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Saluta Il Mio Cuore Con Un Bacio
Dawn Brower
Con il trascorrere dei giorni Lana comincia a credere nel lieto fine con Sullivan. Qualcun altro però ha altre idee, e potrebbero non sopravvivere abbastanza a lungo per scoprire che cosa sia la vera felicità. Sullivan Brady ha sempre seguito le proprie regole. La principale: non creare legami. Quando sua sorella scomparve da bambina, l'accaduto gli insegnò una dura lezione. A volta amare qualcuno ti lascia esposto ad un dolore inimmaginabile. Aveva giurato di non rimettersi più in quella posizionefino a quando subentrò Lana. Da sola tocca il suo cuore, ed ha il potere di lenire vecchie ferite. Quando rischia di morire, lui impazzisce e mette in dubbio ogni decisione che abbia mai preso. Sopravvivere ad un incidente d'auto ed a una successiva operazione al cuore rende Lana Kelly vulnerabile. Ha sempre avuto un debole per Sullivan, ma ha fatto del proprio meglio per tenerlo lontano. Solo un pazzo si fiderebbe per onorare un impegno con lui in materia di cuore. Sullivan è noto per i suoi numerosi appuntamenti e la sua incapacità di amare. Quando l'uomo intraprende una campagna per il cuore di Lana, lei è pronta per affrontarlo. Con il trascorrere dei giorni Lana comincia a credere nel lieto fine con Sullivan. Qualcun altro però ha altre idee, e potrebbero non sopravvivere abbastanza a lungo per scoprire che cosa sia la vera felicità.

Dawn Brower
Saluta Il Mio Cuore Con Un Bacio: L’intento del cuore 4

SALUTA IL MIO CUORE CON UN BACIO
L’INTENTO DEL CUORE 4

DAWN BROWER
TRADUZIONE DI GIULIA BUSSACCHINI

EDITO DA TEKTIME
Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e fatti citati sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in modo fittizio. Ogni riferimento a persone vive o morte, luoghi e organizzazioni è puramente casuale.
Saluta Il Mio Cuore Con Un Bacio, diritti d’autore © 2017 Dawn Brower
Modifiche e realizzazione della copertina da parte di Victoria Miller
Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere usata, riprodotta elettronicamente o stampata senza permesso, ad eccezione di brevi citazioni comprese nelle recensioni.

PROLOGO

Dieci anni prima
Era un pomeriggio d’estate specialmente umido. Il sudore si formava sulla fronte di Lisanna Kelly mentre la ragazza fissava fuori dalla finestra al piano superiore della villa Brady. Sua madre era la colf della proprietà, e vivevano nell’appartamento sopra al garage. Non avevano però sempre vissuto lì. Per un periodo lei aveva soggiornato in una stanza della casa principale. Ma era prima che il mondo dei Brady venisse sconvolto dalla scomparsa della loro figlia, Daniella.
Avrebbe dovuto pulire le finestre come le aveva chiesto di fare sua madre. Era difficile non sognare ad occhi aperti e desiderare ciò che non aveva mai avuto. Pulire le finestre era noioso e tedioso. Che divertimento c’era? Invece di svolgere il lavoro che le era stato assegnato, Lisanna era catturata dalla scena all’esterno. In sua difesa, ogni femmina vivente e respirante lo sarebbe stata.
Sullivan Brady si era tolto la maglietta e stava facendo stretching nei pressi della piscina. Il suo petto muscoloso brillava alla luce del sole. La sua pelle si era scurita di una bella tonalità dorata, ed ora dei colpi di sole color caramello ravvivavano i suoi capelli scuri. Lisanna si leccò le labbra dimenticandosi di pulire. Beh—forse Sullivan aveva bisogno del suo aiuto. Avrebbe potuto lavarlo…Lisanna allontanò l’idea dalla sua mente. Lui non l’avrebbe mai guardata. Lei era la figlia della colf, e lui era…tutto. Non aveva mai trovato un altro maschio simile a lui. Per lei, lui era dannatamente perfetto.
“Lisanna” gridò sua madre.
“Sì, mamma” rispose.
“Che costa stai guardando, ragazza?” la raggiunse alla finestra. Lisanna si morse il labbro. Era nei guai. Se sua madre si fosse resa conto che stava fissando Sullivan, l’avrebbe rimproverata a lungo. Era troppo grande per lei, e doveva allontanare quei sogni ad occhi aperti dal suo cervello di adolescente. Sua madre guardò fuori dalla finestra e si accigliò. Lisanna si preparò per le parole di sua madre, “è una bella giornata” disse sua madre prima di sospirare. “La piscina sembra invitante. Se finirai le finestre chiederò al Signor Brady se potrai andare a nuotare”.
Il corpo di Lisanna si riaccese di gioia. Sarebbe stato bellissimo trascorrere un po’ di tempo in piscina. Però era confusa…quando aveva guardato aveva visto Sullivan accanto alla stessa. Ora non osava sbirciare per non dare nessuna indicazione a sua madre che stesse guardando qualcos’altro oltre alla piscina. “Davvero?” domandò speranzosa. Forse lui sarebbe stato lì quando lei avrebbe nuotato.
“Sì, cara” disse dolcemente. “Dev’essere difficile per te. Vivere qui senza però essere parte di tutto questo”. Indicò la sontuosa camera e le decorazioni costose. “Hai diciassette anni. Voglio che ti diverta”.
Odiava quando sua madre le ricordava quanti anni aveva. Non era abbastanza grande per fare niente. Non abbastanza sofisticata per Sullivan. Lui avrebbe compiuto ventun anni la settimana seguente. Poi, qualche settimana dopo sarebbe tornato al College. L’estate sarebbe finita prima che se ne sarebbe resa conto.
“Grazie” disse Lisanna dolcemente. “Adesso finisco le finestre”.
“Vedi di farlo” disse sua madre. “Quando hai finito raggiungimi in cucina”.
Lisanna annuì ed afferrò gli attrezzi per le pulizie che aveva abbandonato per ammirare Sullivan. Applicò lo spray sui vetri e li pulì fino a quando brillarono. Non sapeva dove fosse andato Sullivan mentre sua madre aveva guardato fuori dalla finestra, ma ora era ritornato. Le ci volle tutto il suo auto controllo per non ammiccargli mentre puliva. Aveva intenzione di nuotare in piscina, e se fosse stata abbastanza fortunata lui sarebbe stato lì insieme a lei.
Si asciugò il sudore dalle sopracciglia e raccolse gli attrezzi. Ogni finestra era stata pulita. Era ora di essere ripagata. Le sue labbra s’incurvarono in alto. La piscina e del tempo con Sullivan Brady. Che cos’altro poteva volere una ragazza? Uscì dalla stanza e si diresse al piano inferiore. Poi andò in lavanderia e depositò gli stracci nel cesto dei bianchi. Una volta finito, entrò in cucina.
“Ho finito…” lasciò la frase in sospeso quando si rese conto che sua madre non era sola. Sullivan era entrato in cucina mentre la donna si stava occupando delle stoviglie. Era ancora più bello da vicino, e non si era preoccupato di indossare una maglietta. Lisanna si leccò le labbra e si ricordò di respirare. Dopo essersi schiarita la voce disse, “ho finito le finestre al piano disopra”.
Sua madre sorrise. “Grazie. Sei libera di fare ciò di cui abbiamo parlato prima. Ricordati di applicare la crema solare in modo da non scottarti”.
Sullivan le rivolse un ghigno. “Ti posso aiutare quando esci. La Signora Kelly dice che nuoterai in piscina”.
Lisanna arrossì. Lui le avrebbe messo la crema solare? Sarebbe morta—oh, ma che bel modo di morire. Era certa che avrebbe preso fuoco quando lui le avrebbe messo le mani addosso. “Uhm, sì” esitò. “Grazie”. Perché non riusciva a formulare una frase di senso compiuto in sua presenza?
“Adesso va’” disse sua madre. “Goditi la giornata”.
Non dovette farselo dire due volte. Lisanna si affrettò fuori dalla cucina. Un intero pomeriggio a non fare niente…non si ricordava quand’era stata l’ultima volta in cui aveva avuto del tempo libero. Sua madre le chiedeva sempre di fare qualcosa. Quando andava a scuola aveva più tempo per sé stessa perché sua madre voleva che si concentrasse sull’ottenere buoni risultati. In estate però la Signora Kelly non credeva nel concedere del tempo a sua figlia per oziare. Non aveva cresciuto una figlia pigra.
Lisanna salì le scale dell’appartamento sopra al garage, ed andò in camera sua. Tutto all’interno della piccola stanza era pulito e perfettamente ordinato. Almeno così credeva. Aprì un cassetto dal quale estrasse il suo costume. Si trattava di un tankini verde smeraldo che aveva convinto sua madre a comprarle. Ne era stata attirata perché era in tinta con gli occhi di Sullivan. Sì, era ossessionata da lui. Non poteva farne a meno.
“È una causa persa” mormorò fra sé e sé. “Sullivan Brady è fuori dalla mia portata”.
Lisanna scosse il capo e si preparò per la sua nuotata. Indossò il costume ed acconciò i suoi capelli ramati scuri in una coda di cavallo alta. Soddisfatta del risultato, afferrò un pareo bianco e si diresse alla piscina.
L’accolsero delle risate quando raggiunse il giardino posteriore. Credeva che avrebbe trovato Sullivan da solo, ma si sbagliava. Era in compagnia di qualcuno, e non sembrava un maschio. Forse aveva sentito male. Oh, c’era sicuramente una femmina con lui. La sua risata briosa era difficile da confondere, ma forse ce n’erano altre. Girò l’angolo e tirò un sospiro di sollievo. L’ultima cosa che voleva, era essere il terzo incomodo durante un appuntamento di Sullivan.
Con lui c’erano altre persone. Altre due ragazze ed un altro ragazzo—tutti suoi amici che riconobbe. La coppia che si coccolava nei pressi della piscina era composta dal migliore amico di Sullivan, Aaron Taylor, e la sua ragazza, Sienna Kent. L’altra ragazza era Victoria Masters. Era bionda, dagli occhi azzurri, e tutta curve. Tristemente, Lisanna notò che lui era attirato da lei. Vicky, come lui la chiamava, faceva arrossire la parola ‘stupenda’.
“Sei troppo dolce” disse Vicky a Sullivan in tono condiscendente. “Perché permetti a quella ragazza di unirsi a noi?”
“Non essere cattiva” la rimproverò lui. “Non è come noi. È una bella pausa per lei”.
Stavano sicuramente parlando di lei. Chi altro descriverebbero dicendo ‘non è come noi’? Lisanna riconsiderò la propria decisione di nuotare. Quando si era trattato di trovarsi solamente in compagnia di Sullivan era sembrata un’idea meravigliosa. Ora invece…l’addolorava il dover affrontare tutti loro. La stavano già giudicando e non era nemmeno uscita completamente di casa. Lisanna girò l’angolo quando Vicky portò le braccia al collo di Sullivan.
“Sei così altruista” gli disse Vicky. “Non so se sarei in grado di essere così caritatevole”. Lisanna strinse i denti. Era troppo. Non poteva restare ad ascoltare ancora. Quando li raggiunse vide che la ragazza di Sullivan fissava nella sua direzione. Le labbra di Vicky erano incurvate verso l’alto, come a prenderla in giro. “Non dovresti perdere il tuo tempo con una ragazza così”.
“Io…” cominciò Sullivan, e poi scosse il capo. “Forse hai ragione, ma è come una sorella per me. Certo, non può rimpiazzare Daniella”. Fece spallucce. “Immagino che mi piaccia, ed è una mia scelta”.
Una sorella? Il cuore di Lisanna perse un battito a quelle parole. Si era resa conto che la sua cotta per lui era futile, ma quelle parole l’avevano colpita al cuore, facendola crollare in pezzi. Non l’aveva mai vista come nient’altro che una ragazzina.
Non c’entrava nemmeno la loro differenza d’età. Non proprio. Era cresciuto con lei e l’aveva ritenuta una specie di rimpiazzo per la sorella che aveva perso. Non era più in grado di recarsi dove si trovava il gruppo…si voltò e si diresse all’appartamento.
Il pomeriggio sarebbe stato migliore se l’avesse trascorso a leggere, piuttosto che a sbavare su un maschio che non avrebbe mai avuto. Alcuni sogni si spengono più in fretta di altri. Era ora di concentrare le proprie energie su qualcosa di più raggiungibile dell’amore di Sullivan Brady. Lui non se la meritava, e tristemente, non avrebbe mai scoperto che cosa si perdeva. Lisanna non gli avrebbe più concesso il proprio tempo.
“Peggio per te” sussurrò. “Un giorno ti renderai conto di quanto sono fantastica, e sarà stata una tua perdita”. Una donna forte guardava una sfida negli occhi e le faceva l’occhiolino. Un giorno sarebbe stata quel tipo di donna, e quando avrebbe fatto l’occhiolino a Sullivan Brady, lui si sarebbe inginocchiato implorandola di essere sua. Poi lei gli avrebbe riso in faccia ed avrebbe detto, “dopo tutto, non posso stare con un uomo che vedo come un fratello”. Il sogno l’aveva fatta sentire bene, nonostante racchiudesse una percentuale di impossibilità, lei si attaccava ad esso mentre si asciugava le lacrime.


Quattro anni più tardi…
Sullivan Brady passeggiava lungo la strada, si stava dirigendo verso un locale dove avrebbe incontrato alcuni amici. Aveva terminato gli esami e si sarebbe laureato qualche settimana più tardi. Aveva ottenuto il Master in Business Administration ed era il primo della sua classe. Quando era tornato a casa aveva trovato impiego alla Brady Blue, e poco dopo avrebbe preso il posto di suo padre. Era stato preparato per essere Amministratore Delegato della compagnia da anni—qualcosa che aveva sempre desiderato. La posizione manageriale inferiore era una formalità. Suo padre voleva che prima facesse un po’ d’esperienza, e qualche anno dopo sarebbe subentrato a lui. A Sullivan quel piano andava bene. Non era ancora pronto per gestire una compagnia. In questo modo avrebbe avuto più tempo per apprendere come venivano gestiti gli affari. Non c’era niente che gli piacesse di più del tempo che si era ritagliato per divertirsi.
“Sully” lo chiamò un amico. “Era ora!”
Si voltò verso la voce che l’aveva chiamato, e trovò Aaron che gli faceva cenno di raggiungerlo. Erano migliori amici dall’università. Entrambi avevano frequentato degli atenei di New York—la Columbia per Sullivan e la NYU per Aaron. Aveva dato loro l’occasione di crescere, eppure potevano comunque affidarsi uno all’altro. La ragazza di Aaron, Sienna, sedeva accanto a lui e stava sorseggiando un drink.
Sullivan si diresse al loro tavolo. Al momento non frequentava nessuno e voleva divertirsi il più possibile. Adorava la propria libertà, e tremava al pensiero di essere vincolato ad una sola donna. Aaron aveva Sienna, ed era fantastico—per lui. Sullivan, d’altra parte, preferiva esplorare tutte le opzioni prima di onorare un impegno. In verità non era completamente certo di essere in grado di sostenere una relazione a lungo termine. Voleva fare troppe cose. Dopo la laurea era ritornato a casa ed aveva delle responsabilità. Questa era una serata che sperava di ricordare per sempre.
“Come mai ci hai messo così tanto?” domandò Aaron.
“Mi hanno chiamato i miei genitori” disse. “Volevano chiedermi come pensassi di essere andato agli esami, e sono restato un po’ al telefono con loro”.
Si preoccupavano per lui, e non poteva far loro una colpa. Dopo aver perso Daniella l’avevano viziato, forse più di quanto avrebbero dovuto. Lui non si era opposto perché aveva compreso la loro sofferenza, perdere Daniella era stato traumatico anche per lui. Non riusciva ad immaginare come sarebbe stato perdere un figlio. Era uno dei motivi per il quale non aveva intenzione di sposarsi o avere dei bambini. Non riusciva a reggere il pensiero di perdere qualcuno di caro.
“Vado a prendermi un drink” disse Sullivan. “Volete qualcosa?”
Aaron scosse il capo. “No, io no”. Si voltò verso Sienna. “Vuoi qualcosa, piccola?”
“Sì” rispose la ragazza. “Potresti prendermi uno slippery nipple?”
Sullivan le fece l’occhiolino e rispose in tono stuzzicante, “non credo che al tuo ragazzo piacerebbe”.
“Ah ah” disse. “Intendevo lo shot, e lo sai”.
Lo sapeva, ma non poteva fare a meno di scherzare con lei. “Mi spezzi il cuore” disse portandosi la mano al petto. “Che cos’ha questo fesso che io non ho?”
“Fedeltà e monogamia” ribatté.
“Mi offendi” rispose con fare sconcertato. “Sono perfettamente in grado di essere fedele”. Non c’era persona più fedele di lui nei confronti di coloro a cui teneva. “E sono capace di essere monogamo—una notte alla volta”. Fece spallucce. “Forse anche più di una se è concesso”.
Sienna emise una risata nasale e scoppiò a ridere allo stesso momento. Era strano da vedere. Alzò la mano e disse, “solo tu, Sully, sei in grado di dire qualcosa del genere con un’espressione seria. Va a prendere il mio drink. Prendi un slippery nipples per tutti noi. Facciamo un brindisi”.
Le rivolse un ghigno e si voltò dirigendosi verso il bar. Sienna era gradevole e rendeva felice Aaron. Forse un giorno si sarebbero sposati ed avrebbero avuto un branco di bambini. Si augurava il meglio per loro, ma quelle vita non era per lui. Il bar era affollato ed era servito da due bariste. Una stava si stava occupando dei clienti, mentre l’altra era girata di spalle. Aveva lunghi capelli ramati che cadevano in onde sensuali. Le ciocche s’interrompevano al suo sedere, e che bel sedere. Un paio di jeans neri complimentavano tutte le sue curve. Sullivan voleva vedere se il suo viso fosse ugualmente bello. Girati, per favore. Attese con ansia che la barista si voltasse verso di lui, e quando lo fece, rimase senza fiato. Era bellissima. I suoi occhi erano come la cioccolata calda, e quelle ciocche rosse incorniciavano il suo delizioso viso a forma di cuore. Le sue labbra erano piene e tinte di rosso rubino. Ma questa donna sarebbe sempre stata off limits per lui.
“Sullivan Brady in carne ed ossa” disse. L’angolo della sua bocca s’incurvò in alto. “Che cosa ti porta qui?”
Non la vedeva da anni. Dopo essersi diplomata alle superiori si era trasferita dalla loro città natale. “Lisanna” disse più educatamente che poteva. Era ancora attratto da lei, e deluso dal fatto che non fosse una ragazza con cui divertirsi. Faceva parte della sua famiglia allargata, e teneva a lei. Sullivan non aveva mai avuto un’avventura con una donna per la quale provava qualche tipo di sentimento. Le rendeva sempre proibite.
“Non chiamarmi così” lo rimproverò lei. “Non sono più una bambina”.
Sullivan fece convergere le sopracciglia. “Allora come ti chiamo?” ribatté; era molto diversa dalla ragazza che si ricordava. Nel corso degli anni era diventata una donna sexy che voleva baciare con passione, e farle anche molto di più.
“Lana” rispose lei con fare quasi sensuale. “Non so che farmene di chi ero”.
In che senso? Gli piaceva chi era prima. E se adesso non gli fosse piaciuta la donna che era diventata? Di sicuro gli piaceva guardarla, ma era completamente diverso e anche sbagliato, in qualche modo. “Che diavolo stai dicendo?”
“Non capiresti” disse. “E non sono incline a spiegare”.
Beh, accidenti…che cosa aveva dovuto affrontare negli ultimi anni? Non poteva avere più di ventun anni. In due anni si sarebbe laureata, e poi? Andava all’università? Perché lavorava come barista?
“I miei genitori non ti avevano offerto di pagarti la retta universitaria?” domandò, la confusione era palese nelle sue parole.
La ragazza scoppiò a ridere e poi disse con fare sprezzante, “ci sono molte altre spese oltre alla retta all’università, ragazzo ricco”.
Sullivan venne colto alla sprovvista alle parole di lei. Da quando era così schietta? Non era sempre stata timida ed esitante nel parlare? “Ti avrebbero dato altri soldi se avessi chiesto”.
Rispose tenendo la testa alta. “Mi piace la mia istruzione ben pagata, ma non sono un’accattona. Ho intenzione di ripagare ogni centesimo, e preferirei non indebitarmi ulteriormente”.
Sullivan si sentì come se il proprio mondo fosse stato capovolto sotto sopra. Questa non era la ragazza che conosceva. Forse era quello il punto. Voleva un cambiamento e si era esposta per farlo. Aveva addirittura cambiato il proprio nome. Lo testò sulle proprie labbra quando lo disse a voce alta, “Lana”.
Inarcò un sopracciglio. “Si?”
“A che ora stacchi?”
“In realtà, adesso” rispose. “Perché?”
Era una cattiva idea, ma non aveva potuto fare a meno di pronunciare quelle parole. “Vieni a casa con me”. Sullivan desiderò immediatamente di rimangiarsi ciò che aveva detto, ma allo stesso tempo sperava che lei dicesse di sì.
La vide sussultare come se le avesse dato uno schiaffo. “Non sono una delle tue bagasce”.
Accidenti, sapeva che era stata la cosa sbagliata da dire. Non voleva questo da lei. Diamine, chi stava prendendo in giro? Lo voleva eccome. Quando aveva adocchiato il suo fondoschiena aveva immaginato di toglierle quei jeans neri lentamente ed accarezzare la sua pelle con la lingua. Sullivan voleva assaggiare ogni centimetro di lei, e voleva che lei urlasse il suo nome. Come poteva provare emozioni così contrastanti in merito ad una donna? In alcuni modi questo incontro aveva sconvolto tutto, e non poteva essere sicuro di come sarebbe andata. Non gli piaceva neanche un po’.
Sorrise. “E non la sarai mai, cara Lana”. Sullivan si appoggiò sul bancone. “Vorrei andare in un luogo privato dove possiamo parlare. Mi piacerebbe conoscere la nuova te”. Voleva disperatamente comprenderla e scoprire che diavolo stesse succedendo in lui. Si trattava di più di lussuria, molto di più di ciò che aveva vissuto, e lo spaventava a morte.
Lana si mordicchiò il labbro inferiore e lo fissò. Sullvian era un maschio focoso, e sì, notava quando una donna sexy omaggiava la propria bocca. Specialmente quando voleva posare le labbra su quelle di lei. Se non avesse trovato qualcos’altro su cui concentrarsi, il suo cazzo si sarebbe indurito dolorosamente.
“No” disse finalmente. “Per quanto mi piacerebbe indulgere in questo tuo capriccio, devo studiare. Ho un esame importante domani mattina”.
Non si era reso conto di quanto desiderasse che venisse a casa con lui fino a quando le aveva detto che non sarebbe successo. Il suo cuore affondò nel petto.
“Forse un’altra volta” disse.
“Ne dubito” rispose Lana. “Devo andare. Il mio ragazzo è qui”. Indicò la porta. Un ragazzo alto dai capelli biondo sabbia e le spalle squadrate si trovava all’ingresso. “Ci vediamo, Sully”.
Si allontanò con disinvoltura da lui. Il suo bel culo rimase in bella vista tutto il tempo…accidenti. Lana Kelly l’aveva eccitato sessualmente e non era in grado di aiutarlo in merito. Chiuse gli occhi e contò fino a dieci, poi venti, eppure la sua erezione non cedette. Cazzo. Cazzo. Cazzo. Doveva trovare un modo di superare quest’improvvisa attrazione verso la donna che non poteva avere. Quando aprì gli occhi aveva di fronte l’altra barista.
“Cosa ti posso fare, tesoro?”
“Come ti chiami, bellezza?” domandò lui. Era bionda, dai capelli mossi e sexy nel proprio modo.
“Colleen”, rispose. Inarcò le labbra con fare seducente. “E tu come ti chiami?”
“Sullivan”. C’era solamente una cura per ciò che lo affliggeva. “Ho bisogno di tre slippery nipples” disse, e poi alzò gli angoli della bocca in uno dei suoi sorrisi migliori. “Quattro, se ti va di unirti a noi”.
La barista preparò i tre shot e glieli porse. “Offro io”, gli disse. “Vieni a cercarmi alla fine della serata”.
Era un invito che lui avrebbe assolutamente accettato. Doveva fare qualcosa per dimenticare Lana, ed era disposto a rivolgersi all’altra barista. Non era sexy come Lana, nessuno sarebbe mai stato al livello di Lana, ma non aveva importanza. Il suo cuore non poteva reggere una notte con Lana Kelly. Era il tipo di donna che un uomo tiene con sé…

CAPITOLO UNO
Un regolare bip emesso dai monitor riempiva la stanza. Il suono costante era sufficiente per far impazzire un uomo sano. Diavolo, gli eventi delle scorse giornate avevano quasi sortito quell’effetto su Sullivan Brady. La stanza bianca era accecante nella propria intensità, e la pelle pallida di Lana quasi brillava riflettendo sulla stessa. Sopra al suo letto era stata accesa una lampada, lasciando il resto della stanza in relativa oscurità. La ragazza giaceva incosciente, ed era così da due settimane. In un coma indotto che i dottori avevano assicurato fosse necessario.
Sullivan si avvicinò lentamente al letto. Non voleva disturbarla nonostante si rese conto che sarebbe stato impossibile. Era sedata in modo che dormisse, e nemmeno una mandria nella sua stanza l’avrebbe svegliata. A volte sperava fosse stato così. Doveva vedere i suoi occhi aprirsi, e udire la sua voce impertinente tirare fuori vecchie storie.
Non aveva voluto allontanarsi da Lana, ma qualcun altro l’aveva fatto uscire dalla stanza. Sua madre aveva più diritto a stare accanto alla figlia, ma nessuno di loro comprendeva. Da quando Lana era stata ricoverata, lui era stato a malapena in grado di funzionare. Tutti pensavano che se ne fosse andato, ma si faceva semplicemente vedere meno quando c’era qualcuno. Non poteva fare in modo che si rendessero conto di quanto terrore aveva riempito il suo cuore quando era venuto a sapere del suo incidente d’auto. Se ci fosse stata anche una remota possibilità che lei—no, non voleva nemmeno pensarci. Lana stava bene. Si era assicurato che ricevesse le cure migliori. Se quella stronza psicopatica, Imogen Duncan, non avesse tentato di uccidere la sua stessa sorella, Jessica Sousa, non sarebbe accaduto niente di tutto ciò. Lana sarebbe stata al sicuro. Invece di essere colpita dal fuoco incrociato di una vendetta di anni prima.
“Signor Sullivan” disse un’infermiera. “Pensavamo fosse andato a casa”.
Scosse il capo senza guardarla. “Dovevo vederla ancora prima di andarmene”. In realtà aveva utilizzato l’ufficio che aveva acquisito quando avevano sparato a Daniella un paio di mesi prima. Aveva dormito lì quando era stato obbligato a riposare. Ci era stato anche prima quel giorno, per cercare di non pensare a Lana ed allo stato in cui versava. Qualcosa lo aveva fatto alzare e tornare alla sua stanza. Ora che si trovava lì, niente poteva allontanare il suo sguardo dall’incosciente Lana che giaceva sul letto d’ospedale. Gli si formò un nodo in gola che non sembrava andarsene. Aveva sprecato così tanto tempo ad allontanarla. Perché era stato così stolto? Se avesse potuto tornare indietro…no, pensarla in quel modo non avrebbe aiutato.
Niente avrebbe cambiato il cammino che si erano ritrovati ad intraprendere. Anche Lana l’aveva allontanato. Avevano preso entrambi quella decisione; forse era ora di scoprire quali fossero le ragioni. Doveva esserci un modo per mettere da parte le loro differenze e scoprire se avessero avuto un futuro insieme. Tale evento era stato il campanello d’allarme che aveva fatto ragione un testardo come lui.
“È un bene che lei sia qui” gli disse l’infermiera. “Il dottore ha deciso che è ora di svegliarla. Qualche ora fa hanno interrotto l’apporto di sostanze che la facevano restare incosciente. Potrebbe svegliarsi presto, e le farebbe bene vedere un viso famigliare”.
Alzò il capo per guardarla. “Perché nessuno ha detto niente prima? Sua madre dovrebbe essere qui…” Non lui. Avrebbe probabilmente avuto una ricaduta o qualcosa di simile nel vederlo. Non erano in buoni rapporti, non ancora. Aveva l’assoluta intenzione di cambiare lo stato delle cose, ma lei avrebbe avuto bisogno di tempo per adattarsi.
La Signora Kelly avrebbe dovuto essere con sua figlia. Avrebbe dovuto chiamarla. Chiuse gli occhi e sospirò. Era tardi, e tutti già dormivano alla villa. Sarebbero venuti qui in mattinata, e sarebbe stato abbastanza presto per rendersi conto che Lana si sarebbe svegliata. Non avrebbero dovuto decidere questa cosa nel bel mezzo della dannata notte. Se non avesse corrisposto all’ospedale un’importante somma di denaro per il privilegio di andare e tornare come gli faceva comodo, anche lui non sarebbe stato lì.
“Il dottore non voleva aggiungere ulteriore ansia” spiegò l’infermiera. “Il suo cuore ha subito molto stress. La ferita era piccola, ma se non l’avessero curata in tempo sarebbe morta. Il Dottor West vuole fare le cose in modo cauto”.
Perché l’infermiera doveva ripetere che Lana sarebbe potuta morire? L’eventualità lo fissava negli occhi ogni volta in cui la guardava giacere nel letto d’ospedale. Tristemente, la realtà continuava a colpirlo al volto. Ogni giorno ne riceveva una dose che gli faceva rimpiangere le molteplici decisioni che aveva preso durante il proprio cammino.
“Il dottore sarà qui quando si sveglierà?”
L’infermiera si mordicchiò il labbro. Era meglio che Preston fosse stato qui quando Lana avrebbe aperto gli occhi. Era stata una sua idea, ed era il suo dottore. A Sullivan non piaceva il modo in cui l’infermiera era rimasta in silenzio. Voleva scuoterla come se avesse aiutato a farla rispondere, ma evitò di farlo—a fatica.
“Il fatto è che è difficile stabilire quando riuscirà ad allontanare le sostanze dal proprio corpo. La dobbiamo tenere d’occhio e chiamare immediatamente il dottore quando si sveglierà. Sarà qui il prima possibile quando la paziente avrà ripreso conoscenza”.
A Sullivan non piaceva questa situazione; ciononostante aveva stranamente senso. Lo staff medico all’Envill East era il migliore. Doveva fidarsi di loro e del modo in cui svolgevano il proprio lavoro. Non poteva fare niente per aiutare Lana oltre che restare al suo fianco e pregare che riuscisse a farcela. Lo uccideva vederla restare inerte.
“Dovrei restare?” voleva, ed allo stesso tempo era terrorizzato dal farlo. “Il dottore lo sta facendo per un motivo. Se resterò le farà male vedermi?” Avrebbe preferito strapparsi il cuore piuttosto che ferirla.
“Va bene se resta”. L’infermiera gli sorrise. “Come ho detto quando sono arrivata, è bene che almeno una persona sia qui quando si sveglierà. Una folla di persone potrebbe essere troppo, e durante le ore diurne di visita ha più ospiti”.
Lana aveva molte persone che l’amavano. Si meritavano di essere nella sua vita molto più di lui. Qualcuno migliore di lui sarebbe dovuto essere lì per lei, ma poiché lui era tutto ciò che lei aveva al momento, avrebbe fatto ciò che poteva.
“Si può svegliare in ogni momento?” domandò.
“Mi aspetto che lo faccia presto” rispose l’infermiera. “La lascio solo con lei. Prema il pulsante di chiamata se si sveglierà, arriverò subito”.
Annuì ed avvicinò una sedia al letto. Non l’avrebbe lasciata sola anche se una parte di lui voleva correre il più lontano possibile. Non voleva evitarla, solo le sensazioni che lei invocava dentro in lui. A volte le vecchie abitudini erano difficili da perdere. Per anni avevano avuto questo rapporto canzonatorio che rasentava la derisione. Non capiva come mai Lana sembrasse odiarlo, ma le concedeva alcune malignità perché a volte si sentiva di meritarsele. Inoltre non credeva che lei lo trovasse veramente così antipatico. Per la maggior parte del tempo si trattava di un gioco a cui non riuscivano a smettere di giocare. Sullivan la rispettava molto più di quanto rispettasse ogni donna al di fuori della propria famiglia. Avrebbe provato ad essere un uomo migliore per lei. Non era completamente certo che ne fosse in grado…


Provò un forte dolore alla testa, ed il suo respiro. Oh Dio… chi l’aveva colpita con così tanta forza al petto posandovi poi un peso importante sopra? Che cos’era quel bip? Dove diavolo si trovava? Mosse la mano e palpò di fianco a sé, cercando di capire che cosa stesse succedendo. Un materiale morbido riempì il palmo della sua mano quando lo strinse. Il suo respiro si fece ancora più irregolare, ed il bip si fece più acuto, infiltrandosi con fare insistente nelle sue orecchie. Lo stridere del metallo e dei vetri infranti si unì al bip, generando un caos di suoni. Facevano eco attorno a lei, riportandola al momento in cui la sua auto era stata colpita, facendola sbandare ed arenandosi a lato della strada. Un forte dolore la pervase paralizzandola. Il panico la fece andare in crisi mentre cercò di riottenere il controllo di sé stessa e ciò che la circondava.
“Sshh”, disse un uomo.
La calmò in un modo che non riusciva a spiegare. Non si era resa conto che stava urlando fino a quando la sua stessa voce raggiunse le sue orecchie. Chi c’era con lei? Aprì lentamente gli occhi e non trovò altro che un’immagine sfocata. Sbatté le palpebre diverse volte fino a quando riuscì a mettere a fuoco. Il bellissimo diavolo che non sembrava allontanarsi dai suoi pensieri nonostante tutte le volte in cui lei cercasse di esorcizzarlo, ed ora la fissava con preoccupazione. Non poteva essere un buon segno. “Sully?” La sua gola era secca, rendendo la sua voce roca.
I suoi capelli scuri e gli occhi verde smeraldo erano solamente una parte della sua maschile bellezza. Era il pacchetto completo—una bocca peccaminosa, zigomi marcati, ed un bel corpo definito. Peccato che fosse un irraggiungibile abile sciupafemmine. Avrebbe forse prevalso su Lucifero in persona in quanto al più bell’angelo caduto di sempre. Era la personificazione dell’iniquità, Sullivan Brady.
“Non parlare”, le disse. “Chiamo l’infermiera”.
Estese il braccio afferrandolo per il polso per fermarlo. Normalmente non sarebbe stato la sua prima scelta in fatto di compagnia, ma era terrorizzata, e lui era l’unico viso famigliare nelle immediate vicinanze. “Non andartene”.
“Non me ne vado” la rassicurò. “Premo solo il pulsante di chiamata”.
Aveva parlato di un’infermiera. Si trovava in ospedale? Doveva essere così; altrimenti nulla di tutto ciò avrebbe avuto senso. Che motivo avrebbe avuto Sullivan di essere lì? Dov’era sua madre? Lana si prese il tempo di guardarsi attorno. Riconobbe la stanza, o meglio, una delle stanze dell’ospedale. Si era già trovata lì lavorando come infermiera. Nella struttura erano disponibili solamente poche stanze per la terapia intensiva. Doveva essere ferita gravemente per trovarsi in una di esse. Il bip proveniva dai monitor attorno a lei. Misuravano il suo battito cardiaco, il livello d’ossigeno e la pressione sanguigna. Li guardò, valutando le cifre su di essi. Non sembrava andare male…
“La bella addormentata si è svegliata” disse un altro maschio. Alzò lo sguardo incrociando quello di Preston West. “Come ti senti?”
Si leccò le labbra. Erano un po’ secche e screpolate. La sua bocca era riarsa e la sua lingua le pareva di cotone. “Potrei avere dell’acqua?”
“Fra un momento” disse il Dottor West. “Devo esaminarti, poi l’infermiera ti porterà del ghiaccio”.
Annuì. “Dov’è andato Sullivan?” Aveva detto che non l’avrebbe abbandonata. Ma perché era rimasto? Loro non erano niente. Una volta sperava di essere qualcosa di più per lui. Una sciocca fantasia adolescenziale che morì altrettanto velocemente di quanto nacque.
“Sono qui” disse. Si voltò verso la direzione della voce. Era appoggiato alla finestra. Nel suo sguardo era presente un’intensità che le faceva venire i brividi lungo la schiena. La fissava come se non l’avesse mai vista prima. Doveva essere solo la sua impressione. Sullivan Brady aveva cose migliori da fare che prendersi cura di lei in ospedale. Avrebbe dovuto chiedere chi l’aveva costretto a sedersi accanto a lei. Sua madre avrà avuto bisogno di una pausa, e lui stava facendo una cosa onorevole.
“Non devi restare”, disse. “Sto bene adesso”.
“Non vado da nessuna parte, Lisanna” disse con decisione.
Era come se una parte di lei che aveva seppellito fosse stata riportata in vita alla menzione del suo verso nome. Non veniva chiamata Lisanna da anni, tutti la chiamavano Lana. Anche i suoi documenti all’ospedale erano intestati con il suo soprannome. Non molte persone si ricordavano di lei come Lisanna. Sua madre la chiamava ancora così in certe occasioni, solitamente quando si arrabbiava con lei. Sullivan non la chiamava Lisanna da così tanto tempo da essersi dimenticata come suonasse pronunciato da lui. Qualcosa doveva essere cambiato in lui, ma non era sicura se le piacesse.
Lana decise di ignorarlo e portò la propria attenzione su Preston. “Che cosa mi è successo?”
“Sei stata coinvolta in un incidente stradale con Jessica” rispose. “Che cosa ti ricordi?”
Le si accese una lampadina nella mente, e poi era come se udisse ancora lo stridere del metallo sul metallo. Le gomme che stridevano dallo sforzo—era stato orribile.
L’infermiera entrò in stanza e le porse un bicchiere di ghiaccio. Lana se ne mise un po’ in bocca con l’ausilio di un cucchiaio, ricordandosi che l’incidente non era più in corso. Non voleva riviverlo, ma temeva che l’avrebbe perseguitata nei suoi incubi per un po’ di tempo a venire. Dopo aver deglutito alcuni ghiaccioli alzò lo sguardo su Preston e rispose alla sua domanda, “la stavo portando all’ospedale”. Lana non voleva dirgli nulla di più. Jessica poteva già avergli confessato tutto, e nonostante pensava che il dottore avesse il diritto di sapere tutto, non era un segreto che Lana poteva condividere. “Un’auto ci ha colpite”.
“Esatto”, disse. “Jessica sta bene. È stata operata ed è stata dimessa un paio di settimane fa. Sarà felice di vedere che sei sveglia”.
Lana si accigliò. “Non è rimasta ferita?”
“Non ho detto che non è stato così”, rispose Preston. “Ha dovuto essere operata ulteriormente alla procedura che era stata programmata. Ma tu eri ferita molto peggio di lei”.
Se Lana avesse letto fra le righe, avrebbe appreso che Preston fosse al corrente dell’operazione alla quale Jessica doveva essere sottoposta in primis. Ad ogni modo non voleva rischiare. Dopo aver parlato con Jessica avrebbe compreso meglio che cosa le era successo.
“Che cosa mi è successo?”
“Quella stronza, Imogen, voleva vendicarsi di sua sorella, e vi ha colpite con l’auto” sbottò Sullivan. “Verrà condannata per tentato omicidio”.
Preston gli rivolse un’occhiata. “Non è il momento”.
Le labbra di Sullivan formarono una linea retta. Era incazzato…chi era la sorella di Imogen? Intendeva Jessica? Le faceva male la testa solamente a pensarci. Si massaggiò le tempie e riportò l’attenzione su Preston. La sua rabbia sembrava diretta ad Imogen. Si era reso conto della propria colpevolezza? Era uscito con lei accogliendolo nelle loro vite. A Lana non era piaciuta Imogen sin da subito, ed era prima che Sullivan iniziasse ad uscire con lei. Ovviamente non aveva aiutato il fatto che gli fosse piaciuta una bionda immatura, ma non era questo il punto. Lui non vedeva oltre il bel viso della ragazza, e voleva dare la colpa agli altri per le azioni di Imogen. Imogen, e solamente Imogen, era responsabile per il caos che aveva causato.
“Avevi una piccola ferita alla membrana attorno al cuore. Una delle tue costole ha bucato un polmone e ti ha tagliato il cuore. Fortunatamente non ti trovavi lontano dall’ospedale, ed i primi soccorsi sono arrivati velocemente, o avresti rischiato di non farcela”.
Lana deglutì. Una ferita al cuore sarebbe potuta essere fatale. Era fortunata di essere sopravvissuta. Se le fosse successo altrove, e se Preston non fosse stato il suo dottore…allontanò il pensiero. Le cose succedono per una ragione. Non era sicura quale fosse al momento, ma l’avrebbe scoperto in seguito.
“Per quanto sono rimasta incosciente?”
“Troppo” mormorò Sullivan sottovoce.
Preston gli rivolse un’altra occhiataccia. Sullivan era restato al suo fianco più a lungo di quanto pensasse? Avrebbe posto ulteriori domande dopo essersi riposata. Sorprendentemente era ancora stanca, nonostante avesse sicuramente dormito per giorni. Essere feriti faceva schifo.
“Sullivan ha ragione” disse Preston con fare allegro. Stava probabilmente cercando di lusingarla per non farla preoccupare. Una ferita al cuore era qualcosa di serio, e se la sua pressione sanguinea si fosse alzata, avrebbe complicato le cose. “Sei stata incosciente per una settima. Mi aspettavo di tenerti sotto osservazione per un’altra settimana, ma mi sento a mio agio a dimetterti”.
Lana grugnì. “Odio essere una paziente”.
“A nessuno piace stare in ospedale” disse Preston ridacchiando. “Non ti preoccupare. La renderemo il più facile possibile per te. Me ne vado così puoi riposare”. Poi guardò Sullivan e disse con decisione, “Dieci minuti e poi te ne vai anche tu”.
Stranamente Sullivan annuì senza ribattere. Lana non avrebbe dovuto essere sorpresa dal suo essere d’accordo con il dottore. Lana e Sullivan non avevano un rapporto facile, e forse il ragazzo non vedeva l’ora di uscire dalla stanza. Preston e l’infermiera uscirono, lasciandola sola con Sullivan.
“Non ho bisogno che tu resti tutti i dieci minuti” disse Lana. “Sono stanca. Puoi dire a mia madre che vorrei vederla domattina?”
“Lo farò” disse. “E non resterò a lungo. Volevo assicurarmi che stessi bene prima di seguire il dottore”.
Perché era così preoccupato? Non si era mai comportato come se gli importasse prima d’ora. Era stato più un fastidio nella sua vita. Quasi in modo fraterno. Soppresse un grugnito ed alzò mentalmente gli occhi al cielo a quel ricordo lontano. Non era la sua dannata sorella, e forse un giorno gliel’avrebbe detto. “Sto bene”, gli disse. “O starò bene con il tempo. Niente che un po’ di riposo non possa curare”.
“Non scherzarci su” disse brevemente. “Sei quasi morta. Io—“ s’interruppe. Lana voleva chiedergli di continuare, ma evitò di prolungare la cosa. Principalmente perché era troppo stanca per ribattere, e parzialmente causa l’espressione addolorata sul viso di lui. Qualcosa al riguardo la metteva a disagio e le faceva pensare che fosse meglio non conoscere i meccanismi della mente di Sullivan.
Lana sospirò. “Non capisco che cosa ti stia succedendo, ed in questo momento sono esausta per cercare di decifrare il tuo umore. Se non ti dispiace adesso mi riposo, e quando avrai capito che cosa ti frulla nella mente, fammi un favore e lasciamici fuori”.
Chiuse gli occhi aspettandosi che lui se ne andasse; dopo tutto l’aveva essenzialmente congedato. Lana avrebbe dovuto rendersi conto che non sarebbe stato così semplice. Sullivan non faceva mai le cose nel modo più facile. Quando aprì gli occhi trovò il suo sguardo su di lei, e prese un respiro. Il modo in cui la fissava—era quasi come se non esistesse nessun altro in quel momento, se non loro due.
“Lisanna” disse. Fece per dirgli di non chiamarla così, ma lui la zittì posando un dito sulla sua bocca. “Non ribattere”. Le accarezzò i capelli con fare amorevole. “Prenditi cura di te stessa. Tornerò domattina con tua madre”.
Poi fece qualcosa che non aveva mai fatto prima. Si abbassò e posò brevemente le labbra sulle sue. Lo shock la pervase, lasciandola senza parole. Dopo che Sullivan se ne andò, Lana si portò una mano sulle labbra, sfiorandosi le labbra con le dita. In che realtà alternativa si era risvegliata?

CAPITOLO DUE
I monotoni muri bianchi della sua stanza d’ospedale stavano portando Lana sull’orlo della pazzia. Spenti, noiosi, e privi di emozione—li avrebbe uccisi aggiungere un po’ di design a questo posto? Peggio ancora, li aveva fissati per diversi giorni, ed era pronta per scatenare una rivolta per scappare da queste mura. Dal reparto di terapia intensiva era stata spostata in una normale stanza due giorni prima, ed ora voleva fuggire dell’ospedale alla prima occasione. Razionalmente comprendeva il motivo per il quale si trovava ancora lì, ma emotivamente era pronta per andare a casa. Quando Preston era venuto a controllarla, lei aveva fatto del proprio meglio per convincerlo a dimetterla.
“Sembri stare meglio” disse un maschio riportandola al presente.
Alzò lo sguardo trovando quello di Sullivan. L’era venuta a trovare tutti i giorni da quando si era svegliata. Lana ancora non comprendeva come mai fosse così premuroso nei suoi confronti. Sua madre insisteva sul fatto che fosse venuto a trovarla ogni giorno da quando aveva avuto l’incidente, e che nessuno l’aveva obbligato.
C’era qualcosa di diverso in lui, ma non riusciva a capire che cosa fosse. In Sullivan c’era sempre stato un velo di tristezza, ed ora era come se l’avesse esposto in modo che tutto il mondo ne fosse testimone. Il playboy di Envill, ed Amministratore Delegato della Brandy Blue non permetteva agli estranei di vedere i suoi sentimenti reconditi. Forse era ancora così, e questa vulnerabilità era riservata a lei. Lana non voleva accettare l’ultima parte. Se lui le stesse mostrando un lato diverso di sé, allora anche lei avrebbe forse dovuto far emergere i propri demoni. Alcune cose erano difficili da lasciare andare, anche quando era il momento di intraprendere un cammino diverso. Aveva proseguito inserendo l’autopilota per troppo a lungo per cambiare così facilmente le cose.
Alzò gli occhi al cielo. “In che senso, ‘meglio’?”
Sullivan si avvicinò a lei prima di rispondere. “Sei viva, respiri, e sei sveglia. Tanto per iniziare”. Si fermò accanto al suo letto e posò una mano sul braccio di lei. “Mi rendo conto che sia difficile essere incapaci per un certo periodo, ma cerca di ricordarti che sei quasi morta. Per me non sei mai stata più bella di adesso, perché mi rendo conto che potrebbe essere andata molto peggio”.
Lana prese un respiro che aveva trattenuto senza accorgersi, perché lo shock l’aveva scossa. Più lui parlava, più lei veniva messa all’angolo. Quelle parole…le facevano venire la pelle d’oca, e le facevano venire voglia di porre domande per le cui risposte non era pronta. Sullivan non era incline a professare cose poetiche tutti i giorni. Lei aveva un aspetto orribile, e lo sapeva per certo. Lui però aveva ragione su una cosa: era fortunata di essere ancora viva, e lo apprezzava. Non avrebbe mai più preso niente alla leggera. Ciò non significava che non fosse più che pronta ad uscire dall’ospedale e vegetare nel proprio letto per una settimana o venti.
“Che ci fai qui, Sully?” era stanca di ignorare ciò che le dava veramente fastidio. Il suo improvviso desiderio di trascorrere più tempo con lei era strano. “Abbiamo fatto il nostro meglio per porre della distanza fra di noi quando siamo uno in prossimità dell’altra. Che cos’è cambiato?”
Lui inarcò un sopracciglio e le rivolse il suo sorriso più seducente. Avrebbe voluto dire che non aveva nessun effetto su di lei, ma sarebbe stata una bugia. Le aveva sempre fatto perdere un battito o due. Sullivan Brady ed il suo fascino erano troppo potenti per ogni femmina mortale—diavolo, forse sarebbe stato in grado di sedurre anche una dea. “Credo sia abbastanza ovvio” le disse lui.
“Chiaramente non lo è, o non te l’avrei chiesto”. Sospirò. “Sono abbastanza irritata, e non ho la pazienza per sopportare le tue stronzate. Dimmi solo qual è questo tuo nuovo gioco in modo da poter apportare i relativi cambiamenti”. Invece di risponderle, lui avvicinò una sedia al letto e si accomodò. Unì le mani muovendo le dita quasi con fare pensieroso. Stava veramente cercando di farla arrabbiare? “Ti rendi conto che lo stress di ogni genere fa male al mio cuore che sta cercando di guarire, vero? Se stai cercando di farmi avere una ricaduta, stai facendo un ottimo lavoro”.
Sullivan si accigliò. “Non è mai stata mia intenzione, e mi scuso se rappresento la causa di ogni genere di tensione fra di noi”. S’interruppe per un momento e poi si avvicinò a lei, posando i gomiti sul bordo del letto. “Mi piacerebbe che ricominciassimo. Non so per certo che cosa sia andato male, e rimpiango qualsiasi ruolo io abbia rappresentato in questa nostra animosità”.
Lana fece congiungere le sopracciglia. Il suo giudizio iniziale era corretto. Si trattava di universo alternativo; o così, o era morta e si trovava in una qualche tipo di inferno. Avrebbe senso se si facesse ausilio della sua analogia che metteva in paragone Sullivan a Lucifero. Forse era l’angelo caduto portato in vita per torturarla.
“D’accordo” era esasperata. “Cercherò di trattenermi dal comportarmi da stronza con te. Non ti faccio altre promesse”.
“Per ora accetto questa” disse. “Vorrei chiederti un favore”.
Certo che voleva. Sullivan non aveva mai fatto niente senza un secondo fine. Non sarebbe dovuta essere sorpresa dall’improvviso cambio di direzione, ma, tristemente, lo era. “Che cosa vuoi?” domandò con fare sprezzante. “Mi piacerebbe liberarmi di te il prima possibile in modo da riposarmi”.
Lana voleva del tempo per piangere in pace. Avrebbe mai imparato? A Sullivan non importava veramente di lei. Si trattava di un’astuzia tramite la quale lui controllava tutto ciò che lo circondava, ed in qualche modo ora includeva molto di più di ciò che le piaceva.
“Non è male come credi” disse lui, un po’ preso alla sprovvista dal tono acerbo di lei. “Ti prometto che ciò che devo chiederti ti aiuterà”.
“Sono certa che nella tua mente sia così” ribatté. “Ma siamo onesti. Non ha niente a che vedere con me. Riguarda unicamente te e qualsiasi insicurezza che ti porti dietro”.
Sullivan sussultò. “Non sono affatto insicuro”.
Lana sorrise con fare derisorio. “L’importante è che tu ne sia convinto. Ma un tizio che cambia ragazza così spesso come fai tu non è una persona come si deve”.
La bocca di Sullivan formò una linea retta, e contrasse i muscoli delle guance. Non gli piaceva nemmeno un po’, ma era così. Molto tempo prima lei aveva realizzato che la mancanza d’interesse di lui nei confronti di Lana non aveva a che fare non lei personalmente. Sullivan aveva problemi molto più grandi, ed avevano avuto inizio quando sua sorella era scomparsa anni prima. Parti del suo guscio avevano iniziato a creparsi quando l’aveva rivista qualche mese prima di quel momento. Le lacune nella sua famiglia avevano iniziato ad essere colmate da una fragile colla, ed una sola mossa falsa avrebbe potuto far crollare tutto ciò che lo circondava. Lana comprendeva Sullivan molto meglio di quanto lui se ne rendesse conto. Non voleva rendere niente permanente in quanto temeva di perdere nuovamente qualcosa di così caro. Solo perché lei aveva riconosciuto tale colpa non significava doverla accettare.
Qualche istante più tardi Sullivan disse, “Non sono venuto qui per discutere con te. Ciò che devo chiederti è abbastanza importante. Tua madre è preoccupata da molto tempo riguardo al tuo benessere. Ciò di cui volevo parlarti ha a che fare con lei, e per estensione, con te”.
“Che cosa c’entra mia madre con tutto questo?” La paura la pervase alle parole di lui. Le stavano nascondendo qualcosa di importante? “Sta bene?”
“Tua madre sta bene”, la rassicurò. “È solo molto preoccupata per te, ma ho una soluzione che vi aiuterà”.
“Oh?” inclinò la testa di lato. “E che cosa ha inventato il potente Sullivan per risolvere tutti i nostri problemi?” si portò una mano sul cuore e disse con fare sprezzante, “oh, che cosa faremmo senza di te?”
Lui strinse i denti e contrasse la mano attorno al bracciolo della sedia. L’aveva fatto incazzare. Era bello vedere che non aveva perso il suo tocco.
“Quando eri incosciente pensavo di aver perso la tua insolenza. Sto iniziando a rimpiangere il fatto che non sia stato così, adesso che mi ha colpito nuovamente”.
“Si apprezza con il tempo. Sei abbastanza fortunato perché non mi hai ancora apprezzata completamente. Non ti preoccupare, sono sicura che tu non sia l’unico a non possedere l’abilità di abituarsi alla mia magnificenza”.
Qualcosa che lei non comprendeva completamente era come riuscisse ad articolare ciò che diceva. Apriva la bocca e le parole uscivano. Per la maggior parte ne traeva vantaggio, ma a volte desiderava rimangiarsele. Non voleva veramente far disperare Sullivan, ed era stanca. Forse sarebbe stato più facile farlo arrivare al punto. Specialmente se riguardava sua madre…
“Lisanna” disse sospirando. “Porti un uomo forte all’alcolismo. Non sopporterei di vedere che cosa faresti ad uno debole”. Scosse il capo. “Fidati, sono molto più che in grado di gestirti. Mi gusto l’idea che un giorno avrò quel piacere”.
“Come se ti darei mai la possibilità” ribatté lei. “Lasciamo perdere questo battibecco e ritorniamo al problema principale. Che cosa vuoi? Così posso cacciarti e dimenticarmi della tua esistenza”.
Ridacchiò. “Fa finta fin che vuoi, ma sappiamo entrambi che tu pensi a me più di quanto tu stessa desideri”.
“Per favore”, disse Lana con fare derisorio. “Ho cose ben migliori con cui trascorrere il mio tempo, ma se ti rende felice continua a pensarla così”. Perché non riusciva ad allontanare questo stronzo presuntuoso? Era stato così gentile con lei quando si era svegliata, ed ora—doveva chiedersi dove fosse andata quella versione di Sullivan. Eppure lei era stata una stronza in ogni scambio che avevano avuto. Che cosa si aspettava da lui? “A patto che smetti di chiamarmi Lisanna. Ti ho detto tempo fa…che non sono più quella bambina”.
“Sarai sempre Lisanna per me” spiegò. “Non ti chiamerò più diversamente. Forse dovresti pensare al perché sei così insistente sul voler essere Lana, invece di insistere che Lisanna non esiste più.
“Sono la stessa persona, idiota”, ribatté lei. “La differenza è che la ragazzina ingenua è diventata cinica troppo velocemente. Riconosco subito le stronzate, ed a proposito ne sto guardando una in questo momento”.
“Il riflesso sembra famigliare, non è vero?” rispose lui. “Nemmeno io mi trattengo. Abbiamo finito la gara a chi piscia più lontano? Puoi ritirare gli artigli abbastanza a lungo per intrattenere una conversazione importante?”
Lana lo guardò. A volte lo odiava veramente. Non voleva veramente pensare a quando provava qualcosa di interamente diverso. “Dì ciò per cui sei qui prima che cambi idea”.
Lui le rivolse un ghigno. Alcuni lo trovavano rassicurante, ma lei lo vedeva per ciò che era. Una sfida—offerta ed accettata. Sullivan credeva di vincere qualcosa, e lei glielo concesse allo scopo di porre prima fine alla sua disperazione. Il più velocemente avrebbero finito questa conversazione, più velocemente lo avrebbe potuto cacciare.
“Che graziosa” disse in tono falsamente benevolo. “Volevo parlarti di dove andrai quando verrai dimessa”.
“Facile” rispose. “A casa mia. Dove altro andrei?”
Sullivan esalò con forza. “Devi guarire a lungo. Non pensi sarebbe saggio restare vicino a chi ti vuole bene per farti aiutare se avrai bisogno?”
Ah. Intendeva questo quando si riferiva a sua madre. Forse se ne sarebbe occupata da sola, ma non poteva vivere alla villa, con i ricordi che tali mura richiudevano. Trattenevano quella parte di sé che aveva lasciato andare tanto tempo prima. Non voleva veramente ritornate ad essere quella ragazzina ingenua. Lana aveva lavorato troppo a sodo per diventare una donna forte ed indipendente, e non sarebbe più stata una ragazzina bisognosa. Sua madre avrebbe compreso.
“Sono in grado di prendermi cura di me stessa. Fra l’alto ho molti amici, se avrò bisogno di qualcosa potrò chiamare loro”.
“Perché sei così testarda?” Era assolutamente incazzato con lei. Lana non era in grado di sforzarsi affinché le importasse.
“Fa parte del mio fascino” ribatté prima di sorridere con fare orgoglioso. “E a te piace, per la maggior parte delle volte”.
“Morditi la lingua” le disse. “Non ammetterò mai un apprezzamento nei confronti di qualche tipo di tortura”.
Lana poteva ribattere, ma decise di lasciar stare. Lui forse non voleva ammettere il fatto che gli piacesse disputare con lei, eppure lo faceva regolarmente. Che cosa aveva detto riguardo a loro due? Uno psichiatra si sarebbe divertito a svelare le dinamiche fra di loro. Ma invece di proseguire, decise di fargli una piccola offerta di pace.
“Hai fatto il tuo dovere, Sully” disse dolcemente. Si stava veramente stancando. “Va’ a casa e dì a mia madre che me la caverò. Non c’è ragione che io resti alla villa. Lei hai già abbastanza cose di cui occuparsi, senza aggiungere me al suo onere”.
“Potremmo assumere un’infermiera per aiutarti” offrì.
Lana emise una rasata nasale. “Io sono un’infermiera. Non lascerò che un’altra si prenda cura di me in convalescenza”.
“Vorrei che tu cambiassi idea”. Si allungò verso di lei, ma sembrò ripensarci e ritrasse la mano. “Ma non forzerò le cose. Almeno pensaci, e fammi sapere se cambierai idea”.
“D’accordo” rispose poi. “Ma non sarà così”.
Sullivan annuì e si alzò in piedi. “Adesso ti lascio riposare”.
Mentre lui si diresse verso la porta, Jessica oltrepassò la soglia. Si fermò alla vista di Sullivan. “Non mi sono accorta che ci fossi tu”, disse. “Torno più tardi”.
“Non essere ridicola”, disse Lana. “Sully se ne sta andando, ed anche se così non fosse, preferirei la tua compagnia rispetto alla sua. Entra”. Sullivan raddrizzò la schiena alle sue parole e si voltò verso di lei. I muscoli della sua mascella si contrassero quando il ragazzo strinse lo sguardo su Lana. A Sully non era piaciuto il fatto che…
Jessica spostò lo sguardo fra Sullivan e Lana. “Non voglio interrompere niente”.
“Allora non saresti dovuta venire”, commentò Sullivan a denti stretti. “Se non fosse per te, lei non sarebbe in questo letto”.
Jessica impallidì. Lana rivolse un’occhiata a Sullivan. “Non te ne stavi andando?”
“Credo che mi tratterrò ancora un pochino” rispose. “Non è sicuro lasciarti con una vipera nella stanza”.
Lana desiderò dargli un pugno nel suo bel viso. Se avesse avuto le forze, e se ne fosse stata in grado, l’avrebbe fatto. La colpa non era da affidare a Jessica per ciò che aveva fatto Imogen Duncan. “Vattene prima di dire qualcosa che rimpiangerai” gli disse. “Jessica è mia amica. La maggior parte dei giorni invece tu non mi piaci nemmeno”.
“Idem” disse lui. “Ma proteggo comunque coloro di cui m’importa. Non mi devi piacere poi così tanto. Tua madre significa molto per la mia famiglia”.
Quindi lui si trovava qui perché la sua famiglia voleva proteggere la madre di Lana? La cosa l’aveva sicuramente fatta scendere dal piedistallo. Forse lo aveva spinto a dire quelle cose, ma aveva ricevuto il messaggio. Lana inarcò un sopracciglio e ribatté. “Possiamo lasciare mia madre fuori da questa storia, così come la connessione di Jessica con Imogen. Non siamo responsabili per ciò che fanno le altre persone, oppure punterei il dito contro di te per la mia situazione attuale”. Sullivan impallidì. “Che c’è?’ Non ti piace quando ti ricordano che hai avuto una cotta per una psicopatica? Almeno ne è valsa la pena? Per favore dimmi che almeno ti ha dato—“
“Basta” esclamò lui. Il suo viso riacquistò colore e le sue guance si fecero rosse dalla furia. “Hai ragione. Io ed Imogen siamo usciti insieme, e se potessi cambiare la cosa lo farei. Ma dato che non ne ho la possibilità, devo convivere con i miei errori. Non significa che non abbia apportato le modifiche necessarie per allontanare quella pazza stronza dalla mia vita. Anche tu dovresti fare lo stesso”.
“Accetto il tuo consiglio”. Inclinò la testa come se ci riflettesse. “Ma sono soddisfatta delle mie scelte”. Poi si voltò vero l’amica e le sorrise, forse con troppa gioia. Sullivan poteva ficcarsi i suoi consigli in un posto inconveniente. “Jessica, vieni a sederti dove ha liberato il posto Sullivan” Lana indicò verso di lei. “Puoi comunicarmi i progressi nel caso Imogen”.
Sullivan rise con fare maniacale, ma Jessica sembrava a disagio. Fece ciò che le aveva chiesto Lana e si accomodò alla sedia. Sedeva rigidamente, non toccando nemmeno lo schienale della sedia. Sullivan fissò Jessica che gli dava le spalle, e Lana temette ciò che avrebbe potuto fare. Nel suo sguardo era chiaro l’odio che provava. Parte di esso poteva essere rivolto verso sé stesso, ma non ne era certa.
“Imogen marcirà in prigione. Mi assicurerò che sia così” disse lui con decisione.
“È malata” disse Jessica a bassa voce restando rivolta verso Lana. “Ha bisogno di aiuto, non di essere punita”.
A Lana non piaceva trovarsi nel mezzo di ciò che sembrava una discussione famigliare. Si massaggiò entrambe le tempie. Che cos’aveva fatto per meritarsi tutto questo? Oh sì, esatto, aveva insistito con Sullivan come faceva sempre. Perché non riusciva a tenere la bocca chiusa con lui? Sullivan aveva tirato tutte le corde in lei nel peggior modo possibile, e lei aveva esagerato le cose. Doveva trovare il modo di portare un po’ di pace nella stanza. Solo una cosa avrebbe funzionato—Sully doveva andarsene.
“È una decisione del tribunale” Lana guardò fra i due. “Non ho intenzione di fare da arbitro fra di voi. Ho cose più importanti da fare. Come, per esempio, boicottare i muri bianchi. Sto considerando il fatto di iniziare una petizione o qualcosa del genere per implorare l’ospedale di ridecorare le stanze”.
Non era una brutta idea. Avrebbe dovuto guardare questi muri quando sarebbe ritornata a lavorare. Come aveva fatto a non notare quanto fossero insulsi fino ad ora? Non ne era certa.
“Mi fido del fatto che il tribunale prenderà la decisione giusta” disse Sullivan con fare orgoglioso.
“Anche io” disse Jessica. “Mia sorella non resterà in prigione per il resto della sua vita”.
“Basta” esclamò Lana. Entrambi si voltarono verso di lei. “Sullivan, vattene. Jessica resterà per una breve visita, e poi mi riposerò. Non ho la pazienza per gestire questa cosa”.
Aveva quasi paura di quanto Sullivan fosse orgoglioso della situazione di Imogen. C’era la possibilità che Sullivan potesse orchestrare qualcosa? Ed in quel caso avrebbe dovuto avvisare Jessica al riguardo? Perché si stava comportando con fare così protettivo? Non poteva trattarsi solo di sua madre. Non era qualcosa tipico di lui—almeno non riguardo a Lana. Aveva visto questo lato di lui quando si trattava della sua famiglia, specialmente Dani. Forse era per questo. Una volta lui aveva detto che la vedeva come una sorella. Forse l’incidente aveva fatto emergere questo lato di lui. Se così fosse stato allora era un brutto rospo da ingoiare. L’aveva baciata, benché si trattasse di un bacio casto, aveva dovuto significare qualcosa. Ci avrebbe riflettuto più tardi quando la sua mente non sarebbe più stata influenzata dal caos che la circondava.
“D’accordo” disse Sullivan con fare riluttante. “Ricordati la tua promessa”. Con ciò uscì dalla stanza e la lasciò con molto di più a cui pensare di quanto credeva. Erano ritornati ai loro soliti modi, ma avevano perso un po’ del loro smalto. Forse era lui, o forse era lei. Molto probabilmente un po’ di entrambi. A Lana non piaceva cambiare, e sospettava che nel futuro avrebbe dovuto apportare molte modifiche.
Sullivan non stava giocando seguendo le stesse regole, e lei non aveva ancora imparato le nuove. Un mix di emozione e paura la pervase. Poteva non significare niente, oppure tutto. Avrebbe dovuto aspettare e vedere come si sarebbe sviluppata la situazione per imparare ad affrontare questa nuova realtà. Oppure sarebbe rimasta scioccata giornalmente, ed una regola era che a Lana non piacevano le sorprese.
Per ora avrebbe dovuto mettercela tutta per stare sveglia a parlare con Jessica. Sperava che la sua amica non si sarebbe trattenuta troppo a lungo. La visita di Sullivan l’aveva resa esausta in più modi.

CAPITOLO TRE
Sullivan si affrettò nel suo ufficio alla Brady Blu e spinse la sedia contro al muro. La necessità di rovesciare il contenuto della sua scrivani a terra era forte, ma si trattenne. Avere un attacco d’ira non avrebbe aiutato quando si trattava di Lana. Doveva trovare un altro modo per convincerla a restare in convalescenza alla villa. Doveva esserci qualcosa che poteva fare per farla sentire in colpa e convincerla. Non gli piaceva l’idea di lei sola e fragile. Lana era sempre stata forte ed indipendente. Vederla così pallida e debole lo devastava in modi che non voleva esaminare con attenzione.
Si sfregò il viso con le mani e sospirò. Niente di tutto ciò stava aiutando, ed aveva molto lavoro da fare. Avrebbe gestito il problema Lana più tardi. Aveva ignorato la Brady Blue per troppo a lungo, e gli affari dovevano essere gestiti prima di affrontare il problema di dove sarebbe andata Lana una volta dimessa dall’ospedale.
Un bussare alla sua porta fece eco nella stanza. Alzò lo sguardo sulla sua assistente, Ali Davis, la quale aveva messo dentro la testa nel suo ufficio. I capelli biondo fragola della donna erano acconciati in uno chignon elegante. Indossava un tailleur color carbone con una gonna che si fermava alle ginocchia. Ali aveva poca tolleranza per le cose senza senso, atteggiamento che Sullivan aveva apprezzato sin dall’inizio, ed era la ragione principale per la quale l’aveva assunta. “Mi scusi se la disturbo”, iniziò, “ma Wilson Stuart è qui per vederla. Dice che sia importante”.
Di cosa diavolo voleva parlargli il manager dell’ufficio contabilità? Sperava fossero buone notizie, ma temeva il peggio. Il modo in cui stavano andando le cose ultimamente non presagiva niente di buono. C’erano state alcune cose belle—come il ritorno di sua sorella scomparsa da tempo, ma oltre a quello, Sullivan si sentiva come se il mondo stesse crollando attorno a sé. Non aveva idea di che cosa stesse succedendo, ma ogni giorno il suo intero essere vibrava con una sorta di energia tumultuosa sul punto di esplodere. C’era stato un tempo in cui sapeva esattamente che cosa volesse dalla vita, ed era cosciente di che direzione prendere. Ora invece non era mai stato così confuso.
Portò la sua attenzione su Ali e disse, “fallo entrare”.
“Sì, Signore” rispose la donna chiudendo la porta dietro di sé nell’uscire.
Si sedette dietro la propria scrivania ed appoggiò i gomiti sul piano. Si ricompose prima che Wilson Stuart entrò nel suo ufficio. Se non avesse chiarito questa cosa al più presto, la Brady Blue avrebbe iniziato a soffrirne. Suo padre, Malachi Brady, aveva affidato la compagnia a lui, e Sullivan non aveva intenzione di deluderlo.
La porta del suo ufficio si aprì, e Wilson Stuart entrò. “Grazie per aver trovato del tempo per me” disse accomodandosi sulla sedia di fronte alla scrivania. Stava perdendo i capelli marrone scuro, ed alcuni ciuffi ai lati si erano fatti grigi. Indossò gli occhiali e posò una pila di cartelle sulla scrivania.
“Che cosa sono?” domandò Sullivan indicando i documenti.
“Per la maggior parte sono note spese” rispose. “Ma contengono anche ricevute di consegne alla compagnia, insieme altri vari documenti commerciali”.
La testa di Sullivan stava cominciando a fargli male. Doveva tirare fuori a forza le informazioni da Wilson? Perché non gli diceva che cosa diavolo voleva? Era stato un errore venire in ufficio. Il suo pessimo temperamento stava per esplodere e riversarsi sul suo manager migliore. “Ho molto da fare. Per favore non sprecare il mio tempo”. Il suo tono era forse più schietto del solito, e Wilson sussultò appena. Sullivan non aveva potuto fare altrimenti.
“Mi rendo conto che lei sia impegnato, e mi scuso per aver interrotto la sua giornata”. Estrasse una delle cartelle dalla pila e l’aprì. Fece scivolare un foglio di calcolo sulla scrivania di fronte a Sullivan. “Questa è la nota spese da parte della fondazione. In superficie sembra che vada tutto come dovrebbe”.
Significava che c’era qualcosa di sospetto… “Ma?”
“Subito non me ne sono accorto. Riceviamo molte note spese, e le revisioniamo prima di aggiungerle in bilancio. Non abbiamo mai avuto ragione di scavare più a fondo, ed abbiamo accettato le somme. Ma questa mi è stata segnalata perché la mia assistente si è offerta volontaria per raccogliere i fondi. Era coinvolta nella fondazione, e si è resa conto che la somma non tornava”.
Merda. “È un errore?” domandò Sullivan. Per favore fa che si tratti di un errore di battitura o qualcosa del genere. Non voleva gestire altre stronzate interne alla sua compagnia.
“Subito ho pensato che lo fosse, ed ho contattato la responsabile della fondazione, la quale mi ha liquidato dicendomi che si trattava di un errore commesso dalla sua assistente quando aveva archiviato la nota”. Wilson allungò la schiena, e nel suo tono si fecero strada irritazione ed indignazione. “Il suo comportamento è stato troppo indifferente affinché lasciassi perdere. Molti soldi vengono sottratti all’ospedale e ad altre associazioni alla quale la fondazione fa delle donazioni, causa quell’errore. Non mi piace quando i totali non tornano come dovrebbero”.
“Fammi indovinare, hai scavato più a fondo” disse Sullivan. Che Dio l’aiuti. Se qualcuno stava rubando dalla fondazione l’avrebbero pagata cara.
“Vorrei il suo permesso per realizzare una revisione completa” rispose. “Questo è una piccola somma rispetto a ciò che ho scoperto con le mie ricerche, ma se non mi sbaglio, parliamo di milioni di dollari che sono stati trasferiti all’interno della fondazione nel corso degli anni passati. Devo seguire la scia dei soldi e scoprire non solo chi sta facendo tutto questo, ma anche dove sono finiti i soldi”.
Era ciò che temeva Wilson avrebbe detto. “Vuoi che intanto incontri il responsabile della fondazione e che le chieda che diavolo sta succedendo?”
Scosse il capo. “Non voglio che capiscano che stiamo investigando, o avranno tempo di coprire le tracce. Lasciamo che pensino che non abbiamo capito che cosa stanno facendo. Non posso essere ancora certo di chi sia il colpevole”.
Sullivan annuì. Se fosse stato in grado di ragionare lucidamente gli sarebbe già sovvenuto. Doveva andarsene dall’ufficio e sistemare in fretta questa faccenda di Lana. “Tienimi informato” disse. “Voglio che mi contatti appena saprai qualcosa. Non m’importa che ora o che giorno è”.
“Certo” disse Wilson. “Faro in modo che riceva rapporti regolari su tutto ciò che scoprirò nel corso dell’indagine. Ora devo analizzare molti documenti. Buona giornata”. Con ciò Wilson uscì dall’ufficio portandosi con sé le cartelle.
Quando venne chiusa la porta, Sullivan prese a ronzare nella stanza come se fosse stato una tigre in gabbia. Forse se fosse andato in palestra sarebbe stato in grado di sfogarsi. Dubitava però che sarebbe stato abbastanza per buttare tutto fuori, ma almeno sarebbe stato ciò che gli serviva per rilassarsi. Guardò fuori dalla finestra verso il centro di Envill. La città in cui vivevano non era grande, ma nemmeno troppo piccola. Avevano tutto ciò che serviva: ospedale, comando di polizia, ed alcune grandi compagnie. Se qualcuno avesse voluto sarebbe ancora stato possibile perdersi, ed allo stesso tempo Evill trasmetteva la sensazione di una piccola città in cui si potevano incontrare casualmente delle conoscenze.
“Che cosa succede? Sembri pensieroso”. Il suono della voce di sua sorella lo riportò al presente. Si voltò per guardarla, e le rivolse un sorriso.
“Niente di cui tu ti debba preoccupare. Lavoro”. Ed il mondo che crollava attorno a sé—nonostante non l’avrebbe mai ammesso.
“Eppure ho dei dubbi” disse Dani. “Ti rendi conto che non devi farti carico del peso del mondo da solo, vero?”
Non le avrebbe mai sottoposto nessun problema. Aveva avuto una vita difficile e sarebbe dovuta essere coccolata. Dani forse si credeva dura e capace, ma per Sullivan sarebbe sempre stata la sorellina che aveva perso. La sua scomparsa l’aveva reso l’uomo che era, e non poteva cambiare nemmeno se l’avesse voluto. La maggior parte del tempo gli piaceva chi era, ed il resto del mondo sarebbe potuto andare all’inferno.
“Ma io lo faccio meglio degli altri” rispose lui in tono arrogante. “Perché mai dovrei dare a qualcun altro l’opportunità di svolgere un lavoro inferiore?”
Dani si portò i capelli scuri dietro l’orecchio e gli rivolse un’occhiata. “Il tuo fascino non funziona su di me, quindi piantala”.
Lui si portò la mano sul petto e disse, “così mi ferisci”.
Il suono della risata di sua sorella aleggiò nella stanza. Adorava vederla felice, e sperava che nient’altro la ferisse mai più. Un uomo malvagio le aveva sparato due mesi prima ed era quasi morta. Sullivan credeva che niente sarebbe mai riuscito a spaventarlo, almeno fino a quando l’aveva vista coricata a terra con la camicia madida di sangue ed il respiro irregolare. Poi, in poche settimane, aveva provato lo stesso terrore guardando Lana in un letto d’ospedale. Era abbastanza per far riconsiderare tutte le decisioni prese durante la vita di un uomo. Peccato che fosse già un leopardo, e le sue macchie rimanevano esattamente dove avevano sporcato la sua anima. Non poteva cambiare la persona che era diventato, ma poteva iniziare a fare le cose diversamente con le persone che per lui erano importanti.
“Hai la pelle più spessa di così” disse Dani con un accenno di umorismo nella voce. “In realtà sono sorpresa di vederti qui. Ti pensavo all’ospedale con Lana”.
Sullivan si corrucciò. La maggior parte delle persone non avevano notato quanto tempo trascorreva all’ospedale. Rimaneva nell’ombra e non interagiva con nessuno. Eppure Dani l’aveva visto la notte in cui Lana era stata ricoverata. Da sola aveva assistito al suo stress, ed aveva fatto in modo di controllarlo ogni giorno dopo l’incidente.
“Lana non ha bisogno di me” rispose lui rigidamente. “L’ha reso perfettamente chiaro quando ha aperto gli occhi l’altro giorno”.
“Ma tu hai bisogno di lei, vero?” domandò Dani dolcemente. “Perché non le dici ciò che provi?”
E fare in modo che lei lo annienti in mille pezzi con quella sua lingua da vipera? Avrebbe preferito vivere un po’ più a lungo e combattere un giorno in più. “Ho cercato di convincerla a trascorrere la convalescenza alla villa” rispose invece. “Sua madre è preoccupata per lei, e la tranquillizzerebbe avere Lana vicino. Ovviamente ha detto di no”.
Dani s’accomodò sulla sedia di fronte alla scrivania di Sullivan ed accavallò le gambe. Poi unì le mani in grembo ed alzò lo sguardo su di lui. “Siediti” ordinò. “Forse con gli altri sei in grado di deviare l’argomento, ma come ho detto prima, io sono immune”.
Sullivan le rivolse un’occhiata. Non era abituato ad avere qualcuno che gli desse degli ordini come si fa con un bambino. Non avrebbe lasciato che la sua sorellina fosse la prima a farlo. “Ho molto da fare. Perché non mi dici il motivo della tua visita, e poi possiamo entrambi proseguire con la nostra giornata”.
“Non funziona con me” gli disse. “Non me ne andrò fino a che non ti sarai aperto con me”.
Sullivan si sedette alla poltrona come gli aveva chiesto di fare lei, ma non significava che si sarebbe aperto esponendole tutti i suoi segreti. Alcune cose era meglio se lasciate sepolte. “Non hai un matrimonio da pianificare?”
“Siobhan sta gestendo tutto” disse. “Ha reso le cose molto più semplici per me. Tutto ciò che ho dovuto fare è stato scegliere il vestito e beh, ricordare di presentarmi quando arriverà il giorno”.
“È una cosa diversa rispetto a quando hai accettato che i tuoi genitori ti aiutassero” rispose lui con fare divertito. “Che cosa ti ha fatto cambiare idea?” doveva farla parlare di qualcosa tranne che di sé stesso. Il matrimonio era un bell’argomento per cominciare. Il desiderio di parlare dei propri sentimenti si trovava nello stesso posto in classifica con il tagliarsi le vene.
“Sono stata testarda” disse, e sospirò. “Me ne rendo conto ora. Il matrimonio mi ha dato l’opportunità di conoscere Malachi e Siobhan. Sono brave persone”.
I loro genitori erano molto più che brave persone. Erano meravigliosi, gentili e fantastici. Non esistevano veramente sufficienti termini per descriverli. Nonostante la tragedia di perdere Dani da bambina, non si erano mai veramente disperati. Avevano ancora Sullivan ed avevano fatto del proprio meglio per mantenere le cose nel modo più normale possibile. Erano diventati un po’ iperprotettivi, ma l’aveva gestita.
“Puoi chiamarli Mamma e Papà” disse Sullivan. “A loro piacerebbe se lo facessi”.
“Forse lo farò, con il tempo” rispose lei. “Non sono ancora pronta”.
La comprendeva. Al suo posto non era sicuro che sarebbe stato altrettanto tollerante. Di natura, Sullivan era scettico in merito al mondo che lo circondava. “Hai detto che non credevi di trovarmi qui. Che cosa ti ha portato alla Brady Blue se non il vedere me?”
“Mi sono fermata alla fondazione. Volevo radunare delle idee e vedere come funzionano le cose qui”. Arricciò il naso in segno di ripugnanza. “Devo dire che non mi piace molto la donna che la gestisce. È stata un po’ dispettosa”.
Oh, accidenti…prima l’informazione che gli aveva fornito Wilson, ed ora questo. Stava rimpiangendo l’aver assunto quella strega. Era però altamente qualificata ed era brava nel suo lavoro. Forse era anche più brava di quanto pensasse se aveva scremato il fondo e riempito il proprio conto corrente. Wilson sarebbe dovuto arrivare a fondo della questione. “Forse la dovrò convocare per un colloquio privato. Che cosa ti ha detto?”
“Sono in grado di vedermela con Colleen O’Callaghan” disse emettendo una risata nasale. “È tutta la vita che ho a che fare con persone come lei. Una stronza bionda e pretenziosa che non si rende conto di chi è. Non ti preoccupare, prima che me ne andrò verrà rimessa in riga. Non commetterà più quell’errore”.
Le labbra di Sullivan s’inarcarono in alto nel primo vero sorriso del giorno. “Mi piacerebbe assistere alla scena”.
Alzò gli occhi al cielo. “Se ci fossi stato tu non avrebbe mai tirato fuori gli artigli con me. Si sarebbe sfregata su di te sperando che i suoi ferormoni ti avrebbero attirato ed avresti giaciuto nella sua tana per trascorrere un po’ di tempo insieme”.
“Ci sono stato, e non lo farò più” rispose con naturalezza. “Anche io sono riuscito a sfuggire a malapena da quegli artigli”. Gli vennero i brividi al ricordo di quando andava al college. Quella notte Colleen lo aveva aiutato a dimenticare la ragazza che voleva veramente. Era tutto ciò che avevano condiviso, e se ne pentiva. Era stata carina quando si erano incontrati, ma poi era emersa la vera lei quando si era resa conto che Sullivan non voleva altro da lei.
Dani scosse il capo. “Solo tu avresti assegnato una posizione di tale autorità ad una delle tue ex. Spero che quella relazione abbia avuto luogo prima che lei lavorasse qui, o mi vengono i brividi a pensare alle possibili azioni legali”.
“È stato tanto tempo fa” rispose lui con un ghigno. “Fra l’altro, che senso avrebbe avere un avvocato in famiglia se non mi può aiutare a sviare una cosa o due?” non riuscii a non pungolarla. Crescendo aveva mancato l’opportunità di farlo, e si stava rifacendo del tempo perso.
Dani inarcò un sopracciglio e disse, “provaci, e vedrai quanto correrò velocemente in tuo soccorso. Ho cose più importanti di cui occuparmi piuttosto che giocare all’arbitro fra te ed una delle tue ragazzine”.
“Ex ragazzine” disse con fare inorridito. “Adesso è una professionista”.
“Potrei dire cose abbastanza derogatorie riguardo alla sua professionalità, ma eviterò”. Fece l’occhiolino. “Sono sicura che all’epoca avrai apprezzato le sue abilità”.
“Non spettegolo” rispose lui. Era qualcosa che si era sempre tenuto per sé. Non parlava dei propri incontri o avventure. Non doveva. Le donne svolgevano quella parte al posto suo. Erano molto più che disposte a sparlare delle sue prodezze, e lui non sembrava avere un motivo per impedirglielo. “Tu d’altro canto non hai cuore”. Gli era veramente mancato non avere sua sorella quando era un bambino.
“Esatto” rispose lei. “L’ho dato a Res anni fa. Se vuoi un po’ di compassione, forse dovrei chiamarlo”.
Il futuro marito di Dani a volte provava molto più che un po’ di compassione. “È agitato per il matrimonio?”
“È inquietantemente calmo. Non capisco”. Sorrise Dani. “Mi mantiene equilibrata. A proposito del matrimonio…” si mordicchiò il labbro. “Lana dovrebbe essere una delle damigelle. Dovrò passare a trovarla per vedere se si sente ancora di presenziare. Il giorno del matrimonio arriverà prima che ce ne reneremo conto”.
Il suo umore si fece più triste all’idea di perderla. Si sarebbe rifiutato di lasciare che trascurasse sé stessa. Prima di tutto doveva aiutarla ad eliminare le persone sgradevoli dalla propria vita—come Jessica Sousa. L’arpia di sua sorella era la ragione per la quale Lana era quasi morta.
“Senza dubbio hai ragione” commentò Dani. “Mi fermerò all’ospedale e vedrò come sta. Avrai molto lavoro da fare. Volevo controllare che stessi bene”. Si interruppe e lo fissò un momento prima di proseguire. “Forse prenderai in giro molte persone, ma riconosco l’espressione di una persona innamorata di qualcuno che pensano di non riuscire ad avere. La vera ragione per la quale vedo ciò che gli altri non vedono è perché è la stessa espressione che rivolgevo a Ren. Non fare il mio stesso errore, sprecando il tempo che hai con lei”.
Con ciò uscì in silenzio dal suo ufficio. La sua testimonianza gli diede molto su cui pensare. Chi stava prendendo in giro? Non aveva pensato a nient’altro dopo l’incidente di Lana. L’aveva respinta per anni. Avrebbe dovuto inseguirla e cercare di dimostrarle che lei era tutto ciò che aveva importanza per lui. Adesso era forse troppo tardi. La domanda era se sarebbe stato abbastanza coraggioso per scoprirlo.

CAPITOLO QUATTRO
Lana appoggiò la testa sul cuscino e sospirò. Essere una paziente non era mai stato il suo forte. Non poteva dire di odiare l’ospedale, considerando la professione che aveva scelto, ma stava iniziando a non piacerle seriamente. Se non l’avessero dimessa presto avrebbe iniziato una rivolta presso la postazione delle infermiere, avanzando richieste veramente irragionevoli. Non era colpa loro se si trovava nella situazione in cui versava, ad ogni modo avrebbero potuto chiudere un occhio ed aiutare una collega infermiera.
Si voltò e portò le gambe oltre il bordo del letto. Forse se si fosse preparata per andarsene, avrebbero colto l’indizio. Diamine, chi stava prendendo in giro? Non sarebbe successo niente più velocemente del normale solamente perché lei lo voleva. Era assolutamente consapevole di come funzionava l’ospedale. Tra l’altro Jessica non le aveva ancora portato un cambio di vestiti con il quale tornare a casa, e Lana non aveva intenzione di indossare il camice da ospedale nel mondo esterno. Presto si sarebbe dimenticata delle settimane trascorse in ospedale in convalescenza. Tristemente doveva ancora prendersi del tempo per terminare la convalescenza a casa. Forse le avrebbero permesso di tornare a lavorare qualche settimana più tardi, ma anche allora avrebbe svolto dei compiti leggeri.
Lana abbassò lo sguardo sui suoi piedi. Le calze dell’ospedale facevano schifo. Avevano gli spigoli ruvidi e le sfregavano la pelle, ma la base antiscivolo l’aiutava quando camminava. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era scivolare e ritardare la sua convalescenza di qualche altro giorno. Una fitta le attraversò il petto come una lama nella pelle. Prese un respiro che esalò lentamente. L’effetto degli antidolorifici stavano iniziando a scemare, ed avrebbe avuto bisogno di un’altra dose per non ricadere in una situazione poco piacevole. Le avevano tolto la flebo dandole le pillole quel giorno, e le mancava il succo delle felicità—non che se ne fosse iniettato di più della dose raccomandata. Il senso del regolatore era di dosare la quantità di cui il paziente necessitava, ma era bello averlo sempre pronto quando serviva.
“Sembra che sia arrivata al momento giusto” disse Jessica entrando nella stanza. “Ho paura e pensare che cosa stessi programmando”.
“Niente di che” Lana alzò la testa per portare lo sguardo sul suo. “Pensavo che potremmo fermarci al centro della comunità ed iscriverci alla maratona di domani”. Schioccò le dita. “No, non è abbastanza rischioso. Che cosa dici di rapinare una banca?”
Jessica ridacchiò e posò una borsa sul bordo del letto di Lana. “Se me l’avessi chiesto qualche settimana fa avrei potuto aiutarti a programmarla nei dettagli. Fortunatamente i miei soldi stanno ritornando lentamente dove devono stare—sui miei conti. Ci vorrà però un po’ per chiarire tutta quella confusione. Mia sorella ci ha finalmente fornito i dettagli su come risalire al tutto”.
“Bene”. Era così. Veramente. Lana era grata che Jessica stesse comprendendo la propria vita. Aveva avuto molti problemi fra cui destreggiarsi, e la sua salute vi aveva infierito. Lana non poteva non chiedersi se la sua stessa vita non sarebbe stata così incasinata se avesse trovato un modo per non legarsi a Jessica. Scosse il capo allontanando gli spiacevoli pensieri. Non era colpa di Jessica se si trovava in convalescenza da ferite quasi fatali. Imogen aveva esagerato, cercando di farla pagare a Jessica per cose sulle quali non aveva il controllo.
Sì, Jessica era stata una persona terribile ad un certo punto, ma stava cercando di cambiare. La versione egoista di sé era rimasta nel passato.
“Come procede il caso contro tua sorella?” Parte di lei non voleva sapere, ma la masochista in lei aveva dovuto chiedere. Sullivan aveva voluto che Imogen camminasse sui carboni ardenti ed anche di più. Il suo istinto invece era stato quello di fare il contrario di ciò che avrebbe suggerito lui. Se non fosse stato per desiderio adamante di Sullivan di farla pagare ad Imogen, forse non avrebbe desiderato restare dalla parte della Stronza Psicopatica. Sperava di poter tenere a freno la loro attitudine negativa in modo che Jessica non potesse scoprire quanto odiasse veramente la sua ritrovata sorella.
“Lei è…” Jessica si morse il labbro inferiore e distolse lo sguardo da Lana. “Mi rendo conto che ha fatto cose orribili, e tali decisioni non hanno ferito solamente me. Mi sento malissimo riguardo al mio rapporto con Imogen, o nella mancanza dello stesso, perché ti ha causato questo dolore. Se potessi ritornare indietro lo farei”.
Lana raddrizzò la schiena. “Tu non hai fatto in modo che ci tamponasse mentre ti stavo accompagnando in ospedale. Ha fatto tutto da sola. Per quanto ne so tu non hai niente di cui scusarti, ed è insultante che ritenga di doverlo fare. È Imogen a dover fare ammenda, e non ho intenzione di mentirti”. Si alzò in piedi e si diresse vero Jessica. Lana alzò il volto della ragazza in modo che la guardasse negli occhi. “Non mi piace Imogen, e non mi è mai piaciuta. Indorare la pillola non è mai stato qualcosa che so fare, ma se credi che lei trarrebbe più beneficio dalla terapia piuttosto che dalla prigione, io ti supporterò”.
“Grazie” disse Jessica. La sua voce tremò un po’ quando cercò di trattenere le lacrime. “Lo apprezzo. Non volevo perdonarla, ma ho avuto tempo per pensare senza pregiudizio ad annebbiarmi il giudizio. Voglio vederla e lasciare che mi spieghi la sua versione”.
Lana non desiderava perdonare Imogen, ma comprendeva la ragione per la quale Jessica lo desiderasse. “Non avevo una sorella. Mi piacerebbe pensare che se scoprissi una sorella che non sapevo di avere, anch’io gradirei avere un rapporto con lei. Lo capisco—ma lo dico qui e adesso, non sarò così buona se deciderà di danneggiare la mia vita in futuro”.
Ea l’unica cosa nella quale aveva sempre creduto. Odiava essere giudicata in base al suo stato sociale o la sua apparenza. La crudeltà degli snob spesso seguiva i Brady ed aveva scheggiato il suo orgoglio. Fece del proprio meglio per non fare lo stesso per gli altri. C’erano volte in cui aveva fallito. Imogen l’aveva trattata nel modo sbagliato dall’inizio, e non solo perché Sullivan era uscito con lei. Qualcosa riguardo ad Imogen era sempre sembrato strano, e Lana era sempre stata brava a misurare la personalità delle persone.
“È giusto” disse Jessica. “Verrà seguita da dei professionisti, e non le sarà concesso di uscire dal reparto psichiatrico fino quando il tribunale la giudicherà abbastanza sana. Seguirà un’altra sentenza ad un certo punto”.
“Certo” rispose Lana. “Non si più far sparire un tentato omicidio ed un furto d’identità con la bacchetta magica”.
“Non sarebbe bello” rispose Jessica seccamente.
Non proprio…se fosse veramente possibile il mondo cadrebbe nel caos. A Lana vennero i brividi al pensiero del mondo che erutta nella pazzia dell’attività criminale. Le sarebbe piaciuto ritornare alla sua vita noiosa di lavoro e niente svago. Ad un certo punto avrebbe dovuto provare ad uscire ancora con qualcuno. Non faceva molto di più al di fuori della sua posizione all’ospedale. Jessica era l'unica amica con cui si fosse presa la briga di uscire, e questo era stato più preoccupante per la sua salute di qualsiasi desiderio di avere una vita sociale.
“Che vestiti mi hai portato?” domandò Lana per cambiare argomento. Aveva parlato di più di Imogen di quanto volesse. “Non vedo l’ora di andare a casa”.
“Preston ha suggerito qualcosa di leggero e comodo. Non sapeva che tu non possedessi nient’altro che vestiti comodi. Quando starai meglio ti porterò a fare shopping perché hai il bisogno disperato di qualcosa di coraggioso, sexy e scomodo in tutti i modi”.
Lana alzò gli occhi al cielo. “Tesoro, non ho bisogno di vestiti per esprimere quelle parole. Sono abbastanza pericolosa così. Abbi pietà della specie maschile—non sarebbero in grado di gestirmi se mi vestissi in quel modo”.
Jessica scoppiò a ridere. “Credo che ciò che ti ho portato si adatterà perfettamente al tuo umore di adesso”.
Lana aprì la cerniera della borsa e vi estrasse una t-shirt nera decorata da una corona di color rosso accesso posizionata sul lato, ed un cuore al centro. La scritta ricamata sulla stessa recitava “Tagliategli la testa”. Nella borsa si trovavano anche una felpa con la cerniera ed il cappuccio ed un paio di pantaloni della tuta della stessa sfumatura, insieme ad altri oggetti essenziali che le servivano. “Non ho mai detto di essere sana” disse Lana. “Altrimenti perché sarei diventata tua amica?”. Alcune volte era stata in sintonia con le parole che la Regina di Cuori mormorava giornalmente. Forse aveva staccato verbalmente a morsi la testa di qualcuno da quando si era svegliata all’ospedale.
“Vero” commentò Jessica. “Hai bisogno di aiuto per cambiarti?”
Come se l’avrebbe mai ammesso…no, era determinata a fare tutto da sola. Se non fosse stata in grado, allora non aveva il diritto di andare a casa. Sarebbe stata dannata se avesse dato ragione a Sullivan, dovendo restare alla villa. Abitazione che, per quanto possa sembrare strano, l’avrebbe soffocata. Lui sarebbe stato lì. Tutto. Il. Tempo. Non sarebbe mai stata in grado di scappare, e di per sé avrebbe distrutto la decisione che lei aveva preso in merito.

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