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Legami Di Sangue
Amy Blankenship
Legami Di Sangue #5
Dopo che l’incantesimo di sangue è stato spezzato, Kane graffiò il terreno per uscire e cercò l’anima gemella che lo aveva liberato, solo per scoprire che era svanita. Non avendo niente da perdere e con la vendetta in mente, iniziò una guerra. L’ultima cosa che si aspettava era trovare la sua sfuggente anima gemella lungo il percorso di distruzione che lui stesso aveva causato. Divenendo rapidamente ossessionato, la osserva quando lei non lo vede, ascolta senza permesso, e la segue in ogni sua mossa...e il demone che lo perseguita sa che lei è la sua debolezza. Per proteggerla, Kane promette di farsi odiare da lei, a costo di unirsi al demone per farlo. Ma come può proteggerla dal suo più grande nemico, quando il nemico è lui stesso?


“Legami di Sangue”
Serie “Legami di Sangue” - Volume 5

Author: Amy Blankenship & RK Melton
Translated by Ilaria Fortuna

Copyright © 2012 Amy Blankenship
English Edition Published by Amy Blankenship
Italian Edition Published by TEKTIME
All rights reserved.

Capitolo 1

La città di Los Angeles si estendeva intorno a lui in un caleidoscopio di luci e colori. I rumori distanti della vita urbana risuonavano nelle sue orecchie ma Syn non gli prestava attenzione, ascoltando invece il sussurro della brezza che lo circondava. Se ne stava lì in piedi, sul tetto di uno degli edifici più alti della città, il pinnacolo era l’unica cosa che i suoi piedi toccavano.
Syn teneva le mani nelle tasche dei pantaloni, mentre il suo soprabito svolazzava come un lungo mantello che sembrava scomparire e riapparire a caso, come se fosse una cosa animata. I suoi lunghi capelli scuri soffiavano lontano dal suo viso, rivelando una bellezza senza tempo che raramente si vedeva in questo mondo.
Aveva preso la precauzione di proteggere la propria aura da tutte le creature che avrebbero potuto sentirlo, ma lui poteva sentire quelle aure sotto di sé...che vivevano tra gli esseri umani quasi senza alcuna preoccupazione.
Guardando giù verso il balcone dell’attico proprio sotto di lui, sorrise quando sentì Damon dare ad Alicia l’eliotropio...nascondendolo poi dentro di lei in modo che fosse sempre protetta dalla pericolosa luce del sole che minacciava la sua nuova esistenza. Syn era orgoglioso di avere una tale nuora, qualcuno che avrebbe tenuto Damon al suo posto e lo avrebbe stimolato nei modi giusti.
Il suo sorriso si allargò quando le grida di dolore di lei furono presto seguite da urla di piacere, e lui annuì in segno di approvazione. Non poteva aspettare di incontrarla.
Syn concentrò ancora una volta il proprio sguardo ametista sulla città e vide le malvagie sfumature dell’oscurità anche nelle zone illuminate...cosa che gli altri non potevano vedere. Non capiva perché i suoi figli avessero deciso di combattere questa guerra contro i demoni. Nella sua mente, vedeva i demoni nello stesso modo in cui vedeva gli esseri umani...non gliene importava nulla né degli uni né degli altri. Eppure i suoi figli e la sua ribelle compagna avevano deciso di prendere una posizione...scegliendo di proteggere coloro che non potevano difendersi da una tale guerra.
Un lieve sorriso apparve sul suo volto mentre ricordava sua moglie...la sua anima gemella. Lei aveva sempre tifato per i perdenti, occupandosi di coloro che erano considerati deboli. Lui immaginò che lei non fosse cambiata molto rispetto alle sue vite precedenti... l’anima era la stessa, non importava quante volte sarebbe rinata. Un tempo lei lo vedeva come un nemico semplicemente perché il suo potere era di gran lunga superiore rispetto agli altri del loro mondo...ci erano voluti anni per farle cambiare idea.
Il sole faceva capolino all’orizzonte e Syn alzò il viso per accoglierlo, lasciando che i raggi di luce lo investissero...sentendo il grande flusso di energia riempire il suo corpo. Syn sapeva che i suoi figli avevano scelto di vivere una vita umana...una cosa che lui non aveva mai tentato prima d’ora. Un altro accenno di sorriso apparve sulle sue labbra perfette quando ebbe un’idea allettante.
Sì, potrebbe essere molto divertente unirsi a loro, visto che anche la sua anima gemella pensava di essere un semplice essere umano e viveva secondo le loro leggi. Si sarebbe unito a loro...le si sarebbe avvicinato e l’avrebbe convinta che non era nemico suo né di chiunque altro. Questa volta le avrebbe tenuto nascosto la maggior parte del suo potere cosicché non si sentisse minacciata da lui. Sarebbe diventato il suo alleato, il suo amico, e poi ancora una volta...il suo compagno.
*****
Misery era seduta su una roccia, dondolando le gambe avanti e indietro e facendo ondeggiare i suoi capelli biondi ad ogni movimento. Durante la settimana era stata molto impegnata a radunare demoni per il suo esercito in crescita. Anche ora, alcuni di essi erano nascosti nell’oscurità attorno a lei...e la fissavano curiosi.
La maggior parte dei demoni da lei radunati era debole e senza particolari poteri, ma è così che sono i soldati. Da solo, un soldato è debole. Ma se riuniti in un esercito, essi sono in grado di asfaltare il più potente dei nemici senza preoccuparsi delle proprie perdite.
Quella notte, Misery aveva percepito un’antica aura nella foresta che circondava un versante della città e l’aveva seguita fino ad una grotta profonda. L’energia maligna si era innalzata davanti a lei desiderando cacciarla via dalla propria tana, ma Misery fu divertita da quel tentativo...finché la forza non la spinse via fisicamente.
Quando si alzò per guardare il demone in faccia, vide soltanto un corvo su una roccia, con le ali increspate. Scrutando la sua anima nera, Misery si calmò quando capì che l’uccello era uno degli antichi maestri lasciati indietro quando i caduti avevano mandato gli altri nell’oltretomba.
Questo demone si era fuso con l’ambiente circostante e ne aveva fatto la sua dimora. I Nativi Americani di questa terra avevano visto il demone come un grande spirito da adorare e venerare e, da quella adorazione, il grande demone ne era uscito più forte.
Misery poteva sentire la rabbia che questo demone provava verso i pallidi esseri umani che si avventuravano liberamente nelle sue terre e cercavano di approfittarne. Lei aveva fatto un accordo con il demone, invece di combatterlo...una battaglia che ora sapeva che avrebbe perso. L’antico demone sembrava d’accordo con la sua idea di liberare la loro specie dalla prigione dimensionale e l’aveva istruita su come raccogliere sangue in sacrifico...uno degli strumenti di cui avrebbe avuto bisogno per aiutarla, prima di volare via nella foresta.
Quando Misery tornò alla grotta con due vampiri e un affascinante maschio semicosciente, lo spirito malvagio era in attesa. Gli acuti occhi rossi del corvo la fissarono prima che l’uccello prendesse il volo. Misery lo seguì nel cuore della foresta fino ai margini della riserva di caccia. Era entrata in una piccola radura e fu sorpresa di vedere un vecchio seduto accanto ad un grande falò.
“Mi chiamano Corvo Nero.” dichiarò il vecchio.
Misery annuì in segno di rispetto. Ricordava la sacre maniere con cui affrontare il potere di un demone superiore. “Io sono Misery.”
Corvo Nero sorrise “Cosa ne sai tu della vera miseria?”
Misery rimase in silenzio, mordendosi la lingua per evitare di essere fatta a pezzi. Lei aveva dei poteri e lui lo sapeva...era certa che potesse sentirla nello stesso modo in cui lei sentiva lui.
Corvo Nero si alzò e si avvicinò. Lei osservava il suo aspetto umano e non riusciva a capire perché uno così potente scegliesse un corpo così fragile. Appariva anziano, molto vecchio e rugoso, con lunghi capelli bianchi e con pantaloni di pelle di cervo conciata. La giacca era fatta della stessa pelle di cervo, ornata di perline e piume. Un piccolo sacchetto era appeso ad un fianco e altre piume erano intrecciate nei capelli dietro un orecchio.
Corvo Nero improvvisamente si alzò e sollevò la testa dell’uomo per i capelli, per guardarlo in faccia. “Questo andrà bene.” dichiarò, e tornò al falò.
“Cosa vuoi che faccia?” gli chiese Misery.
“Dobbiamo aspettare.” dichiarò Corvo Nero e aggiunse altra legna al falò.
Misery esternò la propria irritazione. “Aspettare cosa, vecchio? Io non ho un’eternità...la mia guerra avrà luogo con o senza di te.”
Ignorandola, Corvo Nero aggiunse altra legna al falò e iniziò a cantare. Misery stava per andarsene quando si bloccò. Sentì il proprio potere venire risucchiato e la sua forma di bambina iniziò ad imputridirsi. Non erano gli effetti della trasformazione in cadavere...tutta la sua essenza stava venendo lentamente prosciugata dell’energia che lei aveva rubato agli esseri umani.
“Il tuo piano fallirà senza di me.” disse Corvo Nero con sdegno. “La tua esistenza è diventata mia quando hai stretto il tuo accordo. Tu sei debole e non hai alcun potere su di me perché non hai niente che io desideri.”
Misery fu rilasciata all’improvviso, ma lo guardò restando seduta sull’enorme roccia in attesa di chissà chi. Corvo Nero alimentava costantemente il fuoco e le fiamme erano salite ad un’altezza incredibile. Il vecchio si alzò e si diresse verso un’estremità della radura e verso una vecchia sequoia che Misery non aveva notato prima.
Corvo Nero si inginocchiò accanto alle radici massicce e prese un pugno di terra. Tornando al falò, il suo canto divenne molto forte e ritmico prima di gettare la terra nel fuoco. Il fuoco brillò e avvampò ancora di più quando la terra incontrò le ardenti fiamme. Il suo corpo iniziò a muoversi in una danza tribale mentre i suoi canti erano sempre più forti.
Le ombre che li circondavano si allungarono finché Corvo Nero non rimase in contatto con loro, danzando in un cerchio perfetto. Improvvisamente si fermò e si allungò verso le ombre ai propri piedi. La nera oscurità tirò la sua mano, cercando il tocco di calore che Corvo Nero aveva esumato prima di raccoglierla da terra. Anch’essa incontrò le fiamme con una scintilla che si trasformò rapidamente in un’esplosione, portando Misery a coprirsi gli occhi.
Un lamento disumano riempì la radura e Misery guardò mentre l’ombra sorgeva dalle fiamme, illuminata di rosso per il calore. Essa volò attraverso la radura fin dove Corvo Nero aveva preso la terra e svanì nel terreno. Pochi attimi dopo, la terra iniziò ad alzarsi come se respirasse e due magre braccia ossute spuntarono fuori.
Corvo Nero si diresse subito verso il sacrificio di sangue che i vampiri di Misery avevano catturato e lo sottrasse alla loro presa.
Il giovane uomo, uno studente presso l’università locale, si risvegliò dall’incantesimo del vampiro quando Corvo Nero lo afferrò. Ancora disorientato, non capiva cosa stesse succedendo finché non vide la lunga lama avvicinarsi alla propria gola. Da quel momento non poté fare niente, la lama lacerò la sua carne e il suo urlo rimase silenzioso.
Il sangue schizzò sulle fiamme libere, alimentando il falò con sibili e scintille. Le braccia che erano spuntate dal suolo ora spingevano fuori il resto del corpo nella notte oscura. Versi profondi e prolungati gli uscirono dalla gola, accompagnati da grugniti famelici mentre si trascinava verso l’uomo agonizzante.
Dita scheletriche si aggrapparono alla maglietta dell’uomo e la creatura abbassò la testa sulla ferita aperta, gustando il sangue e la carne. Mentre mangiava, muscoli e carne iniziarono a comparire sulle ossa sporgenti e Misery si sentiva eccitata dalla scena. Non riusciva a distogliere lo sguardo dall’opera d’arte che Corvo Nero aveva creato e applaudì con soddisfazione.
“Avrà bisogno di più per nutrirsi, prima di resuscitare completamente...ma questo basterà per ora.” disse Corvo Nero con un tocco di noia che accarezzava la sua voce grave.
“Possiamo crearne altri?” chiese Misery mentre osservava il sangue brillare nel fuoco.
“Io posso.” disse semplicemente Corvo Nero e a Misery non sfuggì la sua implicazione...lui poteva farlo e lei no.
“Adesso, giovane demone...mostrami il tuo potere.” le ordinò Corvo Nero.
Misery sorrise e toccò il proprio ciondolo a forma di ragno appeso al collo. Il ragno si divise immediatamente in migliaia di piccoli ragni prima di ricomporsi. Corvo Nero vide due aracnidi scivolare lungo le gambe di lei e sul terreno dissestato. Le creature si fermarono a metà strada tra lui e Misery prima di scavare nella terra.
Corvo Nero rimase in silenzio mentre il terreno iniziava a muoversi e una sottile crepa color sangue squarciò la superficie, accompagnata da un lieve terremoto. Gli alberi frusciarono e si levarono le grida degli animali della foresta mentre il terreno brontolava infastidito. Cinque demoni ombra volarono fuori dalla crepa e nella radura. I loro lamenti, che risuonavano più come urla, riempirono la notte con il loro canto. Si diressero al falò e aleggiavano in cerchio attorno ad esso, avvicinandosi prima di allontanarsi all’ultimo secondo.
La cosa continuò finché i demoni non si stancarono del gioco e svanirono nell’oscurità della foresta...verso la città in cui percepivano la loro preda. Corvo Nero fissò la crepa nel terreno con un’espressione indecifrabile. Tuttavia, quando si avvicinò alla crepa la calpestò, chiudendola ed impedendo agli altri demoni di uscire.
“Un discreto tentativo.” dichiarò Corvo Nero. “Ma tu sei giovane e sciocca. Una crepa così sottile tra i mondi permetterà solo ai demoni ombra di tornare in questo regno...lasciando i nostri veri alleati ancora intrappolati dall’altra parte. Ti servirà molto più potere!” La sua voce si alzò, poi si calmò. “Mentre tu ottieni quel potere, io creerò il tuo esercito...ma in sostanza è a me che risponderanno.”
Misery non aveva altra scelta se non annuire con remissività e umiltà. Quando si girò, le sue labbra infantili si mossero in un sorriso malvagio. L’antico demone aveva ragione su una cosa, lei aveva bisogno di più potere...e sapeva esattamente come ottenerlo.
Lasciando espandere l’oscurità dentro di sé, lei tornò verso la città seguita dai suoi servitori. Un piano aveva iniziato a prendere forma e lei doveva individuare il demone bambino che poteva aiutarla. Avrebbe dovuto rinunciare a ciò che rimaneva della scorta di sangue di Kane, ma il fine giustificava i mezzi...il sacrificio ne sarebbe valsa la pena.
Volò sulla città verso la zona malfamata, dove aveva trovato una dimora temporanea. Andando di strada in strada alla ricerca dell’oscurità, cercò di cogliere l’odore del suo bersaglio. Il problema era che questo demone aveva la capacità di nascondere la propria aura demoniaca. Per qualsiasi essere che gli desse la caccia, lui sarebbe sembrato un essere umano e questa era la bugia più grande di tutte.
Non molto tempo dopo aver iniziato la sua ricerca, Misery sentì l’ibrido Skye seguirla. Lui non interveniva né si avvicinava, ma lei lo sentiva seguirla ad ogni sua mossa. Aveva nostalgia di quando era intrappolato nella grotta con lei? Gli avrebbe rinfrescato la memoria se avesse cercato di interferire con i suoi piani. Era abbastanza fastidioso che i due caduti seguissero ogni mossa dell’ibrido...sarebbero arrivati a lei se lui avesse continuato.
Era quasi l’alba quando finalmente trovò il piccolo demone che stava cercando. Lui uscì dalle ombre e corse in strada e poi in un altro vicolo. Pochi giorni prima Misery si era imbattuta in lui per puro caso e lo aveva scambiato per un umano...finché lui non decimò i vampiri che l’avevano attaccato.
All’apparenza il demone non sembrava altro che un bambino di otto anni che viveva come un topo di fogna. I suoi lunghi capelli neri erano spettinati, con ciocche unte attorno al volto, che era pallido ma dolcemente angelico. Ciò permetteva al suo travestimento umano di colpire i cuori e le menti delle sue vittime quando voleva. I suoi vestiti erano rovinati ed era scalzo. Quando lui alzò la testa per guardare dietro di sé, i suoi occhi brillarono come diamanti neri.
Misery si mosse nel vicolo sopra di lui prima di comparire proprio davanti a lui, assumendo la forma della bambina bionda nel mentre. Atterrò accovacciata davanti a lui prima di mettersi in piedi e spolverare il suo frivolo vestitino.
“Ciao, Misery.” disse il ragazzino, facendo sorridere Misery per la sua vocina.
“Ciao, Cyrus.” rispose Misery.
“Sei stata tu a far uccidere tra loro tutte quelle persone sull’autobus, l’altra sera.” sussurrò il ragazzino.
Misery sorrise orgogliosa “Sì, sono stata io e ho bisogno di quello che fai tu.”
Cyrus inclinò la testa. “Cosa posso fare io che tu non sai già fare?”
Misery ridacchiò, si tolse la collana di ragni che conteneva i residui del sangue di Kane e la infilò sulla testa di lui.
“Sarai sorpreso, piccolo.” sussurrò lei.
“Potrò giocare?” chiese il ragazzino, facendo capire a Misery quanto fosse giovane il demone.
“Oh sì, sarai in grado di giocare con tutto quello che vuoi.” rispose Misery.
L’oscurità negli occhi del ragazzino dilagò, eliminando tutti i colori finché non sembrarono due profonde pozze vuote.
“A me piace giocare.” disse il ragazzino e fece un sorriso malizioso mentre le sue dita giocavano con il ragno appeso alla collana.
*****
Kriss era a letto, nell’attico di uno degli edifici più prestigiosi del centro di Los Angeles. Si era rifugiato lì per evitare Tabatha e i propri sentimenti sempre più forti per lei.
La sua mente tornò all’ultima volta che l’aveva vista. Aveva mantenuto la distanza da lei con fermezza per un paio di giorni, prima che la lontananza diventasse troppo dolorosa per lui. Il petto iniziava a dolergli perché non era vicino a lei e quando entrò nel loro appartamento, trovandola addormentata con le lacrime asciutte sulle guance...il suo unico pensiero era stato quello di abbracciarla e farla sentire meglio.
Era scivolato sotto le coperte con lei, senza accorgersi che fosse nuda finché non si strinse attorno a lei in un abbraccio protettivo. Fu allora che si bloccò, avvicinandosi e allontanandosi contemporaneamente. Lei si era girata verso di lui nel sonno, avvolgendo un braccio attorno a lui per abbracciarlo come faceva spesso con i cuscini. Quando i suoi seni gli premettero contro il petto, l’autocontrollo di cui era sempre stato orgoglioso cedette.
Per mesi aveva fantasticato sul fare delle cose con lei...cose che non potevano essere fatte, a prescindere da quanto la amasse e la desiderasse. Ma in quell’istante avrebbe voluto essere dentro di lei, abbastanza da rischiare di uccidere la donna che amava. Sentì la propria erezione gonfiarsi e strofinare contro la sua carne morbida.
Quando un’ombra furiosa si proiettò sul letto Kriss si bloccò, poi girò la testa lentamente e vide lo sguardo accusatorio di Dean. Capì di aver superato il confine tra amicizia e pericolo vedendo quell’espressione sul volto del suo amante.
Era andato via con Dean quella notte, determinato a non commettere gli stessi peccati di suo padre. Si sentì di nuovo eccitato al ricordo. Fino a che non avesse tenuto i sentimenti sotto controllo, si rese conto che Dean aveva ragione...doveva stare lontano da Tabatha.
Come ulteriore precauzione, aveva lasciato il suo lavoro al Silk Stalkings nel caso in cui lei andasse lì a cercarlo. Aveva fatto tutto quello che poteva per assicurarsi che Tabatha restasse il più lontano possibile da lui, ma la separazione lo feriva come non mai. Quando un caduto amava qualcuno...era ad un livello superiore a quello che un umano chiama ‘amore’, e la frequente follia degli umani quando non potevano avere la persona amata era dieci volte inferiore rispetto alla reazione di un caduto.
Kriss si dimenò di nuovo contro i legacci che gli bloccavano un polso...odiava Dean perché lo teneva bloccato. Tuttavia, Kriss comprendeva ciò che era quasi successo. Se avesse ceduto alla lussuria...il dolore di perdere Dean e uccidere Tabatha allo stesso tempo lo avrebbe distrutto.
Chiuse gli occhi quando una brezza fredda soffiò attraverso il balcone sul suo corpo nudo. Anche se i legacci gli permettevano di muoversi in tutto l’enorme appartamento, si era messo a letto ore prima senza riuscire a dormire, e il caotico ammasso di coperte sul pavimento ne era una testimonianza. Ora Kriss era disteso a pancia in giù con un ginocchio piegato sul materasso e l’altra gamba coperta con un lembo del lenzuolo.
Un altro alito di brezza soffiò nella stanza, portando con sé un odore familiare. Kriss aprì gli occhi, guardando le ombre delle tende trasparenti sulla parete di fronte a lui. Quando un’ombra alata si unì a loro, Kriss rimase in silenzio e in attesa.
Dean era stato sul tetto, dando la caccia ai suoi demoni e dando tregua per quella notte ad uno sfuggente caduto ibrido. Saltando dal tetto dell’edificio sulla terrazza sottostante, si fermò davanti al balcone aperto per guardare Kriss. Il lenzuolo bianco era scostato, esponendo il suo corpo nudo al chiarore della luna. Dean sentì che la solitudine Kriss attanagliava il suo cuore e capì che stare lontano da Tabatha per un bel po’ sarebbe stato l’unico rimedio per un tale dolore.
Il suo sguardo attraversò la barriera soprannaturale che impediva a Kriss di lasciare l’attico in sua assenza. Non voleva ferire Kriss, ma sentiva che il suo amore per Tabatha cresceva ogni giorno di più. Gli aveva ricordato che dormire con una donna di questo mondo sarebbe equivalso ad ucciderla, e non era una bugia...il seme di un caduto potrebbe germogliare anche in una donna sterile. Esso era in grado di guarire l’infertilità per generare una vita, se doveva...ma quella vita avrebbe ucciso la donna che la portava in grembo.
Dean aveva confessato a Kriss la verità dei propri peccati...l’unico modo efficace per impedire a Kriss di stare con Tabatha. Quando lui era stato mandato in questo mondo per la prima volta, era rimasto affascinato da una giovane di circa la stessa età di Tabatha. Aveva passato troppo tempo con lei e, da cosa nasce cosa...si era innamorato di un’umana.
Pensando che la maledizione non lo seguisse...pensando che amandola così tanto avrebbero avuto un figlio caduto, aveva ceduto alla lussuria. Lei lo aveva incoraggiato perché lo desiderava altrettanto. Fare l’amore con lei era stato paradisiaco, ma ci vollero solo poche ore perché il demone prendesse forma dentro di lei. Quando lei lo aveva svegliato durante la notte con le sue urla, lui aveva dovuto uccidere suo figlio quando iniziò a divorarla dall’interno.
Kriss aveva ingannato se stesso, pensando di riuscire a dormire con Tabatha ogni notte senza fare l’amore con lei, ma Dean sapeva che era una bugia...una pericolosa bugia. Kriss non avrebbe mai avuto pace se avesse firmato la condanna a morte di Tabatha con il seme del proprio amore.
I caduti bramavano l’amore, tuttavia erano stati mandati in un mondo in cui non potevano toccare le donne...tutto ciò che gli rimaneva erano loro stessi. La bellezza di Kriss aveva sempre attratto Dean, lo incantava addirittura, e lui sapeva perché...Kriss era membro di una famiglia reale della loro specie. Non avrebbero mai dovuto mandarlo in questo posto per combattere i demoni. Si chiese in silenzio quanto tempo avesse impiegato uno dei sovrani per rendersi conto che il loro principe era scomparso. Kriss doveva essere coccolato, amato e apprezzato.
Entrando nella stanza, Dean si mosse lentamente, assicurandosi che la propria ombra rimanesse proiettata sulla parete, cosicché Kriss potesse vedere chiaramente cosa stava facendo e avesse il tempo di fermarlo se avesse voluto.
“Stasera i demoni in città sono stanchi...li senti?” Dean mantenne la voce calma e non si aspettò una risposta. Le sue labbra si aprirono quando la voce malinconica di Kriss emanò una flebile eco attraverso la stanza.
“Lascia che vengano.”
Dean si tolse la giacca e la gettò su una sedia accanto al muro. Poi seguì la camicia...la sbottonò e la fece scivolare giù sul pavimento in un soffice ammasso di cotone. Si sbottonò i pantaloni e aprì lentamente la cerniera, quasi sorridendo quando il respiro di Kriss si fermò. Togliendosi le scarpe e i calzini, Dean fece cadere i jeans a terra e li scostò.
Muovendosi verso il letto, Dean si tenne per un attimo ad uno dei pali del baldacchino per guardare Kriss, prima di scivolare accanto a lui. Rotolando Kriss su un fianco, Dean si rannicchiò dietro di lui e lo avvicinò, cedendo alla gelosia che covava nel proprio cuore.
Sapeva che la tristezza di Kriss era provocata dal suo amore per Tabatha...aveva avuto una premonizione dell’imminente pericolo la notte in cui Tabatha e Kriss si erano incontrati. Ecco perché aveva attaccato Tabatha nel parcheggio del Silk Stalkings. Voleva metterla in guardia ma Kriss lo aveva fermato, usando il proprio corpo come scudo...usando l’ossessione di Dean contro di lui.
Kriss rotolò sulla schiena e girò la testa per guardare Dean. Si guardarono a vicenda per quella che sembrò essere un’eternità, dopodiché Dean accorciò rapidamente la distanza tra loro e strofinò sensualmente le labbra su quelle di Kriss.
Quando Kriss inspirò profondamente, Dean ne approfittò e approfondì il bacio...rendendolo più passionale. Era stanco di dormire accanto a Kriss ogni notte e vederlo piangere per una ragazza che non avrebbe mai potuto avere. Se avesse potuto, avrebbe assorbito il dolore di Kriss e lo avrebbe sostituito con l’amore impetuoso dei caduti.
Kriss sentì il fuoco iniziare a scorrergli nelle vene, ma il suo senso di colpa gli fece girare il viso, interrompendo il bacio. Si strinse nell’abbraccio di Dean, avvolgendo le braccia intorno a lui prima di intrecciare le gambe con le sue.
Dean guardò in silenzio i capelli di Kriss e sospirò mentalmente. Il fatto che Kriss lo stringesse così forte era l’unica cosa a calmarlo. Sentì la tristezza allentarsi un po’ prima di ricomparire. Aveva già deciso di liberare Kriss all’alba ma, davanti al suo rifiuto, gli occhi di Dean brillarono e i legacci svanirono.
Dopo un istante Kriss si voltò e strinse i polsi di Dean, sbattendoli giù sul materasso e tenendoli fermi.
Dean fissava con calma i suoi turbati occhi argentati, chiedendosi cos’avrebbe fatto Kriss adesso che era libero di tornare da Tabatha. Quando Kriss rimase semplicemente fermo lì, Dean alzò la testa dal materasso strofinando lentamente le labbra sulla clavicola di Kriss fino alla curva del suo collo. Fu ricompensato dal brusco sibilo di Kriss e dal suo rilascio.
Alcune ore dopo giacevano intrecciati quando arrivò l’alba. Dean sapeva, proprio come Kriss, che sarebbe stato qui quando Kriss si sarebbe svegliato la mattina...sarebbe sempre stato qui.
*****
Kane camminava per le strade della città cercando di cancellare dalla mente tutto quello che era accaduto nelle ultime settimane. Aveva anche sentito accenni della sua vecchia personalità affiorare in superficie diverse volte...soprattutto quando era vicino a Michael. Doveva ammettere che voleva bene a quel ragazzo.
Il freno saldo che aveva mantenuto negli ultimi dieci anni sulle proprie emozioni stava cedendo e gli mancava già la sicurezza che le mura immaginarie gli avevano dato. Era convinto che un costoso psichiatra da quattro soldi avrebbe detto che era una cosa positiva, ma era certo che avrebbe potuto anche cambiare idea a tempo di record.
Usava l’intorpidimento che aveva portato con sé fuori dalla tomba come uno scudo...lo rendeva per metà morto e le persone intorno a lui erano più al sicuro. Per come stavano le cose, ci voleva ogni briciolo di controllo che aveva per tenere dentro di sé i propri sentimenti per Tabatha e proteggerla da Misery allo stesso tempo.
Aveva ancora i brividi al pensiero che Michael avesse capito che era stata Tabatha a liberarlo dalla tomba. Se avesse pensato in maniera lucida, avrebbe trovato un modo per tenere Scrappy lontano da Tabatha per un po’ mentre cercava di capire come dirglielo...se mai glielo avesse detto.
Secondo lui, alcuni segreti dovevano rimanere tali. La verità era che non aveva mai pensato di dirlo a Tabatha.
Kane ringhiò infastidito quando i suoi pensieri furono interrotti. Sentiva occhi demoniaci su di sé mentre camminava...osservavano ogni sua mossa. Si chiese se fossero stati mandati da Misery. Non riusciva a sentirla tra loro, il che aveva molto senso. Perché mai la cagna lo avrebbe seguito, quando poteva farlo fare ai suoi servitori al posto suo? La città brulicava di suoi servitori...entità oscure che lui aveva contribuito a creare.
Accelerò il passo finché i fari delle auto in avvicinamento si allontanavano improvvisamente dietro di lui. Il bagliore rosso dei loro fanali posteriori illuminò la strada per alcuni secondi prima di svanire. Non era mai stato così veloce ma, con l’umore che aveva ultimamente, aveva ignorato l’accrescimento del proprio potere.
Al momento, tutto quello che voleva era stare da solo nella propria campana di vetro, invece di stare accanto a Michael e a chiunque fosse vicino al suo migliore amico / fratello. Non era così sicuro di riuscire ad indossare la sua maschera da ‘Adesso sto bene’...non stasera. Il suo vero io era vicino alla superficie ed era qualcosa che Michael non doveva vedere.
Infilando le mani in tasca, Kane proseguì nel tentativo di ignorare i bastardi spioni che lo seguivano. Adesso aveva raggiunto un’area più rispettabile della città e si diresse verso la zona in cui c’erano un gran numero di locali. Aveva bisogno di un buon drink e magari di fare un po’ a pugni, anche se ciò significava che doveva iniziare lui per primo. I club gli avrebbero fornito il liquido inebriante, e sarebbe stato abbastanza facile trovare un nido di vampiri per l’altro desiderio.
Svoltando un angolo verso una strada trafficata, Kane sentì un profumo dolce nel vento e si fermò, concentrandosi di nuovo sui luoghi e i rumori della città. La sentiva molto vicina e si guardò intorno cercando di determinare la sua posizione. Inalò profondamente, desiderandone ancora, poi si chiese se fosse un masochista per torturarsi così.
Sapeva che doveva stare lontano da lei, visto che sembrava essere una calamita per i demoni, ma l’altro lato di sé concluse all’istante che la sua anima gemella era in grado di trovare i guai da sola. Se lei era abbastanza folle da andare in giro in una zona piena di demoni, allora forse lui doveva ricordarle che era davvero una cattiva idea.
Il suo sguardo acuto si posò su un club chiamato ‘Silk Stalkings’ e si accigliò sapendo che era qui che il caduto, Kriss, lavorava come ballerino. Era una scelta di carriera interessante per un caduto, ma Kane non poteva giudicarlo. Sospirando con rassegnazione, attraversò la strada ed entrò nel club per riportare Tabatha a casa, prima che si cacciasse in altri guai.

Capitolo 2

Tabatha varcò l’ingresso del Silk Stalkings e si guardò intorno. Era andata lì per cercare Kriss...e pregò di trovarlo. Era sparito da qualche giorno senza neanche chiamare...e aveva iniziato ad evitarla già da prima. Le mancava ed iniziava a preoccuparsi. Quando in passato spariva per un po’ almeno telefonava per farle sapere che andava tutto bene.
Il solo vederlo di sfuggita avrebbe scacciato il suo timore che Misery lo avesse divorato o rinchiuso in una grotta da qualche parte.
Sedendosi ad uno dei tavolini alti, continuava a guardare il palco sperando che Kriss uscisse e facesse il suo numero. Quasi un’ora dopo si rese conto dell’orario e capì che Kriss avrebbe dovuto essere già sul palco a quell’ora. Uno dei camerieri le si avvicinò e lei lo toccò sul braccio per avere la sua attenzione.
“Ha bisogno di qualcosa, signorina?” le chiese.
Tabatha sorrise. “Spero che tu possa aiutarmi. Sto cercando Kriss Reed. Puoi dirmi quand’è il suo turno?”
Il cameriere sospirò e scosse la testa “Lei è la sesta donna a chiedere di lui, questa settimana. Purtroppo se n’è andato da un po’ di tempo, da allora nessuno lo ha visto.”
Tabatha si sentì come se avesse ricevuto uno schiaffo. Una sensazione di affogamento le esplose nello stomaco e lei abbassò la testa per nascondere le lacrime che iniziarono a salire...aveva perso il suo migliore amico.
“Sta bene?” chiese gentilmente il cameriere.
Tabatha lo guardò e sorrise, asciugando le lacrime che minacciavano di rovinare il mascara. “Sì, sto bene. Puoi portarmi un Malibu con ananas?”
Il cameriere le lanciò un’occhiata interrogativa prima di sospirare e tornare al bar. Riconobbe Tabatha come una delle amiche strette di Kriss e immaginò che lui avesse lasciato la città senza dirglielo. Era un peccato...sembrava simpatica, e Kriss l’aveva ovviamente ferita.
Tabatha tirò fuori la cipria dalla borsetta ed esaminò il suo trucco. Se n’era andato senza nemmeno salutare...quando erano andati in Florida con Devon ed Envy aveva promesso che non l’avrebbe mai lasciata. Si erano anche avvicinati dopo il rapimento...e molto.
“Ecco a lei.” annunciò il cameriere e mise il drink davanti a lei.
Tabatha abbassò la cipria e gli sorrise. “Vai e segnalo sul conto...ho intenzione di stare qui per un po’.”
Il cameriere annuì ed iniziò a girare intorno ai suoi tavoli per assicurarsi che tutto filasse liscio, guardandola di tanto in tanto per assicurarsi che la sua nuova cliente non si ubriacasse.
Tabatha tracannò rapidamente il drink e posò il bicchiere sul tavolino. Perché era preoccupata? Kriss era un caduto...aveva cose migliori da fare che incasinarsi con gli umani...soprattutto con gli umani che erano suoi amici. Dio, odiava essere imbronciata e arrabbiata allo stesso tempo...turbava le persone.
Le fu portato un altro drink e bevve rapidamente anche quello. Dopo sei drink era cotta. Guardando verso il palco, si imbronciò vedendo un ragazzo uscire con indosso solo un paio di ali e un tanga argentati. Si chiese dove fosse il piagnone Guru ubriaco quando ne aveva bisogno e strinse gli occhi, odiando il ballerino che inconsapevolmente si faceva beffe di lei.
“Un altro, prima di andarmene?” chiese al cameriere che le girava intorno da quando si era seduta.
Il cameriere sorrise e scosse la testa. “Penso che lei abbia bevuto abbastanza. Vuole che le chiami un taxi?”
“No.” rispose Tabatha, e si alzò afferrando la borsa. “Voglio che tu dica a Kriss che se ricorda chi sono i suoi amici, allora faccia una telefonata.”
Naturalmente non voleva, ma al momento era molto arrabbiata con Kriss...la feriva che lui non desse abbastanza importanza alla loro amicizia per dirle almeno che se ne andava...o che era stato rapito. Aprendo la borsa, prese il portafogli e fece per pagare il conto, ma il cameriere scosse la testa.
“Il conto è stato già pagato.” disse lui. “Adesso vada a casa e dorma...sono certo che la chiamerà presto.”
Tabatha pescò le chiavi dell’auto nella borsetta e le fece cadere a terra. “Cavolo!” mormorò, volendo andarsene prima di fare qualcosa di stupido, come piangere in pubblico.
Si chinò per raccoglierle ma un’altra mano le prese e le raccolse. Tabatha seguì la mano lungo un braccio e poi una spalla. Rimase stupita quando il suo sguardo si posò sul bel viso di Kane.
“Andiamo, tesoro.” disse lui, osservando il modo in cui le luci le brillavano negli occhi azzurri. Stava per piangere. A quanto pare lui non era l’unico di cattivo umore, stasera. “Andiamo a casa.”
Il labbro inferiore di Tabatha si contorse mentre lo guardava e gli afferrò il braccio, sentendo all’istante la sua forza. Il suo principale stalker l’aveva trovata e per una volta...gliene era grata.
Kane fece un cenno al cameriere dietro Tabatha e la portò fuori dal club. Ringhiò dentro di sé, sapendo perché lei aveva scelto questo club. Voleva trovare il bastardo caduto che si nascondeva.
Kriss non si preoccupava del proprio cattivo comportamento verso Tabatha, o si riteneva suo potenziale nemico, invece che suo migliore amico? Kane avvolse un braccio attorno alle spalle di Tabatha e le afferrò saldamente l’altro braccio quando lei quasi inciampò sui tacchi alti.
“Lo hai visto?” chiese Tabatha guardando Kane.
Kane scosse la testa tristemente “No.” Evitò di dirle che, l’ultima che aveva visto Dean, aveva sentito l’odore di Kriss su di lui...il caduto stava bene.
“Se n’è andato.” Tabatha si asciugò la lacrima che finalmente riuscì a scendere. “E se poi Misery lo divora?”
Kane cercò di non ridere alla sua domanda ubriaca ma sincera. “Per Misery il sapore dei caduti è disgustoso.” lui citò le parole di Misery.
“Allora perché non mi ha salutata?” Tabatha abbassò lo sguardo mentre camminavano.
Kane non rispose mentre la faceva salire sulla sua auto e si sedette al posto di guida. Immagini di sé che strappava quelle ali morbide e setose dalla schiena di Kriss gli balenarono nella mente, ma Kane le scacciò. La vendetta poteva aspettare...adesso doveva portare il suo angelo a casa sano e salvo, prima che la porta girevole della sua personalità si aprisse sul lato oscuro.
Tabatha rimase in silenzio durante il tragitto, con i led azzurri nell’auto che proiettavano un bagliore tenue, come se la sfidassero a guardare l’uomo che guidava. Non era mai stata una che rifiutava una sfida e, anche se riusciva a gestire l’alcol meglio di una persona normale...i drink la aiutavano a reprimere una sana paura.
Girò lentamente la testa e guardò coraggiosamente Kane. “Perché Misery ha detto che io ti appartengo?”
La testa di Kane si girò rapidamente per fissarla con uno sguardo duro. Lei non avrebbe dovuto ricordare quello che era successo quella notte...le aveva cancellato i ricordi. Come diavolo faceva a ricordare qualcosa che doveva aver dimenticato? Vedendo le luci delle auto illuminarle il viso, lui guardò di nuovo la strada e sterzò appena in tempo per evitare di colpire un’auto in arrivo.
La mano di lei si posò d’istinto sulla maniglia dello sportello quando vide la sua reazione a quella domanda, ma si calmò. Non era abbastanza ubriaca da saltare da un’auto in movimento. Il brivido di paura che strisciava lungo la sua schiena servì solo a spingere il suo livello di coraggio oltre la stupidità.
“Scegli una corsia.” sorrise Tabatha, poi sbatté le palpebre con la voglia di prendersi a schiaffi. ‘Merda.’ pensò tra sé. ‘Bel modo di fare, stupida...far incazzare il tipo con i denti aguzzi.’
“Ti ricordi di quella notte?” le chiese Kane prima di fermarsi.
“E allora?” disse lei e scrollò mentalmente le spalle. “Sì, mi ricordo. Beh...una buona parte, almeno. Forse non sei così bravo come pensi a lanciare incantesimi alle persone.”
“Magari la prossima volta non sarò così gentile.” la ammonì Kane e la vide tremare per le sue parole oscure.
Tabatha restrinse lo sguardo per la sua espressione impassibile. Come osava sfidarla?
“Beh, prima che provi a cancellarmi di nuovo la memoria, che ne dici di rispondermi?” chiese lei e incrociò le braccia sul petto, sapendo che stava scaricando su Kane la rabbia per l’abbandono di Kriss...d’altra parte, forse Kane se lo meritava. Per quanto ne sapeva, magari aveva divorato lui Kriss.
“O mi dici che cosa intendeva, o giuro che mi appenderò al collo un enorme e succoso cuore di mucca per attirare Misery, così lo chiederò a lei.”
Lei sussultò e si aggrappò subito al cruscotto quando Kane sterzò bruscamente, fermando di colpo l’auto al lato della carreggiata, sul marciapiede. Inchiodò scivolando sul terrapieno polveroso, facendo fare all’auto un giro di centottanta gradi prima che si fermasse.
Kane si era avvicinato a lei prima che l’auto si fermasse. Tabatha non poté fare a meno di guardare il suo viso e ammirare le sue mascelle, l’ametista dei suoi occhi. Abbassò lo sguardo sulle sue labbra perfette e si chiese se fossero fredde come il ghiaccio o calde come il fuoco.
Kane era più che arrabbiato e voleva strozzarla per aver anche solo pensato una cosa simile. Mordendosi la lingua, aspettò di sentire il rapido flusso di sangue prima di catturare le labbra di Tabatha in un bacio feroce. In circostanze normali avrebbe dato qualsiasi cosa per avere l’occasione di farlo...ma d’altra parte, lei doveva essere sobria perché valesse. L’unica ragione per cui adesso la stava baciando con tale impeto era cancellare dalla sua mente i pericolosi piani dettati dall’alcol.
Calde, le sue labbra erano calde, e quel piacevole calore vorticò in lei fino al nucleo tra le sue gambe. Improvvisamente Tabatha sentì di nuovo la paura che era svanita solo un attimo prima. La pervase con ondate impetuose e lei sentì le dita dei piedi contrarsi nello stesso istante in cui il panico la prese allo stomaco. La sua mente cedette alla paura e lei iniziò a spingersi via da lui più forte che poteva. Purtroppo aveva lo stesso effetto di una formica che prova a sollevare una casa.
Kane sentì le mani di lei spingere contro il proprio petto ma, se questo sarebbe stato il loro ultimo bacio, allora voleva assaporarlo ancora per un attimo. Respirò l’alito caldo di lei mentre rendeva il bacio più dolce solo per intensificarlo di nuovo.
Tabatha fu assalita dal sapore dolce e pungente del sangue di Kane e il travolgente desiderio di avvinghiarsi a lui annullò ogni paura esistente. Quel desiderio si intensificò quando la mano di lui la prese per un fianco e la sollevò dal sedile, premendola a sé tanto quanto consentiva lo spazio limitato del veicolo. Le cosce di lei si infiammarono e, prima che potesse trattenersi, una delle sue mani salì lungo il petto di lui per avvolgersi intorno al suo collo, dove strinse con forza i suoi capelli bianchi come la neve.
Kane rabbrividì quando sentì le unghie di lei affondare nella propria pelle sensibile, facendogli flettere i fianchi e ringhiare nel petto. La voleva...Dio, la voleva così tanto. Udì il clacson di un’auto e Kane ricordò all’istante dove si trovavano. Ci volle più forza di quanto pensasse per lasciarla andare e sprofondò letteralmente nel sedile del conducente.
“Già sobria?” le chiese. I muscoli della sua mascella si contrassero e le sue nocche divennero bianche nel punto in cui stringeva il volante mentre tratteneva la sua fame.
Tabatha si portò una mano alla bocca ripensando a quella strana domanda. Dopo un paio di secondi annuì accigliata. “Sì, ma cosa sei, un caffè vivente?”
“Cosa sei tu?” la derise Kane. “Una pazza sanguinosa, ecco cosa sei...che parla di cuori di mucca e di demoni.”
Gli occhi di Tabatha si spalancarono quando un fulmine catturò la sua attenzione quando illuminò la strada. Si leccò il labbro inferiore assaporandolo ancora, poi si guardò per assicurarsi che le cosce non fossero davvero in fiamme. Ci fu un altro fulmine e lei si sporse in avanti, guardando il cielo in cerca di nubi di tempesta. Non vedendone, guardò di nuovo Kane e si rese conto che era lui a provocare la tempesta.
“Vacci piano. Mi sbagliavo...tu non sei un caffè vivente, sei una tempesta vivente.” gli disse, e si raddrizzò sul sedile. Non l’aveva notato prima ma, quando Kane si era chinato su di lei, il suo vestito era salito su, mostrando quasi il pizzo delle mutandine.
Kane si strofinò la tempia con le dita e chiuse gli occhi...dovette farlo. “C’è solo una cosa che devi fare...stare lontana da Misery.”
“È così che mi hai guarita nell’ufficio di Warren?” sussurrò Tabatha, sapendo in qualche modo che il suo sangue aveva appena cancellato ogni singola goccia di alcol che lei aveva assunto. Le mancava già la disinibizione ma non gli avrebbe dato del guastafeste, visto il suo umore. Però doveva ammettere che se lui non avesse interrotto il bacio avrebbero finito per fare altro.
Dire che lui fosse instabile sarebbe stato un eufemismo, se il modo in cui stringeva il volante voleva dire qualcosa. Dopo quello che lei stava per fare...forse erano instabili entrambi.
Quando lui non rispose ma guardò dritto e scrollò le spalle, Tabatha sentì di nuovo la rabbia. “Bene, portarmi a casa...o meglio ancora, scendi e va’ al diavolo. Adesso posso guidare da sola.”
Tabatha fu spinta di nuovo contro lo schienale quando Kane inserì la marcia e avviò il motore, rimbalzando giù dal marciapiede e reimmettendosi nel traffico...quel poco che c’era a quell’ora della notte.
“Forse dovresti andare a cercare in quale nido si trova Kriss e unirti a lui, visto che ad entrambi ovviamente piace avere dei segreti con me!” disse lei sarcastica.
“Nessuno ti ha mai detto che non è una buona idea inimicarsi un vampiro?” le chiese Kane con voce apparentemente tranquilla, evitando di guardarla.
“Sono ancora viva.” sottolineò Tabatha.
“Per ora.” Kane mentiva, ma si sentì soddisfatto quando il resto del viaggio proseguì in un silenzio teso.
Tabatha se ne stava sul sedile del passeggero con le braccia incrociate sul petto. Si rifiutava con forza di pensare a quel bacio e non avrebbe affatto pensato a quanto lui fosse sembrato sexy, chino su di lei...era arrabbiata e non solo.
Appena entrò nel suo vialetto Kane sospirò, passandosi una mano tra i capelli quando lei scese dall’auto e scappò via come se fosse stata morsa. Trovò la cosa piuttosto ironica, considerato che l’aveva già morsa in precedenza. Scendendo dall’auto, la seguì in silenzio sapendo che era la cosa sbagliata da fare.
Tabatha sbatté la portiera dell’auto dietro di sé e si precipitò verso la porta d’ingresso del suo appartamento. Non appena chiuse la porta dietro di sé, si voltò e in pochi secondi bloccò tutte e quattro le serrature, poi accese la luce in soggiorno.
“Per ora un corno!” Guardò la porta sentendosi finalmente al sicuro...finché non si voltò. Tabatha gridò quando vide Kane seduto sul divano come se fosse a casa sua, e gli lanciò la borsetta.
“Tu non sei stato invitato!” sbottò lei, poi aspettò di vedere se sarebbe svanito. In realtà era una cosa positiva che lui non lo fece, perché lei sarebbe stata ferita dalla risata isterica che ne sarebbe seguita.
“Dannazione, perché sei ancora qui?” gli chiese e gli lanciò le scarpe, soddisfatta quando lui dovette spostare una gamba per schivarne una.
Con suo stupore, Kane se ne stava seduto lì a fissarla con un’irritante espressione che sembrava un misto tra divertimento e rabbia. Lui brillò e scomparve per un secondo, poi lei sentì il rumore di qualcosa che colpiva la porta da ogni lato. Tabatha non riusciva a muoversi perché lui la teneva ferma contro la porta dietro di lei. Udì un tuono e sentì la propria paura aumentare a quel rumore.
Kane si chinò un po’ in avanti fin quando la propria guancia non toccò quasi la sua e inalò il suo odore misto di rabbia e paura. Era come un afrodisiaco e servì a ricordargli perché non aveva posseduto la sua anima gemella appena l’aveva trovata. Al contrario, lui lottava contro la voglia di possederla lì contro la porta...rapido e impetuoso.
Gli dei potevano averli uniti, ma avevano sbagliato il loro abbinamento. Per il bene di Tabatha...dovevano essersi sbagliati. Quando lui si scostò abbastanza per vedere il suo viso, fu soddisfatto nel vedere che la sua rabbia e la sua paura erano ancora lì.
Tabatha sentiva la sua frangetta muoversi ad ogni respiro che lui faceva mentre la guardava con quegli occhi infiammati. Rimase affascinata guardando le sue pupille ametista dilatarsi e poi sentì la delusione vibrare dentro di sé...lei non voleva dimenticare.
“Prima di farmi abracadabra...dimmi qualcosa di vero.” sussurrò lei. “Una verità sincera.”
“Una verità, tesoro?” Kane posò lo sguardo sulle sue labbra e abbassò la testa fin quando le proprie labbra non sfiorarono le sue...non con un bacio ma con qualcosa di molto più intimo. “Sono più pericoloso per te di quanto possa esserlo qualsiasi altro demone.”
A letto, Tabatha sbatté le palpebre per la luce del sole che ora filtrava dalla finestra e si mise a sedere. Tirò su le ginocchia e vi avvolse le braccia intorno, guardando la luce del giorno che quasi sembrava prenderla in giro. Ringhiando tra sé, sbuffò soffiando via la frangetta dagli occhi.
“Pericoloso un corno.” brontolò. “Così pericoloso che mi ha messa a letto prima di andarsene.”
*****
Zachary stava guardando la mappa sul muro con la testa piegata. Avevano segnato ogni evento strano avvenuto negli ultimi mesi, cercando di capire se formassero uno schema. Avevano iniziato con poche puntine ma, quando erano state trovate altre prove, le puntine avevano iniziato a formare uno schema.
Angelica prese un pennarello nero e disegnò un cerchio attorno alla zona malfamata e all’area circostante. “Misery agisce in questa zona.” dichiarò. “Gli altri eventi segnati sembrano essere opera di altri demoni che hanno preso coraggio e sono usciti dalla tana.”
“E quello che è successo al Love Bites?” chiese Trevor. “Non era conforme al suo modus operandi.”
“Potremmo dover ampliare il raggio a breve.” disse Chad. “E il corpo che abbiamo trovato oggi?”
Tutti tremarono ricordando la scena. Avevano ricevuto una chiamata dalla polizia riguardo il corpo di un giovane che secondo loro dovevano vedere. L’uomo aveva vent’anni e indossava i resti di una maglietta con il nome dell’università locale.
Quando erano arrivati, la polizia aveva perlustrato l’intera area e circa cento metri tutto intorno. A Chad era sembrato strano ed era andato a parlare con un paio di suoi compagni, al ritorno il suo colorito era notevolmente pallido.
“Che succede?” gli chiese Zachary.
“Hanno detto che dobbiamo vedere di persona...è brutto come quello che hai descritto tu sull’autobus l’altro giorno.”
Mentre i quattro si avvicinavano, Trevor dovette respirare con la bocca per evitare che il tanfo lo facesse vomitare. La cosa peggiore era che poteva sentire l’odore acre ed era altrettanto cattivo. Zach gli diede una mascherina chirurgica estraendola dalla tasca della giacca...ne teneva sempre alcune a portata di mano per situazioni del genere. Quando videro il corpo, persino Zachary dovette voltarsi e fare dei respiri profondi.
Il corpo era stato letteralmente sventrato e tutto quello che era al suo interno adesso era fuori. La cosa peggiore era che tutti avevano notato che era stato divorato, poiché mancavano interi pezzi. Lunghi segni di artigli ricoprivano quel po’ di carne rimasta e le ossa erano in vista, alcune delle quali rotte e sporgenti.
Le cavità oculari furono la parte più brutta quando essi alzarono lo sguardo...gli occhi erano stati cavati. Parte del cuoio capelluto era stato strappato e il cranio era coperto di materia cerebrale che fuoriusciva ancora dal buco lentamente. La bocca era aperta e la lingua anch’essa divorata.
Erano stati asportati grandi pezzi di carne da tutto il corpo e lo stomaco era sventrato. Angelica voltò le spalle alla scena e si coprì la bocca con una mano per evitare la nausea...non servì a molto.
“Povero disgraziato.” sussurrò Zachary e si inginocchiò accanto al ragazzo. Quest’ultima settimana era stata piena di attività demoniache e la situazione non sembrava migliorare. “Qual è la versione ufficiale?”
“La polizia dice che è stato un attacco animale.” rispose Chad.
Angelica scosse la testa “Non è stato un animale.” stridette lei, e si diresse verso la macchina. “È stata la tomba.”
Zachary si destò dai ricordi e guardò Angelica, distogliendo lo sguardo dalla mappa. “Cosa intendevi quando hai detto che era stata ‘la tomba’?”
Angelica aggrottò la fronte. “È tutto quello che sono riuscita a sentire dal corpo. Le ferite erano quasi troppo vecchie già solo per percepire quello. Non so come altro descriverlo se non dicendo che è stata ‘la tomba’ ad ucciderlo.”
Zachary si allontanò dalla mappa e andò al suo portatile poggiato sul tavolino. Collegandosi con il PIT, inviò un messaggio a Storm riportandogli gli ultimi eventi...la sua risposta fu immediata.
“Sembra che Storm stia per sguinzagliare i pezzi grossi del PIT.” Zachary informò gli altri e si interruppe prima di guardare i suoi compagni di squadra. “Ha portato dentro il leggendario Ren...è già qui.”
Trevor tremò visibilmente sentendo quel nome. Ren era sempre stato il fantasma del gruppo... ...più una leggenda che una persona reale, visto che Storm era l’unico ad averlo incontrato. Una volta aveva chiesto a Storm chi fosse il membro più potente del PIT e lui non aveva esitato a rispondere. Ma se Storm stava inviando il suo vice, allora significava che stava inviando un esercito insieme a lui.
Zachary e Trevor sapevano entrambi cosa significasse...la guerra era alle porte.

Capitolo 3

Durante la sua adolescenza, Ren aveva l’abitudine di accedere alla banca dati del Paranormal Investigation Team per poter seguire gli eventi in corso. Era anche abbastanza intelligente da distruggere il computer che aveva usato in modo da non essere rintracciato. Era elettrizzante sfidare i firewall installati su una divisione del governo che presumibilmente non esisteva.
La squadra di investigazioni sul paranormale, altrimenti conosciuta come PIT, sapeva che Ren seguiva i loro casi e si appropriava delle loro informazioni crittografate, ma finora non lo avevano mai preso e non avevano mai trovato un firewall abbastanza forte da escluderlo dal loro sistema privato. Non solo rubava i loro dati, ma Ren lasciava anche dati dietro le sue indagini paranormali.
Dopo diversi anni, il capo del PIT aveva iniziato a lasciare messaggi a Ren dietro i firewall più potenti e più crittografati che Ren avesse mai visto. Fu dietro quei firewall che Ren aderì in segreto all’elusivo gruppo del PIT, ma solo alle proprie condizioni...cioè lavorare da solo.
Chiunque fosse dietro quel firewall non solo sapeva il suo nome, ma anche altre cose su di lui che nessuno sapeva...come il fatto che non era del tutto umano. Fu solo dopo che lui catturò un demone di livello sette, che aveva originato un culto cannibale in Congo, e dopo che ci furono diversi feriti gravi, che l’uomo a capo del PIT lo aveva incontrato.
Ren era nel bel mezzo di una lotta con il demone e quasi sull’orlo della sconfitta quando una mano gli afferrò la spalla...dopodiché si ritrovò su una piccola isola privata in mezzo all’oceano. Ren si girò per guardare l’uomo che si nascondeva dietro i firewall crittografati...Storm.
Scosse la testa ricordando quei momenti. Storm sembrava il cantante di un gruppo rock degli anni ‘80, anziché la mente dietro il gruppo di persone più segreto al mondo.
Storm sorrise e tolse la mano che gli teneva ancora sulla spalla. “Vuoi ritirarti dal PIT con la scorciatoia più scomoda? Perché non resti per un po’? Mi dispiacerebbe perdere il mio migliore amico prima ancora di avere la possibilità di diventarlo.”
“Cosa?” Ren sussultò, portandosi una mano nel punto in cui il demone aveva tentato di strappargli il cuore.
“Mi dispiace.” Storm sospirò e allungò di nuovo una mano. Improvvisamente si trovarono nella struttura per metà sotterranea e per metà subacquea che era nascosta sotto l’isola. “Non c’è nessuno con poteri di guarigione, ma posso sempre portarti da qualcuno che ce l’ha, se vuoi.”
“No.” annuì Ren. “Se mi dai ago e filo, penso di poter risolvere da qualche parte in pochi minuti.” Si appoggiò ad un mobile cercando di restare fuori dalla portata di Storm. “E se mi tocchi di nuovo non avrai più la mano.”
Storm rise e aprì uno degli armadietti superiori, poi fece un cenno con la mano verso tutte le forniture mediche. Il suo sorriso scomparve quando Ren si sbottonò la camicia e Storm vide le profonde ferite che il demone gli aveva procurato. Ancora pochi secondi e Ren sarebbe morto.
“Secondo me, visto che hai un debole per i demoni, potresti imparare un po’ su di loro prima di sfidarne un altro in una lotta.” Storm distolse lo sguardo dai segni di artigli, sapeva già come sarebbero state le cicatrici. Conosceva Ren da molto tempo...quell’amicizia non era ancora nata.
Ren si avvicinò all’armadietto aperto e afferrò quello che sembrava un kit di sutura sterilizzato, poi si spostò verso lo specchio sulla parete. “Se incontri un demone, li hai incontrati tutti...no?” Non poteva trattenere il sarcasmo nella propria voce mentre cercava di bloccare mentalmente il dolore... ...non funzionò.
“Sbagliato.” lo corresse Storm. “Tu sai solo quello che io ho fatto caricare nel database.” Storm si sedette sul lettino medico al centro della stanza.
Ren guardò l’uomo dietro di lui attraverso lo specchio. Le cose nascoste in quel database erano sufficienti a gettare nello scompiglio il mondo intero...già avere il database era di per sé un pericolo. Era difficile credere che ci fosse dell’altro...ma d’altra parte, sapeva alcune cose che non erano nemmeno nel database.
“Ti ascolto.” E lo ascoltò...per settimane.
Storm faceva bene a tenere fuori dagli archivi le informazioni che condivise con lui, per le stesse ragioni per cui il Vaticano tiene la propria roba in archivi segreti. Se alcune di queste informazioni fossero arrivate alla gente normale, sarebbe stata la fine del mondo che conosciamo.
Ren sapeva senza dubbio che l’uomo continuava a nascondere informazioni, perché qualunque dio gli avesse dato il potere di saltare nel tempo e nello spazio aveva anche reso pericoloso per lui raccontare a qualcuno cose oltre il presente. Avrebbe potuto essere il miglior insegnante di storia del mondo...ma se Storm provava a parlare del futuro con qualcuno, poteva rompere il collegamento spazio-temporale...e quel collegamento era Storm in persona.
Aveva anche ragione riguardo la loro amicizia. Erano stati amici dal primo giorno, e questo la diceva lunga, perché nessuno dei due era il tipo che si fidava di qualcuno. La verità era che...erano entrambi molto simili sotto parecchi aspetti.
La piccola isola di Storm era in qualche luogo nel passato ma Storm l’aveva dotata di tutti i comfort di una dimora moderna e di una base futuristica. Un lato dell’edificio faceva sentire Ren come in un enorme acquario, mentre l’altro lato era stato costruito nella robusta roccia che circondava l’isola. L’aspetto migliore era la totale solitudine. Era l’unico posto in cui Ren potesse andare senza stare a contatto con qualcosa di paranormale, eccetto il potere di Storm. All’inizio aveva pensato che Storm avesse una ventina d’anni ma, trascorsi dieci anni da quando lo aveva conosciuto, non era invecchiato di un solo giorno, quindi si chiese da quanto tempo vivesse Storm. L’invecchiamento di Ren stesso era rallentato, poiché passava molto tempo a contatto con Storm e il suo potere.
Ren sussultò quando una voce lo destò dalle sue riflessioni.
“Ho appena fatto di te l’orgoglioso proprietario di una delle case più antiche di L.A.” annunciò Storm quando apparve alla fine del lungo molo che si estendeva dalla sua isola. Sorrise vedendo Ren quasi morto di paura.
“Dannazione, vuoi farti sentire quando spunti dal nulla in quel modo?” Ren si voltò e si appoggiò alla ringhiera, vedendo lo sguardo compiaciuto sul volto di Storm.
“Aspettavi qualcun altro?” Storm rise.
Ren gli lanciò un’occhiataccia, visto che nessun altro aveva mai messo piede sulla sua isola. “Ok, sentiamo. Perché mi hai comprato una vecchia baracca? Non è neanche il mio compleanno.”
Senza preavviso Storm si alzò, afferrò la spalla di Ren e l’oceano si allontanò, lasciandoli in piedi nell’erba e mostrando ciò che poteva passare come una moderna casa gotica in pietra scura. Sentendo l’infrangersi delle onde, Ren guardò verso destra, vedendo l’oceano. Girandosi, si accigliò vedendo il vialetto che continuava fin dove l’occhio poteva vedere, e sulla sinistra non c’era altro che una fitta macchia di alberi.
“Non male per una vecchia baracca.” Storm fece un cenno verso la casa. “Cinquanta acri di fronte all’oceano e completamente rimodernata. È difficile credere che fosse un piccolo castello.”
“Non è così difficile.” Ren girò la testa e fissò Storm “Qual è la fregatura?”
“L.A. ha bisogno di te.” Storm scrollò le spalle e si incamminò. “Non lo senti?”
Ren non rispose mentre seguiva Storm. La verità era che il suo istinto di aracnide gli diceva di fuggire di corsa. Los Angeles...finora suonava più come una vacanza forzata.
Una volta dentro, si trovò in un enorme spazio circolare con una scala a chiocciola aperta che conduceva al piano superiore, il quale si divideva in due ali separate. Storm si diresse verso le grandi porte sulla destra, Ren sospirò e lo seguì.
“Questo è più nel mio stile.” mormorò Ren vedendo i sistemi di sorveglianza sulle pareti e una scrivania di vetro con un computer.
“Ho pensato che questo potesse piacerti.” Storm si appoggiò sul divano che si mosse da solo verso una parte vuota dell’enorme stanza. Vide Ren scivolare dietro la scrivania ed iniziare ad armeggiare con i comandi. “Nessuno può rintracciarti qui, tranne tu stesso forse...e per fortuna non conta.”
Storm vide gli occhi di Ren illuminarsi mentre alzava i palmi a pochi centimetri dalla tastiera. Era un potere strano da possedere e non conosceva nessun altro che lo avesse, ma era così che Ren era riuscito ad eludere i firewall del PIT, che erano cento anni più avanti di quelli che il governo aveva già. Lui stava letteralmente risucchiando tutte le informazioni da quel computer e per quanto ne sapeva gli stava insegnando un paio di cose.
Era divertente perché Ren non sembrava il classico nerd informatico...il suo aspetto era quasi spaventoso. Aveva visto donne quasi inciampare quando lo guardavano.
I suoi capelli erano lunghi poco oltre le spalle, neri come la notte con riflessi blu quando il sole li colpiva nel modo giusto. Ma anche senza il sole, non passavano inosservate le strie argentate che facevano sembrare Ren un ragazzino ribelle più di lui. Se si aggiungevano l’orecchino pendente a croce e il fatto che vestisse sempre di nero, si otteneva una combinazione straordinaria. Per dare più effetto, le iridi di Ren erano come di argento lucido con riflessi blu e un cerchio nero intorno. Teneva sempre con sé gli occhiali da sole a causa di quella stranezza.
Quello che più lo esaltava di Ren era che i computer riuscivano a renderlo felice quanto il potere. Ren era un succubo sotto tutti gli aspetti. Se era vicino ad un computer, si alimentava della sua potenza quasi come un download...ma la sua identità di succubo gli permetteva anche di prendere il potere di chiunque e usarlo per sé.
Ad esempio...se era vicino ad un mutante, era in grado anche lui di trasformarsi. Se era vicino ad un demone, allora aveva tutto il potere di quel particolare demone, ma il lato negativo era che sembrava di usare uno specchio. Non poteva privare il demone dei suoi poteri. Entrambe le parti avrebbero avuto lo stesso potere, quindi non sempre la situazione era vantaggiosa...soprattutto quando l’avversario aveva il potere da più tempo e sapeva usarlo meglio.
L’unico modo in cui Ren poteva sfruttare la cosa era che, se aveva a che fare con più poteri paranormali, allora bisognava stare attenti perché poteva usarli tutti a suo vantaggio.
Un altro punto negativo era che Ren non si trovava bene in squadra quindi rifiutava un partner, il che era un vero peccato. Storm avrebbe potuto affiancargli persone potenti e lui avrebbe potuto emulare chiunque di loro. Anche ora, se Ren voleva teletrasportarsi al centro del mondo e cinquant’anni indietro nel passato, poteva farlo. Per fortuna non era interessato a questo genere di cose. Storm vide la luce negli occhi di Ren spegnersi quando si destò dal mondo del cyberspazio.
Ren sbatté le palpebre e allontanò le mani dalla tastiera per appoggiarsi alla sedia girevole. “Nessuno sa che sono qui?”
“Solo Zachary.” ammise Storm, sapendo che stavano per litigare a riguardo. “Zachary dovrà tenere d’occhio la maggior parte di quelli che sono già qui.”
“Perché non mi piace come suona la cosa?” Ren strinse gli occhi ma ebbe la sensazione che fosse una battaglia persa. “Come mi spieghi la villa e l’organizzazione? Vuoi corrompermi?”
Storm alzò un sopracciglio. “È un po’ difficile corrompere qualcuno che è capace di andare ad un bancomat e ‘convincerlo’ a dargli i soldi.”
“Stai evitando la domanda.” sottolineò Ren.
“Ho lasciato che ti nascondessi alle squadre investigative per tutto questo tempo e, diamine... mi sono addirittura unito a te nella tua solitudine più volte di quanto avrei dovuto.” Storm alzò una mano quando Ren fece per ribattere. “Hai sempre detto di dovermi un favore...adesso te lo sto chiedendo.”
“E favore sia.” La voce di Ren aveva perso acutezza per il suo onore. Storm aveva ragione...gli doveva la vita e lui non lo avrebbe chiamato per qualcosa di stupido.
Storm iniziò a camminare avanti e indietro accanto alla scrivania. “L’unica vera risposta che posso darti al momento è che sei qui per aiutarmi a combattere. Chiederò molti favori stavolta. Porterò in città la migliore squadra del PIT e tu sei promosso a mio vice.”
“Che fortuna.” Entrambi ignorarono che queste parole fossero state pronunciate senza alcuna emozione.
“Zachary sarà responsabile se accade qualcosa.” Storm fece un’importante considerazione. “E prima o poi dovrete scambiarvi informazioni, voi due...soprattutto se io non sono reperibile.”
“Beh, questo non mi suona bene.” Ren si accigliò, chiedendosi silenziosamente perché Storm non avesse ancora le risposte alle sue stesse domande. Per qualcuno capace di viaggiare nel futuro era strano non sapere chi avrebbe vinto una guerra.
“Non sarò in giro per un po’ poiché dovrò rintracciare buona parte delle squadre. Anche se lavorano in coppia hanno la cattiva abitudine di scomparire dal radar e seguire casi per conto loro quando li trovano.” Si passò le mani tra i capelli. “Sarà difficile rintracciarli persino per me.”
“E quando li scaricherai qui io dovrò fargli da babysitter?” gli chiese Ren, desiderando un chiarimento.
“No.” Storm scosse la testa e sorrise a quel pensiero. “Non sono bambini. Il loro compito è uguale al tuo...proteggere la città. Comunicare tra voi sta a te. Ma con il tuo potere, puoi creare una griglia della città per mostrare loro quali sono tutte le zone calde. Questa è solo la base, per ora. Tu e Zachary sarete gli unici a potermi contattare quando non ci sono.”
“Sul serio?” Ren scuoteva la sedia avanti e indietro, incuriosito da tutto quel mistero. “Pensavo di essere io l’asociale tra me e te.” dichiarò Ren. “Hai intenzione di scomparire?” Doveva essere uno scherzo...ma, quando notò l’espressione di Storm, smise di dondolarsi sulla sedia.
Storm si strofinò la nuca, dovendo stare molto attento alle proprie parole. “Sono un viaggiatore nel tempo in questa dimensione, ma se in un’area le pareti dimensionali sono assottigliate o rotte... ...allora il mio potere viene rifiutato.” Per dirla con un eufemismo.
Capire Storm era diventata una scienza per lui e Ren capì improvvisamente la ragione per cui Storm non sapeva chi avrebbe vinto la battaglia. “Fin qui ti seguo.” gli disse.
Storm si avvicinò alla grande finestra che si affacciava sull’oceano e picchiettò sul vetro. “Questo vetro è più che antiproiettile.” Sospirò mentre si girava e vi si appoggiò. “Ma non protegge dal male.” Fece un cenno con la testa verso il divano da cui si era appena alzato e sussurrò parole dimenticate dalla storia.
Ren gridò quando il soffitto e il pavimento si illuminarono con un ampio cerchio che circondò buona parte del lato destro della stanza, con il divano al centro. Poteva anche vedere le pareti luminose della barriera, che collegavano il cerchio sul soffitto al cerchio sul pavimento.
“Che cos’è?” Cercò di trattenere lo stupore dalla propria voce ma fallì miseramente.
“In termini tecnici...è una trappola per demoni.” rispose Storm, gongolando del fatto di aver ufficialmente stupito Ren, cosa molto difficile da fare. “Va’ avanti...cammina attraverso la barriera. Non ti farà del male.”
Ren allungò una mano ma si fermò prima di toccare. “Devo aspettarmi un ospite demoniaco?”
Storm inclinò la testa. “Lascia che ti ricordi una cosa. Se un figlio di caduti ti si avvicina, allora sarai tu a diventare...il demone.” Abbassò la voce facendola suonare terrificante mentre diceva ‘il demone.’ Lui e Ren non erano d’accordo a riguardo. Ren aveva ancora pregiudizi su tutto quello che non capiva.
Ren fece un passo indietro da ciò in cui Storm gli diceva di entrare. Ci mise alcuni secondi per pensare ad una buona risposta. “Almeno sarò io quello che sa dov’è la chiave della gabbia. La domanda è...come faccio ad intrappolarli, metto esche per demoni sul divano?”
Storm sorrise e spinse Ren nel cerchio.
Ren girò su se stesso e fece per tornare verso Storm, ma si imbatté in quello che gli sembrava ghiaccio. Indietreggiando, poggiò i palmi su di esso e rimase stupito nel vedere le pareti della barriera incresparsi dove lui l’aveva toccata, come se la superficie fosse fatta di acqua.
Colpendola di nuovo ringhiò verso Storm “Io non sono un demone!”
Storm alzò un sopracciglio “Bene, sono contento di avere questa nel nostro sistema.”
Ren colpì il muro di...qualsiasi cosa fosse fatto.
“Rilassati, ho modificato l’incantesimo per intrappolare tutto quello che non è umano e siccome tu sei un succubo e io sono a portata di mano...” sorrise di nuovo, sapendo che questa era una lezione che Ren doveva imparare. “A meno che tu non voglia darmi del demone?”
“Ho capito. Spingo la cosa nel cerchio e non devo entrare nella trappola. Ora fammi uscire.”
Storm pronunciò l’incantesimo quasi allo stesso modo di prima, cambiando solo poche sillabe.
Ren imparava alla svelta e aveva già memorizzato i due incantesimi prima di tornare a rifugiarsi dietro la scrivania. Piombò il silenzio prima che Storm sentisse svanire l’umorismo del momento precedente e riprendesse a parlare.
“Questo castello si trovava in Scozia. L’ho portato qui mattone dopo mattone e l’ho ricostruito durante la ‘corsa alla terra’ ma le migliorie sono più recenti. Ci sono trappole per demoni in quasi tutte le stanze e tu sei l’unico che può farle innescare.”
“È davvero bello.” annuì Ren, chiedendosi dove volesse arrivare Storm. A volte le sue storie erano più lunghe di quelle di un vecchio che ripercorre i suoi ricordi senza tempo. Gli era permesso parlare del passato quanto voleva, mentre era pericoloso dire qualsiasi cosa sul futuro.
Una volta aveva chiesto a Storm perché non trascorresse il suo tempo nel passato a correggere tutti gli errori dell’umanità, ad esempio facendo fuori Hitler. Fu allora che lui gli aveva detto che i propri poteri avevano dei limiti...sembrava che cercare di cambiare la storia dell’umanità fosse uno di quelli.
“Questo castello era un regalo di nozze per un mio caro amico.” Storm guardò fuori dalla finestra con la vista della terra che toccava l’oceano...era davvero mozzafiato. Lui deglutì, mettendo da parte il tormentoso ricordo per ora.
Guardando di nuovo Ren, Storm capì che per una volta qualcuno oltre a lui aveva bisogno di un indizio di ciò che stava per accadere. Poiché il suo potere ricorreva a fastidiose regole che gli impedivano di vedere le cose più importanti e di alterare le questioni di cuore, avrebbe dovuto trovare una buona ragione per cui Ren desiderasse restare.
Riusciva già a sentire il dolore nella propria mente a causa delle regole che stava per infrangere, ma lo ignorò.
“Questo posto non resterà qui per molto se non riesco a cambiare il futuro.” La sua voce assorbì la rabbia che lui stava provando mentre combatteva il dolore. “Prima di decidere di portarti qui, sono stato nel futuro diverse volte...solo ad un paio d’anni da adesso. Ogni volta il risultato era diverso e ciò è dovuto ad uno spostamento dimensionale...o a molti spostamenti, proprio qui a L.A.”
Storm si asciugò il sangue che iniziava a colargli dagli occhi e dal naso. “L’ultima volta che ho cercato di venire qui...una parte del castello era crollata e le pareti rimaste in piedi erano ricoperte di sangue secco.”
“Basta.” Ren lo guardò, non gli piaceva il modo in cui il volto di Storm era sbiancato quando era iniziato il sanguinamento. Storm aveva sempre scherzato sul non poter dire a nessuno il loro futuro...dirlo lo avrebbe ucciso, ma Ren non trovò divertente constatare che quella era la verità. “Ho afferrato il concetto, il resto lo scoprirò da solo.”
Storm barcollò fino alla sedia tenendosi la testa. “Sto cercando di pareggiare le probabilità portando a L.A. più aiuti possibili.”
Ren si alzò e si avvicinò alla scrivania afferrando la spalla di Storm, e in un attimo tornarono sull’isola. “Se provi di nuovo a parlarmi del futuro ti prendo a calci nel culo.”
Quando Storm fu abbastanza stabile da capire dove si trovasse, Ren era sparito. Sentendo la lancinante emicrania che probabilmente sarebbe durata per giorni, sorrise, sapendo che ne era valsa la pena. Ren era in posizione e, adesso che Angelica era in città, lei doveva richiamare un altro potere nascosto in grado di ribaltare completamente la situazione a loro favore...avevano bisogno degli dei al loro fianco.
*****
Ren aveva trascorso l’ultima settimana a creare una mappa della città percorrendo tutte le strade. Grazie al download dei file del PIT sapeva dov’erano alcuni non umani, ma mentre camminava o guidava la sua moto, aveva sentito pervaso da un potere che non apparteneva agli esseri in quella lista.
Accese l’enorme schermo che ricopriva una parete dello studio, poggiandovi la mappa e sedendosi sulla poltrona dietro la scrivania. Per chiunque altro, la mappa avrebbe potuto somigliare ad una decorazione natalizia, poiché era piena di puntine luminose di diversi colori.
Erano i colori che adesso stava studiando. Poteva vedere esattamente dove si trovavano i mutanti...era stato anche al Moon Dance e al Night Light. L’angolo delle sue labbra si contorse al ricordo. Aveva commesso l’errore di ordinare l’Heat ed era andato tutto bene finché non aveva deciso di tornare a casa. Nel momento in cui si trovava a metà strada, si ritrovò lontano dai mutanti e completamente ubriaco.
Il territorio dei mutanti era evidenziato per lo più da luci verdi con un paio di puntine rosse e blu...quella blu era la squadra del PIT stazionata in quella zona e tutto quello che accadeva lì era di loro competenza...lo stesso valeva per il branco di lupi.
Per quanto lo riguardava, Michael, Damon e Kane erano cani sciolti, facendo guadagnare loro il colore giallo, mentre la loro progenie senz’anima che si muoveva furtivamente tra le ombre della città era di color rosso sangue. Almeno quel branco di codardi erano abbastanza gentili da dormire tutti insieme durante il giorno e tendevano a restare uniti di notte, il che rendeva più facile delineare il loro territorio.
Ora, per i caduti la storia era diversa. All’inizio era stato difficile individuarli, ma ultimamente erano così instabili che aveva rinunciato, anche se capiva quando erano vicini...poteva sentirli. Ripensò alla lezione di storia che aveva sentito da Storm.
La versione breve era che i caduti avevano quasi distrutto il loro mondo attraversando la nostra dimensione e rapendo alcune donne perché le trovavano belle. Rapirle era stato solo il primo errore. Una volta tornati dall’altra parte del tunnel spazio-temporale, essi si erano accoppiati a turno con le donne rapite.
Il problema era che...i bambini nati da tali unioni non erano come loro si aspettavano e nascendo provocavano la morte delle donne umane.
Solo una piccola percentuale dei bambini era nata con il sangue dei caduti e solo uno su cento era femmina. Gli altri venivano additati come ‘demoni’...ibridi senza sangue. La maggior parte degli ibridi erano quelli che gli umani chiamavano ‘mostri’. Quando quei mostri si ribellarono ai loro creatori, i caduti iniziarono a ripulire il loro mondo da tutti gli ibridi...che fossero mostri o no.
Una volta terminato il genocidio, essi scoprirono che nel loro mondo c’erano ormai dozzine di maschi per ogni singola femmina. Così gli idioti ripercorsero il tunnel, questa volta lasciando le loro creature nella nostra dimensione mentre si accoppiavano con quante più donne potevano...il più in fretta possibile.
Quando i bambini nascevano e le madri morivano, i caduti prendevano tutti quelli nati con sangue puro e li riportavano nel loro mondo, abbandonando qui gli ibridi. Non avendo bisogno dei figli maschi che erano nati, li prendevano e li addestravano a combattere contro i loro fratelli mezzosangue.
Prima che quei ragazzi raggiungessero la pubertà, i sovrani caduti li inviarono qui e chiusero il tunnel tra le due dimensioni...abbandonando qui tutti i bambini tranne le femmine, per le quali avevano sacrificato così tante vite.
La storia non finisce qui. Quei giovani guerrieri erano stati addestrati a fare la stessa cosa che avevano fatto i loro padri...creare fratture nella dimensione...e non solo in quella che portava al loro mondo d’origine. Quella nuova era solo ad un soffio da noi. Si può supporre che da qui derivi la teoria dell’Inferno. Era così vicina che gli umani con sensi acuiti potevano sentirla e a volte vederla.
Mentre i guerrieri cercavano gli ibridi, scoprirono che molti dei loro rivali erano altrettanto potenti come i caduti purosangue. Ci fu spargimento di sangue su entrambi i fronti ed è stato anche documentato che alcuni caduti furono trascinati nell’altra dimensione insieme agli ibridi.
I sovrani assassini che avevano mandato qui i loro figli sapevano che era una condanna a morte. Essi contavano sul fatto che i loro discendenti si ammazzassero a vicenda e sistemassero il disordine che loro stessi avevano lasciato dietro di sé.
Soltanto pochi di quei ragazzi vagavano ancora sulla terra e la maggior parte di essi era più giovane del primo gruppo, essendo arrivati dopo la fine della guerra e dopo la fuga degli ibridi sopravvissuti. Secondo Ren, era a quel punto che le cose si misero male. Non tutti gli ibridi erano ciò che si potrebbe definire ‘demoni’...e, se non rintracciati, potevano fondersi con gli esseri umani e gli animali...generando altri ibridi per oltre un millennio.
Il grande segreto che Storm proteggeva era che la maggior parte delle creature paranormali, mutanti e mannari, o degli esseri umani con una minima abilità paranormale fossero con molta probabilità i discendenti di qualcuno di questi ibridi...ciò comprendeva anche i poteri di succubo che Ren usava per rintracciarli e che usava contro di loro. Pensare di essere parzialmente un ibrido faceva sentire Ren ancora a disagio.
In sua difesa, era abbastanza sicuro che i demoni che aveva ucciso in passato non erano di entità salvifica...o comunque era autodifesa perché avevano cercato di ucciderlo.
A peggiorare le cose c’era che Storm gli aveva svelato che alcuni ibridi originali non fossero malvagi, anche se emanavano la stessa aura di un demone di alto livello. E se questo non era abbastanza, allora bastava aggiungere il fatto che un vampiro non fosse affatto un ibrido...ma una cosa completamente diversa che aveva invaso la terra.
Ren si strofinò la tempia sinistra, fissando ancora la mappa. Tutta l’area tracciata, in cui aveva sentito una spinta di energia, era buia e, considerando che Misery non rimaneva mai nello stesso posto...era la maggior parte della città. Ma tenendo conto che lei aveva un debole per i vampiri senz’anima, poteva solo permetterle di rivendicare le aree vicine al nido di vampiri.
Ciò lasciava un sacco di poteri fuori dall’elenco e tra di essi si nascondeva il motivo della sanguinosa profezia di Storm. A proposito di Storm, non lo aveva visto da quando aveva detto di tornare sull’isola e finora non si era fatto vivo nessuno che dichiarasse di essere un membro del PIT.
Ren sorrise, sapendo esattamente come ottenere l’attenzione di Storm. Era entrato così in sintonia con il sistema informatico high-tech che non doveva fare altro che trovarsi nella stessa stanza con esso. Vide lo schermo del computer illuminarsi quando si collegò al sistema principale del PIT, poi caricò la mappa dietro i firewall che solo lui e Storm potevano eludere.
Di solito ci volevano solo pochi minuti prima che Storm rispondesse o comparisse, perciò quando i minuti trascorsero senza una risposta, Ren si preoccupò. Poi lo schermo si illuminò.
Storm apparve sullo schermo in modo che Ren potesse vederlo e si scostò dal naso un fazzoletto macchiato di sangue, prima di appoggiarsi alla sedia e sorridere a Ren attraverso la webcam.
Ren aggrottò la fronte e vide che Storm era nella casa sull’isola. “Mi sorprende che tu non sia venuto di persona...ma a quanto pare hai infranto di nuovo le regole.” lo rimproverò Ren con un sopracciglio alzato.
“Il flusso temporale nella tua zona mi impedisce di venire e mi provoca un tremendo mal di testa.” spiegò Storm, tenendo in mano il panno insanguinato.
“E allora smettila di provarci.” Ren gli lanciò un’occhiataccia.
Storm annuì. “Dovremo rimanere in contatto in questo modo finché le cose non si calmeranno. Le squadre del PIT sono in arrivo ed è ora che tu inizi ad imparare a lavorare con loro, per il bene di tutti. Dal momento che hai una memoria fotografica e hai letto i loro file, sono certo che sai su di loro più di quanto sappiano loro stessi.”
“Quindi alla fine mi getti in mezzo ad un mucchio di persone con dei poteri? Ti sembra una cosa intelligente da fare? Cosa succede se non riesco a controllarmi?” chiese Ren, non entusiasta all’idea di lavorare con qualcun altro oltre a Storm.
Storm sorrise e scrollò le spalle. “La pratica rende perfetti, Ren, e tu stai per seguire un corso intensivo di interazione umana. Zachary e Angelica stanno venendo da te, così potranno accedere alla banca dati e a tutte le attrezzature che ho installato nel castello. Inoltre gestiranno la maggior parte delle squadre del PIT in arrivo. Quanto a te, il tuo compito è cercare di scoprire cosa diavolo è che sta provocando il flusso temporale e mi impedisce di venire lì.”
Si fermò per un attimo prima di avvicinarsi allo schermo. “Rispondi alla porta.”
Il collegamento video si interruppe bruscamente, lasciando Ren a fissarlo con le sopracciglia alzate. Un forte colpo alla porta lo fece guardare in quella direzione, e poi di nuovo verso lo schermo vuoto.
“Odio quando fa così.” brontolò Ren, e si alzò dalla poltrona afferrando gli occhiali da sole per nascondere i propri occhi.
Oltrepassando le doppie porte che davano nel foyer, Ren andò alla porta e guardò i suoi ospiti... ...che stavano per diventare suoi coinquilini.
Zachary sorrise quando vide il giovane all’ingresso. “È un piacere incontrare finalmente il vero ‘asso nella manica’ di cui Storm parla da quando lo conosco.”
Ren serrò le mascelle ma afferrò la mano protesa di Zachary e annuì verso Angelica prima di farsi da parte per farli entrare. Conosceva tutti sull’elenco del PIT e sapeva quali poteri avevano. Aveva memorizzato i profili di tutti i membri del PIT non molto tempo dopo che Storm lo aveva arruolato.
Storm aveva aggiunto delle note nella versione riservata dei profili e Ren aveva scaricato mentalmente anche quelle. Storm aveva ragione...probabilmente sapeva su di loro più di quanto loro stessi sapessero.
Zachary era un po’ ribelle, Storm lo aveva descritto come una doppia personalità...un attimo Zachary scherzava e quello dopo era letale come un cobra infuriato. Aveva visto i notiziari riguardo l’incendio che un po’ di tempo fa era scoppiato in casa di un boss mafioso e dietro l’intera faccenda si nascondeva il nome del PIT, più precisamente di Zachary. La mattina successiva Zachary aveva depositato il rapporto nel sistema del PIT, confermando i sospetti di Ren.
Il potere di Angelica era un po’ più complesso, essendo in grado di uccidere i demoni con la magia che possedeva dalla nascita. Una volta Storm l’aveva definita ‘la chiave’ ma non aveva mai detto cosa diavolo dovesse aprire.
Il suo fascicolo era più grande di tutti gli altri...era come se Storm documentasse ogni suo movimento sin dalla nascita. Ren non riusciva a capire il perché...e in quel momento non se ne preoccupò. Senza dire una parola, chiuse la porta e si diresse verso la stanza che fungeva da ufficio. In qualche modo sapeva che lo avrebbero seguito.
“Allora...” disse Zachary dopo meno di un minuto di silenzio imbarazzante “...vivi da solo?”
“No.” rispose Ren. “Ho dei nuovi coinquilini.”
Angelica sorrise per l’espressione perplessa che apparve sul volto di Zachary. “Penso che stia cercando di rompere il ghiaccio.”
“Se la cava male.” disse Ren, sentendosi già soffocare.
“Lo so.” Angelica si addolcì, sapeva riconoscere un tipo solitario quando ne incontrava uno.
Zachary lanciò un’occhiataccia ad Angelica. “Ehi, tu dovresti stare dalla mia parte.”
“Perché?” Angelica rise. “Che tu ci creda o no, alcuni di noi possono stare per giorni senza aprire bocca. Con te...sono fortunata se trascorro due secondi senza sentirti dire qualcosa.”
“Io so stare zitto!” esclamò Zachary. “Guarda!”
Poi Zachary scivolò sul divano e incrociò le braccia al petto con le labbra serrate. Angelica roteò gli occhi, prima di alzarsi per dare un’occhiata più da vicino al sistema informatico che Storm aveva predisposto.
Ren la guardava attentamente, pronto a rispondere a tutte le domande che lei avrebbe potuto fargli e poi guardò Zachary. Per qualche ragione l’altro ragazzo trovava molto interessanti i bottoni della sua camicia. Ren contò mentalmente fino a cinque prima dell’inevitabile esplosione.
“BAH!” gridò Zachary. “Non ce la faccio.”
Ren rise, facendo girare Angelica e Zachary con sorpresa. Non durò a lungo e Ren si passò una mano tra i capelli prima di guardare gli altri. “Andate ad esplorare il castello, ci sono un sacco di camere da letto.” disse, dopo che tutte le tracce di umorismo svanirono dal suo volto.
Angelica annuì “Vado a prendere la mia valigia.”
Una volta uscita, Ren guardò Zachary e si trovò faccia a faccia con l’altro lato della personalità del piromane. “Sono curioso...tu che poteri hai?”
“I tuoi.” disse Ren “E quelli di Angelica...e di chiunque altro sia a portata di mano della mia personalità di succubo.”
Zachary girò il palmo e lo aprì, visibilmente soddisfatto che i propri poteri fossero ancora lì.
“Non ho detto di averti privato del tuo potere.” Ren scrollò le spalle, rifiutandosi di ricorrere a banali trucchi per dimostrare quello che stava dicendo. Incrociò lo sguardo di Zach e vide l’uomo disturbato dietro la maschera. “Stando vicino a me, mi stai dando il tuo stesso potere.” disse lui per chiarire.
“Mi occuperò di Angelica mentre siamo qui.” annunciò Zach di punto in bianco.
“Io non sono una babysitter, potrai occuparti di tutti quelli che arrivano.” lo corresse Ren. “Non è compito mio.”
Zach annuì come se avesse appena vinto una guerra strategica. “So che Storm sta riunendo un esercito.”
Ren annuì “Già.”
“Ne avrà bisogno.” Zach si strofinò le mani sulle gambe e si alzò. “Chi altro ha chiamato?”
“Quasi tutti, per quanto ne so.” rispose Ren. “Ma ce ne sono alcuni che non è riuscito ancora a rintracciare.”
“Posso fare qualcosa?” gli chiese Zach.
Ren fece un cenno verso il computer. “Trova quelli che Storm non riesce a trovare. Ha fatto un elenco di tutti quelli che mancano ancora all’appello.”
Zach sorrise e si avvicinò al computer. “Vediamo chi ha perso per strada l’onnipotente.”
Ren lo guardava, completamente affascinato da questo totale cambio di atteggiamento. Non sapeva quale lato preferiva...ma sapeva di quale si fidava di più.

Capitolo 4

Angelica era distesa sul letto con un paio di cuscini appoggiati alla testata dietro di sé, cercando di sfuggire al sonno...il suo nuovo passatempo preferito. Appena ritornata con la sua valigia, capì che Zachary aveva cambiato personalità con Ren mentre l’altro uomo era seduto sul divano a fissarlo. Zachary le aveva detto di trovarsi una stanza e dormire, così lei aveva finto di farlo. Aveva camminato per un po’ lungo i corridoi prima di scegliere una porta a caso e aprirla. Dopo aver visto l’interno, sorrise e mise la valigia sul letto. La stanza era decorata nei toni del viola, accentuati da oro e tenui tonalità di lavanda.
Il letto a baldacchino, probabilmente imperial size, era enorme, con cuscini e coperte dorati e viola. Le lenzuola e le federe erano color lavanda e lei quasi ridacchiò per le piccole nappe dorate ai loro angoli.
Sul lato opposto della stanza c’era un grande armadio. Mentre lo apriva si aspettava quasi che fosse pieno di abiti da ballo in vecchio stile. Per sua delusione era vuoto. Sulla parete di fronte al letto c’era un’antica toeletta con un grande specchio.
Accanto al letto c’era una scrivania con penne e fogli, insieme ad una nota in cui c’era scritto che la porta dati per il suo portatile era lì sotto. Angelica quasi rise nel leggerla e si chinò per dare un’occhiata. Abbastanza sicura, vide il punto di accesso, prese subito il suo portatile e lo collegò.
Dalla sua pigra posizione sul letto aveva una vista perfetta della luce della luna che splendeva sull’oceano, attraverso i vetri del balcone. Sorrise perché quello sì che era un balcone.
Buona parte delle persone che la conoscevano avrebbe pensato che non le piacevano cose così da femminuccia...ma tutte le bambine fantasticano di essere una principessa in un castello e lei non era diversa. Lei fingeva anche di essere Cenerentola o la Bella Addormentata, aspettando che il suo principe venisse a prenderla.
Peccato che non credesse più alla storia del cavaliere con l’armatura scintillante che venisse a salvarla dai grandi demoni cattivi che circondavano il castello.
Con un sospiro, Angelica guardò di nuovo il suo disegno e tracciò altre linee prima di posare la matita sul comodino accanto a lei. Poggiando l’album sulle gambe, alzò la mano e scrutò il palmo dov’era impresso il simbolo. Non era una bruciatura né un tatuaggio...era lì e basta.
Riprendendo l’album, guardò il ritratto di Syn che aveva fatto e aggiunse il simbolo nell’angolo in basso a destra della pagina. Sbatté le palpebre quando l’immagine iniziò a sfocarsi e abbassò di nuovo l’album, chiudendo gli occhi per un attimo solo per impedire che le bruciassero.
Syn apparve accanto al letto di Angelica non appena lei si addormentò. Si era fatto strada silenziosamente nella città e nel castello, indagando la mente di tutti quelli con cui lei aveva avuto a che fare. Doveva acquisire dettagli sulla sua vita in modo da sapere esattamente con cosa avesse a che fare. Finora, le informazioni più interessanti le aveva ottenute dalla mente di Zachary.
L’uomo biondo era tagliente come una frusta ma nascondeva quel particolare sotto molti strati. Aveva anche un potere tutto suo, proprio come un ibrido. Zachary le era stato assegnato come suo protettore e prendeva sul serio il proprio compito. Syn sapeva che Zachary avrebbe dovuto superare rapidamente la sua cotta per Angelica...lei non era fatta per gli ibridi.
Zachary aveva letto il suo dossier che conservato dal PIT a partire dalla nascita fino ad ora. I dettagli erano molto accurati e, sfruttando le informazioni nella mente di Zachary, Syn concluse che c’erano diverse persone del suo passato, della sua infanzia per essere più precisi, che presto sarebbero andate incontro ad un destino molto spiacevole.
Syn promise silenziosamente che le avrebbe cancellate dalla faccia della Terra senza che lei lo sapesse. Lei non avrebbe mai più conosciuto il dolore del rifiuto e di qualsiasi tipo di violenze.
Syn aveva visto negli occhi di Zachary i ricordi di Angelica che combatteva i mostri di questo mondo e capì che era pura fortuna che fosse ancora viva. Era sicuro che lei ne fosse consapevole, anche se con la sua interessante visione di questo mondo non l’avrebbe mai ammesso. I suoi occhi si posarono sulle labbra di lei, sapendo la vera ragione per cui era venuto da lei stanotte.
Chinandosi su di lei, Syn mise delicatamente le mani sul cuscino ai lati della sua testa e lasciò che le proprie labbra tentatrici vagassero sulle sue. Quando lei inalò profondamente nel sonno, le labbra di lui si aprirono e soffiò dolcemente. Lui vide i fili argentati del potere fluire dalle proprie labbra verso le sue. Era la sua promessa...il dono di un dio del sole nel dare il respiro vitale alla propria anima gemella, per la sua protezione. D’ora in poi, qualsiasi ferita ricevuta sarebbe guarita altrettanto rapidamente di come l’aveva subita...e lei non sarebbe mai invecchiata.
Lui si alzò in piedi e la guardò con occhi teneri. I capelli castano scuro di lei ricaddero dai cuscini, brillando alla fioca luce della stanza. Il ricco broccato dei cuscini gli ricordò com’era lei l’ultima volta che l’aveva vista dormire nel loro letto, nel loro mondo.
Il palmo della mano destra di lei era rivolto verso l’alto, mostrando il segno che lui vi aveva impresso. Esso aveva già iniziato a fare il proprio dovere, risvegliando in lei i poteri e, ben presto, anche il suo desiderio per lui.
Lui provò di nuovo a scrutare la sua mente, ma la sua capacità di bloccarlo era forte in questa vita così come lo era stata in passato. Fu pervaso dalla gelosia sapendo che Zachary poteva leggere la sua mente e lui no. Ci pensò, ma concluse che la cosa aveva a che fare con la fiducia. Lei si fidava di Zachary abbastanza da abbassare la guardia...e lui aveva intenzione di ottenere quella stessa fiducia.
Se lei gli aveva insegnato qualcosa era l’avere una mostruosa dose di pazienza, e lui si rese conto di star iniziando a perderla. Al momento le sue barriere mentali erano alte, ma lui non vedeva l’ora di superarle e convincerla a farlo entrare di nuovo. Adesso che lei era protetta dal suo potere, lui avrebbe avuto tutto il tempo di cui aveva bisogno.
Syn si sedette sul bordo del letto e prese l’album per vedere a cosa stava lavorando lei. Una calma intensa lo pervase quando vide un’immagine molto somigliante a se stesso...lei lo stava già cercando senza neanche saperlo.
Angelica sentì un movimento accanto a sé ed aprì gli occhi, pensando che fosse Zachary. Solo lui avrebbe avuto il coraggio di entrare nella sua camera mentre dormiva.
Fu stupita di vedere l’uomo dai capelli scuri che aveva appena disegnato, seduto sul bordo del suo letto, con in mano il disegno a cui stava lavorando. Angelica agì d’istinto, si sporse verso di lui con il palmo aperto, per esorcizzarlo come avrebbe fatto con qualsiasi demone.
“Ciao, mogliettina.” Syn la afferrò per il polso senza distogliere lo sguardo dal disegno e finì di studiarlo, prima di alzare lo sguardo ametista verso di lei.
Angelica portò un gomito in posizione, tendendo il braccio. Alzò un sopracciglio, decidendo di ignorare la parola ‘mogliettina’...i demoni erano deliranti.
Improvvisamente Syn la tirò a sé fin quando non furono a pochi centimetri, vicini ma senza toccarsi. Senza mai abbassare lo sguardo, lui si portò il palmo di lei alla bocca e baciò il simbolo improvvisamente illuminato.
Angelica smise di respirare per qualche secondo...si sentiva come se lui l’avesse eccitata con un solo gesto così semplice e seducente.
“Sei un demone davvero stupido.” disse lei, cercando di scacciare la sensazione delle sue labbra sul proprio palmo.
“Io non sono un demone.” la informò Syn. “E la tua magia non funzionerà mai su di me.” Le lasciò il polso quando il braccio di lei si rilassò nella sua presa.
Angelica ritrasse lentamente la mano. “Solo perché lo dici, non vuol dire che sia vero.” Strinse la mano intorno al polso cercando di spazzare via la sensazione della sua carne calda che la toccava. “Chi sei?”
“Puoi chiamarmi Syn.”
Angelica sentì brividi freddi pervaderla a quel nome. Pensava già a diversi motivi per cui quel nome gli si addiceva. “D’accordo Syn, perché sei qui?”
“Qui nei tuoi sogni...o qui nel tuo letto?” le chiese Syn con l’accenno di un sorriso che sfiorava le sue labbra perfette.
Cavolo, aveva ragione. Era assolutamente peccaminoso. Ricordando che gli altri sogni erano stati tutti incubi, Angelica si guardò lentamente intorno nella stanza e poi guardò di nuovo lui. “Non sto sognando...ho sentito che mi toccavi...io...ho sentito le tue labbra toccare la mia mano.”
“Solo perché stai sognando, non vuol dire che sia vero.” Syn ripeté con fascino la sua precedente affermazione.
Lo sguardo di Angelica si strinse quando lui strappò il disegno che lei aveva appena fatto sul suo album. Lui lo arrotolò con cautela invece di piegarlo, e poi lo ripose in una tasca profonda nella fodera interna del suo soprabito. Lei non poteva fare a meno di guardare le sue mani mentre si muovevano. Sembravano così lisce e intatte...proprio come i libri di storia descrivevano quelli di stirpe reale. Alla fine, lei lo guardò di nuovo e si accigliò quando vide l’accenno di un sorriso.
“Perché sei qui, sul serio?” gli chiese.
“Per tenere lontani gli incubi mentre dormi.” rispose Syn, e si appoggiò al montante dietro di sé. “Riposa Angelica, stanotte nessun incubo o demone disturberà il tuo sonno.”
Angelica scattò dal letto con il sole che filtrava dal balcone...era mattina. Guardando ai piedi del letto, si sporse in avanti e toccò il punto in cui era seduto Syn. Non c’era traccia che fosse stato lì e Angelica fece un respiro profondo. Era solo un sogno, dopotutto.
Portando le gambe giù dal letto, si alzò e sentì qualcosa cadere sul pavimento. Prese il suo album da disegno e fece per chiuderlo ma si fermò quando ricordò il sogno.
Aprendolo di nuovo, scorse le pagine e si fermò quando vide che il disegno che aveva fatto la notte scorsa era scomparso. Al suo posto c’era un bel disegno a matita di lei addormentata in questo letto. Era stato fatto con altrettanti dettagli come aveva fatto lei con lui. Nell’immagine, la propria mano era rilassata vicino al viso e lei notò il simbolo disegnato. Proprio sotto il disegno c’era la parola ‘Syn’ scritta con un’elegante calligrafia.
*****
Tabatha parcheggiò la sua auto nel parcheggio VIP del Moon Dance e scese. Aggiustandosi il vestito corto, mise le chiavi nella borsetta e si avviò verso l’ingresso. Era stanca di nascondersi in quell’appartamento solitario nell’attesa di vedere se Kriss sarebbe mai tornato a casa. L’eccitazione della folla la fece sentire già un po’ meglio.
Nick sorrise vedendola arrivare e sganciò il cordone per farla passare davanti a tutti gli altri che erano in attesa di entrare. Non lo fece perché era la migliore amica della compagna di suo fratello, lo fece perché senza Tabatha...non avrebbero fatto in tempo a trovare e a salvare Micah. Lui posò lo sguardo sulla sua spalla scoperta. L’ultima volta che l’aveva vista...quella spalla aveva una ferita abbastanza brutta, ma adesso non c’era neanche un segno. Sembrava che ci fosse una specie di fata della guarigione in città, perché era accaduta la stessa cosa alle ferite di Micah.
“Come sta andando la serata?” le chiese con curiosità quando vide una traccia di tristezza nei suoi occhi.
Tabatha gli rivolse un lieve sorriso. “Tutto bene.”
“Non ti hanno detto che sembri un bel bocconcino?” le chiese con un lampo negli occhi. Era il modo più rapido per tirare su di morale una ragazza...lui doveva saperlo, era circondato da ragazze tutte le sere.
Tabatha scosse la testa sorridendo. “Sei incorreggibile.”
“Esatto.” concordò Nick. “Quindi significa che verrai a casa con me stasera?”
“Neanche per sogno!” ribatté Tabatha con un sorriso, poi aggiunse “E poi, tu abiti al di piano sopra della discoteca, sarebbe troppo facile.”
Nick si posò una mano sul cuore e fece finta di darsi due pugni. “Tabby, dolcezza...mi ferisci. Le mie intenzioni erano del tutto innocenti.”
“Come no.” Tabatha rise, poi gli fece l’occhiolino. “Ma potrei chiederti di ballare, dopo.”
Nick le si avvicinò mentre le teneva aperta la porta. “E io potrei accettare.”
Tabatha entrò e fece un respiro profondo, amava l’atmosfera familiare. Erano passati un paio di giorni dal suo incontro con Kane e non aveva ancora notizie di Kriss. La sua preoccupazione era svanita, sostituita da una leggera depressione che solo Kriss avrebbe potuto guarire.
Il ritmo della musica vibrava attraverso il suo corpo e lei si avvicinò alla ringhiera per guardare la pista da ballo. Era tardi, quasi mezzanotte, e il club era in piena attività. I corpi si strusciavano al ritmo della musica techno che pompava dalle casse e l’area bar era quasi piena. Tabatha si guardò intorno cercando di decidere cosa fare prima. Era stanca di stare da sola e aveva capito che questo era esattamente quello di cui aveva bisogno per uscire dalla sua malinconica paura.
Dirigendosi verso il bar, Tabatha sbatté la borsetta sul bancone. “Cosa deve fare una signora per avere un drink, qui?” chiese.
“Mordermi!” esclamò Envy e le porse un drink. “È tutto, madame?”
“No.” disse Tabby. “Ho ancora bisogno di morderti.”
“Stia attenta.” disse Envy. “Anche io mordo.”
Tabatha prese il drink e ne bevve metà in un sorso, ricordando i drink che aveva bevuto al Silk Stalkings poche sere prima e il modo in cui Kane l’aveva baciata, rendendola sobria. Quello che più la irritava era che ogni volta che ci pensava, sentiva una calda e dolorosa sensazione verso il basso ventre e le cosce. Sussultò ancora una volta quando la sentì.
Envy notò il comportamento di Tabatha e capì che qualcosa non andava. Si conoscevano da troppo tempo per non notarlo. Iniziò a prepararle un altro drink quando la vide poggiare il bicchiere vuoto.
Quando servì a Tabatha il secondo drink, notò che lei non se ne accorse e che, invece, guardava distrattamente tutti gli altri che si divertivano.
Kat stava lavorando a poca distanza dalla postazione di Envy e guardò Tabatha con la coda dell’occhio. Capì che era tesa e si chiese cosa fosse successo negli ultimi giorni. Prendendo una bottiglia di Heat, attirò l’attenzione di Envy e le mostrò la bottiglia prima di fare cenno con la testa verso Tabatha.
Envy guardò la sua amica prima di fare a Kat un cenno di approvazione. Kat preparò un drink e aggiunse una piccola dose del potente liquore prima di darlo a Envy.
“Grazie.” disse Envy e porse il bicchiere a Tabatha. “Tieni, Tabby, offre la casa.”
Tabatha guardò il drink e sorrise. “Grazie!”
“Allora...” iniziò Envy, appoggiandosi al bancone “...perché sei giù di corda?”
“Niente di importante, credo.” rispose Tabatha.
“Sì, certo.” esclamò Kat avvicinandosi. “Se la tua faccia fosse più lunga, il tuo mento sarebbe ancora a casa a guardare la tv.”
“Sono solo furiosa con Kriss.” disse Tabatha dopo qualche secondo. Se non riusciva a parlare con la sua migliore amica allora poteva anche andare a casa e rimanerci. “Non è mai stato via così tanto senza chiamarmi o farmi sapere qualcosa. Ha lasciato il suo lavoro al Silk Stalkings pochi giorni fa e nessuno lo ha visto da allora.” Non confessò di sentirsi come se fosse stata mollata...il petto continuava a farle male da giorni.
Kat prese un tovagliolino da dietro il bancone e lo porse a Tabatha quando le lacrime iniziarono a scenderle. Se non lo avesse saputo, avrebbe giurato che quella fosse la reazione di un’innamorata quando il proprio cuore viene infranto. Envy le aveva detto che Kriss era gay, ma Kat si chiese se tra Kriss e Tabatha fosse successo qualcosa di cui Envy non era a conoscenza.
“Perché è andato via senza salutare?” chiese piano Tabatha, tamponandosi le lacrime sulle guance. Ricorse alla rabbia per smettere di piangere...odiava piangere. “Pensavo di meritare almeno questo.”
Envy serrò le labbra...Kriss non avrebbe mai fatto una cosa simile senza un buon motivo. Cavolo, era sicura che lui la amasse, ma lui amava anche Dean. Le sue mani si strinsero sul bancone quando si rese conto del perché Kriss era lontano...Dean.
“Sono sicura che tornerà.” disse Kat. “Sei una buona amica e meriti di sapere la verità.” Guardò Envy. “Giusto?”
“Assolutamente sì.” rispose Envy, affondando la propria rabbia nello stomaco. “Sai cosa dovremmo fare? Trovare il Signor Tuttopiume, infilarlo in un nido di formiche dopo averlo ricoperto di miele e lasciarlo lì. Così impara a telefonare, la prossima volta.”
Tabatha alzò le sopracciglia verso la ragazza dai capelli rossi. “Affare fatto.”
“Oh, oh.” disse Kat eccitata. “Meglio ancora, lo spiumiamo e lo leghiamo come un tacchino per il Ringraziamento, poi lo lasciamo al bar per motociclisti dall’altro lato della città. Alcuni di loro sono davvero spaventosi.”
Envy scosse la testa “No, gli piacerebbe troppo.”
“Trovato!” esclamò Kat vedendo il labbro di Tabatha iniziare a contorcersi per la loro scenetta. “Lo mettiamo k.o., lo teniamo prigioniero nella camera da letto di Tabatha e lo nutriamo solo di pane e acqua finché non si arrende e accetta di essere schiavo del sesso di Tabatha per l’eternità.”

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