. L’ultima missione della settima cavalleria Libro 2
29. La ragazza dell’elefante di Annibale, Libro Tre

Dettagli alla fine del libro
Indice
Capitolo Uno (#ulink_0a9b48ec-70bb-5ca1-a382-db8b7a6cc6fa)
Capitolo Due (#ulink_d9aecedc-518f-5ca6-b179-7ec362db46bf)
Capitolo Tre (#ulink_91080762-3cd1-511c-af60-813af7f832df)
Capitolo Quattro (#ulink_7f07684f-b30f-532b-968d-90cb49b28571)
Capitolo Cinque (#ulink_e74c3417-86b4-5f09-89a9-dc17043a565f)
Capitolo Sei (#ulink_ff5a98d1-bde1-52dc-9f41-3df4d6c7e65c)
Capitolo Sette (#ulink_82b3660a-7b31-53ff-b5c9-bbaf1c8e044f)
Capitolo Otto (#ulink_ec011009-bfe9-5756-8def-af3cd8c95594)
Capitolo Nove (#ulink_12dc2d1b-22fb-5ec9-97fb-2cf9e5af173f)
Capitolo Dieci (#ulink_f7f5b7f9-85e8-553c-8dbc-49de213a1fa5)
Capitolo Undici (#ulink_f147b5ff-33e5-528b-bc47-bf542f47e1db)
Capitolo Dodici (#ulink_ddf981c1-a49d-5ef7-942a-c9bc369f29ee)
Capitolo Tredici (#ulink_e08a6136-92c7-5c18-9831-bb906c4fe728)
Capitolo Quattordici (#ulink_7bf67477-226e-53f4-9cb2-1b05c95e9f21)
Capitolo Quindici (#ulink_bc37dc40-7325-506a-853c-5bdcfceff3fc)
Capitolo Sedici (#ulink_0f540bda-b817-51d0-8229-eec9202133dd)

CapitoloUno
Raji

Nell`autunno del 1932, Fuse ed io stavamo attraversando il campus quasi deserto della Theodore Roosevelt University, a Richmond, in Virginia.
Eravamo studenti del terzo anno della scuola di medicina e saremmo stati i primi della classe, se ce ne fosse stata una. Due giorni prima, eravamo seduti sulle rigide sedie di legno davanti alla scrivania della Dottoressa Octavia Pompeii. Lei era direttrice della facoltà di medicina e sembrava che portasse sulle sue piccole spalle il peso di tutta l`università. I suoi bellissimi capelli rossi si stavano assottigliando, e negli ultimi due anni le mèche grigie si erano insinuate tra i riccioli sulle sue tempie. Le occhiaie le rattristavano gli occhi.
La dottoressa Pompeii tirò un sospiro. ”Raji, Fuse, ho cattive notizie”.
Fuse ed io ci guardammo l`un l`altro. Sapevamo che l`università era in difficoltà finanziarie, come tutte le scuole. Facoltà e studenti si erano allontanati fin dal crollo del 1929.
"Stiamo chiudendo la scuola di medicina", disse la dottoressa Pompeii.
"Oh, no", dissi. "Perché?"
Giocò un attimo con una matita gialla. "Abbiamo perso il settanta per cento dei nostri finanziamenti e l'iscrizione per il prossimo semestre è quasi nulla".
Fuse era tranquillo, ma sapevo che era sotto shock, proprio come me. Avevamo parlato proprio di questo evento nel corso dell'ultimo semestre, ma non credo che credessimo davvero che sarebbe successo. Nessuno parlò per un po'.
"Dottoressa Pompeii", disse finalmente Fuse. "Cosa farà?”
Il mio vecchio amico Fuse, sempre a pensare prima agli altri.
"Anche se sembrerà strano", disse, "torno a scuola".
"È meraviglioso, dottoressa Pompeii", dissi. "Dove?"
“Cornell University. Studierò Ortopedia.” Guardò i documenti sulla sua scrivania. "Ho preparato una lista di dieci scuole in cui voglio che entrambi facciate domanda. Ho inviato lettere di raccomandazione, insieme alle vostre trascrizioni, a tutte e dieci. Non ho idea di quale sia la situazione delle borse di studio, ma dovete provarci".
"Dottoressa Pompeii", disse Fuse. "Non credo che..." Si fermò a guardarmi. "Credo che nessuna di loro abbia soldi per le borse di studio".
"Non puoi saperlo. Se nessuna di queste dieci ti accoglierà, allora ne troveremo altri dieci. Non c'è nessuno in questo Paese più meritevole di borse di studio di te e Raji".
Presi la lista delle scuole. "Grazie mille, dottoressa Pompeii", dissi, poi mi alzai in piedi. "Ci mettiamo subito al lavoro".
La dottoressa Pompeii si alzò dalla sua sedia e si avvicinò alla scrivania per prendermi la mano. "Auguro ad entrambi tutta la fortuna del mondo". Tese l'altra mano verso Fuse.
“Grazie, Dottoressa Pompeii,” disse Fuse. “Grazie per tutto quello che ha fatto per noi.”

* * * * *

Non so perché, ma la nostra passeggiata ci portò al campus vicino l'Accademia Octavia Pompeii. Pensai al giorno della mia iscrizione, nell'agosto 1926. Fuse non finì la gara tra i primi cinquanta, ma fu invitato a partecipare quando uno degli altri studenti dovette andarsene a causa di un decesso in famiglia.
Ora l'Accademia, un tempo vivace, era deprimente, con le finestre e le porte sbarrate e le erbacce che ricoprivano i marciapiedi e i campi da tennis. Ci fermammo davanti a Casa di Annibale e vedemmo un trio di corvi beccare il parapetto disgregante sopra la porta.
"Ho scritto una lettera alla mamma", disse Fuse, tenendo lo sguardo sui corvi.
"Te ne vai, vero?"
Annuì, senza guardarmi. Girai sul marciapiede, guardando le crepe del cemento che si sgretolava. Lui camminava accanto a me.
"Dove andiamo?" Gli chiesi.
Si fermò per guardarmi in faccia, e vidi quel sorriso storto che conoscevo così bene.
"Ho sempre voluto vedere l'India".
"Anch'io." Gli restituii il sorriso.
Erano passati quindici anni da quando ero stata prelevata da casa mia a Calcutta. Ripensando alla mia vita in America, credo davvero di dover essere grata a quei teppisti che, nel 1912, mi avevano rapita dalla strada, insieme ad altre venti ragazze. Fummo spedite a New York nella stiva di un battello assieme al bestiame, e poi vendute per diventare serve a pagamento. Dopo il mio tredicesimo compleanno, ero scappata dalla casa nel Queens dove ero stata tenuta prigioniera. Due giorni dopo, ero finita a dormire in un fienile in Virginia.
Che fortuna per me che il fienile appartenesse alla famiglia Fusilier. Fuse, che all'epoca era un ragazzo di quattordici anni, mi scoprì la mattina dopo, e passai l'anno più bello della mia vita con lui e la sua famiglia. Marie Fusilier mi accolse come se fossi sua figlia.
"Dovrei scrivere anch’io a Mamma Marie". Presi la mano di Fuse.
"Le ho detto che saresti venuta con me".
"Beh, presuntuoso da parte tua."
“Ah-ah.”
Quella sera, io e Fuse facemmo le valigie e ci facemmo dare un passaggio fino a New York City sul retro di un camion di patate, poi camminammo lungo il molo di Lower Manhattan.
Due giorni dopo, ci imbarcammo sulla Borboleta Nova, sotto il comando del capitano Sinaway. La Borboleta era una bellissima nave da carico nuova, a soli sei mesi dai cantieri navali di Lisbona. Era diretta a Calcutta con un carico di dinamite, e siccome né Fuse né io avevamo esperienza di navigazione, il capitano assegnò Fuse alla sala macchine, a spalare carbone, e a me fece fare il marinaio. Non ci importava cosa avremmo dovuto fare, volevamo solo scappare. Da cosa, credo che nessuno di noi due lo sapesse.
Ero molto preoccupata di vedere la mia famiglia, soprattutto mia madre, Hajini. Sette anni prima, mi aveva scritto alla fattoria dei Fusilier, informandomi che mi aveva organizzato un matrimonio. Era stato uno shock, a quattordici anni, sapere che mia madre mi aveva promessa sposa a un uomo di quarantasette anni. Mamma Marie Fusilier era altrettanto sorpresa. Mi disse che se un uomo avesse sposato una bambina in America, sarebbe andato in prigione.
Marie mi aveva aiutato a scrivere a mia madre in India, spiegandomi che avrei voluto aspettare il matrimonio fino all'età di almeno diciotto anni, poi avrei voluto scegliermi mio marito.
Mia madre mi aveva risposto, dicendomi che ero irrispettosa e che questo tipo di comportamento non era permesso. Inoltre, lei e mio padre avevano acquistato un passaggio per me su una nave in partenza dall'America per Calcutta. Il biglietto sarebbe arrivato presto.
Il biglietto mi era arrivato per posta. L'avevo rispedito indietro, dicendo a mia madre che ero abbastanza grande per prendere le mie decisioni. Passarono quattro mesi prima di sentirla di nuovo. Mi disse che mia nonna stava morendo e che sarei dovuta andare a trovarla il prima possibile, ma non fece alcun accenno al fatto di pagare il mio passaggio. Le risposi che se avessi avuto abbastanza soldi sarei andata, ma sarebbe stato un biglietto di andata e ritorno.
Passò un anno prima di ricevere un'altra lettera, in cui mi dava notizie di tutta la famiglia. Includeva molti dettagli sui miei nipoti, e diceva che mia nonna era ancora viva, ma sempre più debole. Le scrissi dei miei progressi all'Accademia e le dissi che avevo intenzione di frequentare la scuola di medicina.
Nei cinque anni successivi non ricevetti alcuna lettera di mia madre.

* * * * *

Fuse

Trascorsi una settimana molto tesa con Raji e la sua famiglia a Calcutta. Lei e sua madre erano esattamente uguali nel temperamento e nella franchezza, ognuna diceva quello che pensava su qualsiasi questione si presentasse. Sua nonna di ottantasette anni era altrettanto estroversa, ma senza la forza di concludere una discussione, spesso si addormentava nel bel mezzo di essa.
In una calda serata di un venerdì sera di ottobre, un giovane arrivò a casa Devaki.
"Questo è Panyas Maidan", disse la Signora Devaki, che lo condusse in soggiorno, dove io e Raji eravamo seduti per terra, ad insegnare ad alcuni bambini a giocare a scacchi.
Raji si alzò prima di me, e mi sembrò che il suo sorriso fosse un po’ più vivace del necessario.
“Sono Vincent Fusilier.” Dissi in hindi e lo raggiunsi per stringergli la mano.
“Questa è mia figlia, la Signorina Rajiani Devaki,” disse sua madre, spingendo avanti Raji.
Il Signor Maidan guardò Raji, poi si rivolse a me. “È un onore conoscerla, Signore.”
Il suo inglese era perfetto e preciso. La sua stretta di mano era ferma, ma non prepotente. Devo ammettere che fu un po' un sollievo sentire la mia lingua madre dopo una settimana di interminabili conversazioni in hindi. La sua corporatura era atletica, e la sua carnagione di un abbronzato leggero. Era qualche centimetro più alto del mio metro e ottanta, e forse tre o quattro anni più vecchio di me, il che lo rendeva circa venticinquenne.
“Il Signor Maidan è un architetto,” disse zampillando la Signora Devaki. “Ha costruito diversi bellissimi edifici in tutta l'India.” Solo i splendenti denti bianchi di Raji riuscivano a sovrastare la radiosa dentatura della madre.
“Oh, no,” disse il Signor Maidan. “Io disegno solo le immagini degli edifici. Devo lasciare i difficili compiti della costruzione a mani più esperte.”
Guardò Raji. Aveva ancora quel ridicolo sorriso sul viso, e inclinò la testa di lato con un movimento carino ma piuttosto imbarazzante.
Il signor Maidan guardò le mani di Raji, poi le mie. "Lei gioca a cricket, Signor Fusilier?"
"Non sono un grande appassionato di sport. Ogni tanto gioco a tennis". Sentii il bordo del sandalo di Raji premere sul mignolo del mio piede.
"Davvero? Forse potresti venire al mio club per qualche set di tennis domani pomeriggio".
Mi sarebbe piaciuto molto stare su un campo da tennis. Dopo cinque settimane sul cargo, e poi essere rimasto rinchiuso per un'altra settimana in casa Devaki, qualche ora di duro tennis era proprio quello di cui avevo bisogno.
"Sarebbe fantastico". Spostai il piede dolorante per la reazione di Raji. La guardai e la vidi fare un rapido movimento con la mano destra verso l'orecchio, poi spostò i capelli dietro la spalla. "Tuttavia", dissi al Signor Maidan, con gli occhi ancora puntati su Raji, "non potrò accettare il suo generoso invito, perché...".
"Hai promesso ai bambini che li avresti aiutati con..." Raji si guardò intorno nella stanza. "Con le loro acrobazie di domani".
"Giusto, acrobazie." Tornai al Signor Maidan. "E comunque, Raji è un tennista molto più bravo di me".
"È un dato di fatto?" Guardò Raji dalla testa ai piedi. "Un tennista donna?"
Annuì.
"Va bene, allora. Mentre il Signor Fusilier insegna ginnastica, forse mi insegnerete qualcosa sul tennis".
Se la scena davanti a me fosse stata una gara di sorrisi, credo che Raji avrebbe perso contro sua madre.

* * * * *

Supposi che la tecnica del signor Maidan non fosse molto buona, perché apparentemente aveva avuto bisogno di molte istruzioni quel sabato pomeriggio. Raji tornò molto tardi quella sera, e andarono a giocare di nuovo il giorno successivo e quello dopo ancora.
Martedì mattina presto, Raji ed io ci sedemmo sulla veranda, sorseggiando del tè e guardando l'alba.
"Raji", dissi, "c'è un battello che risale l'Irrawaddy da Rangoon mercoledì prossimo".
Lei mi guardò, alzando un sopracciglio, il suo modo di chiedere ‘E quindi?’.
"Devo andarci. La barca è diretta a Mandalay, poi attraversa il nord della Birmania fino a Myitkyina, sul confine cinese".
Per un momento guardò la luce del sole del mattino filtrare tra i banani, mentre io guardavo il caldo bagliore del suo bel viso.
"Va bene", disse. "Aspettami a Mandalay, e andremo a vedere cosa combinano quei cinesi".
Avevo proprio sperato che dicesse qualcosa del genere. Viaggiavamo bene insieme, ma non volevo che si sentisse obbligata a lasciare la sua famiglia o il signor Maidan. Tuttavia, conoscevo anche Raji meglio dei suoi genitori. Erano persone simpatiche, e un po' prosperose nonostante la crisi economica. Il signor Devaki era professore di storia all'Università Jawaharlal Nehru, e sua moglie lavorava in una specie di ufficio governativo, quindi avevano un reddito ragionevole. Ma una volta che Raji si fosse messa in pari con tutta la storia della famiglia e sua madre e suo padre fossero tornati ai rispettivi uffici, Raji si sarebbe annoiata senza gli stimoli intellettuali a cui era abituata; almeno questa era la mia speranza. Naturalmente, se avesse trovato altre fonti di stimolo, probabilmente sarei andato in Cina da solo.
Il padre di Raji, che si recava spesso a Mandalay per ragioni che variavano da ‘iniziative commerciali’ a ‘escursioni panoramiche’ o ‘piacevoli studi sulla natura’, mi raccomandò un hotel chiamato Nadi Myanmar, sulla 62a strada, appena fuori dal centro città, come un posto conveniente per me e sua figlia per incontrarci.
Sapevo da Raj che suo padre era profondamente coinvolto nella lotta contro gli inglesi quando sia l'India che la Birmania cercavano di liberarsi dal giogo dell'impero britannico. Non solo aiutava ad organizzare i finanziamenti per i gruppi di opposizione, ma viaggiava anche in Birmania per aiutare ad organizzare incontri clandestini con le organizzazioni ribelli. Un anno prima, gli avrei detto che sapevo bene cosa stava facendo in Birmania, e probabilmente mi sarei schierato dalla parte degli inglesi nel cercare di mantenere le loro colonie lontane. Ma mentre lui, sua moglie, Raji ed io, insieme agli altri nove figli e ad una moltitudine di nipoti, sedevamo sul pavimento intorno al tavolo basso, mangiando curry e mango dal - mango con fagioli e peperoni rossi, ringraziai educatamente il signor Devaki per l'informazione, prendendo nota mentalmente del nome dell'hotel e dell'indirizzo di Mandalay.
Due settimane dopo, incontrai Kayin nella hall dell'hotel Nadi Myanmar.

CapitoloDue
Una giovane donna sorridente batté forte il campanello con il palmo della mano per chiamare il fattorino.
"Le auguro un buon soggiorno, signor Busetilear", disse Kayin consegnandomi una ricevuta da tre dollari per una settimana di soggiorno nell'albergo. Non riusciva mai a pronunciare correttamente il mio cognome, Fusilier.
Riavvitai il cappuccio della mia stilografica e la misi via, ma prima di poterla ringraziarla per il gentile augurio, il fattorino afferrò la mia valigia e strappò la chiave della stanza dalle nostre mani ancora che si toccavano. Kayin aveva posato la chiave nella mia mano, ma sembrava riluttante a lasciarla, quanto lo fossi io a perdere il suo tocco.
"Affrettati con Po-Sin da questa parte, sbrigati", disse il ragazzo, trascinando la mia pesante valigia sul pavimento. "Salta sull'ascensore prima che parta, se vuoi".
Po-Sin aveva apparentemente fretta di finire con me e il mio bagaglio, per poter raccogliere la sua mancia di dieci centesimi e tornare all'ingresso e al suo posto in fila con gli altri ragazzi, in attesa del prossimo spendaccione. Aveva circa quindici anni ed era vestito elegantemente, indossava un berretto senza visiera - simile ad un fez senza nappa - una giacca marrone aderente in vita con tre strisce gialle sulle maniche. Indossava anche un longyi dai colori vivaci, l'indumento tradizionale a forma di gonna avvolgente indossato sia dagli uomini che dalle donne in Birmania.
Presi il mio berretto dal bancone e mi voltai per seguire Po-Sin. Dopo pochi passi, sbirciai indietro e vidi Kayin che mi guardava. Un breve cipiglio le attraversò le labbra prima di far rivivere il suo sorriso commerciale per il prossimo ospite.
"Benvenuto all'Hotel Nadi Myanmar", disse ad un rigido giovane inglese che sventolava il suo ombrello arrotolato davanti a sé come se fosse una specie di arma benigna usata per liberare il suo cammino da qualsiasi persona indesiderata. L'uomo indossava un immacolato completo bianco e un elmetto coloniale abbinato, con una lunga piuma d'albatro che spuntava dalla fascia.
Abbassai lo sguardo sul mio vecchio berretto da marinaio sporco, poi di nuovo su Kayin. Le sue parole e il suo sorriso per l'inglese erano identici a quelli che aveva rivoltoa me solo pochi istanti prima.

* * * * *

Fu un incidente, il mio incontro con Kayin alla porta d'ingresso dell'hotel - lei usciva mentre io rientravo dopo una passeggiata al fiume. Fu il giorno dopo averla incontrata per la prima volta alla reception. Quando ero uscito dalla mia stanza, avevoguardato verso la reception, sperando che fosse libera per poterle fare qualche domanda su dove trovare il tempio buddista più vicino o quanto fosse lontano il fiume, solo per parlarle. Ma era occupata con il direttore, un inglese, e ho pensato che fosse meglio non interrompere.
"Le mie scuse, signor Busetilear", mi disse Kayin fuori dalla porta d'ingresso, dopo esserci scontrati. "Sono così imbarazzata". Si inginocchiò per raccogliere i suoi pacchetti.
"No, no." Mi inginocchiai e sbattei deliberatamente la testa contro la sua. "È stata colpa mia".
Lei rise e si strofinò il lato della testa, e io la fronte. "Forse sarà meglio che la prossima volta, manteniamo le distanze l'uno dall'altro per non fare altri danni" disse.
La sua risata era bellissima, ed esattamente la risposta che avevo previsto.
"Sai per caso, dov'è il tempio buddista più vicino?” Chiesi.
I suoi occhi si spalancarono. "Sei buddista?"
"No." Le presi il gomito per aiutarla ad alzarsi. Non potevo mentirle. L'avevo già ingannata con la testata, ma quello era giustificato. "No, non sono buddista, ma mi piacerebbe vedere l'interno di un tempio". Ero certo che fosse buddista, come la maggior parte dei birmani.
"Ho solo un'ora per il pranzo, e devo fare una commissione in banca per quel signor Haverstock, il nostro direttore, e poi anche all'ufficio dell'American Express".
"Oh." Ero sconcertato. Questo era senza pretese. Ero davvero deluso dal fatto che lei fosse occupata. "Capisco." Ebbi un'ispirazione improvvisa. "Posso fare la strada con te fino alla banca? Poi potrai indicarmi la direzione di un tempio".
Se si era inventata la storia delle commissioni per il direttore dell'hotel e stava andando a incontrare il suo ragazzo, o marito, allora mi avrebbe detto di farmi gli affari miei e di trovare un tempio da solo. Una donna bella come lei doveva sicuramente avere un fidanzato, se non un marito.
"Certo", rispose subito. "Sarei felice della tua compagnia durante la passeggiata fino alla banca. La strada è piuttosto lunga".
Lungo la strada, chiacchierammo tranquillamente della Birmania, Mandalay, l'hotel, il suo lavoro, il suo capo, e proprio quando stavamo arrivando alle informazioni personali che tanto volevo sapere, mi fermò.
"Bene", disse lei, "eccola qui, la banca dove devo lasciare i soldi dell'albergo".
Guardai l'imponente edificio romanico che si ergeva per quattro piani. Su una lastra di marmo sopra la porta c'era scritto "Reserve Bank of India". A quel tempo, la Birmania faceva ancora parte dell'India e gli inglesi usavano la stessa moneta in tutta la zona.
"Già!" Ero sinceramente sorpreso che fossimo già lì. "Ma avevi detto che la strada era lunga".
"Abbiamo fatto più o meno dodici isolati". Era accanto alla porta della banca, con un dolce sorriso.
"Oh", dissi dopo un istante. "Dov'è il tempio?".
"Basta andare da questa parte per due o più isolati, poi giri a sinistra, cammini un po’ fino a quando vedi una casa colore giallo brillante. Fermati e cerca un piccolo ponte davanti a te, gira a sinistra, un altro paio di minuti e ti troverai di fronte al tempio Shwe Nadaw".
Non potevo esserne sicuro, ma ebbi la netta sensazione che cercasse di disorientarmi con le sue rapide indicazioni.
"Hai detto che sulla mia sinistra c'è il negozio giallo o a destra?" Cercai di rendere la cosa ancora più confusa.
"Aspettami qui tre minuti, poi ci passeremo davanti insieme".
Con un sorriso luminoso, entrò in banca. La guardai dalla finestra mentre consegnava i soldi dell'albergo ad un cassiere, poi si avvicinò ad una giovane donna seduta ad una scrivania e si chinò per dirle qualcosa. La signora diede un'occhiata nella mia direzione, e io distolsi lo sguardo su un poliziotto che passava in bicicletta.
Dopo aver lasciato la banca, camminammo lungo Yadanar Street fino alle rive del canale di Nadi, dove acquistaidell’ohno khauk swe da un venditore ambulante per il nostro pranzo. Il cibo consisteva in spaghetti di riso e pollo cotto nel latte di cocco. Era molto piccante, come la maggior parte del cibo birmano, e delizioso.
Tornammo in ritardo all'hotel, ma Kayin mi assicurò che era tutto a posto. Le dissi che se avesse avuto qualche problema con il direttore, mi sarei fatto perdonare con una bella cena in un ristorante vicino.
“Beh,” disse, “forse potrei trovarmi un po’ nei guai.”
Alle sei del pomeriggio, quando avrebbe finito il servizio, sarebbe andata a casa a cambiarsi, disse, poi ci saremmo incontrati davanti al ristorante alle otto.
Fu una lunga attesa per me, e durante quell'interminabile pomeriggio mi resi conto che non avevo mai avuto un appuntamento con una ragazza. Io e Raji avevamo fatto molte cose insieme, ma niente che si potesse definire un appuntamento. Avevo ventun’anni e non ero iniziato, come direbbe mio padre. Mi chiedevo se Kayin fosse iniziata. Perché non ero mai uscito con una donna? Perché io e Raji non avevamo mai fatto l'amore? Com'era fare l'amore? E perché ci stavo pensando così tanto ora, visto che non l'avevo mai fatto prima? E andò avanti così, per molte ore.
Finalmente arrivò la sera, e già da quarantacinque minuti stavo camminando davanti al ristorante, chiedendomi se non avessi sbagliato strada. Ma lei era lì, puntuale alle otto, che percorreva il marciapiede verso di me, con il rumore dei tacchi in rapida cadenza.
Ero molto nervoso e consapevole di me stesso. Sedersi ad un tavolo a lume di candela con una bella donna era una novità per me. Non sapevo se fare domande o parlare di me stesso. Avevo passato molto tempo con un'altra bella donna, Raji, ma avevamo un rapporto facile, quasi familiare. Niente di romantico. Avevo la sensazione che non ci sarebbe stata nessuna storia d'amore nemmeno tra me e Kayin. Ero così imbranato che sicuramente l'avrei annoiata a morte. Se avesse sbadigliato, decisi, ce ne saremmo andati e l'avrei accompagnata a casa.
Ma Kayin non fu una cafona. Parlòtranquillamentedella Birmania, del suo lavoro all'hotel, e fece domande sull'America e sulle libertà di cui godevamo.
All'inizio mantenni le mie risposte brevi e mirate, non volendo dominare la conversazione. Lei passava da un argomento all'altro, mantenendo un buon equilibrio tra domande e risposte.
Il nostro cibo arrivò e passò velocemente un’ora, poi un'altra.
Dopo la deliziosa cena, passeggiammo per ore attraverso i parchi, passando davanti a molti templi, e fino al Palazzo d'Oro, con il suo ampio fossato e le alte torri ai quattro angoli.
"Sei mai stata all’interno? Chiesi.
"Dentro il Palazzo d'Oro?" chiese lei. "È dove vive il re Rama".
"Ah, il palazzo del re Rama. Ma ci sei stata dentro? Mi chiedo come sia".
"Oh." Esitò e guardò per un momento una delle torri prima di continuare. "Nelle foto che ho visto, è, come dite voi, ornato?"
"Ornato", dissi.
"Sì, ornato. Mi dispiace che il mio inglese non sia così buono".
"Il tuo inglese è meraviglioso. Mi insegnerai il birmano?"
Mi guardò a lungo. "Perché sei venuto a Mandalay?"
Eravamo in piedi sul bordo del fossato, a lanciare sassolini nell'acqua scura.
"Sto andando a Myitkyina", dissi. "Una persona a me cara mi raggiungerà in albergo tra qualche giorno. Ci ho ingaggiati su un battello fluviale chiamato Gaw-byan. Credo che lavoreremo come marinai, non ne sono sicuro. Ma il lavoro duro non ci dispiace".
"Perché Myitkyina?"
"Per vedere cosa c'è".
"Ma cosa fai?", chiese lei.
A quel tempo, mi definivo ancora uno studente di medicina. In realtà, non lo ero più e probabilmente non lo sarei stato mi più. Quindi cos'ero? Un barbone, era l'unica cosa che mi veniva in mente, ma non potevo dirglielo.
"Sono uno studente di medicina".
"Quando finirai la scuola di medicina?"
Le sue domande erano molto meglio delle mie. Stava andando al succo delle cose, e io mi sentivo un po' a disagio.
"A dire la verità, Kayin, potrei non tornare mai più a scuola".
"Perché?"
"Sono scoraggiato, disilluso e stufo di come i politici e gli uomini d'affari hanno rovinato il nostro mondo".
"E sei venuto nella mia Birmania per trovare cosa?".
Effettivamente. Perché ero in Birmania? Perché ero lì? Non era così che pensavo sarebbe andata la nostra serata.
"Comincio a credere di essere venuto in Birmania per trovare te".
Kayin si tolse i sandali e si sedette sul bordo del fossato. Si bagnò i piedi nell'acqua fresca, poi raccolse una manciata di sassolini.
"Non è possibile", disse.
Mi sedetti accanto a lei. "Cosa non è possibile?"
Lei non rispose, gettò le piccole pietre nell'acqua, una alla volta. Mi tolsi le scarpe e i calzini. L'acqua era molto più fredda di quanto mi aspettassi.
"Non è possibile che tu abbia fatto tutta questa strada per trovarmi".
"Ma ti ho trovata".
"Allora sei venuto per niente, senza motivo".
Sembrava lottare con le sue emozioni mentre le pietre schizzavano nell'acqua scura. Alla fine si voltò verso di me e tenne il mio sguardo per un lungo momento, poi lasciò cadere l'ultima pietra nel fossato e si spolverò le mani. "Vedi questi occhi?" chiese.
Annuii.
"I miei occhi sono di mio padre, uno scozzese. Per tutta la vita sono stata una, come si dice, una fuorilegge?".
"Un’esclusa?"
"Sì, un’esclusa. La mia gente, i birmani, mi trattano come un’intoccabile". Abbassò lo sguardo sulla sua mano, che ora tenevo nella mia. "Capisci un’intoccabile in India?".
"Sì, una dalit, la più bassa delle caste".
"E gli inglesi mi trattano peggio di come trattano i birmani puri. Pensano che io sia una specie di aberrazione. Mia madre è stata l'unica persona che mi abbia mai amato, e lei...". Kayin mi strinse la mano e capii che stava piangendo. "Non potrò mai fare questo a un altro bambino", sussurrò.
"Kayin". Le sollevai il mento e la guardai negli occhi umidi. "Se avrai un figlio con gli occhi blu, pensi che anche lui verrà trattato come un emarginato?".
"Sì."
"Credi che dovresti rimanere senza figli per tutta la vita a causa di qualcosa che tua madre e tuo padre hanno fatto come atto d'amore?”
Lei non diede alcuna risposta.
"Tu, mia bella amica birmana, dovresti essere orgogliosa di far parte di due mondi diversi. Hai, credo, circa diciotto o diciannove anni?".
"Diciannove."
"Abbiamo quasi la stessa età. Ne ho ventuno". Le presi l'altra mano. "E mi hai appena fatto capire che negli ultimi sei mesi mi sono picchiato per qualcosa che non era colpa mia".
Lei aggrottò le sopracciglia in uno sguardo che avrei presto imparato ad amare.
"Io e la persona che deve raggiungermi, abbiamo lasciato la scuola di medicina perché eravamo disillusi dal casino che l'ultima generazione aveva fatto del mondo. Non vedevamo alcuno scopo nel continuare i nostri studi solo per portare i nostri diplomi alla fila del pane e chiedere l'elemosina".
"Ma i medici sono necessari in tutto il mondo".
"Forse sì, ma noi eravamo decisi a dedicarci alla ricerca e a lavorare alle cure per la malaria e il vaiolo. Ora tutti i progetti di ricerca sono stati chiusi per mancanza di fondi".
"La ricerca va bene", disse, "ma vi rendete conto che gli inglesi prendono tutte le nostre risorse, e cosa ci danno in cambio? Protezione! Protezione, dicono, dalle invasioni, dalle malattie, dalla nostra stessa ignoranza. Se ci dessero solo un po' di aiuto medico, gliene saremmo molto grati. Ma abbiamo solo una manciata di medici e infermieri per i nostri venti milioni di persone".
"Ma è ridicolo", dissi. "Dovreste avere un medico e un'infermiera ogni cinquecento persone".
"Questo è verissimo, ma saremmo felici se solo i nostri malati gravi potessero vedere un medico di tanto in tanto". Era agitata ora, e io sorridevo guardando il fuoco blu nei suoi occhi. Aveva dimenticato i suoi problemi personali mentre attaccava i signori britannici. "L'epidemia di vaiolo che prese mia madre, ne uccise molte migliaia, e non venne fatto nulla per aiutarci".
"Ma le scuole. So che gli inglesi provvedono alle scuole e all'amministrazione del governo".
"Ah-ah!" Rise. "Gli inglesi hanno scuole meravigliose, le migliori. Portano molti insegnanti dall'Inghilterra per insegnare ai loro preziosi bambini il modo corretto di parlare e di mangiare e come governare i poveri, miserabili indigeni che sono diventati quelli che un tempo erano gli orgogliosi birmani. I nostri bambini si accovacciano ancora in capanne di fango a guardare qualcuno che scalfisce i numeri nella sporcizia. Questo è il vostro meraviglioso sistema educativo britannico".
"E se tu fossi la regina di Birmania, cosa faresti?".
"Per favore", disse lei, staccando le sue mani dalle mie. "Non fare di me una sciocca. Non sono una bambina che va assecondata". Guardò in lontananza, verso il palazzo. Una luce si spense in una delle alte torri.
"Credimi, Kayin, non assecondo mai nessuno. Sono profondamente interessato ai tuoi pensieri e alle tue idee su cosa fare del mondo. È la nostra generazione, la tua e la mia, che deve riparare i danni fatti dai vecchi ricchi che vivono nelle loro ville d'avorio. Un anno fa, mi sarei schierato contro di te e dalla parte degli inglesi. Ma ora, non so cosa pensare. Trovo molto difficile prendere posizione contro di te. Volevo che la nostra serata fosse piacevole e bella. Tutto il pomeriggio, ho pensato solo a come potevo portare allegria nella tua vita, e forse piacerti un po'. Ti considero davvero una mia pari intellettuale, e quando ti chiedo cosa faresti se avessi il controllo del tuo paese, la intendo come una domanda teorica. Cosa faresti se improvvisamente avessi il potere di fare qualcosa per il tuo popolo?". Non sapevo da dove venisse questo discorso, ma stavo cominciando a sembrare l'oratore che ero una volta.
Kayin mi guardò a lungo. Non era lo sguardo che ricordavo dalla nostra passeggiata alla banca, dove la nostra conversazione era stata leggera e spensierata. Questo era uno sguardo di antipatia o malizia.
"Tu sei americano".
Annuii.
"Tu sei vicino ad essere inglese".
Scrollai le spalle, poi scossi la testa. Non mi consideravo affatto vicino all'essere britannico.
"Allora, posso metterla in questo modo?", chiese. "Tusei più vicino agli inglesi che ai birmani".
Ero d'accordo.
"Non prenderla nel modo sbagliato, signor Busetilear, ma se io fossi regina di Birmania, come dici tu, caccerei via tutti gli anglosassoni, compresi gli americani, e anche i tedeschi e specialmente i francesi, e lo farei anche in modo intelligente".
"Penso che lo faresti", dissi. "Penso che lo faresti sicuramente".
"E ora cosa pensi della tua nuova amica birmana?"
"Cosa penso di te?" Ora ero io a distogliere lo sguardo per raccogliere i miei pensieri. "Penso che tu sia una ribelle. Sono abbastanza sicuro che conosci un po' di storia americana e di come ci siamo liberati del giogo del dominio britannico centocinquant'anni fa".
"Sì."
"Ci chiamavano ribelli e terroristi. Hanno cercato di sopprimerci con la loro forza militare. Faranno la stessa cosa qui in Birmania".
"Lasciamoli provare", disse lei, "forse abbiamo un Patrick Henry e una Betty Ross che aspettano da qualche parte nella nostra popolazione".
Betsy, pensai, ma questa volta non corressi Kayin.
Mi alzai e le porsi la mano. Dopo un momento, lei la prese e si tirò su.
"Torniamo all'hotel", dissi.
"E?"
"E prendiamo una tazza di tè nella sala da pranzo e parliamo di studenti di medicina e rivoluzionari".

Capitolo Tre
Nella sala da pranzo dell'hotel, condividemmo una tazza di tè, insieme a shweji dorati, i piccoli dolci di grano con crema di cocco e uva passa. Parlammo fino alle 23, quando la sala da pranzo chiuse. Lasciammo poi l'hotel per tornare verso la sua stanza, ma quando raggiungemmo l'angolo dell'edificio, il cielo si aprì in un forte acquazzone.
"Da questa parte, presto!" disse prendendo una chiave dalla sua borsa mentre correvamo.
Quando raggiungemmo un'entrata laterale dell'hotel, Kayin infilò il passe-partout nella serratura e aprì la porta. Saltammo dentro, già bagnati dalla pioggia, poi lei chiuse la porta e la chiuse a chiave.
In quella piccola anticamera, ci trovammo di fronte ad un'altra porta, e di fronte ad essa c'era una scala che portava ai piani superiori. Kayin disse che la porta conduceva alla cucina, dove il cuoco e il suo staff stavano mettendo a posto. Nessuno dei due prese la decisione di prendere le scale; era semplicemente l'unica opzione.
Nella mia stanza, le diedi un asciugamano e la mia vestaglia e mi diressi in bagno per mettermi dei vestiti asciutti. Quando uscii, lei si stava asciugando i capelli, e vidi che aveva ancora i vestiti bagnati sotto la vestaglia. Sapevo che era a disagio e nervosa a stare da sola nella stanza con me, così suggerii di spostare le sedie sul balcone. La pioggia era cessata all'improvviso così com’era cominciata, e la luna filtrava attraverso le nuvole. Fuori, non si sarebbe sentita minacciata e avremmo potuto rilassarci.
Non avevo intenzione di provare a fare l'amore con lei. Se questo fosse arrivato in un momento successivo della nostra relazione, bene; anzi meraviglioso. Ma non questa notte. Non sarebbe stato appropriato. Volevo sapere di più sul suo passato e sui suoi piani per il futuro. Comunque, non avevo idea di come portare a letto una donna. Si poteva semplicemente chiedere a una ragazza di spogliarsi? O ci doveva essere qualche ora di drink, scherzi e preliminari, come avevo letto nei libri? Forse l'uomo aspettava pazientemente che la donna gli dicesse quando era il momento di procedere al passo successivo.
Odiavo la mia mancanza di esperienza in materia d'amore, e sapevo che quando, o se, sarebbe successo, avrei sicuramente fatto cento errori infantili. Certo, dai miei studi conoscevo la meccanica e la funzione del sesso, ma i professori di medicina non scrivevano nulla del lato emotivo o sensuale di quel più intimo di tutti i comportamenti umani. Perché io e Raji non avevamo mai fatto l'amore? Se non altro per vedere come procedere e cosa dover fare, e in che ordine. Ma no, eravamo troppo 'intellettuali' per indulgere nelle attività grossolane degli altri giovani. Non potevamo abbassarci a perdere tempo con il romanticismo. Peccato; avrei potuto certamente usare l'esperienza ora.
Ci stringemmo sul piccolo balcone, poi ci rilassammo sulle sedie guardando le luci della città spegnersi una ad una. I rumori che filtravano dalla strada diminuirono lentamente fino a quando sentimmo solo lo sferragliare occasionale delle ruote sull'acciottolato mentre un conducente di risciò portava a casa il suo ultimo cliente dopo una notte in città.
"Hai abbastanza caldo? Chiesi a Kayin.
Lei sorrise e annuì.
Mentre eravamo seduti uno di fronte all'altra, con le ginocchia che si toccavano, potevo quasi sentire il battito del suo cuore.
"Hai sempre vissuto a Mandalay? Chiesi.
"Sì. Sono nata nel quartiere di Quang Ka, proprio vicino al fiume".
Lasciammo la politica e parlammo di noi. Sua madre morì quando Kayin aveva nove anni. Fu cresciuta da un altro membro della sua famiglia. Non avevano abbastanza soldi per mandarla a scuola, ma imparò l'inglese da un uomo che chiamò Than-Htay. A quattordici anni si manteneva già da sola e si arrangiava come poteva vendendo frutta fresca per strada. Fu poi assunta dall'hotel grazie alla sua conoscenza dell'inglese.
Parlai di mia madre e mio padre, della fattoria in Virginia dove sono cresciuto, dell'Accademia Octavia Pompeii, poi della scuola di medicina. Nella primavera del 1928, mia madre spostò tutti gli investimenti della famiglia in titoli di stato. I rendimenti non erano così alti rispetto al ruggente mercato azionario, ma investire nel mercato azionario, diceva a me e a papà, era come cavalcare un toro selvaggio: era sicuramente eccitante, ma ad un certo punto la bestia ti avrebbe buttato a terra e forse ti avrebbe fatto a pezzi. Grazie al suo buon giudizio, la mia famiglia stava finanziariamente meglio nel 1932 che prima del crollo del '29. Il buon vecchio governo degli Stati Uniti continuava a pagare i dividendi sulle obbligazioni di mia madre, nonostante la Depressione.
Raccontai a Kayin di aver lasciato la scuola e di essere salito sulla nave diretta in India. Che scrissi a mia madre ma non le chiesi soldi. Con così tante persone che soffrivano per la devastante depressione economica, sentivo di non avere diritto al denaro della mia famiglia. Avevano costruito la fattoria dal nulla, e la maggior parte del loro reddito proveniva ora dai titoli di stato e da una piccola mandria di cavalli in miniatura, ma tutto ciò non aveva nulla a che fare con me. Decisi di essere indigente come la stragrande maggioranza del mondo e di cercare di farmi strada da solo.
Alle 3 del mattino della nostra prima notte insieme, Kayin ed io sapevamo l'uno dell'altro quasi quanto sapevamo di noi stessi. Fu anche il momento in cui iniziò ad insegnarmi il birmano. Ho sempre avuto un talento per le lingue, imparando l'hindi molto rapidamente da Raji. La grammatica era un po' difficile, ma lo slang era il mio problema più grande. Imparare lo slang di una nazione è sempre la rovina quando si cerca di diventare nativi.
"A che ora devi essere al lavoro?". Le chiesi.
"Alle sette".
Camminai con lei per i pochi isolati fino a casa sua, un appartamento vicino situato sopra un negozio, dove viveva con un'altra ragazza. Le chiesi perché non vivesse in albergo e lei mi disse che era troppo caro.
Avrebbe dormito solo poche ore prima di tornare al lavoro, così decisi di alzarmi presto e trovare cose da fare in giro per la città. Se lei doveva stare sveglia tutto il giorno, allora l'avrei fatto anch'io.
Ci incontrammo per il pranzo al caffè Yadana.
"Non sei stanco del cibo del ristorante, ad ogni pasto?"Chiese lei.
"Sì. Va bene per un po', ma poi tutto comincia ad avere lo stesso sapore". Ruppi un cracker e ci spalmai sopra un po' di burro.
Sorseggiò il suo tè e diede un'occhiata a un cameriere che raccolse alcune monete da un tavolo vicino. "Ed è anche piuttosto caro".
"Lo so." Sgranocchiai il mio cracker imburrato.
"Non vuoi venire a cena da noi stasera?" La sua tazza da tè sbatté nel piattino quando colpì il bordo invece del centro. Il suo viso arrossì un po' mentre guardava la tazza incriminata.
"Volentieri", dissi. "Ma la tua compagna di stanza?"
"A Lanna non dispiacerà", disse Kayin rapidamente. "Sarà contenta della compagnia".
Fissammo l'ora in cui sarei passato per la cena quella sera, mentre tornavamo all'hotel.
"Devi essere esausta", dissi.
"No, per niente. Ho trovato la notte scorsa molto piacevole".
"Deliziosa", dissi io. "Ti dà fastidio quando correggo il tuo inglese?".
"Ti sono grata per farlo. Come potrei imparare altrimenti?".
"E", dissi, "mentre mi insegni il birmano, puoi restituirmi le correzioni".
"Lo farò", rispose lei mentre ci avvicinavamo alla porta dell'albergo. "Ti aspetto stasera".
Kayin mi toccò la mano e ebbi la netta sensazione che volesse baciarmi la guancia ma si trattenne. Io avrei voluto certamente baciarla.
Si affrettò ad entrare nell'albergo per tornare al lavoro.

* * * * *

La casa di Lanna e Kayin consisteva in due piccole stanze e una minuscola cucina sopra un negozio di tessitura in Hoa-Bin Road. Condividevano un bagno comune con altre famiglie nell'edificio accanto al loro.
"Dov'è Lanna?" Chiesisistemandomi sul pavimento ad un tavolo basso dove Kayin mi aveva indirizzato.
Lei corse in cucina per occuparsi di qualcosa sui fornelli. "È dovuta uscire per urgenti affari di famiglia, tornerà tra due ore", disse portando un grande vassoio sul tavolo. "Circa", aggiunse e mi fece un rapido sorriso mentre prendeva posto sul pavimento di fronte a me.
Che cena meravigliosa. Al centro c'era un grande piatto di riso al vapore, con un delizioso pollo al curry, insieme a due grandi insalate da condividere. Una chiamata lephet e l'altra un'insalata di zenzero. Il lephet era accuratamente disposto su un lungo piatto con una moltitudine di ingredienti, tra cui gamberi secchi, piselli gialli tostati, semi di sesamo, aglio fritto, peperoni verdi, succo di lime e peperoncini verdi, tutti mescolati al tavolo secondo il proprio gusto. Come dessert, mangiammo una gustosa crema pasticcera al cocco.
Mentre sparecchiavamo la tavola e mettevamo via il cibo, dissi a Kayin che era il miglior pasto che avessi fatto da quando avevo lasciato casa per l'Accademia, cinque anni prima. Con la tipica modestia birmana, si rifiutò di prendersi il merito del pasto, dicendo che Lanna aveva fatto la maggior parte della preparazione prima di uscire.
Era tardi e Lanna non era tornata. Kayin non mostrò alcuna preoccupazione per la sua compagna di stanza, e presto capii che probabilmente non sarebbe tornata a casa quella sera.

Capitolo Quattro
Le difficoltà tecniche su cui avevo riflettuto sugli approcci adeguati per fare l'amore non si sono mai sviluppate. Eravamo semplicemente seduti sui cuscini uno accanto all'altro sul pavimento, ascoltando la musica di Glenn Miller che arrivava alla radio dalla BBC, quando lei appoggiò la testa sulla mia spalla. Feci scivolare il mio braccio intorno a lei, poi, quasi come una continuazione del mio movimento, inclinò la testa indietro, lasciando le nostre labbra in una lenta rotta di collisione. Da quel momento in poi, la natura prese il completo controllo dei nostri corpi.
L'ultima cosa che ricordo sono le parole Let's Do It, Let's Fall in Lovedi Cole Porter. Fu un'altra notte senza sonno, ma a nessuno dei due importava. Credo che Kayin abbia capito dal mio annaspare che non ero mai stato a letto con una donna. Mi sussurrò all'orecchio che non era sicura di cosa fare, quindi avremmo dovuto imparare insieme. All'alba eravamo entrambi iniziati all'arte del fare l'amore.
Per tutto il giorno successivo, mi aggirai per biblioteche, musei, parchi, facendo di tutto per rimanere sveglio. Infine, la sera venne nella mia stanza. Non ci preoccupammo di mangiare o bere, ma andammo subito a letto e dormimmo profondamente l'uno nelle braccia dell'altra fino alle quattro del mattino. Ci alzammo dal letto due ore dopo e la accompagnai a casa perché si preparasse per il lavoro.

* * * * *

Una settimana dopo, all'inizio di un mite martedì pomeriggio, mi appoggiai al bancone, chiacchierando con Kayin. Sapevo che il signor Haverstock, il direttore, sarebbe stato via per almeno un'ora. Ogni giorno, verso quell'ora, se ne andava, dicendo di dover ispezionare le stanze per assicurarsi che gli impiegati avessero pulito bene.
"The bloodless fool (Lo sciocco senza sangue)", disse Kayin, facendo il conto del registro dell'hotel. "Tutto il personale sa che dorme profondamente in una delle stanze libere. Sonnecchia per un'ora o più, facendoci di svolgere una sorta di compito di gestione critica. Ma ne siamo felici. È qui che possiamo rilassarci e fare quello che vogliamo. Non è che siamo pigri o che cerchiamo tempo libero; è solo che possiamo fare più lavoro senza averloalle nostre spalle ogni minuto".
“Bloody fool (Maledetto idiota),” Corressi il suo slang.
"Sì, è anche quello", disse lei.
Improvvisamente, diventò vigile e tornò il suo sorriso commerciale. Guardò dietro di me, e capii che un altro ospite stava arrivando al bancone.
"Benvenuto all'hotel Nadi Myanmar", disse Kayin al nuovo arrivato.
"Ehi, marinaio", disse l'ospite. "Vedo che ti sei rimesso a fare lo scansafatiche e a flirtare con la signora".
Riconobbi la voce. "Era ora che arrivassi, Raji". Mi girai per guardarla.
Mi abbracciò e mi baciò la guancia. Quando mi tirai indietro per guardarla, vidi il suo sguardo oltrepassare la mia spalla. Con un piccolo sorriso, fece un cenno verso Kayin.
"Oh, scusa..." Cominciai a presentarle, ma vidi che era già iniziata la presentazione. Kayin teneva Raji con lo sguardo più freddo che avessi mai visto in vita mia. Poi mi lanciò lo stesso sguardo duro.
"Ehm", Raji si schiarì la gola. "Forse hai dimenticato di dirle di me, Fuse".
"Fuse?" Kayin ripeté il mio soprannome, e la parola grondava di un veleno che solo una donna può iniettare in una sola sillaba.
"Le ho detto che saresti venuta", dissi a Raji osservando gli occhi di Kayin. Non sapevo che il colore blu potesse essere così gelido.
Proprio allora, il suo sorriso professionale tornò e salutò una coppia di nuovi ospiti. Mentre l'uomo e sua moglie compilavano il registro dell'hotel, cercai di attirare la sua attenzione.
"Kayin, devo dirti..."
"Per favore, adesso spostati in sala o al ristorante", mi interruppe Kayin in modo gelido. "O nella tua stanza per affari personali, per favore. Devo lavorare".
L'uomo alzò lo sguardo verso di me, poi verso Kayin, che gli fece un sorriso quasi dolce ad indicare che non si riferiva a lui.
Portai Raji nella mia stanza, il che fu probabilmente il mio secondo errore della giornata, dato che Kayin continuava a fumare nell'atrio.
"È molto bella", disse Raji mentre chiudevo la porta e mettevo la sua valigia sul letto.
“Si.”
“Quanto bene la conosci?”
“Molto bene.”
“Molto?” Raji mi guardò velocemente con un sorriso.
“Molto!”
“Davvero?” Rimase immobile, fissando le finestre francesi, come se stesse cercando di ricordare qualcosa. Alla fine aprì la valigia e prese un vestito di taffetà bianco per scuoterne le pieghe. "E le hai detto di me?"
"Sì, molte volte". Presi una gruccia dall'armadio e ladiedi a Raji per il suo vestito. "Le ho detto che siamo andati a scuola insieme, che abbiamo attraversato l'oceano, che siamo andati in India a trovare la tua famiglia...".
"Sembrava piuttosto sorpresa di vedermi", disse Raji, con un'espressione perplessa.
"Beh, forse ho dimenticato di dirle che sei una donna".
"Hai dimenticato?"
Feci un gesto impotente.
"Fuse, a volte mi sorprende che tu riesca a funzionare da solo senza la supervisione di un adulto".
"Anch'io. Cosa dovrei fare?"
"Tu, amico mio, sei un uomo molto intelligente e allo stesso tempo un completo idiota". Mi diede il suo vestito appeso e mi fece cenno di metterlo nell'armadio.
"Sì, ma cosa posso fare ora?". Appesi il suo vestito all'asta accanto alla mia vestaglia.
"Resta qui. Non voglio che tu faccia altri danni. Capito?"
“Resterò qui finoal tuo ritorno".
Per più di due ore camminai su e giù. Esattamente ventitré passi dalla porta d'ingresso alla portafinestra. Cercai di leggere un libro, ma non riuscivo a concentrarmi. Rimasi in piedi sul balcone, contando le persone sotto di me. Mi rasai due volte e mi tagliai tre volte. Mi cambiai la camicia, lucidai le scarpe, poi, con le mie lucide punte nere, misurai ancora un paio di volte la distanza dalla porta alla portafinestra. I ventitré passi non variavano mai di un centimetro.
Infine, sentii delle risate femminili fuori nel corridoio, poi la mia porta si aprì. Raji e Kayin entrarono nella stanza, a braccetto, ancora ridendo. Probabilmente di me. Non mi importava, era un suono bellissimo.
Kayin mi lanciò un'occhiata severa, poi mi baciò. "Perché", chiese, "non mi hai detto che Raji era una donna?"
"Come la mia migliore amica", indicai Raji, "mi ha detto molte volte, sono una testa di legno".
"Sì, lo sei", dissero insieme.
Raji prese una delle sedie mentre io e Kayin ci sedemmo sul divano.
"Avete parlato di me nelle ultime due ore e mezza?". Chiesi.
"No, sciocco", disse Raji. "Ci sono voluti solo i primi cinque minuti".
Kayin si mise a ridere. "Poi abbiamo fatto una bella e lunga chiacchierata sull'India, sulla Birmania e su come dovremmo cacciare gli inglesi da entrambe le nostre case".
Raji si lavò e si cambiò, poi portai le due signore fuori per una deliziosa cena in un piccolo ristorante con vista sul porto. Verso la fine del pasto, versai un po' di vino in ognuno dei loro bicchieri.
"Raji", dissi, "potresti avere la stanza tutta per te stasera".
Kayin e Raji si guardarono, poi risero.
"Cosa?" Chiesi.
"Ho già una stanza tutta per me", disse Raji. "Al quarto piano dell'hotel".
"Ce ne siamo occupate prima", disse Kayin, "prima di salire nella tua stanza".

* * * * *

La terza notte dopo l'arrivo di Raji, aspettammo che Kayin finisse il suo turno alla reception e ci raggiungesse. Nel frattempo, studiammo la mappa della valle del fiume Irrawaddy e riconsiderammo i nostri piani di viaggio verso il confine cinese. Io volevo rimanere per un po' a Mandalay, e Raji capiva i miei sentimenti, ma non era sicura sul da farsi. Continuare il viaggio senza di me non le piaceva affatto.
"Come va il tuo tennis?". Chiesi.
"Una presa in giro!" Raji mi lanciò un'occhiata e girò gli occhi. "Tennis proprio. Panyas Maidan non distingue un'estremità della racchetta dall'altra. Ho dovuto prenderlo ripetutamente per mano e mostrargli dove stare quando serviva la palla. Poi, giovedì sera, quando mi ha portato alla casa da tè di Radha Bazaar in Baneeji Street, si è lasciato sfuggire, o forse l'ha detto apposta, che la dote che mia madre gli ha promesso potrebbe non essere sufficiente. Mi sono quasi strozzata con il curry. Poi avrei voluto strozzare lui e mia madre".
"Vuoi dirmi", dissi, "che tua madre gli aveva già promesso una dote, insieme alla tua mano in matrimonio, prima di incontrarlo quella prima sera?"
"E lui ha avuto l'audacia di dirmi che la dote non era sufficiente".
Non ho potuto evitare di sorridere. "Che cosa hai fatto?"
"Ho detto a quello stupido pomposo che non l'avrei sposato nemmeno se sua madre mi avesse pagato una dote".
Risi.
"E poi ho detto a mia madre esattamente quello che pensavo di lei mentre facevo la valigia e partivo per Mandalay".
"Quando ce l’hanno presentato", dissi "ho pensato che fosse un ricco signore".
"Sì, e un architetto. Ti ricordi quando ha detto che disegnava edifici e poi lasciava la costruzione a mani più capaci?".
"Sì."
"Disegna edifici, certo. È un artista di strada, e pure povero. E il suo cosiddetto club, è il parco comunale dove abbiamo dovuto aspettare un'ora per un campo da tennis libero".
"Quando imparerà mai tua madre?" Presi la pipa dalla tasca interna della giacca e cominciai a riempirla di tabacco.
"Quando io imparerò mai, vuoi dire. E tu quando hai cominciato a fumare la pipa?".
Accesi un fiammifero e grattai sullo stelo. "La settimana scorsa". Andai al telefono montato sul muro del corridoio e chiamai il servizio in camera per un tè e un caffè. Il cameriere notturno portò il vassoio nella mia stanza e pochi minuti dopo entrò Kayin, seguita da un uomo.
"Vorrei presentarvi una persona", disse a me e a Raji. Non credo che Raji l'abbia notato, ma mi è sembrato di sentire un leggero tremore nella voce di Kayin.
Ci alzammo per salutarlo. Non era vestito con gli abiti tradizionali birmani, ma indossava un abito grigio in stile occidentale, ben tagliato ma poco costoso. La sua postura era molto dritta, il suo portamento quasi militare, ed era più alto della maggior parte degli uomini birmani. Ho indovinato che la sua età era intorno ai vent'anni. Con la tesa anteriore del suo cappello nero abbassata, sarebbe potuto uscire da un film di Charlie Chan.
"Questo è il Maggiore Kala-Byan", disse Kayin.
Si tolse il cappello e si fece avanti per prendere la mano di Raji, inchinandosi leggermente. Poi prese la mia in una ferma stretta. "Molto piacere di conoscerla, signor Fusilier". Il suo inglese era buono e fortemente britannico.
"Sono lieto di conoscerla, Maggiore. Lei è nei Burma Rifles?" Sapevo che molti birmani si erano uniti a quell'unità dell'esercito britannico, ma non avevo sentito dire che qualcuno fosse stato promosso al grado di Ufficiale.
Lo vidi irrompere, e quasi dare una rapida risposta, ma poi si trattenne. "No, signore", disse lentamente. "Non sono nei Burma Rifles".
Anche Kayin vide la reazione del Maggiore. "Il Maggiore Kala-Byan è nel movimento birmano per l'indipendenza".
Fui sorpreso dallo sguardo di Kayin mentre lo guardava. Non posso dire se fosse tanto ammirazione quanto orgoglio, come una madre che vede suo figlio fare bene sul campo di calcio.
"Capisco", dissi, non capendo affatto. Perché Kayin aveva portato da noi un uomo dal sottosuolo? E come lo conosceva?
"Non vuoi una tazza di tè?". Raji chiese al Maggiore mentre gli facevo cenno di sedersi sul divano.
"Grazie", disse lui posando il cappello sul divano e dando un'occhiata alla caffettiera. "Ma preferirei un caffè".
Beh, pensai, almeno lui è un bevitore di caffè. Era la prima persona che incontravo nell'Est che chiedeva un caffè.
Il Maggiore si sedette al centro del divano, mentre Kayin si sedette all'estremità, angolandosi verso di me. Mentre Raji gli versava il caffè, mi sedetti di nuovo sulla mia sedia.
"Lei e la signorina Devaki avete frequentato la scuola di medicina dell'Università Theodore Roosevelt a Richmond, in Virginia", disse il Maggiore, prendendo la tazza e il piattino da Raji e servendosi dalla lattiera sul vassoio.
Anche se le sue parole sembravano più un'affermazione che una domanda, lanciai un'occhiata a Raji mentre prendeva posto sull'altra sedia.
"Ma non avete completato il vostro corso di laurea?" Sorseggiò il suo caffè.
Scossi la testa. Questa era una domanda.
Picchiettai la pipa sul bordo del posacenere, poi la riempii dal sacchetto del tabacco. Gli porsi il sacchetto, ma lui rifiutò e prese un pacchetto fresco di Lucky Strikes da una tasca interna della giacca. Ruppe l'involucro di cellophane, aprì il pacchetto e offrì una sigaretta a Raji. Lei scosse la testa, poi lui ne offrì una a Kayin. Lei mi sorprese prendendone una. Accesi un fiammifero e lo porsi verso di lei. Lei si chinò in avanti e inclinò la testa per la luce. Guardai per vedere se avrebbe inalato il fumo; non lo fece.
Accesi la pipa, poi scossi la fiamma del fiammifero e ne accesi uno nuovo per offrire da accendere al Maggiore. Lui lo prese, mettendo la sua mano sulla mia, come per proteggerla dal vento.
"Tre con un fiammifero?" chiese chinandosi all'indietro inspirando profondamente.
Strano, pensai. Come si fa ad imparare le credenze e le superstizioni di una cultura?
Questa faccenda di non accendere tre volte lo stesso fiammifero deriva, credo, dalla Guerra Mondiale del 1918, quando tre soldati americani erano in una buca di volpe una notte. Uno dei soldati aprì un pacchetto di sigarette, ne prese una per sé e ne diede una a ciascuno dei suoi compagni. Il primo soldato accese la sua sigaretta, tenne il fiammifero al secondo uomo per accendere la sua, poi al terzo soldato. Un cecchino tedesco, intravedendo la fiamma del fiammifero sul campo di battaglia, prese attentamente la mira e sparò proprio mentre il terzo soldato faceva la sua prima e ultima boccata.
Forse questa era una convinzione militare, piuttosto che culturale. Ma io non avevo una formazione militare. Come mi era venuto in mente? Presi nota mentalmente di parlarne con Kayin la prossima volta che fossimo stati soli. Se dovevamo stare insieme, volevo imparare il suo sistema di credenze e la sua lingua.
Spensi il fiammifero nel posacenere. "No", dissi in risposta alla sua domanda su me e Raji riguardo alcompletamento dei nostri corsi di laurea. "Abbiamo lasciato la scuola al terzo anno".
"Perché?" chiese lui.
Sbuffai la pipa e aspettai un momento. Non mi dispiaceva parlare della scuola o del perché io e Raji avessimo smesso, ma mi dava fastidio essere interrogato.
"Oxford", dissi appoggiandomi alla sedia e incrociando le gambe.
Uno sbuffo di fumo di sigaretta oscurò per un attimo il volto del Maggiore, ma dallo sguardo di Kayin, immaginai che le avesse lanciato un'occhiata.
"Mi scusi?" disse mentre il fumo grigio si allontanava.
"È andato all'università di Oxford", dissi esaminando la coppa della mia pipa, poi lo guardai di nuovo.
"L'accento?" Lui prese un po' di tabacco dalla punta della lingua con il pollice e l'indice.
"Sì." Sorrisi e mi informai ulteriormente. "Qual era il suo campo di studi?"
"Sono laureato in ingegneria e minerario", rispose lasciando cadere il pezzo di tabacco nel posacenere.
"Perché l'industria mineraria? Pensavo che le scienze politiche fossero di suo interesse".
Sorseggiò il suo caffè e mi guardò oltre il bordo della tazza per un momento prima di rispondere. "Il mio interesse principale era per gli ultimi sviluppi nel campo degli esplosivi".
"Ho lasciato la scuola", dissi, "perché non ne vedevo più l'utilità. E tu, Raji?"
"Suppongo, per me", disse, "non sianiente di più di un congedo sabbatico. Probabilmente tornerò indietro e finirò la mia laurea ad un certo punto".
Guardai di nuovo il Maggiore. "Questo risponde a tutte le sue domande?"
"Mi dispiace", disse rimettendo la tazza sul piattino. "Non volevo essere scortese. A volte sono troppo diretto e dimentico le buone maniere. Spero di non aver offeso nessuno dei due".
"Nessuna offesa", rispose Raji con un sorriso.
Feci sparire la sua preoccupazione.
"So", continuò con un tono più amichevole, "che entrambi siete solidali con la nostra causa".
Guardai Kayin e vidi che stava aspettando la mia reazione.
“Qual è la vostra causa, Maggiore?” Chiesi.
Il Maggiore si chinò in avanti per far cadere la cenere della sua sigaretta. "Molto semplicemente, vogliamo gli inglesi fuori dalla Birmania".
"E se gli inglesi rifiutano il vostro invito ad andarsene?". Chiesi.
"Allora siamo pronti ad agire contro di loro".
"Siamo?" Chiesi. "Ho letto sui giornali che gli inglesi hanno quasi cinque reggimenti in Birmania, più l'artiglieria e le cannoniere. Avete abbastanza uomini per andare contro quel tipo di forza?".
"No, non abbiamo abbastanza uomini per affrontarli ora, ma il nostro numero cresce ogni giorno".
"E volete che io, Raji, e suppongo Kayin, ci uniamo al vostro esercito?"
"Kayin ha altri compiti da svolgere. Ma mi piacerebbe molto che tu e la signorina Devaki vi uniste a noi per un'esercitazione".
Volevo sapere quali fossero gli altri compiti di Kayin, ma continuò prima che potessi chiederlo.
"Sto portando un reggimento di irregolari in Etiopia per una missione di addestramento".
"Etiopia?" Chiesi. "Perché così lontano?"
"Tre anni fa, nel 1928, l'imperatore d'Etiopia fu ucciso nella Guerra Civile. Due giorni dopo sua moglie, l'imperatrice, morì per cause misteriose, poi Hailé Selassié si incoronò nuovo imperatore. Quelli fedeli all'ex imperatore continuano a combattere le forze di Hailé Selassié nelle province periferiche, e noi abbiamo la fortuna di avere accesso a uno dei campi d'aviazione in una regione che controllano. Siamo stati invitati a usare i loro campi di addestramento per le nostre nuove reclute". Il Maggiore tirò un'ultima boccata di sigaretta e la spense nel posacenere. "Come dice lei, è molto lontano, e questo è uno dei motivi per cui ci andiamo. È così lontano che gli inglesi non si accorgeranno di quello che stiamo facendo. Vorremmo che voi due veniste con noi e ci faceste da medici".
"Non so Raji", dissi, "ma io non mi sento qualificato per eseguire alcuna procedura medica".
"Nemmeno io", disse Raji.
"Non si tratterà di un intervento chirurgico o di un trattamento di malattie", disse il Maggiore, "ma più che altro di un primo soccorso". Quando non ricevette alcuna risposta, continuò. "Ci aspettiamo ferite minori e forse un paio di ossa rotte, niente di più".
Lanciai uno sguardo a Raji.
Sta pensando la stessa cosa che sto pensando io? Uno o due ossa rotte?

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