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Morrigan
Laura Merlin



LAURA MERLIN


MORRIGAN
La vendetta della Dea




Per voi a me cari!
Fisicamente distanti.
Spiritualmente vicini.
“Lei è la luce che mi guida
nel mio incerto destino.
Lei mi disse di non aver paura
e di prendere le sue mani.
Lei è morte, lei è vita
Mia Dea, Morrigan!”
(Trobar de Morte – Morrigan)

1
L’INCUBO



C’è qualcuno che mi sta inseguendo.
Attorno a me soltanto enormi distese di erba incolta.
Il vento soffiava talmente forte che lo sentivo pungere sulla pelle. Abbassai lo sguardo. Avevo indosso solo una camicia da notte di seta bianca.
Ero consapevole di star sognando, ma allo stesso tempo sapevo che i miei sogni non avevano mai avuto niente di normale.
Feci qualche passo avanti guardandomi alle spalle.
“Sofia”, sembrava gridare il vento.
“Sofia!”
Mi girai. Un enorme corvo nero stava planando dritto verso la mia testa.
Un brivido mi salì lungo la schiena e mi misi a correre.
Le ali battevano sempre più vicino.
Mi voltai, sperando di non trovare il corvo pronto a buttarsi in picchiata come fossi la sua preda, ma il respiro si bloccò in gola.
Una figura sfocata mi stava osservando immobile. Solo i lunghi capelli rossi come il fuoco e il lungo vestito color porpora erano mossi dal vento.
Chi diavolo era?
Perché mi stava spaventando a morte?
Nel mio sogno, tra l’altro!
Le gambe cominciarono a cedere, solo che non potevo fermarmi. Non c’era nessun nascondiglio nelle vicinanze. Fortunatamente la paura mi dava una scarica di adrenalina tale che avrei potuto correre per chilometri senza sentire dolore.
Dopo un po’, in lontananza vidi la sagoma di quella che sembrava essere la mia casa.
Sembrava soltanto, in realtà, perché più mi avvicinavo, più notavo che c’era qualcosa di diverso.
Non riuscivo a capire cosa.
Il corvo era ormai a poca distanza da me e sentivo il suo gracchiare infuriato proprio sopra la testa. Con stupore notai che quell’uccellaccio parlava.
“Fermati, Sofia, non ti farò del male”.
Sentii quelle parole così vicine da credere che forse le avevo soltanto immaginate nella mente. Dopotutto, nei sogni anche gli animali possono parlare.
Diedi una sbirciatina veloce alle mie spalle per vedere dove fosse.
Dietro di me il nulla, neanche lo spettro di donna che avevo visto prima. Era rimasto soltanto l’infuriare del vento nei campi a piegare le spighe.
Riuscii a raggiungere la porta. Spinsi per vedere se era aperta e ringraziai la Dea Fortuna per essersi accorta che esistevo anch’io.
Si aprì senza il minimo sforzo.
Appena misi piede dentro casa fui subito accolta da una sensazione di vuoto. Qualcosa mi diceva che era tutto sbagliato. I pavimenti, solitamente di piastrelle rosa chiaro, erano sporchi e pieni di foglie, i mobili inesistenti. C’era soltanto un pianoforte a coda nero, così lucido e pulito che l’unica cosa che si poteva distinguere senza problemi, oltre ai tasti bianchi, era la marca scritta a caratteri grandi color oro.
Mi avvicinai tentata dal desiderio di suonare, ma i tasti cominciarono a muoversi da soli.
Mi fermai, pietrificata dalla paura.
Per qualche istante non respirai nemmeno, rimasi ad ascoltare in silenzio le note. Una melodia sconosciuta, oscura e ipnotica al tempo stesso, come se il pianista fantasma volesse sottolineare che ero approdata in un vero e proprio incubo.
Mentre la musica usciva misteriosamente, cominciai a intravedere una sagoma di donna seduta davanti alla tastiera dello strumento, tutta concentrata a suonare. Sbattei le palpebre un paio di volte fino a che la figura non mi apparve chiara.
Non ci potevo credere! Era lo spettro che mi stava inseguendo pochi istanti prima.
I suoi lineamenti però erano stranamente familiari. I lunghi capelli rossi e ondulati le ricadevano fin sotto le spalle e indossava anche lei una camicia da notte di seta bianca. Avevo la netta sensazione di conoscerla. Sforzai ogni singolo neurone del mio cervello per capire dove l’avessi già vista.
‹‹Chi sei? Perché mi stai seguendo?››, riuscii a chiedere cercando di nascondere il terrore nella mia voce. ‹‹Che vuoi da me?››.
La ragazza smise di suonare e si mise a ridere come se avessi detto qualcosa di divertente.
Con fare lento si girò verso di me, si alzò in piedi e in un istante mi ritrovai faccia a faccia con…
No, non poteva essere!
Dovevo avere sicuramente la vista annebbiata.
Chiusi gli occhi per un po’ cercando di schiarirmi le idee, ma quando li riaprii mi accorsi che avevo visto giusto.
Stavo scappando da me stessa.
‹‹Ciao Sofia, mi riconosci?›› disse l’altra me.
‹‹Non riesco a capire. Perché sto parlando con… Beh, sì, con una specie di me stessa?››.
‹‹Questo è vero, io sono un’altra metà di te. Ora ho poco tempo per spiegarti e devi ascoltarmi. Sei in pericolo e ti stanno cercando. Sa chi sei e anche lui ha bisogno di te››.
Parlò in maniera talmente veloce che quasi non riuscii a capire cosa mi stesse dicendo.
‹‹No, aspetta››. La bloccai sconcertata. ‹‹Cosa vorresti dire con “anche lui ha bisogno di te?”››.
‹‹Tu sei la terza divinità, devi aiutarci a sconfiggere chi ci sta togliendo tutte le libertà››. Il suo tono era disperato. ‹‹Lui ti sta cercando per ucciderti, perché sa che senza te il potere di Morrigan non può venire alla luce››.
Mi girava la testa, non riuscivo a capire più niente.
Il flusso dei pensieri si bloccò di colpo e decisi che dovevo saperne il più possibile. ‹‹Cos’è il potere di Morrigan? Non riesco a capire, cosa devo fare? In che modo potrei salvarti?››.
‹‹Ci sarà il tempo per spiegare ogni cosa quando ci raggiungerai››. La sua voce assunse un tono grave. ‹‹Il tuo tempo sulla terra è ormai finito. Devi unirti a noi, Sofia››.
L’altra me spalancò gli occhi all’improvviso, come se avesse percepito la presenza di qualcuno che non doveva essere lì. Cominciò ad agitarsi e a guardarsi attorno preoccupata.
‹‹Mi hanno scoperta, maledizione››, imprecò. ‹‹La Dea ti vuole, il tuo destino è già stato scritto. Non puoi cercare di cambiare il corso degli eventi. Salvaci!››.
Pronunciò queste parole con intensità e violenza tali che sembrarono lame taglienti. Mi colpì nel profondo dell’anima e capii che forse non era solo un semplice brutto sogno: era qualcosa di reale che avrebbe cambiato in maniera drastica la mia vita.
Avrei voluto supplicarla di restare e spiegarmi meglio cosa stava succedendo, ma non appena provai ad aprire bocca per parlare, dietro la ragazza si materializzò una sagoma.
Era una figura annebbiata, potevo vederne solo i contorni sfocati. L’unica cosa che riuscivo a focalizzare erano i suoi occhi, due intensi occhi neri come la notte che mi paralizzarono l’intero corpo.
Non volevo stare lì un minuto di più, dovevo uscire dal sogno a tutti i costi. Solo che ero bloccata in quella dimensione.
Urlai a squarciagola e l’ombra di quella figura sconosciuta si fece sempre più vicina. Una risata profonda mi risuonò nelle orecchie. ‹‹Sarai mia, Sofia, non puoi sfuggirmi››, tuonò l’ombra.
‹‹Stai lontano da me››, gridai ‹‹voglio andarmene da quì››, e all’improvviso spalancai gli occhi e sobbalzai nel letto.
Ero sudata, la fronte imperlata di sudore. Mi guardai subito attorno. Per fortuna ero nella mia stanza. Chiusi gli occhi e le immagini di quell’incubo mi passarono per la testa, una a una, come il riassunto veloce di un film.
Un gelido alito d’aria mi sfiorò la pelle ancora umida.
Qualcuno mi stava osservando. Avevo la netta sensazione di sentirmi di nuovo quegli occhi neri puntati addosso, ma non riuscivo a vedere nessuno.
Il cuore cominciò a battere a mille.
Sentii dei passi sempre più vicini e iniziai a ripetermi che non poteva essere vero, che il sogno non poteva avverarsi.
Qualcosa saltò nel letto. Soffocai uno strillo con le mani e portai le ginocchia al petto di scatto.
‹‹Ade! Mi hai fatto morire››, dissi alla mia palla di pelo color miele. Mi misi a coccolare il mio cane che nel frattempo si era raggomitolato vicino a me.
Decisi di concentrarmi su di lui, accarezzandolo per rilassarmi. Avrei valutato la mattina seguente se preoccuparmi o meno dell’incubo. Nel frattempo avrei dovuto provare a dormire ancora un po’, però la paura di ritornare in quell’orribile fantasia era troppa.
Di una cosa ero certa: le brutte sensazioni che provavo non mi avrebbero lasciata, anzi, sarei stata pronta a scommettere che sarebbero aumentate col passare del tempo.

2
LA VECCHINA



Ero rimasta sveglia quasi tutta la notte. Il sogno della sera prima mi aveva lasciato addosso una strana sensazione. Avevo come il terrore che tutto ciò potesse essere vero e non solo frutto della mia mente contorta.
Mi alzai e mi sedetti sul bordo del letto. Respirai a fondo tre, quattro volte, finché non riuscii a sentirmi un po’ più tranquilla.
Trascinai i piedi fino all’armadio, presi un paio di pantaloni corti e neri e la prima canotta che mi venne tra le mani.
Mi guardai allo specchio. Ero pallida, due occhiaie scure indicavano il fatto che avessi riposato molto male e i capelli non erano da meno.
Per la prima volta dimostravo qualche anno in più. Ero abituata a sentirmi dire che sembravo più piccola: mai nessuno mi dava diciotto anni. Dopotutto avevano ragione. Nemmeno io mi sarei data la mia età, ma quella mattina dimostravo davvero i miei anni.
Mi passai una mano sul viso come se con quel gesto avessi potuto cancellare tutti i pensieri.
Poi presi la piastra, i trucchi e cominciai il restauro.
‹‹A noi due, sconosciuta››, minacciai il mio riflesso con la spazzola. ‹‹Vedremo chi avrà la meglio››.
Alla fine vinsi io. I capelli tornarono lisci e li raccolsi in una coda di cavallo, il fondotinta coprì le occhiaie e la matita nera diede un tocco di colore agli occhi stanchi.
In realtà il trucco sarebbe stato inutile dato che dovevo solo andare a fare jogging al parco prima di mettermi a fare qualcosa, ma quella mattina ne sentivo proprio il bisogno.
E sentivo anche il bisogno di leggere i tarocchi.
Era un’abitudine. Ogni volta che avevo un dubbio o un’incertezza prendevo le carte per vedere cosa mi avrebbero consigliato di fare.
In un certo senso mi facevano sentire più tranquilla.
Attraversai la stanza con due enormi falcate, presi il mazzo di carte dal cassetto vicino al letto e mi sedetti a terra a gambe incrociate.
Mi concentrai e mescolai le carte con cura cercando di svuotare la mente. Spezzai il mazzo, lo ricomposi e sospirai.
Poi a mezza voce dissi: ‹‹Come posso capire il sogno di ieri sera? Che succederà adesso?››.
Era una domanda un po’ assurda da fare: di solito chiedevo come mi dovevo comportare, se dovevo fare una determinata cosa, oppure domandavo dei consigli riguardo a un lavoro o a un’idea. Non volevo e non avrei mai usato i tarocchi per cercare di leggere il futuro. Andava contro la mia convinzione che i veri fautori del proprio destino siamo noi stessi e nessuno può sapere per certo cosa accadrà domani.
Quella mattina, però, la domanda fu spontanea. Tirai fuori tre carte dal mazzo e le poggiai sopra il pavimento, una accanto all’altra.
Girai la prima come se stessi leggendo un libro, poi la seconda e infine la terza.
Sgranai gli occhi e rimasi a fissarle trattenendo il respiro.
Tre arcani maggiori!
Tre carte di un certo peso poiché sono quelle con più influenza magica.
Il matto, arcano numero zero.
La morte, tredicesimo arcano.
La torre, sedicesimo arcano.
In poche parole significavano un cambiamento inaspettato nella vita, una nuova strada da prendere.
Questo non mi rendeva per niente tranquilla. Raccolsi le carte e notai che mi tremavano leggermente le mani.
L’ultima cosa che avrei voluto in quel momento era un cambiamento drastico nella vita. Mi andava bene così, ordinaria, regolare, senza troppi colpi di scena.
Ne avevo già avuti abbastanza con un ragazzo, Michael.
Eravamo usciti insieme qualche volta. Mi ero affezionata ai suoi occhi color nocciola, simili a quelli di un cerbiatto smarrito, e ai suoi capelli neri e morbidi. Aveva l’aria da ragazzino e insieme ne facevamo di cotte e di crude. Stavo bene con lui, ma dopo qualche tempo mi accorsi che quello che provavo era solo una forte amicizia e niente più.
Decisi così di troncare la storia sperando che prima o poi avrebbe capito la mia decisione.
Mi sbagliavo di grosso!
Lui mi amava ed era quell’amore folle che ti fa fare pazzie. Quello che ti fa credere che per sempre non sia solo un’illusione, ma una cosa reale, possibile.
Però è anche quello che nel momento in cui ti spezza le ali ti ritrovi a precipitare giù, sempre più giù, nel cuore degli inferi.
E fu quello che provò lui.
L’ossessione lo rese cieco e passava da momenti di rabbia in cui mi offendeva e imprecava contro di me a momenti di tranquillità e depressione in cui avrebbe fatto di tutto pur di tornare.
Mi faceva paura! Tanto che, quando uscivo, cercavo di essere sempre in compagnia.
Potrebbe sembrare una reazione esagerata, ma avevo davvero timore delle sue reazioni.
Scrollai le spalle e con uno scatto mi alzai. Scesi le scale di corsa e infilai le mie Converse nere e rosa.
Mi avviai verso il parco anche se la giornata non era delle migliori. Il cielo era offuscato da qualche nuvola che minacciava di far piovere da un momento all’altro, ma i trenta gradi che c’erano si facevano sentire molto bene.
Accesi l’iPod, infilai le cuffiette e feci scorrere la playlist. Avevo un disperato bisogno di un po’ di musica che mi caricasse, così scelsi i Queen con Princes of the universe.
Arrivata all’entrata del parco iniziai a correre.
Mi piaceva quel posto, metteva allegria anche in giornate cupe come quella. Sembrava che lì nulla potesse smorzare il verde acceso degli alberi e dell’erba ben curata.
Quella mattina c’erano pochissime persone. Di solito, a giugno, si potevano trovare molti bambini a spasso con i nonni anche alle otto di mattina. Invece era come se quel giorno si fossero tutti rintanati in casa e solo io avessi avuto la folle idea di uscire.
La cosa non mi piaceva affatto.
Raggiunsi la zona più distante e più bella del parco dove scorreva un fiumiciattolo attraversato da un ponte in legno ben tenuto.
Stavo respirando a fondo quel dolce profumo di acqua e terra bagnata, quando un rumore attirò la mia attenzione.
Mi tolsi le cuffiette per ascoltare meglio.
Sembravano dei singhiozzi.
Mi fermai e guardai un po’ in giro. Con il dorso della mano asciugai la fronte imperlata di sudore e feci qualche passo avanti sempre ascoltando da dove provenisse quel rumore.
E la vidi.
Era una vecchina dal viso dolce e dai capelli bianchi raccolti con cura in uno chignon. Stava piangendo, rattristata per qualcosa che non potevo sapere.
‹‹Signora, tutto bene?›› chiesi avanzando piano di qualche passo.
Accanto a lei c’era un cesto con dentro degli abiti. Stava semplicemente lavando dei vestiti nel fiume.
Mi sentivo incuriosita e spaventata allo stesso tempo, senza sapere il perché. Dopotutto era solo una signora anziana, triste e sola per di più!
‹‹Signora?›› riprovai con un tono più dolce dato che non sembrava avermi notata.
Ormai ero vicina abbastanza da poter capire cosa stringeva tra le mani.
In un primo momento pensai che potessero essere i vestiti del suo probabile defunto marito. Invece, guardando bene, notai che era una canotta troppo piccola per essere indossata da un uomo e troppo giovanile per essere sua.
Strizzai gli occhi per vedere meglio e due cose mi fecero rimanere senza fiato.
C’era un disegno su quella canotta bianca, una semplice farfalla rosa. Abbassai lo sguardo e vidi che era la stessa che indossavo io.
Non aveva senso!
Stavo ancora dormendo?
Ma quando mi ero addormentata?
No, ero sveglia e cosciente. Purtroppo.
La vecchina era intenta al suo lavoro, impegnata a togliere una macchia.
Una macchia rossastra e irregolare.
Mi rilassai un attimo. Magari era di una nipote. Sì, sicuramente l’aveva sporcata e la nonna la stava pulendo.
Ma perché piangeva?
I miei occhi si bloccarono sul colore dell’acqua scarlatta che scendeva. Poteva essere una macchia di sangue fresco? Proprio all’altezza del fianco destro.
La mia fantasia si era messa a viaggiare troppo velocemente. Era tutto così assurdo per essere vero!
La nonnina si girò in lacrime e mi fissò con due occhi di ghiaccio che sembravano implorarmi di capirla.
‹‹Mi dispiace››.
‹‹Per cosa, signora?››, cercai di chiedere in tono calmo, ‹‹Cos’è successo? Perché c’è tutto quel sangue?››.
‹‹Lo capirai… presto… mi dispiace tanto››, e ritornò al suo lavoro, sempre singhiozzando e lasciando che le lacrime le rigassero il volto già solcato da rughe.
Avrei voluto consolarla, parlarle ancora, chiederle di più, ma non appena aprii bocca sentii un cane abbaiare.
Mi girai e vidi che era lì, a due passi da me. Un lupo dal manto nero come la notte stava abbaiando nella mia direzione.
Ebbi un attimo di timore per la signora e, quando mi girai per avvisarla, non c’era più.
Né lei né il cesto dei panni.
Il cuore perse un colpo, non potevo essermi immaginata tutto!
Intanto il lupo avanzò verso di me e poggiò il naso umido sulla mia mano per attirare l’attenzione.
Si fece accarezzare la testa, poi scattò in direzione della zona Nord-Est del bosco, la zona in cui di solito andavano le coppiette per appartarsi.
In effetti era un posto abbastanza isolato, con grandi salici piangenti che potevano creare un ottimo nascondiglio.
Io non c’ero mai andata perché mi sembrava un posto pericoloso.
I dubbi dentro la mia testa svanirono quando sentii delle urla provenire proprio da quel punto e, senza nemmeno pensarci, corsi dietro al lupo.
Dopo un paio di metri arrivai. Le urla erano più forti e potevo sentire delle voci. Spostai qualche ramo di salice e vidi tutta la scena.
‹‹Sei solo una piccola stronza››, urlò la ragazza dai corti capelli biondi che le ricadevano tutti da un lato.
‹‹No, ti prego, lasciami andare. Non ho fatto niente››.
Voltai lo sguardo da dove proveniva quella voce. Era una ragazza semplice, con i capelli mossi e castani che le ricadevano sulle spalle.
Una terza ragazza dietro di lei la teneva ferma per le braccia in modo che non potesse muoversi. Non diceva nulla, si limitava a sogghignare e masticare fastidiosamente una gomma. La cresta in testa colorata di rosa e verde e un sacco di piercing sulle orecchie e sul viso la facevano sembrare un maschiaccio.
‹‹Cosa?›› disse la bionda ‹‹Tu, stupida ragazzina, sei andata a dire alla polizia che ti spilliamo soldi per la coca››.
‹‹Io… io…››, balbettò la povera ragazza.
‹‹Tu cosa? Ammettilo oppure…››. La mano della bionda scivolò nella tasca posteriore dei jeans, tirò fuori un coltellino a serramanico e con uno scatto fece uscire la punta che scintillò minacciosa davanti agli occhi della povera vittima indifesa.
Odiavo i bulli. Era successo anche a me di essere preda di prese in giro, ma mai nessuno era arrivato al punto di minacciarmi con un coltello.
Non lo concepivo, questo era troppo.
Notai l’espressione della povera ragazza. Era terrorizzata, piangeva a dirotto e le era perfino colato quel poco trucco che si era messa sugli occhi.
Come si poteva trattare così una povera ragazza indifesa?
Qualcosa dentro me cominciò a fremere. Senza che me ne accorgessi, le gambe si mossero da sole, come attirate da una forza esterna.
‹‹Ei, lasciatela stare››, urlai.
Mi precipitai verso di loro, ormai l’adrenalina era entrata in circolo e non rispondevo più delle mie azioni.
‹‹Che vuoi? Vattene, non sono affari che ti riguardano››, disse la bionda fulminandomi con lo sguardo.
‹‹Lasciatela in pace e me ne vado››.
‹‹Vedi di andartene adesso››, disse facendo roteare gli occhi. ‹‹Non sono affari tuoi, quante volte devo ripeterlo? Vai a fare l’eroina da un’altra parte››.
‹‹Giààà››, disse la ragazza punk trascinando l’ultima lettera.
La bionda alzò il coltello: ‹‹Questo ti farà male, ma è solo un invito a ritirare la denuncia. Se non lo fai… ›› imitò con la mano libera il gesto di tagliarle il collo.
‹‹Non scherzare, lasciala in pace. Ha fatto bene a denunciarvi. Voi non potete capire cosa vuol dire essere presi di mira. Vuol dire avere il terrore di uscire di casa, di andare a scuola. Ci si isola per colpa di ragazzine odiose come voi, che rovinate la vita di povere ragazze innocenti. Lascia andare il coltello adesso, mettilo a terra››. Quasi urlai queste ultime parole.
‹‹Certo, lo metto via. Mi hai davvero commossa, sai››, disse beffarda la bionda tirando su col naso e fingendo di piagnucolare. Poi aggiunse: ‹‹Prima, però, lo conficco nelle sue cosce››.
La bionda fece per colpire la ragazza, io mi gettai davanti a lei e il respiro mi si bloccò in gola.
Sentii qualcosa di caldo scorrermi giù dal fianco destro e una sensazione di intorpidimento cominciò a scorrermi lungo tutto il corpo. Abbassai lo sguardo e vidi una macchia rossastra rovinarmi l’immacolata canotta bianca.
Una lacrima mi rigò il volto, poi una seconda. La testa cominciò a girare e attorno a me tutto sembrava ovattato. Il respiro iniziò a farsi sempre più corto e irregolare. Le gambe cedettero e mi accasciai a terra come un sacco vuoto.
Sentii la ragazza punk esclamare: ‹‹Oh merda, questa è morta… è morta sul serio. L’hai ammazzata››.
‹‹Andiamocene, presto. Lasciamola qui a crepare››, disse la bionda. ‹‹E tu, vieni con noi, non ci denuncerai anche per questo››.
Tutte e tre le ragazze se ne andarono di corsa, lasciandomi sola in un letto di foglie.
Mi accorsi solo in quel momento che non erano lacrime a bagnarmi il volto, bensì gocce di pioggia.
Sembrava che il cielo si fosse messo a piangere per me.
Sapevo che in quel posto nessuno mi avrebbe trovata in tempo per salvarmi. Ormai ero destinata a morire senza nemmeno aver avuto il tempo di salutare i miei genitori.
Mia madre, la mia dolce e cara mamma, sempre pronta a starmi accanto. Avrei voluto ringraziarla per tutto quello che aveva sempre fatto per me.
Mio padre, il mio adorato e forte papà dal quale avevo preso i capelli ribelli e neri. Avrei dovuto dargli ascolto più spesso.
E Ade, il mio fedele amico a quattro zampe. Che avrebbe fatto ora senza di me? Eravamo sempre insieme, inseparabili, e ora non avrei più potuto stargli accanto.
Fu proprio su questo pensiero che una lacrima scese lungo la guancia, questa volta davvero, mischiandosi con la pioggia.
Un brivido freddo mi attraversò il corpo e tutto sembrò muoversi.
Il mondo cominciò a vorticarmi attorno e qualcosa mi attirò verso l’alto, fuori dal corpo. Non riuscivo a distinguere nulla. Stavo viaggiando a una velocità tale che vedevo solo sagome indistinte o lampi di luce. L’unica cosa che riuscivo a percepire in quel singolare viaggio erano delle voci. Dei lamenti per essere precisi. Dei lugubri e tetri lamenti. Addirittura, sembrava che mani invisibili si allungassero per fermare la mia folle corsa. Mi trafiggevano il corpo ma non potevo sanguinare e brandelli di carne sembravano togliersi dal corpo ogni volta che una di quelle mani mi sfiorava.
Dopo quelli che sembrarono minuti infiniti mi ritrovai a fluttuare.
Non ero in una stanza.
Non ero fuori.
Non ero nemmeno in cielo.
Galleggiavo in una sorta di dimensione celeste, tutto attorno a me brillava di una luce azzurrina e ipnotica.
Avrei potuto rimanere là per sempre. Provavo un senso di pace così immenso che avrei desiderato perdermi in quel posto.
Le mie preghiere furono accolte.
Un bagliore bianco e accecante mi fece perdere i sensi e tutto diventò buio e silenzioso.

3
L’ARRIVO A NAOSTUR



‹‹Non credi che dovresti svegliarla, ora?››.
‹‹È così dolce vederla dormire››.
‹‹Sei impazzita? Non dirai sul serio, Sara››.
Sentivo la voce di due ragazze.
Chi erano?
Che volevano?
Desideravo tanto che se ne andassero, che mi lasciassero dormire.
Per sempre!
Non volevo svegliarmi, stavo bene dov’ero.
‹‹Smettetela››, ordinò una voce dolce e allo stesso tempo autoritaria. Era un ragazzo, e dal timbro vocale doveva avere la mia età o poco più. Non ci pensai troppo, il mio cervello reclamava a ogni tentativo di farlo funzionare.
‹‹Finalmente sei arrivato››, disse la prima ragazza, quella che sembrava più decisa e inflessibile.
‹‹Andatevene, lasciatemi solo con la nuova arrivata››.
‹‹Certo, capo››, risposero in coro le ragazze ridacchiando.
Sentii dei passi che si allontanavano, qualche parola bisbigliata e la porta chiudersi con un cigolio fastidioso.
Rimasi finalmente sola.
O forse mi sbagliavo?
Qualcosa di caldo si avvicinò al mio volto. Profumava come l’aria di montagna.
A un certo punto questa cosa si avvicinò alle mie labbra e vi si appoggiò.
Fu allora che capii che quello era un bacio.
Il bacio più intenso che avessi mai ricevuto. Le mie labbra si mossero con una reazione involontaria. Si aprivano e si chiudevano seguendo le sue labbra. Era come ossigeno. Cercavo avidamente quella bocca, come se da lì potessi attingere forza.
Come se potessi vivere di nuovo.
Una leggera scossa elettrica percorse ogni centimetro del mio corpo rimettendo in moto gli ingranaggi.
Le labbra misteriose si staccarono dalle mie. Spalancai gli occhi e mi misi a sedere di scatto boccheggiando.
‹‹E stai un po’ attenta!››.
‹‹S-scusa›› balbettai. Mi ero alzata talmente di fretta che quasi andai a sbattere addosso al suo viso. Si trovava a pochi centimetri da me ed era il ragazzo più bello che avessi mai visto. I suoi occhi erano neri come la notte, i capelli ricci, scompigliati e neri, sembravano così soffici che avrei voluto provare ad accarezzarli.
Mi resi conto di essere rimasta a fissarlo a bocca aperta e cercai di mascherare l’imbarazzo meglio che potevo.
‹‹Ci tengo a chiarire le cose subito››, disse con serietà, ‹‹Sei morta! Ora ti trovi nell’Altro Mondo. Ti ho risvegliata con un bacio e…››.
‹‹Frena frena frena. Un’informazione alla volta››. Lo bloccai alzando una mano. ‹‹Partiamo dall’inizio. Primo, non credo proprio di essere morta dato che ci stiamo guardando negli occhi e sto parlando. Secondo, chi sei tu? E cos’è questa storia del… beh, del bacio?››.
Notò che le guance mi si erano infiammate e fece un sorriso che mi fece accapponare la pelle. Sembrava un terribile cacciatore che godeva nel vedere la sua preda in gabbia, senza alcuna via di scampo.
‹‹Sì, giusto, hai ragione››. Si schiarì la voce. ‹‹Mi chiamo Gabriel e sono l’angelo della morte. Per quanto possa sembrarti assurdo, ti ho baciata perché sembra che io abbia la sfortuna di far morire la gente e, in casi rari, di farla rivivere››.
‹‹Angelo della morte? Questa sì che è bella››. Scoppiai a ridere. ‹‹Sto ancora sognando, devo assolutamente svegliarmi››.
Cominciai a pizzicarmi il braccio ma l’effetto che ottenni non fu quello sperato. Non mi svegliai nel mio letto come quando avevo fatto quel bruttissimo incubo la sera prima.
Quindi quello che mi aveva appena detto era vero?
Quello era l’aldilà?
Se ero morta, perché il pizzicotto mi aveva fatto male?
Mi guardai attorno, spaesata. La stanza mansardata era tutta rivestita di legno. Una finestrella era ricoperta da delle tende azzurre, in tinta con le lenzuola e con i tappeti.
Inarcai un sopracciglio e pensai che in fatto di arredamento gli mancava decisamente molta fantasia.
Accanto al letto, alla mia sinistra, c’era un enorme specchio e fu in quel momento che vidi il mio riflesso. Il viso pallido, i capelli più lunghi e più neri. Indossavo ancora la canotta bianca con la farfalla rosa e i pantaloncini corti neri.
E le mie All Star.
‹‹Mi dispiace, lo so che è dura da accettare, ma sei morta davvero››, e con un gesto automatico, di circostanza, mi posò una mano sul braccio come se volesse consolarmi. Sentii un brivido lungo la schiena, un misto di paura, orrore e attrazione.
Era come se potessi avere delle informazioni in forma di sensazioni sulla sua vita. Avrei potuto giurare che sentì anche lui quella specie di scossa perché mi guardò sgranando per una frazione di secondo gli occhi neri, quasi irritati, e ritrasse subito la mano.
‹‹Okay, senti››, disse lui ritornando al discorso di prima, ‹‹Ti trovi in un posto chiamato Naostur. Dovrai comportarti in una certa maniera d’ora in avanti. Questo non è il mondo in cui sei abituata a vivere, anche se ci assomiglia molto››.
‹‹Sono in paradiso?››.
Gabriel si mise a ridere ‹‹Sofia, che stai dicendo? Sei solamente in un’altra dimensione. Naostur è una sorta di mondo parallelo. L’unica differenza è che qui il sole illumina solo una parte delle terre, il Regno di Elos. Dall’altra parte, il Regno di Tenot, è sempre notte››.
Bene, avrei dovuto imparare a convivere con un sole che non sarebbe mai tramontato. L’idea non mi piaceva un granché.
I pensieri cambiarono rotta all’improvviso e un campanello d’allarme si fece sentire nello stomaco. ‹‹Aspetta! Come fai a sapere il mio nome? Non ti ho mai detto come mi chiamo››.
‹‹Tutti sanno chi sei, Sofia. O preferisci che ti chiami Neman?››
Neman? Mi stava prendendo in giro?
Non era affatto una cosa divertente!
Ero appena ritornata da un viaggio negli inferi e non avevo la minima voglia di scherzare.
‹‹Solo Sofia, grazie››, dissi nel tono più acido possibile.
‹‹Va bene, Sofia››, disse Gabriel rivolgendomi un sorriso alquanto misterioso, ‹‹ora ascoltami, queste sono le regole. Potrai uscire di qui solo accompagnata da me o dalle tue sorelle: potresti perderti facilmente e non devi andare nella zona d’ombra per nessun motivo. Né da sola né accompagnata, ci andrai quando sarai pronta. Hai capito?›› concluse puntandomi un dito addosso.
Trattenni una risata dopo aver ascoltato quella serie di raccomandazioni assurde. Ma capii che non stava scherzando. Anzi, era fin troppo serio.
‹‹È tutto chiaro. Solo che forse ti stai sbagliando: io non ho sorelle››.
‹‹Nel mondo reale sei figlia unica, qui ne hai due. Sono Sara, la custode dei poteri di Badb, e Sonia, la custode dei poteri di Macha››.
Mi grattai la testa confusa. ‹‹Okay, c’è altro che devo sapere?››.
Era di sicuro una situazione surreale. Troppe cose nuove, troppe regole, troppa confusione, troppi cambiamenti.
Le carte avevano ragione.
Avevano maledettamente ragione!
‹‹Sì, c’è altro›› disse in tono serio. E vedendo che i miei pensieri erano altrove, mi prese con delicatezza il mento e mi fece voltare verso di lui.
Il cuore cominciò a battere all’impazzata, tanto mi colse di sorpresa quel gesto.
Sul suo volto passarono una serie di emozioni: stupore, tormento e rabbia. Tolse la mano e puntò lo sguardo fisso davanti a sé, in direzione dello specchio.
‹‹C’è una cosa che non devi fare, una regola che non potrai infrangere››. Il suo tono mi spaventò. ‹‹Non devi cercarmi e non devi fare affidamento su di me. Non sono il tuo baby sitter. Non ti seguirò passo passo nella tua transizione. Sono l’Angelo della Morte, ho un bel po’ di anime di cui nutrirmi, e devo portare a termine una missione, quindi non voglio problemi. E poi…›› si fermò. Un’ombra calò nei suoi occhi e serrò la mascella. ‹‹E poi standomi accanto ti procurerai solo guai. Io faccio del male alle persone che mi sono vicine››. Strinse i pugni e si alzò di scatto per andare ad aprire la porta.
Non riuscii a dire nulla. Quelle ultime parole mi rimbalzarono in testa, non riuscivo a dar loro il giusto significato.
La voce di Gabriel mi fece ritornare con i piedi per terra. Stava chiamando qualcuno che era fuori della stanza. ‹‹Sara, Sonia. Potete entrare ora, è sveglia››.
La prima ragazza che entrò aveva i capelli rosso fuoco, lunghi fino alla vita. I suoi occhi neri sembravano quelli di un corvo.
Mi ricordava qualcuno… L’avevo già vista, ma non riuscivo a ricordare dove.
Guardai la seconda ragazza. Aveva i capelli lunghi fino alla vita anche lei, però i suoi erano di un biondo chiaro, così chiaro da sembrare bianchi. Più di tutto, però, colpivano lo sguardo i suoi occhi: due occhi come il ghiaccio, limpidi e sinceri. Sembravano tristi e anche lei mi ricordava qualcuno. E come con l’altra non ricordavo chi.
La ragazza dai capelli bianchi superò quella dai capelli rossi che si era fermata a metà stanza e mi osservava con le braccia incrociate. Si fiondò sul letto e mi abbracciò come una bimba quando vede la sua mamma. ‹‹Neman! Sei qui››, gridò.
‹‹Forse ti stai sbagliando, io mi chiamo Sofia››, dissi, tentando di sciogliere l’abbraccio con gentilezza.
‹‹Certo, Neman, lo so che gli umani ti chiamano Sofia. Il mio nome umano è Sara, ma quando si rivolgono a me come Dea mi chiamano Badb. Sono la guardiana del pozzo sacro, custode della conoscenza infinita››. I suoi occhi si intristirono di colpo. ‹‹Sappi che mi dispiace tanto. Ho dovuto mostrarmi a te come Dea, dovevi morire per raggiungerci, ma ora sei qui, sana e salva. Non mi detesti, vero?›› Me lo stava chiedendo con il labbro inferiore sporgente e gli occhioni spalancati, talmente chiari da sembrare quasi bianchi.
Mi faceva tenerezza. Poi capii: era lei la vecchina che avevo visto al parco!
I suoi occhi di ghiaccio mi guardarono in lacrime.
Fui colta da un attimo di rabbia e decisi di respirare a fondo per calmarmi.
Poi, con un falso sorriso ben riuscito, dissi: ‹‹No, Sara, non sono arrabbiata con te. Stai tranquilla››.
Le posai una mano sui capelli per calmarla: era disperata sul serio.
La guardai meglio e mi chiesi quanti anni avesse. Ne dimostrava quindici per via del suo viso dolce da bambina.
Fui richiamata all’attenzione dall’altra ragazza che si schiarì la voce e disse: ‹‹Il mio nome umano è Sonia, ma in realtà sono la reincarnazione di Macha, regina degli incubi. Io sono quella che ti ha avvisato. Ho rischiato parecchio per venire da te: quelli del Regno di Tenot, il lato oscuro, ci stanno tenendo sotto controllo. Sanno chi sei, ormai, e soprattutto sanno che sei qui››. Non si era mossa di un centimetro. Era rimasta ferma a metà stanza con le braccia incrociate.
‹‹Oh, sei tu quella che ho visto nel sogno. Una metà di me, giusto? Solo che… non mi assomigli molto. Perché eravamo così uguali?›› chiesi, confusa.
A dire il vero un po’ potevamo assomigliarci, solo che i miei occhi color oliva non avevano niente a che fare con le sue due sfere nere e il suo portamento non era di certo come il mio. Lei, a differenza di Sara che sembrava una bambina, era una donna fatta e finita. L’avrei vista bene come una leader o a capo di qualche gruppo. Si vedeva benissimo che le piaceva comandare e controllare la situazione. Comunicava con Sara solo guardandola e, infatti, con uno sguardo la fece alzare e uscire dalla stanza per andare chissà dove.
Ritornò dopo poco con un mucchietto di carte e me le porse. Solo allora Sonia si sedette accanto a me e a Sara. Cominciò a sfogliare le carte e tirò fuori un foglio di pergamena ingiallito con su scritto dei nomi. Sfogliai in velocità la lista con lo sguardo.
Alla fine vidi il mio nome accanto a quello di Sara e Sonia.
Alzai lo sguardo stupita. ‹‹E questo cos’è?››.
‹‹Una lista di nomi. Sono tutte le reincarnazioni di Macha, Badb e Neman, nonché della magia chiamata Morrigan. Le nostre tre anime, se lavorano insieme, prendono il potere della Grande Regina, la Dea della guerra e del cambiamento››.
Gabriel, che fino a quel momento era rimasto in silenzio appoggiato alla parete della stanza, si mise a ridere e disse: ‹‹Ragazze, quanti anni sono che avvengono queste reincarnazioni? Cinquecento? Di più? Ecco, se non ricordo male, Morrigan ha giurato di tornare››. Puntò un dito accusatorio verso di me. ‹‹Lei è la reincarnazione della Dea! La stanno cercando tutti, dovrebbe bastarvi come prova››.
‹‹Sta’ zitto, angelo dannato! È impossibile››, disse Sonia scattando come un leone addosso a Gabriel. ‹‹Se davvero le cose stessero come hai detto tu, perché non si è reincarnata prima? Se esiste e non è solo il nome del nostro potere, perché non si è mai fatta vedere?››.
Gabriel non si mosse, si limitò a scuotere la testa e a fare un mezzo sorriso beffardo.
Cominciò a recitare quella che sembrava essere una poesia.

‹‹La luce della luna abbraccia la bambina,
così impaurita, così piccolina.
Quell’uomo cattivo vuole farle del male,
ma la Grande Madre la vuole salvare.
Il destino ha in serbo per lei grandi cose,
ma solo il suo cuore le dirà da che parte stare››.

‹‹Con questa bella poesia che vorresti dire?›› chiesi, irritata.
Il suo sguardo mi trafisse.
‹‹Voglio dire››, cominciò con un tono così duro che mi fece venire un groppo in gola, ‹‹che tu sei appena arrivata e di queste cose non puoi saperne niente. Vedi di cambiarti, adesso. Dobbiamo uscire››.
Girò i tacchi e uscì. Rimasi a fissargli la schiena con le lacrime che mi stavano riempiendo gli occhi. Chi era lui per potermi trattare così? Va bene, ero morta e ritornata in vita in un mondo che non conoscevo grazie a lui, a un suo bacio.
Un suo maledettissimo bacio.
Voleva farsi odiare? Era questo il significato del discorsetto di prima?
Beh, c’era riuscito.
C’era qualcosa di nascosto in lui. Qualcosa che non avrei dovuto scoprire e che volevo ugualmente conoscere, a ogni costo.
Sentivo il bisogno di saperne di più, anche se mi era stato ordinato di non farlo. Le lacrime cominciarono a scendere, silenziose.
Sara se ne accorse subito. ‹‹Piangi, tesoro, ne hai bisogno. La tua vita è stata sconvolta troppo in fretta››. Posai la testa sulla sua spalla e cominciai a piangere a dirotto.
Dopo qualche minuto mi tranquillizzai.
Nel frattempo Sonia era andata a prendere dei vestiti per uscire e ritornò con tre splendidi abiti che sembravano appena usciti da un castello medievale. Erano di taffetà. Il corpetto tempestato di diamanti piccoli e lucenti creava un arcobaleno di riflessi ogni volta che la luce li colpiva. I bordi erano orlati d’oro con degli arabeschi d’argento e la gonna ricadeva giù, morbida e leggera, per permettere la facilità dei movimenti. Le spalle erano lasciate scoperte ma la temperatura in quella dimensione era mite.
Dato che il sole illuminava sempre quei luoghi, l’aria era sempre primaverile, tiepida e piacevole al contatto con la pelle.
Il vestito di Sara era azzurro come i suoi occhi, quello di Sonia era rosso fuoco come i suoi capelli e il mio era viola scuro, il mio colore preferito.
Lo indossai e mi guardai allo specchio. Dietro di me erano arrivate Sara e Sonia. Sembravamo tre dame di un’altra epoca.
La cosa mi fece sorridere e mi tornò il buonumore.
Ero curiosa di sapere una cosa, però.
‹‹Ragazze, dove stiamo andando?››.
Sonia si avvicinò e mi sussurrò all’orecchio: ‹‹Stiamo andando dall’unica persona che può esserti d’aiuto››.
‹‹Ci si può fidare?››.
‹‹Di Ares? Certo!›› esclamò Sara.
‹‹Come mai ne sei così sicura?››.
Qualcosa dentro me stava cercando di mettermi in guardia.
‹‹È un immortale. Gli immortali sono la razza che ci sta dominando, per essere precisi, ma loro vivono nel Regno di Tenot e vengono qui una volta al mese per riscuotere i tributi e infliggere qualche punizione. O meglio, mandano i loro scagnozzi… questo però ora non c’entra››, mi spiegò Sonia. ‹‹Ares è cresciuto qui, nel Regno di Elos. Suo padre è morto combattendo contro il Re che ci perseguita e così ha deciso di non tornare mai più. Vuole vendetta e si è alleato con noi››.
‹‹Okay, andiamo da questo Ares››, non mi restava che dargli una possibilità.
Sonia mi sorrise per la prima volta. Un sorriso sincero, di incoraggiamento.
Erano tutti convinti che Ares mi avrebbe salvata. Io, invece, ero convinta che qualcosa sarebbe andato storto.
Ma chi ero io per dirlo?
Forse avrei dovuto rilassarmi un po’. Il troppo stress mi stava facendo venire il mal di testa.
Che poi, si può avere mal di testa anche da morti.



4
IL REGNO DI ELOS



Potevo essere finita in paradiso?
Una cosa del genere non avrei mai e poi mai potuto crederla reale.
Appena uscita, mi ritrovai in un luogo in cui la luce del sole risplendeva sempre e il cielo sembrava dipingere ogni cosa con la sua luce azzurrina.
Non era molto diverso dalla Terra, il posto in cui mi trovavo: la vegetazione era la stessa. Notai qualche acacia con i suoi soffici fiori rosa e qualche albero di pesco in fiore. Non c’era casa o palazzo che non fosse rivestito da fiori.
Ciò che però mi tolse letteralmente il fiato fu la presenza di esseri magici di fronte a me.
Mi stavano aspettando ed erano disposti in un semicerchio ordinato suddiviso per razza e altezza. Partendo da destra c’erano dei piccoli esserini luminosi, alti circa venti centimetri. Dietro la schiena avevano due ali scintillanti che si muovevano veloci come quelle di un colibrì. Tutto ciò che si poteva notare era la polverina scintillante che ricadeva a terra con delicatezza, come fosse neve dorata.
Al centro erano posizionati gli gnomi. Impossibile non riconoscerli! Erano alti dai novanta centimetri ai centocinquanta. Ero sempre stata convinta che fossero esseri che nessuno avrebbe mai potuto vedere, e invece in quel momento li stavo osservando.
Gli uomini con le loro barbe lunghe che andavano dal nero intenso dei più giovani al grigio chiaro dei più anziani, e le donne con i capelli acconciati in due trecce ordinate tenute ferme da un delizioso fiocco colorato.
Non potevano certo mancare i cappelli rossi, il loro simbolo per eccellenza. Diversamente da come pensavo, però, non erano a punta, ma ricadevano morbidi dietro la nuca.
A chiudere il cerchio, a sinistra, si trovavano delle creature a cui non riuscivo a dare un nome.
‹‹Sonia, chi sono?›› chiesi, muovendo appena le labbra per non fare brutta figura.
‹‹Sono mezzelfi, Sofia. Una razza generata molti secoli fa dallo stretto contatto con gli umani. Solo gli elfi erano in grado di poter interagire con i mortali e il risultato dell’unione tra elfi e uomini puoi osservarlo con i tuoi stessi occhi adesso››.
‹‹Ho capito. E che poteri hanno?››.
Sonia rise, ‹‹Difficili da descrivere, dipende dai casi. Possono attingere a qualsiasi potere››.
‹‹Questo vuol dire che ce ne sono di buoni e di cattivi››.
Era più un’annotazione per me che una vera e propria affermazione, ma Sonia rispose lo stesso.
‹‹Già, i Siruco. Tempo fa i Guardiani di Elos, grazie all’aiuto dei mezzelfi buoni, riuscirono a cacciarli nell’Altro Regno. Gli elfi oscuri sono spietati e avidi di potere, diciamo che sono dei tipi da evitare››.
Avrei voluto chiedere qualcosa in più su questa storia, ma un mezzelfo avanzò.
Indossava una camicia di seta bianca legata in vita da una corda e con un’apertura davanti attraverso la quale s’intravedeva un fisico perfetto. A completare il tutto, un paio di pantaloni color cachi e teneva i capelli lunghi e neri raccolti in una crocchia improvvisata da un nastro dorato.
Notai che le orecchie non erano poi così appuntite, bensì avevano una punta leggermente accennata. Si sarebbe potuto benissimo scambiare per un ragazzo umano qualsiasi.
Lo vidi portare una mano aperta sul cuore, incrociare medio e anulare e abbassare il capo in segno di rispetto.
‹‹Sono Calien, re del Regno di Elos e dei mezzelfi. Il nostro popolo esulta di fronte alla Vostra presenza››. Il suo tono di voce era caldo e autoritario. ‹‹Siete venuta qui per salvarci dalle sevizie del malvagio re del Regno di Tenot, la cui crudeltà può essere riassunta dal modo in cui si fa chiamare: Mefisto! Il suo cuore immortale è corrotto dai demoni più spietati. Solo Neman, riunitasi con Badb e Macha, potrà salvarci. Gloria e Onore a Voi››.
‹‹Gloria e Onore a Voi››, gridarono in coro tutte le creature presenti. Si portarono la mano con il medio e l’anulare incrociati sul cuore anche loro, e s’inchinarono di fronte a me.
Avrei voluto dir loro di alzarsi, mi facevano sentire in imbarazzo.
Sara mi si avvicinò e mi poggiò una mano sulla spalla. ‹‹Chiudi gli occhi e respira a fondo, la mia fonte della conoscenza ti sarà utile››.
Feci subito quello che mi aveva ordinato.
All’improvviso, attorno a me si alzò un allegro vortice d’aria. Profumava d’estate, di gioia e di serenità, e percepii tutto il potere che portava in sé. Si espanse in tutto il corpo senza lasciare fuori nemmeno un muscolo. Partì dai piedi, salì lungo le gambe, entrò nella pancia, su fino alla gola e arrivò fin sopra i capelli.
A quel punto seppi con esattezza cosa dovevo fare.
Feci due passi avanti. Aprii le braccia verso di loro, i palmi rivolti verso il basso e, come se qualcuno avesse premuto un interruttore invisibile, sentii qualcosa svegliarsi dentro, qualcosa che non credevo e non sapevo di avere. Qualcosa che quando uscì sorprese tutti quanti.
Quello che dissi non proveniva dalla mia voce, e nemmeno dal mio corpo. Ero come in uno stato di trance, non potevo comandare più nessun muscolo. Somigliava molto a una specie di possessione, non malvagia però, e per quello non opposi resistenza.
‹‹Non abbiate paura, figli miei, sono tornata per salvarvi e per avere la mia vendetta. La Grande Regina è tornata. Gloria e Onore a Voi››.
E per la seconda volta in quel giorno tutto si fece buio e persi i sensi.

***

‹‹Vedi di svegliarti, non ho la minima intenzione di portarti in vita nuovamente››.
Avrei potuto riconoscere la sua voce fra mille. Aveva qualcosa che mi metteva rabbia e paura al tempo stesso.
Rabbia perché avrei voluto che smettesse di trattarmi come uno straccio da buttare.
Paura perché attorno a lui c’era un’aura misteriosa e oscura che emanava potere. Un potere troppo grande che mi faceva sentire a disagio.
‹‹Non ho la minima intenzione di attirare la tua attenzione, Gabriel. Più mi stai distante meglio è››.
Ero davvero irritata!
E poi che ci faceva ancora qui? Non poteva starsene dov’era?
‹‹Beh, mi dispiace per te, ma dovrai sopportare ancora la mia presenza dato che a causa dei tuoi continui svenimenti dovrai salire a cavallo con il sottoscritto››.
Cosa? Non l’avrei fatto per nessun motivo al mondo, nemmeno sotto tortura!
Stavo per ribattere quando la voce allarmata di Sonia ci interruppe. ‹‹Non capisco! Abbiamo a disposizione un intero allevamento di cavalli. Che fine hanno fatto?››.
‹‹Credo che i Siruco siano entrati di nascosto e li abbiano portati via tutti. Per fortuna ne abbiamo ancora due a disposizione per oggi››. Il tono di Gabriel era privo di qualsiasi emozione.
‹‹Non capisco, perché sono entrati di nascosto? Non potevano fare come hanno sempre fatto?››. Sonia era in preda a un attacco d’ansia. ‹‹Di solito si divertono a torturarci e a portarci via le cose davanti agli occhi e…››.
‹‹Non vogliono che ci allontaniamo dal villaggio, sanno che è qui››.
‹‹Non vogliono che ci allontaniamo e ci lasciano due cavalli?››.
Gli feci notare che le cose non quadravano e intanto, con molta calma, mi ero messa a sedere massaggiandomi il collo tutto intorpidito.
‹‹Ottima osservazione››, disse Gabriel facendomi l’occhiolino. ‹‹Però devi sapere che qui c’è qualcuno dotato di un’intelligenza superiore che, guarda caso, sarei io! Per prevenire questo genere di cose ho nascosto due splendidi cavalli››.
Odiavo quel tono e odiavo quel suo fare da ragazzo strafottente.
Sarà anche stato l’angelo della morte, ma se la tirava un po’ troppo per i miei gusti.
‹‹Okay, Mister Intelligenza, cosa vuoi? Che ci prostriamo ai tuoi piedi e cominciamo a venerarti?››. Imitai un inchino.
‹‹Non sarebbe male, potresti cominciare tu dando il buon esempio››.
Lo odiavo!
Mi alzai, goffa e instabile perchè mi girava ancora un po’ la testa. Per fortuna lì vicino c’era Sara e mi appoggiai a lei.
Era seria e mi guardava come se fossi un extraterrestre.
Avevo qualcosa tra i capelli? Cercai di metterli apposto meglio che potevo, ma continuava a guardarmi allo stesso modo.
I suoi occhi di ghiaccio sembravano penetrarmi dentro e un brivido mi corse su per la schiena.
‹‹C’è qualcosa che non va, Sara?››.
Nessuna risposta, si limitò ad abbassare lo sguardo e scuotere la testa.
Poi se ne andò verso Sonia.
‹‹Sofia, andiamo? Gabriel è andato a prendere i cavalli che ha nascosto››, disse Sonia.
‹‹Certo, arrivo››.
Andai verso di loro scrollandomi via un po’ di polvere dal vestito.
Ero davvero preoccupata. Mi ero resa conto di essere svenuta prima, solo che nessuno mi aveva detto nulla di quello che mi era successo dopo aver percepito la presenza di un corpo estraneo nella mia testa.
Perché?
Cosa mi stavano nascondendo?
Forse chi si era impossessato di me non era così buono come credevo. Però se le cose stavano così, perché non mi avevano accennato nulla?
Ciò che mi preoccupava di più era il modo con cui continuava a guardarmi Sara. Sembrava quasi avere timore di me.
Sentii il rumore degli zoccoli. Mi girai e vidi Gabriel arrivare con due splendidi Frisoni occidentali dal manto nero e dalla chioma ondeggiante che sembrava di seta.
Il loro portamento rispecchiava quello di Gabriel. Erano splendidi, come lo era lui. La maglia a maniche corte nera metteva a risalto il suo fisico asciutto e perfetto e i jeans neri aderivano con perfezione ai suoi muscoli a ogni passo.
‹‹Magnifici, non è vero?››. Sonia aveva uno sguardo malizioso.
‹‹Sì… magnifici davvero››, risposi io sovrappensiero.
‹‹Sembra un cavallo forte e sicuro di sé, ma in realtà ha un carattere docile, sai. Il tutto sta nell’imparare ad andarci d’accordo e conoscere i suoi punti deboli››.
Si stava riferendo al cavallo? No, parlava di Gabriel.
‹‹Perché mi dici questo? Non ho nessuna intenzione di conoscere meglio il cavallo›› dissi secca, incrociando le braccia come fossi offesa.
‹‹Andiamo, gli stai sbavando addosso. L’abbiamo fatto tutte appena arrivate in questo mondo. Il suo bacio è qualcosa di unico›› e sospirò al ricordo. ‹‹Però… avrai notato anche tu come diventa irascibile ogni volta che ti sta accanto››.
‹‹Mi odia, è questo il fatto. Se mi piace una persona non cerco di aggredirla ogni volta che dice una cosa››.
Sonia rise. ‹‹Non capisci, è proprio questo il punto››.
La guardai a bocca aperta. Non capivo davvero dove volesse arrivare. Gabriel era stato chiaro con me, non voleva avermi attorno. E nemmeno io lo volevo.
O forse sì?
Arrossii al pensiero che fra noi potesse nascere qualcosa. Sonia lo notò e abbassai lo sguardo, non volevo ammettere che forse aveva ragione.
‹‹Andiamo, dai››. Mi diede una leggera pacca sulla spalla.
Salì a cavallo con un’eleganza che le invidiai. Io non l’avevo mai fatto prima e al solo pensiero mi tremavano le gambe.
Dietro di lei salì Sara.
Mancavo solo io.
Mi ritrovai davanti Gabriel. Il cavaliere nero sul suo nero destriero, pensai. Gli si addiceva come figura.
Cercai di concentrarmi sulla sella e presi coraggio. Se mi fossi distratta avrei rischiato davvero di ritrovarmi con il sedere per terra.
Come diavolo si faceva a salire su quel coso?
Avevo bisogno di aiuto ma non lo volevo ammettere. Non volevo farmi aiutare proprio da lui, che se ne stava a guardarmi con le braccia incrociate appoggiate al collo del cavallo in un modo alquanto irritante.
‹‹Dai, metti il piede destro sulla staffa››. Lo sentii trattenere una risata. ‹‹Appoggiati a me, ti tirerò su››.
Non ci trovavo nulla da ridere!
Sbuffai e misi da parte l’orgoglio di potercela fare da sola. Misi il piede destro sulla staffa, mi attaccai al braccio di Gabriel e, con un movimento agile e senza fatica, mi alzò.
Me lo ritrovai di fronte, gli occhi poco distanti dai miei. ‹‹È stato facile, vero?››.
Avrei voluto dirgli quanto lo odiavo, però mi limitai a un semplice e acido: ‹‹Grazie, ce l’avrei fatta anche da sola››.
‹‹Non ne dubito››, disse in tono sarcastico. Poi tornò subito serio. ‹‹Attaccati a me, dovremmo sbrigarci ad arrivare al castello. Più veloci siamo, meno attenzioni attiriamo››.
Appoggiai le mani sui fianchi e mi attaccai più stretta che potevo alla maglia.
Gabriel si girò scocciato. ‹‹Tu non mi ascolti allora››.
Mi prese le mani e se le portò davanti. ‹‹Ora non rischierai la vita. Tieniti forte››, e poi si rivolse alle ragazze gridando ‹‹Possiamo andare››.
Mi ritrovai schiacciata contro la sua schiena. Stavamo andando a una velocità impensabile, tanto che il paesaggio attorno risultava sfocato. Riuscivo a malapena a distinguere le immense praterie e qualche monte in lontananza, ma niente più.
Mi girava ancora la testa, così decisi di chiudere gli occhi.
Il vento mi scompigliava i capelli e con gli occhi chiusi mi sembrava di volare.
Volare!
Gabriel era un angelo, avrebbe dovuto avere le ali. Allora perché non le vedevo? La sua schiena sembrava perfetta. Oltre ai muscoli non notavo nessuna imperfezione. O almeno stando appoggiata a lui era quello che mi sembrava.
Ebbi un flash in cui vidi una sagoma con un paio di ali nere, maestose e terrificanti.
Spalancai gli occhi all’improvviso per lo spavento, e nello stesso istante la nostra folle corsa rallentò.
Attorno a me c’era un paesaggio fantastico immerso nel verde.
Gabriel notò che ero distratta e per richiamare la mia attenzione appoggiò una mano sopra le mie. Passò con delicatezza il pollice sul dorso per avvisarmi che eravamo arrivati.
Mi si fermò il cuore.
‹‹Guarda, Sofia, non è magnifico questo posto?››. La sua voce nascondeva un velo di tristezza, quasi come se quei luoghi gli facessero tornare alla mente ricordi lontani, o forse mi stavo sbagliando. Non l’avrei mai creduto capace di provare sentimenti.
Rispetto al solito, però, sembrava più dolce. Il suo lato angelico era venuto a galla?
No, ma mi sarei goduta quel momento prima che ritornasse il solito, irascibile Gabriel.
‹‹È fantastico››.
E in effetti era vero. Davanti a noi c’era un’immensa distesa d’acqua, così azzurra da dare l’impressione che il cielo si fosse ribaltato. Doveva essere un lago perché lì attorno c’erano solo montagne.
‹‹Questo è il Lago dei tre fiumi. Se guardi bene puoi benissimo capire il perché di questo nome››.
Guardai con attenzione e alla fine capii. Attorno al lago si trovavano tre montagne e da ognuna di esse scendeva un fiume che andava a sfociare direttamente nelle acque cristalline.
‹‹Dobbiamo passare il ponte. Vedi laggiù?››. Gabriel mi riportò con la mente a terra e, con mio grande dispiacere, tolse la mano dalle mie per indicare un punto in lontananza.
Vidi un ponte che sembrava non avere fine. Strizzai gli occhi per vedere meglio. Il luccichio dell’acqua mi impediva di vedere bene. Portai una mano sopra gli occhi per coprirli e alla fine vidi un piccolo rilievo montuoso.
Era strano però, aveva una forma particolare.
‹‹Lassù, in cima a quel monte c’è il castello di Ares. Vi accompagnerò fin là, poi proseguirete il viaggio da sole››, disse Gabriel serrando la mascella.
‹‹Perché non vieni con noi?››
Un lampo di rabbia gli passò negli occhi. ‹‹Non sono il benvenuto››. E bloccò la conversazione.
Con lui non si poteva mai fare un discorso completo, lasciava sempre le cose a metà e questo mi dava davvero fastidio.
Arrivammo al castello nel tardo pomeriggio.
Gabriel se ne andò con i cavalli e disse che sarebbe venuto a prenderci la mattina dopo.
Dove avrebbe passato la notte non ce lo disse, ma quello non era importante. La mia attenzione era stata attirata da qualcos’altro.
Il castello di fronte a me era stupendo, il classico castello medievale con le torri imponenti, il fossato attorno e le merlature nella parte terminale della muratura.
Entrammo scortate da quello che avrebbe dovuto essere un paggio. Era un ragazzo giovane, che scoprii essere l’unico immortale al servizio di Ares. Tutti gli altri erano rimasti con Mefisto, il quale li lasciava marcire fino all’osso in un mare di vizi e corruzione.
Indossava una calzamaglia aderente alle gambe lunghe e snelle, simili a quelle di un cerbiatto, e una camicia bianca. Sopra aveva un gilet nero con gli orli in oro chiuso da un semplice cordino marrone.
Come se non fosse abbastanza ridicolo, in testa aveva uno di quegli strani cappelli di foggia spagnoleggiante, in feltro nero, con una piuma di struzzo che ricadeva sui capelli biondi e ricci.
Non riuscii a trattenere una risata quando vidi i pantaloni corti bombati, marroni a strisce argentate. Era come se si fosse messo due palloncini sulle gambe.
Ci accompagnò fio alla porta del salone, l’aprì e annunciò a gran voce: ‹‹Sua Altezza l’immortale Ares è pronto a ricevervi››.
Entrammo in fila, prima Sonia, poi Sara e poi io.
Il salone era più grande di come l’avevo immaginato. Enormi dipinti occupavano sia la parete destra che la parete sinistra.
Erano elfi nobili, lo si capiva dal portamento fiero e dalle elaborate coroncine di foglie posate sul capo.
‹‹Chi sono?›› Chiesi sottovoce a Sara, che ancora mi guardava con uno sguardo torvo.
‹‹La prima stirpe di elfi che regnò ad Naostur, i Nuropegues››.
‹‹Ma qui non ci sono elfi››, le feci notare. ‹‹Finora ho visto solo mezzelfi. Che fine hanno fatto?››
Sara mi inchiodò con lo sguardo. ‹‹Sono storie antiche, è bene lasciare il passato dove sta››.
Perché tutta questa rabbia improvvisa? Ero solo curiosa di sapere un po’ di più della storia del luogo in cui mi trovavo.
Decisi di non indagare oltre, anche se non riuscivo a togliermi dalla testa la bellezza di quel re elfico.
Ritornai a guardarmi attorno.
Quel castello era immenso! Dall’alto della sala scendevano tre grandi lampadari, tutti alimentati da candele. Alla fine del salone, sia a destra che a sinistra, si trovavano due enormi scalinate che portavano alle stanze del piano superiore. Erano in marmo bianco e formavano una specie di ferro di cavallo.
Io e le mie sorelle acquisite camminavamo in fila sul grande tappeto rosso. Mi sentivo una regina scortata dalle sue damigelle.
Arrivate alla fine del salone, Sonia si dispose a destra, Sara a sinistra e io rimasi al centro. Vidi le ragazze portarsi la mano con le dita incrociate sul cuore e inchinarsi.
Io le imitai.
‹‹Gloria e Onore a Voi splendide fanciulle››, disse una voce sconosciuta alle mie orecchie.
Sbirciai, curiosa di sapere chi aveva parlato.
Mi ritrovai a fissare il corridoio che passava sotto le scalinate. Non c’era molta luce e l’unica cosa che riuscivo a distinguere era una figura poco definita, un contorno nero.
Nient’altro.
‹‹Gloria e Onore a Voi Ares››, dissero Sonia e Sara.
Io, invece, rimasi a bocca aperta a cercare di dare un senso all’ombra davanti a me. Non dissi nulla e mi guardarono entrambe, come se avessi appena fatto la peggior figura della mia vita.
Ares rise. ‹‹Non importa, è nuova nel nostro regno. Imparerà››.
‹‹G- Grazie››, balbettai un po’ impacciata.
Mi rialzai e i miei occhi incontrarono quelli di Ares.
Era uscito dall’ombra e un fascio di luce lo illuminò.



5
ARES



Le grandi pareti dipinte apparivano un tutt’uno con il pavimento. Un vortice di grigio, rosso e giallo sembrava volermi avvolgere.
Udii un ronzio indistinto, un po’ come quando si cominciano a perdere i sensi prima di svenire e questo lo avevo imparato a mie spese.
Poche ore prima ero svenuta ed ero morta.
E poi ero svenuta ancora.
Ma stavolta era diverso perché davanti a me solo una cosa era chiara e ben impressa nella mia mente: il viso di Ares.
Non sapevo se definirlo un ragazzo o un uomo.
Non aveva età.
Si presentò davanti a noi solamente con indosso un paio di jeans. I suoi muscoli erano ben scolpiti, ma non esagerati. Il suo viso sembrava quello di un angelo, uno di quelli che nei dipinti sono solitamente rappresentati in adorazione del Signore.
Sarebbe potuto essere uno di loro. O un serafino, nemmeno loro avevano età.
I capelli, biondi e ricci, gli ricadevano perfettamente lungo il viso, un po’ sopra le spalle. Il naso greco era perfetto, gli occhi piccoli erano di un verde intenso come le immense distese che avevo visto poco prima di arrivare al castello. Il mento poco pronunciato e a punta e la bocca sottile e poco carnosa erano molto attraenti.
Non sapevo se di fronte a me ci fosse una divinità o un immortale.
Mi resi conto di essere rimasta a fissarlo a bocca aperta per un bel po’ di tempo solo quanto Sara mi diede un pizzicotto.
‹‹Era ora che ti decidessi a tornare fra noi››, disse sottovoce. ‹‹Che diavolo ti è preso?››.
‹‹I-Io…›› balbettai.
Che avrei potuto dire?
Per fortuna Ares mi salvò da quella situazione imbarazzante. ‹‹Perdonatela, è la prima volta che si trova faccia a faccia con un immortale››, e mi fece l’occhiolino.
Le mie guance avvamparono di colpo.
‹‹Piacere di conoscerti, Neman. Benvenuta nel nostro regno››. Ares s’inchinò davanti a me, mi prese una mano e la baciò delicatamente, come un vero signore d’altri tempi.
‹‹Il piacere è tutto mio, Ares››.
A giudicare dall’espressione di Sonia, che alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, capii che avevo fatto l’ennesima brutta figura.
Mi girai, e a bassa voce chiesi ‹‹Che dovevo dire?››.
L’unica risposta che ebbi fu una risatina a stento trattenuta. Quelle che dovevano essere le mie sorelle mi stavano prendendo in giro.
Io non ci trovavo nulla di divertente e le fulminai con lo sguardo.
‹‹Seguitemi››, disse Ares che sembrava non aver notato nulla.
Lo seguimmo per gli immensi corridoi del castello illuminati da grossi candelabri d’oro appesi alle pareti. Entrammo in uno stanzino che sembrava troppo piccolo per quel posto così grande. Doveva essere una specie di ufficio, con una scrivania grezza in legno al centro e un immenso armadio che occupava tutta la parete in fondo allo stanzino.
Davanti alla scrivania c’erano tre sedie in legno decorato, all’apparenza scomode.
Non c’erano quadri appesi e nemmeno finestre che davano all’esterno. Soltanto un enorme lampadario di candele accese sopra le nostre teste.
Sopra la scrivania c’erano delle carte ordinate. Da una parte notai dei fogli con scritto qualcosa e dall’altra dei fogli bianchi con vicino un calamaio con inchiostro e penna piumata per scrivere.
‹‹Bene››, cominciò Ares, ‹‹questa stanza è la più sicura che abbiamo. Come sapete, sanno che è arrivata. Si mormora che stavolta è diverso, che stavolta potrebbe essere Lei e non solamente Neman. Che mi sapete dire a proposito?››.
Sara cominciò a raccontare tutto come un fiume in piena. Dal mio risveglio a quello che successe di fronte al popolo del Regno di Elos.
Finalmente capii perché mi guardava con sospetto. Ero entrata in trance e avevo cominciato a parlare con una voce che non era la mia. Anch’io, come lei, avrei sospettato qualcosa. A dire la verità, me la sarei data a gambe. Il pensiero di un qualsiasi tipo di possessione mi faceva rivoltare lo stomaco.
‹‹E così sospetti che possa essersi manifestata la Dea in persona in quel momento. Ho capito bene, Sara?›› concluse Ares.
‹‹Ne sono convinta. Per un istante ho visto un lampo nei suoi occhi, una luce diversa, e il mio corpo ha percepito una presenza forte, potente e…›› deglutì prima di continuare. ‹‹E famigliare››.
‹‹Capisco. Ma se fosse veramente la reincarnazione della Dea, di Morrigan…sapete che significa questo, vero?››.
Sara e Sonia si scambiarono uno sguardo. Guardarono me. Guardarono Ares, fecero un cenno e si misero a fissare il pavimento.
Che cosa significava?
Trattenni il respiro. Lo stomaco mi si stava contorcendo dall’ansia.
Aspettai, sperando che qualcuno mi spiegasse qualcosa.
Nessuno disse niente.
‹‹Io non so che significa››, esplosi. ‹‹Qualcuno si degna di spiegarmi che diavolo significa?››.
‹‹Sofia, tesoro, calmati››, disse Ares. ‹‹Non succederà nulla di male, tutto dipende da te. Vedi, sono anni che Morrigan non si fa vedere. L’ultima volta è stata quando è morta››.
‹‹Com’è successo?››.
Cercai disperatamente di tranquillizzarmi.
‹‹Morì durante una battaglia. Si era innamorata dell’ufficiale dell’esercito del Regno di Elos, un immortale. Morrigan è famosa per essere la Dea della guerra. Il suo aiuto sarebbe stato prezioso per vincere contro il Regno di Tenot e sconfiggere il Re, Mefisto. Quel bastardo! Ma Lugh non volle coinvolgerla, l’amava troppo. Morrigan però non sopportava l’idea di perderlo e lo seguì in battaglia trasformandosi in corvo. Quando vide che Mefisto lo stava per uccidere si trasformò nella vecchina dai lunghi capelli argentati portatrice di morte. Purtroppo la persona che morì fu quella sbagliata. La vecchina non apparve al re, apparve a Lugh››.
‹‹E lei sparì col cuore spezzato››, concluse Sonia al posto suo. ‹‹Si dice che dichiarò di volersi vendicare con Mefisto non appena ne avesse avuto l’occasione››.
‹‹Quindi che succederà se sono davvero la reincarnazione della Dea? Dovrò combattere contro questo spietato Re?››.
Ero veramente preoccupata.
Non volevo combattere, era come firmare la mia condanna a morte.
Cos’avrei potuto fare contro un immortale, poi?
Nulla!
‹‹No, tu puoi scegliere da che parte stare. Puoi stare dalla parte dei buoni, vendicandoti di Mefisto e del suo esercito››, cominciò a spiegare Ares.
‹‹E salveresti noi e il nostro regno››, aggiunse Sara con gli occhi sgranati, come per implorarmi di aiutarli.
‹‹Oppure puoi schierarti dalla parte dei cattivi che useranno il tuo potere per portare morte e distruzione. Si dice che Mefisto stia tramando qualcosa da anni, ma nessuno ha mai trovato qualcosa per poterlo provare››. Ares fissò un punto nel vuoto e strinse i pugni.
Erano due scelte assurde!
Mi sembrava logico che mi sarei schierata dalla parte del bene. Primo, perché chiunque farebbe quella scelta per salvarsi la pelle e secondo, perché conoscevo un bel po’ di persone che mi sarebbero state d’aiuto.
‹‹Scelgo la parte dei buoni, ovvio››, esclamai io.
‹‹Non è così semplice. Dovrai guardarti alle spalle, sarai messa alla prova. E per quanto ne so io qualsiasi persona che ti è vicina potrebbe non rivelarsi per quello che è in realtà. Potrebbe lavorare per il Regno di Tenot e pugnalarti alle spalle costringendoti a schierarti con loro››.
Chi avrebbe potuto fare una cosa del genere?
Né Sara né Sonia avrei pensato fossero in grado di tradirmi sotto il naso e forse nemmeno Gabriel.
No! Ripensandoci, forse lui ne sarebbe stato capace.
Mi aveva avvisato che aveva una missione da portare a termine e in più c’era quella storia del io-faccio-del-male-alle-persone-che-mi-stanno-accanto.
Già, lui sarebbe stato un ottimo candidato.
‹‹Gabriel!›› Mi sorpresi a dire tra me e me.
‹‹Gabriel? Pensi che lui possa esserti contro? Perché?››. Ares si portò una mano pensosa sul mento.
‹‹No, veramente… era solo un mio pensiero››.
Cercai di giustificarmi muovendo le mani come per voler cancellare ciò che avevo detto.
Sara, con la sua aria da bambina innocente, si girò verso di me. ‹‹Gabriel non farebbe mai del male a nessuna di noi, non è cattivo, ti stai sbagliando››.
‹‹È l’angelo della morte, non sta né da una parte né dall’altra. Sta dove gli conviene stare››. Un lampo di odio passò negli occhi di Ares.
Quel guizzo rosso contrastava con la sua figura da serafino che mi ero fatta pochi minuti prima.
Un brivido mi fece accapponare la pelle e all’improvviso una serie di immagini affiorò nella mia mente.
Piangevo, ero sola in un bosco.
Avevo paura.
Era un ricordo sfocato. Non avrei saputo dire se fosse successo realmente o fosse stato solo un vivido sogno che mi era rimasto impresso nella memoria.
Chiusi gli occhi per potermi concentrare meglio e una voce risuonò nelle mie orecchie, forte e chiara.
“Retan ni stequo pocor”.
Poi qualcosa nel ricordo attirò la mia attenzione.
Una sagoma che avanzava verso di me. Due occhi che splendevano giallastri nella notte, come quelli di un gatto.
E le immagini si bloccarono lì.
Aprii gli occhi. Nessuno sembrò fare caso a quello che mi era appena successo.
Ares stava cercando qualcosa nei cassetti della scrivania. Tirò fuori un piccolo sacchettino in cotone di un rosso talmente intenso da sembrare nero alla luce soffusa delle candele.
Lo aprì e ne tirò fuori una collana.
Era stupenda.
La alzò in modo da farla vedere a tutte e tre.
La debole luce delle candele si rifletteva nel cuore di cristallo rosso intenso emanando bagliori scarlatti per tutto lo stanzino. Ai due lati del cuore c’erano due dragoni, uno bianco e uno nero, con le ali spiegate e le code intrecciate nella parte inferiore.
‹‹Indossala sempre, Sofia, il Cuore del Dragone ti proteggerà e ti aiuterà a domare i tuoi poteri››. Ares si alzò in piedi e avanzò verso di me.
Raccolsi i capelli e li spostai da un lato per permettere ad Ares di agganciarmi la collana.
La sentivo fredda al contatto con la pelle e potevo percepire il potere che portava in sé quel piccolo cuore rosso.
‹‹Credo che sia ora di accompagnarvi alle vostre stanze››, disse Ares, accarezzandomi i capelli. ‹‹Sarete stanche››.
Non mi ero resa conto che fosse tardi. Il sole era leggermente meno forte, ma pur sempre acceso in quel cielo azzurro. Sperai che nelle stanze ci fossero dei tendoni abbastanza pesanti da impedire al sole di disturbarmi mentre dormivo.
Da sempre ero abituata a dormire nell’oscurità totale.
Non volevo nessuna luce che mi disturbasse e sapere che il sole non lasciava mai il posto alla luna mi preoccupava un po’.
Le mie sorelle uscirono prima di me e io per ultima, come al solito.
Ares mi afferrò di scatto per un braccio appena le ragazze furono abbastanza distanti e mi riportò dentro lo stanzino.
I capelli mi caddero davanti agli occhi e l’immortale li riportò delicatamente dietro l’orecchio accarezzandomi il viso.
‹‹Sei diventata una splendida donna, Sofia››.
Cosa volesse dire non lo so e non mi importava.
Ci avrei pensato più tardi.
Ero completamente ipnotizzata dai suoi occhi verdi e, visti così da vicino, notai che avevano delle pagliuzze dorate attorno alle pupille.
Avrebbe potuto manovrare le mie azioni come un burattinaio. Infatti non mi accorsi neanche quando avvicinò il mio corpo al suo.
Con una mano mi sorreggeva la schiena e con l’altra mi accarezzava i capelli.
‹‹Tu appartieni a me, e a nessun altro››.
Poi bisbigliò parole a me sconosciute e incomprensibili e le sue pupille si dilatarono. Il lampo rosso ricomparve e un brivido mi passò su per la schiena.
Ero in pericolo, lo percepivo in ogni singola particella del mio corpo, ma non potevo muovermi né urlare.
Ero sua!
Ero stata rapita da quel serafino immortale e non avrei potuto fare nient’altro se non arrendermi al suo volere.
Chinò la testa su di me e mi baciò.
Non fu un bacio appassionato, bensì un flusso di potere dalle sue labbra alle mie.
Il cuore non pulsava più solamente sangue, ma anche qualcosa di magico che faticai a riconoscere.
Fu proprio in quel preciso istante che capii due cose.
Ero sicura di essere Morrigan, la somma Dea della guerra e del cambiamento.
Ed ero riuscita a dare un nome alla figura sfocata dei ricordi che mi erano venuti in mente pochi istanti prima.
Sapevo chi mi voleva fare del male.
Da quel momento in poi avrei studiato ogni sua mossa.

6
VECCHI RICORDI



La mia stanza era enorme!
Le pareti sembravano d’oro, tutte con delle decorazioni floreali molto semplici. Sul soffitto invece era dipinto un enorme cielo azzurro con delle soffici nuvole bianche e, perfettamente al centro, un elegante lampadario in oro ricadeva giù a forma di piramide a base rotonda in cui era inserita una quantità immensa di candeline.
Ero troppo stanca per mettermi a contarle.
La mia attenzione fu attirata da un enorme letto a baldacchino in legno d’acero con le tende bianche scostate.
Sopra il copriletto ambrato trovai una vestaglia di seta rosa, ricamata attorno al seno. La indossai e andai verso l’enorme finestra che si trovava esattamente di fronte alla porta. Chiusi la pesante tenda e, con mia grande gioia, mi accorsi che non entrava nemmeno un singolo raggio di sole.
Feci spegnere le candele e mi infilai sotto le lenzuola.
Inizialmente non sognai nulla di particolare, poi mi ritrovai in una foresta in mezzo a dei pini enormi, talmente grandi che sembravano bucare il cielo. Ero seduta a terra, sopra un letto di aghi secchi e foglie morte.
Faceva freddo e una sottile nebbiolina inumidiva tutto il corpo, entrando sotto la pelle e raggiungendo le ossa.
Tremavo.
Il cuore pulsava all’impazzata.
Ero terrorizzata!
Volevo piangere, urlare… volevo la mamma.
Poteva essere un ricordo di quand’ero bambina?
Un ricordo che ho voluto cancellare?
Probabilmente sì.
Avevo rivisto quella stessa scena poco prima, nella mia mente, mentre parlavamo con Ares.
Coincidenza o fatalità che fosse risalita a galla proprio ora?
A un certo punto, nel sogno, sentii dei passi leggeri.
Foglie calpestate, rami spezzati.
Qualcuno si stava avvicinando.
Potevo sentire qualcuno respirare affannosamente, come se avesse fatto una gran corsa per arrivare fin lì.
Lo sentii ridere. ‹‹Piccola Sofia, non avere paura. Le altre bambine non hanno mai urlato, non si sono accorte di nulla. Vuoi essere la meno coraggiosa?››.
Quel qualcuno uscì dall’oscurità e si avvicinò a me.
Era un’ombra, una sagoma di un uomo con delle ali oscure, talmente nere che sembravano confondersi con la notte.
Mi misi a piangere più forte che potevo, dimenticandomi del tutto di quello che aveva detto delle altre bambine.
Non mi importava essere la più coraggiosa, volevo solo che qualcuno mi portasse a casa.
L’uomo si mise a farfugliare qualcosa in una lingua sconosciuta.
Alla fine urlò: ‹‹Retan ni stequo pocor. Entra in questo corpo, Somma Dea››.
Una luce verdognola sembrò bucare il cielo e aprirsi sempre di più.
Il raggio verde creò un cerchio perfetto attorno a me, e quella che l’ingenuità di una bambina avrebbe potuto descrivere come la polvere magica di Trilli si alzò verso l’alto creando degli splendidi riflessi arcobaleno ogni volta che entravano in contatto con il fascio di luce.
Allungai le piccole mani per toccarla e smisi di piangere.
Mi sentivo tranquilla, come se fossi stata nel lettone con la mamma e non fuori, in una foresta buia.
Il raggio verde a poco a poco svanì.
L’angelo nero disse: ‹‹E ora che sei entrata nel suo corpo, Dea, ti ucciderò con le mie stesse mani››. Avanzò verso di me. ‹‹Giustizia sarà fatta››.
Qualcosa rimandò il riflesso di un debole raggio di luce lunare e scattò in avanti, verso la mia testa.
Doveva essere una spada o un pugnale. Lo capii dallo swissh che fece tagliando l’aria attorno a me.
Mi svegliai di soprassalto, tutta imperlata di sudore.
Staccai i capelli dalla fronte e dal collo, li tirai indietro e cercai qualcosa per raccoglierli.
Era troppo buio e non era la mia stanza.
La stanza che avevo quand’ero viva.
Fui colpita da una sensazione di smarrimento e vuoto.
Ero sola e sentii un groppo salirmi in gola.
Deglutii due o tre volte per scioglierlo e cercai di scendere dall’enorme letto per aprire un po’ i tendoni. Incespicando e avanzando con le mani davanti per non cadere a terra, arrivai alla finestra.
Un sorriso di soddisfazione per l’impresa riuscita mi fece calmare un po’.
Un battito d’ali attirò la mia attenzione. Sembrava così vicino.
Mi girai per guardarmi alle spalle, ma dietro di me c’erano solo oscurità e silenzio.
Quell’oscurità disarmante in cui a ogni singolo rumore udito il cuore comincia a battere forte e la mente cerca disperatamente di dare un nome alla cosa sconosciuta che ci sta facendo morire di paura.
Sentii ancora il battito d’ali e qualcosa che graffiava la finestra.
Trattenni il respiro. Il cuore galoppava talmente forte che lo sentivo rimbombare in tutta la stanza.
Afferrai per un’estremità il tendone con tutte e due le mani e diedi un bel colpo per aprirlo.
Cacciai un urlo talmente forte che sorprese anche me.
Mi ritrovai di fronte a un enorme corvo. I suoi occhi neri erano puntati verso di me.
Aprì le ali e cominciò a graffiare con le zampe sul pesante vetro della finestra.
Urlai più forte sovrastando il suo gracido cra cra e, balzando indietro dalla paura, inciampai sul tappeto e caddi a terra.
Affondai la testa fra le ginocchia e cominciai a dondolare dicendomi di stare calma, che non sarebbe successo niente.
Sembravo una pazza appena uscita dal manicomio e i capelli fradici e scompigliati davano un tocco di follia in più.
Ares fu il primo a precipitarsi nella stanza.
Poi fu il turno di Sara che si gettò al mio fianco per tranquillizzarmi.
Sonia invece arrivò con più calma. ‹‹Cos’è tutto questo baccano?››. Si accorse di me a terra e dell’enorme corvo che voleva entrare a tutti i costi nella stanza. ‹‹Mia Dea! Ma quello è… Stai bene, Sofia?››.
Alzai la testa per accennare un sì, presi un respiro profondo e vidi Ares aprire la finestra e far entrare quell’uccellaccio.
Sgranai gli occhi e cominciai a urlare. ‹‹Sei pazzo? Vuole farmi del male. Tieni distante da me quella bestiaccia!››
E mi aggrappai a Sara.
Gli occhi verdi brillarono e un’incontenibile risata sembrò impossessarsi di lui. Avrei giurato che avesse le lacrime agli occhi dal ridere.
Io stavo morendo di paura e lui mi rideva in faccia.
Lo trapassai con uno sguardo pieno di rabbia.
‹‹Scusate, ma trovo divertente il fatto che la nostra Dea abbia paura del suo animale››. Stava cercando di mantenere il controllo, ma qualche risatina ogni tanto gli scappava.
‹‹Il mio animale è uno solo… o meglio, era››. Cacciai indietro il groppo alla gola che era tornato a galla. ‹‹Ade, un cane dolcissimo››.
‹‹Ade? Hai chiamato il cane Ade? Come il dio degli Inferi? Non posso crederci››. E rise di nuovo.
Si stava prendendo gioco di me.
Non me lo sarei mai aspettata da Ares, lo credevo un vero principe.
Evidentemente mi sbagliavo.
‹‹Prendimi pure in giro. Fai come se non ci fossi››.
Mi alzai offesa e mi sedetti sul letto incrociando le braccia e guardando Ares in cagnesco.
Lui si avvicinò a me con il grosso corvo nero appollaiato sulla sua spalla nuda. Si sedette sul letto e mi passò un braccio sulle spalle.
Il corvo mi guardò con i suoi occhietti neri e fece un cra che sembrava un ciao.
Ares mi tirò a sé. ‹‹Sofia, tesoro, lui è il corvo di Morrigan. Il suo umile servitore e messaggero. Guarda››, prese la zampa nera dell’animale e notai che vi era legato un tubicino d’argento. Con delicatezza lo sfilò e me lo porse. ‹‹Tieni, questo è per te››.
Sfilai il tappo del tubicino. Dentro, arrotolato perfettamente, c’era un foglietto di carta bianca.
Lo tirai fuori con calma, non volevo rischiare di strapparlo.
Fortunatamente scivolò sul metallo senza nessun problema.
Lessi cosa c’era scritto.
Sbiancai e mi cadde di mano il foglietto.
Sonia lo tirò su e lesse a voce alta il messaggio. ‹‹La piccola Dea ora è cresciuta, i sogni le rivelano la verità. Qualcuno sta giocando con lei, chi sarà il traditore? Non capisco, cosa vorrebbe dire?››
‹‹Morrigan riceveva spesso questi messaggi misteriosi››, spiegò Ares. ‹‹Venivano spediti dalla sibilla del Regno di Tenot, Kerrigan››.
‹‹Kerrigan? Una sibilla? Ma perché nessuno ce ne ha mai parlato? Io e Sara abbiamo un pezzo del potere della Dea e nessuno ci racconta certi dettagli››. Sonia si era offesa e aveva ragione. ‹‹Prevenire le mosse delle sue guardie ci sarebbe stato di grande aiuto››.
Se la Dea si serviva di una sibilla avrebbero dovuto saperlo anche loro. Sarebbe stato comodo in caso fosse scoppiata una guerra fra i due Regni.
Che pensiero sciocco!
Non sarebbe mai scoppiata una guerra.
Da quanto mi avevano raccontato, Mefisto era troppo impegnato a torturare i poveri abitanti del Regno di Elos e loro erano troppo impegnati a subire e riparare.
Forse quelli del Regno di Tenot stavano aspettando il momento giusto.
E il momento giusto era arrivato con me.
Lo sentivo, tutto mi diceva che stavano aspettando la reincarnazione della Dea per combattere, perché era l’unica speranza per entrambi i Regni.
E ora la speranza si era tramutata in certezza.
‹‹Sonia, hai perfettamente ragione, ma la sibilla vive isolata in una caverna del Regno di Tenot e nessuno avrebbe osato cercarla. Nemmeno Morrigan la cercava. Semplicemente si faceva viva tramite il corvo. Solo lui sa come comunicare e arrivare a lei››, stava per aggiungere qualcos’altro, quando lo interruppi.
‹‹Ho fatto un sogno, prima che arrivasse il corvo››.
Raccontai tutto nei dettagli. Brividi di freddo mi salirono lungo la schiena ancora imperlata di sudore per il brusco risveglio, per il ricordo di quelle ali nere che sembravano voler inghiottire la notte e per la spada lucente che aveva cercato di trafiggermi.
‹‹Non voglio assolutamente pensare che Gabriel volesse ucciderti fin da bambina››, esplose la piccola Sara.
Aveva ragione, nessuno voleva credere che Gabriel fosse malvagio.
Ma qualcosa in lui mi diceva di stargli distante, di non avvicinarmi né a lui né al suo passato e questo mi faceva sospettare della sua buona fede.
Avrei dovuto parlarne con lui.
L’idea però non era delle migliori e la scartai subito.
La mia mente cercava mille motivi per scagionarlo da queste accuse, però ogni volta che mi veniva in mente qualcosa…puff, esplodeva come un palloncino.
Riuscivo solo a trovare mille motivi per accusarlo e una vocina pungente mi sussurrava Stagli distante, ti farà solo del male.
C’era qualcosa che non andava.
‹‹Chi altro conoscete con un paio di ali nere come la notte? In tutti e due i Regni esiste solo un angelo della morte con delle ali nere, Gabriel. Dobbiamo trovarlo, metterlo in prigione e punirlo››. Ares sembrava animato dal fuoco della vendetta.
Avevamo tante ipotesi con cui poterlo accusare e nessuna prova in mano. A meno che la giustizia da queste parti funzionasse diversamente, io sapevo che si accusa e si processa qualcuno quando si hanno delle prove tangibili.
‹‹Non possiamo farlo, Ares! Non abbiamo niente in mano. Lascia fare a noi, le mie sorelle lo conoscono da più tempo di me e sapranno sicuramente cosa fare e come difendermi››.
Non ne ero molto convinta. Le vedevo fragili contro un angelo nero vendicativo, ma se questo poteva dare un po’ più di tempo a Gabriel…
E poi volevo parlargli io! Volevo scoprire perché non mi aveva ucciso quella sera.
Lo stavo accusando? Già.
Avevo i pensieri poco coerenti e non mi piaceva.
‹‹E va bene,›› disse Ares. ‹‹Ma se lui ti strappa anche solo un capello io…io…aaah››, e si alzò di scatto lasciando cadere il discorso.
Il corvo che aveva sulla spalla si spaventò e volò fuori dalla finestra con uno stridulo cra cra.
Ares strinse i pugni e diede un calcio all’aria di fronte a sé, poi si girò verso di me, i suoi riccioli biondi resi ancora più chiari dal sole.
Rimase a fissare i miei occhi per qualche secondo, poi mi prese il viso fra le mani e baciò la fronte.
‹‹È meglio che vada, ora. Fra poche ore è giorno. Anche se con questo sole non si direbbe, sono le tre di notte. Cerca di riposare, mia Dea››. Uscì dalla stanza e se ne andò.
‹‹Stai bene?›› chiese Sara girandosi verso di me, visibilmente preoccupata.
‹‹Sì, ho solo preso uno spavento. Prima il sogno, poi il corvo… il corvo! Dove se n’è andato ora?››.
‹‹Non preoccuparti per lui, ritornerà o con un altro messaggio o perché percepirà il tuo richiamo. Dovrebbe funzionare così, da come mi dice la fonte della conoscenza››. Fece un sorriso che mi ricordò una bambina felice che quel che ha studiato sia tornato utile.
Sonia andò a chiudere la finestra e cominciò a tirare i tendoni. ‹‹Vuoi che lasci passare un po’ di luce? Ti farebbe sentire più tranquilla?››.
‹‹Veramente sarei più tranquilla se voi restaste a dormire qui con me››.
Speravo davvero che restassero, da sola non avrei avuto il coraggio di chiudere occhio.
Loro mi davano forza.
Notai che il cuore rosso del ciondolo che avevo addosso aveva iniziato a scintillare e un brivido caldo percorse tutto il mio corpo.
Sembrava una cosa rassicurante, o almeno era quello in cui avevo un disperato bisogno di credere in quel momento.
‹‹Certo, per me va benissimo››, esultò Sara lanciandosi sotto le coperte.
‹‹Per me anche, se questo serve a farti stare più tranquilla››, rispose Sonia.
Dopo poco mi addormentai, risucchiata da un vortice nero e tranquillo.
E stavolta nessun sogno disturbò il mio riposo.

7
VERITÀ NASCOSTE



Troppe cose erano successe in un solo giorno.
Morire.
Andare in un altro mondo.
Scoprire di essere una Dea che cerca vendetta.
Scoprire che qualcuno mi voleva morta e che ci stava provando fin da quando ero bambina.
Insomma, per me era troppo!
Indossai di nuovo il vestito del giorno precedente.
Lo trovavo splendido, e a essere sincera da sempre sognavo di poter indossare una cosa del genere.
Però scoprii che non era proprio il massimo della comodità se dovevi affrontare una lunga cavalcata a cavallo.
Volevo un paio di jeans e una maglietta!
Lo desideravo ardentemente!
Quella mattina Ares ci svegliò di soprassalto. Era entrato nella stanza dicendoci che dovevamo far presto e tornare a casa perché i messaggeri di Mefisto stavano arrivando.
Sapevano che ero lì.
Ma come avevano fatto a scoprirlo?
Da quando eravamo arrivate non avevamo incontrato nessuno, eccetto il paggio che ci aveva accompagnate al castello, Ares e il corvo che mi aveva portato il messaggio.
Nessuno di loro mi sembrava una spia.
Il paggio era troppo giovane e troppo fragile per mettersi contro qualcuno più forte di lui, il corvo era il messaggero della Dea, perciò anche lui era da scartare e Ares… no!
Ares ci aveva accolte nel suo castello, mi aveva aiutato a capire cosa mi stava succedendo, mi aveva dato il ciondolo per proteggermi e per aiutarmi a capire come usare i miei poteri.
Di certo non poteva essere lui.
Uscii dalla stanza, percorsi il corridoio e scesi le enormi scalinate di marmo bianco che portavano direttamente alla porta d’ingresso.
Le adoravo.
Decisi di prendermi un po’ di tempo per sognare di essere una principessa.
Con una mano mi appoggiai al corrimano liscio e bianco e con l’altra alzai leggermente la gonna per permettere ai piedi di scendere senza intoppi. Non volevo rischiare di pestare l’orlo e rotolare giù dalle scale.
Scesi lentamente: un gradino, poi un altro e un altro ancora.
Quando arrivai a metà scalinata, vidi Ares che mi stava osservando con un misto di curiosità e ammirazione. Sembrava un principe appena uscito da un libro di favole. Aveva raccolto i riccioli biondi in una coda, indossava un paio di pantaloni neri e una camicia bianca con le maniche arrotolate fino al gomito.
‹‹Mia principessa››, disse, facendo un inchino regale e porgendomi una mano.
Arrossii, sembrava un sogno.
Scesi qualche gradino e appoggiai la mano delicatamente sopra quella di Ares.
‹‹Che scenetta disgustosa››. Sbottò Sonia. ‹‹Ragazzi, mi sono alzata e preparata in fretta e furia… e voi state giocando a Principi e Principesse››.
Era appoggiata al muro, le braccia incrociate e i capelli fiammeggianti raccolti in una treccia di lato. Non ci eravamo accorti di lei.
‹‹Il tempo di un saluto me lo lasci?›› Il tono di Ares era simile a quello di un bimbo che chiede alla mamma se può giocare ancora un po’.
‹‹Datti una mossa, sai che stanno arrivando. Vi aspetto fuori››.
Fra le tre, Sonia era quella più autoritaria. E quell’ordine non lo avrebbe violato nessuno, nemmeno un immortale.
Ares si voltò verso di me a pochi centimetri dal mio volto. Potevo sentire il calore del suo respiro sulla pelle.
Mi accarezzò i capelli. ‹‹Non preoccuparti Sofia, non ti succederà nulla. Se Gabriel prova ancora a farti del male, io lo fermerò prima che possa fare qualsiasi mossa››.
‹‹E se chi mi volesse morta non fosse Gabriel? Come faccio ad accusarlo se come prova ho solamente un sogno? Sfocato tra l’altro. Non ho visto in faccia quell’angelo, potrebbe essere chiunque››.
‹‹Hai visto le ali nere però, solo lui può essere!››
‹‹Non lo so, io… io non…››.
Non feci in tempo a finire la frase.
Ares affondò le dita nelle mie braccia. Un lampo rosso attraversò i suoi occhi e mi si accapponò la pelle. Mi stava spaventando, e mi faceva male.
‹‹Tu non ne sei sicura? Pensaci, Sofia, solo Gabriel può volerti morta. Ha già ucciso una volta, sono sicuro che non ci penserebbe due volte prima di farlo ancora››.
Ero scioccata.
Gabriel aveva già ucciso una volta?
Perché nessuno me l’aveva detto?
Lo sapevano, almeno?
Mille domande mi stavano passando per la testa e stavano facendo aumentare il dolore che pulsava nelle tempie.
‹‹Tu stai dicendo che… Gabriel è un assassino? Cos’è successo? Quando?››.
Un ronzio nelle orecchie preannunciava un possibile mancamento.
‹‹Non te ne ha parlato nessuno? Sofia, io… io non posso parlartene ora. Non c’è tempo e… sarebbe una sofferenza grande anche per me››.
Il viso dell’immortale si contorse in una smorfia di dolore che però scomparve subito.
Fu una cosa talmente veloce che credetti di essermi immaginata tutto, ma qualcosa dentro mi diceva che ci avevo visto bene, che stava soffrendo per qualcosa che era successo in passato.
Forse una vecchia ferita ancora aperta, profonda, e che non dava segno di volersi richiudere.
Annuii in silenzio, persa nei miei pensieri.
Ares avrebbe voluto parlarmene ma non era il momento.
Non c’era tempo, stavano venendo a prendermi.
O peggio, a uccidermi.
Decisi che avrei fatto un tentativo più tardi con le mie sorelle. Avrei indagato senza dare nell’occhio e se Sara e Sonia non mi fossero state di grande aiuto avrei escogitato qualcos’altro. Ero disposta a tutto pur di sapere la verità.
Di sicuro se avessi chiesto a Gabriel avrebbe lasciato il discorso a metà e se ne sarebbe andato lasciandomi più confusa di prima.
E a quel punto che avrei fatto?
Ci avrei pensato un’altra volta. Per ora dovevo sperare che il piano funzionasse al primo tentativo con le mie sorelle.
‹‹Ehi, è ora che tu vada››. Ares mi accarezzò dolcemente il viso con il dorso della mano e mi fece tornare con i piedi per terra. ‹‹Mi dispiace doverti lasciare così. Verrò io da te e risponderò a ogni tua domanda, promesso››.
Quel turbinio di pensieri e piani si volatilizzò e andò a nascondersi in qualche angolo remoto del mio cervello.
‹‹Ci conto››, risposi, e un sorriso spuntò automaticamente sulle mie labbra.
Ares si avvicinò e mi sussurrò all’orecchio: ‹‹Per te ci sono e ci sarò sempre. Mi concede un bacio per sigillare la promessa che le ho appena fatto, somma Dea?››.
Ebbi un tuffo al cuore.
Quella volta fui io ad abbracciarlo e a cercare le sue labbra. Fu un bacio intenso, pieno di passione e di desiderio.
Mi sembrava di volare.
Sentivo solo le sue labbra, le sue mani che mi accarezzavano dolcemente la schiena, il suo corpo caldo premuto contro il mio.
Sarei potuta stare lì ore ed ore, ma qualcosa ci interruppe.
Un secco uh-uhmm, per attirare la nostra attenzione.
Sciolsi l’abbraccio e mi girai di scatto.
Arrossii vistosamente.
Avevo il fiato corto e mi sentivo come una ladra colta con le mani nel sacco.
‹‹Spiacente di aver interrotto questo momento romantico fra di voi, ma se non ricordo male dovremmo fuggire. Miseria, Sofia, stanno venendo per ucciderti e tu stai lì a baciarti Ares››, Sonia mi guardava con le braccia incrociate e gli occhi sgranati.
‹‹Tutta invidia, tesoro. Vuoi un bacio anche tu?››, Ares tentò di sciogliere l’imbarazzo che era calato fra me e lei.
‹‹Ti piacerebbe che rispondessi di sì, ma devi metterti in fila, tesoro››.
Avevo le allucinazioni o l’innocente Sara stava ammiccando ad Ares?
In quel momento non mi sembrava per niente piccola e fragile, ma adulta e provocante.
La fissai a bocca aperta.
‹‹Che c’è? Mica posso essere sempre un angioletto. Ogni tanto mi piace graffiare››, e con una mano imitò la zampata di un gatto.
Sorrisi: era una scenetta divertente, ma era davvero giunta l’ora di andare.
Sonia ci stava aspettando fuori. Non appena ci vide ci avvisò di quello che ci aspettava.
‹‹Ragazze, dovremmo darci una mossa. Gabriel é fuori dalle mura con i cavalli. Non abbiamo molto tempo, perciò… muoversi!››, e s’incamminò.
Sara e io la seguimmo.
Ares ci guardò andare via, in silenzio.
Un pensiero fisso mi martellava in testa, oltre al dolore che non accennava a diminuire.
Gabriel ci stava aspettando.
Come avrei potuto affrontarlo?
Come avrei potuto sopportare un’altra cavalcata con lui?
No, non sarei ritornata a cavallo con chi, forse, mi voleva morta.
Sarei salita con Sonia e avrei messo in atto la prima parte del piano per scoprire la verità sull’angelo assassino.

8
IL SEGRETO DI GABRIEL



Fuori dalle mura del castello vidi Gabriel.
Teneva i due cavalli neri per le briglie, uno a destra e uno a sinistra.
Anche da lontano si potevano notare le due occhiaie che gli solcavano gli occhi.
Non aveva dormito.
Avrei tanto voluto sapere che cosa aveva fatto tutta la notte da solo.
Magari stava già studiando il modo migliore per sbarazzarsi di me senza che nessuno sospettasse di lui.
‹‹Andiamo, bellezze, datevi una mossa. Stanno arrivando i mastini di Mefisto››. Gabriel parlò senza nessuna emozione.
Sembrava scocciato.
‹‹I mastini di Mefisto? Che roba sono?››, chiesi a Sonia.
Lei sapeva sempre tutto, non come Sara che sapeva le cose solo quando attingeva alla fonte della conoscenza. Sonia avrebbe potuto spiegare ogni tipo di potere di ogni creatura esistente nei due Regni. Era informata, e questo poteva essere sfruttato a nostro vantaggio.
L’informazione è alla base di ogni tattica militare. Più sai dei tuoi nemici e del terreno in cui dovrai combattere, più possibilità di organizzare le mosse e le contromosse avrai.
Bene! Cominciavo a pensare in gergo militare. Stavo proprio impazzendo.
‹‹Sono i Siruco, gli elfi oscuri che vivono nel Regno di Tenot. Sono stati cacciati dal Regno di Elos proprio dai mezzelfi che sono una sorta di parenti stretti››, mi spiegò Sonia.
‹‹Gli elfi oscuri sono esseri splendidi anche se la loro corruzione si rispecchia all’esterno. Hanno la pelle nera come l’ebano, gli occhi rosso fuoco e i capelli argentati come la luce lunare. Purtroppo erano interessati più al potere che alla giustizia e questo li ha portati alla rovina.
‹‹Il sole è loro nemico e non viaggiano mai di giorno. Infatti per venire a Elos scavano delle gallerie. Sbucano dal terreno e risucchiano tutto ciò che si trova sulla loro strada. Sono malvagi, assetati di sangue e uccidono senza pietà››.
‹‹Ed è per questo che ci conviene andare, non sono molto distanti››. Gabriel avanzò verso di noi. ‹‹Se ci diamo una mossa forse riusciamo ad evitarli. Dai Sofia, sali››.
‹‹Io salgo con Sonia››. Cercai di mantenere il tono più freddo e distaccato che potevo.
‹‹Dai, non fare storie. Sali con me e finiamola qui, non c’è tempo per discutere››.
‹‹Io. Salgo. Con. Sonia.›› marcai ogni parola.
Perché non mi lasciava salire con lei, punto e basta? Io non stavo facendo storie, le stava facendo lui.
Tanto cosa gli importava? Non avrebbe potuto farmi nulla con accanto le mie sorelle.
‹‹Testarda che non sei altro. Va bene, fai quello che vuoi. Non ho né tempo né voglia di discutere con una bambina come te››, girò i tacchi e salì a cavallo.
Sara salì dietro di lui in silenzio.
Sonia e io montammo sul nostro cavallo.
Mi aggrappai a lei più forte che potevo e partimmo.
Dovevamo fuggire in fretta. La storia di quei Siruco mi mise i brividi. Come potevano esistere creature così orribili? Capii che gli elfi malvagi di cui mi aveva parlato il giorno prima erano loro. Esseri spietati che non avevano nulla a che vedere con il popolo di Calien.
Anzi, loro li avevano scacciati.
Dopo un po’ che eravamo in viaggio decisi di mettere in atto il piano A. Parlare alla velocità con cui andavamo risultò difficile, dovetti urlare un bel po’ per farmi sentire, ma dovevo farlo!
Ne andava della mia vita.
Mi sporsi un po’ in avanti, così che Sonia potesse sentirmi. ‹‹Sonia, posso parlarti?››.
Sonia mi diede uno sguardo veloce e perplesso. ‹‹Ora vuoi parlarmi?››.
‹‹Sì, è urgente››.
‹‹Okay, sentiamo cosa c’è di così urgente››.
E adesso?
Come potevo iniziare?
Chiedendogli Gabriel è un assassino, vero? Chi ha ucciso?
Cavolo cavolo cavolo.
Mi serviva un’idea.
Ora!
La lampadina dentro il mio cervello si illuminò. ‹‹Tu che sei sempre così informata, sapresti raccontarmi qualcosa sul passato di Gabriel?››.
Sonia emise una risatina e rimase sconcertata dalla domanda.
‹‹Tu sei pazza. Ne dobbiamo parlare adesso? L’urgenza dov’è?››.
‹‹Vedi, poi non so se e quando avremo di nuovo l’occasione di parlare. Quindi… io vorrei sapere qualcosa del suo passato per convincermi che non può essere lui quello che mi vuole morta››.
‹‹Se è per questo… Beh, non so se quello che posso raccontarti sia del tutto rassicurante, però a prescindere da quello che è successo… non credo sia lui. Non potrebbe mai ucciderti. Non ne avrebbe motivo››.
Bingo!
Al primo tentativo il piano era riuscito.
‹‹Sono pronta, racconta››.
‹‹Vedi, molto tempo fa Gabriel amava una ragazza. Si chiamava Eirwen, un elfo femmina dagli occhi a mandorla color nocciola e i capelli neri e morbidi come la seta. Era innamorato follemente. Solo che c’era un piccolo problema: lei era insieme ad Ares››.
‹‹Cosa? Era insieme ad Ares? Prorio lui? Non un altro?››.
‹‹Proprio lui››.
‹‹Quindi è per quello che non è rimasto con noi, per non vederlo››.
‹‹Esatto, proprio per quello. Lui e Ares inizialmente erano inseparabili, quasi fratelli. Combattevano fianco a fianco. Finchè un giorno Gabriel si innamorò di Eirwen. Tennero nascosto il loro amore per non so quanto tempo.
‹‹Da quello che so il loro era un amore platonico. Nessun bacio, solo carezze e parole dolci, ma feriva più di una spada che trafigge un cuore. Era un doppio tradimento agli occhi di Ares. Il suo migliore amico e la sua ragazza, posso immaginare come si sarà sentito.
‹‹Fatto sta che per poco non scoppiò una guerra. Eirwen alla fine decise di restare con Ares. Andò a parlare con Gabriel e…›› Sonia si bloccò di colpo.
Prese fiato e tirò su col naso.
Sembrava sul punto di piangere.
Poi continuò. ‹‹E fu in quel momento che Gabriel, per convincerla a restare con lui, la baciò. Lui può donare e togliere la vita con un semplice bacio, e in quel caso la tolse proprio alla sua amata.
‹‹Non sopportava di saperla con Ares. Soffre moltissimo per quello che ha fatto, e si vede. Credo che si senta un assassino e non si dia pace, ma non ha mai parlato con nessuno di questa storia››.
Tutto questo cominciava a dare un senso alle cose. La sua freddezza, la sua frase faccio del male alle persone che mi sono vicine… ma non spiegava perché voleva uccidermi.
Di nuovo lo stavo accusando!
Non riuscivo a darmi pace, lui non mi rendeva tranquilla.
Mi girai a guardarlo. Viaggiavamo quasi fianco a fianco.
Il verde acceso di quelle terre contrastava con il nero dei cavalli e Gabriel era lì, non molto distante da me, che cavalcava il suo destriero dal manto oscuro.
Provai una fitta di dolore nel petto.
Qualcosa in quella storia non mi convinceva.
Avrei voluto scoprire di più, ma temevo che Sonia mi avesse già raccontato tutto quello che sapeva.
Se davvero Gabriel era pentito per ciò che aveva fatto, riaprire quella ferita non era la cosa migliore da fare.
Soprattutto in quel momento.
Il cuore di cristallo rosso che portavo al collo si accese. Questa volta non fu un bagliore, fu una vera e propria esplosione di rosso acceso.
Il mondo cominciò a rallentare fino a fermarsi.
Il paesaggio sfocato attorno a me diventò più definito. Finalmente potevo vedere i picchi montuosi che, alla mia sinistra, delimitavano il confine fra i due Regni.
Il grande fiume – che mi dissero chiamarsi Dilimpo - se ne stava tranquillamente adagiato in mezzo ai prati pieni di margherite.
Non le avevo notate in corsa, ma ora tutto era fermo, immobile. Anche i cavalli, con le criniere nere al vento bloccate all’indietro.
I capelli argentati di Sara sembravano congelati, come una nube di ghiaccio, e la treccia di Sonia, portata in avanti, mi ricordava un serpente nel momento dell’attacco.
“Sofia, cerca la verità. Solo così saprai dare una risposta alle tue domande”.
Qualcosa cominciò a materializzarsi di fronte a me. Era una donna, simile a un ologramma di quelli che di solito si vedono nei film di fantascienza. Potevo vedere al di là del suo corpo, però riuscivo benissimo a distinguerla.
Indossava un vestito lungo e bianco, semplice e con un diadema a forma di croce celtica posto al centro, proprio sotto il seno, per tenere chiuso il tutto. I suoi capelli erano di un nero intenso e sembravano essere animati da una forza misteriiosa. Guardai meglio e vidi che erano formati da uno stormo di corvi che le svolazzavano attorno silenziosamente.
‹‹Morrigan››, riuscii a dire.
Mi sentivo la bocca secca. La Dea in persona era venuta a farmi visita e mi stava parlando.
Chissà se si era manifestata anche alle mie sorelle.
Avrei chiesto più tardi.
‹‹Sì Sofia, sono io. Vogliono ucciderci. Scopri chi vuole compiere questo sacrilegio e scaglia su di loro la nostra vendetta››.
Al suono di queste ultime parole, i corvi si misero a danzare e a gracchiare.
I cra cra che emisero mi fecero accapponare la pelle.
‹‹Mia Dea, come posso fare? Sono confusa e… terrorizzata››.
Lo ero eccome.
‹‹Le tue sorelle ti insegneranno a utilizzare i tuoi poteri nel modo giusto. Quando sarai pronta, uniranno i loro e li consegneranno nelle tue mani. La luce della luna i suoi raggi le dona, il calore del fuoco la forza le dona. La Grande Dea in battaglia ritorna e il suo capo con una corona di spine adorna. Questo è ciò che la sibilla ha detto. Le sue parole sono vere, ascolta sempre ciò che ha da dirti››.
‹‹Certo, ma…››.
‹‹Figlia mia, non c’è tempo. I tuoi poteri sono nascosti dentro di te da sempre. La consapevolezza di ciò in cui credi veramente ti farà superare qualsiasi cosa››.
Non feci in tempo a chiedere o dire nulla.
La Dea alzò le mani al cielo, come se volesse afferrare qualcosa. I corvi la avvolsero in una nube nera e si dissolse nel nulla.
Il mondo attorno a me tornò a muoversi e mi colse talmente di sorpresa che persi la presa su Sonia e scivolai dal cavallo.
Ero convinta che mi sarei rotta l’osso del collo con l’impatto.
Con mia grande sorpresa sentii qualcosa di caldo e morbido. Non avevo il coraggio di aprire gli occhi, ero ancora troppo spaventata e non avevo nemmeno la forza di muovere un muscolo. Avevo paura che se l’avessi fatto poi me ne sarei pentita amaramente.
Stava diventanto un’abitudine andare incontro alla morte.
‹‹Stai bene? Sofia, apri gli occhi. Ti prego, apri gli occhi, respira!››.
Respira!
Solo allora mi accorsi di aver trattenuto il fiato.
Presi un respiro profondo e aprii gli occhi.
Fui accolta per la seconda volta dal viso di Gabriel. I suoi occhi neri erano visibilmente terrorizzati.
Rimasi a guardarlo come se fosse la prima volta che lo vedevo e notai diverse cose. La fronte coperta da riccioli neri che arrivavano a coprire le sopracciglia folte e dritte, il naso piccolo e leggermente schiacciato, la bocca carnosa e uno sguardo intenso.
Troppo intenso.
Avrei potuto perdermici dentro.
Ti sta ingannando, vuole controllare la tua mente.
La vocina pungente mi parlò di nuovo.
Ma da dove proveniva?
Erano i miei pensieri?
Mi risvegliai da quella specie di stato di trance in cui ero caduta.
‹‹Sofia, parlami! Stai bene?›› Gabriel quasi urlò.
‹‹Sì sì, sto bene››, dissi alzandomi più in fretta che potevo. Era troppo vicino e la sua vicinanza mi metteva a disagio, mi spaventava.
Gabriel mi bloccò per un polso e mi fece voltare verso di lui. ‹‹Cos’è successo?››
‹‹Lasciami stare››, dissi staccando il braccio dalla sua presa, ‹‹Non è successo niente, andiamo››.
Non potevo certo dire di aver visto la Dea.
O almeno, non con Gabriel lì.
Non ero sicura della sua innocenza, anzi, ero quasi completamente convinta del contrario.
‹‹Sofia, cos’è successo? Dimmelo! Mefisto potrebbe usare qualche trucchetto per manipolare la tua mente. Devo saperlo. Devono saperlo anche loro››, e indicò le mie sorelle a cavallo, dietro di me.
‹‹Non è stato Mefisto, ma non ti racconterò cos’è successo. Non posso. Io non…io non mi fido››.
La sincerità prima di tutto, di solito funziona.
O no.
Se dici la verità succedono due cose: o capiscono perché hai agito in una determinata maniera e ti perdonano o non capiscono e decidono di farti la guerra.
Gabriel decise di farmi la guerra.
La rabbia che ribolliva nel suo sguardo mi fece spaventare.
Un fremito percorse il suo corpo.
Poco prima i suoi occhi erano dolci, pieni di preoccupazione, ma in quel momento mettevano i brividi.
Erano completamente neri.
Lo stomaco mi si bloccò in gola.
Che avrei potuto fare se mi avesse attaccato?
Non conoscevo i miei poteri.
Una nuvola di polvere si alzò attorno a Gabriel, come un piccolo tornado. La terra tremò sotto i miei piedi e con un balzo si lanciò verso di me.
Un lampo nero in mezzo a tutto quel verde.
Portai le mani sopra gli occhi, pronta all’impatto.
Aspettai qualche secondo.
Non successe nulla.
Aprii un varco fra il medio e l’anulare e spiai cosa stava accadendo.
Di fianco a me, appoggiato al cavallo con i piedi e le braccia incrociate, vidi Gabriel.
Era tornato normale e ora stava sogghignando come un gatto quando gioca con la sua preda.
Mi sentii piccola piccola e molto indifesa.
Gabriel con soli due passi si mise di fronte a me. Mi stava osservando dall’alto al basso con quel sorriso sarcastico stampato in faccia.
‹‹Questa volta ti ho risparmiato, la prossima volta non sarai così fortunata››.
Mi aveva appena minacciata?
Sì.
Una prova a tuo favore. Vuole ucciderti, sta solo cercando l’occasione giusta.
Quella vocina mi stava facendo saltare i nervi.
Scrollai le spalle per liberarmi da tutti i problemi che affollavano la mia povera testa dolorante e ritornai in sella al cavallo.
‹‹Mai far arrabbiare un angelo della morte››, mi avvisò Sonia.
Ormai era troppo tardi.
‹‹Non posso più tornare indietro e non ho paura di lui››, o almeno era quello che volevo credere.
Di paura ne avevo, e tanta. Prima però dovevo seguire quello che mi era stato detto dalla Dea. Avrei cercato di conoscere i miei poteri e, quando mi sarei sentita pronta, avrei combattuto contro chi mi voleva morta.
Anche contro Gabriel, se il destino avesse deciso così.

9
PREMONIZIONI



Dopo un lungo viaggio, finalmente arrivammo a casa.
Una folla di esseri magici ci accolse, esultando per il nostro ritorno e lanciando fiori.
Scendemmo da cavallo e proseguimmo a piedi.
Gabriel aveva detto che era meglio metterli al sicuro nel loro nascondiglio e si dileguò senza dire una parola.
Meglio così, ero ancora spaventata da quello che era successo prima.
Qualcosa brillò di fronte a me e mi riportò con i piedi per terra.
Era una piccola fata.
Indossava un vestito rosso che le fasciava il minuscolo corpo e ricadeva leggero e a campana sopra le sottili gambe. Un paio d’ali, che presumevo fossero rosse dal colore della polvere che le cadeva attorno, facevano un movimento talmente veloce da essere impercettibile e tenevano sospeso a mezz’aria il corpicino della ragazza.
I capelli biondi le arrivavano fino ai piedi e svolazzavano di qua e di là a ogni minimo movimento. Portava in testa una graziosa corona di fiori colorati, tutti intrecciati tra loro, e in mano teneva una margherita grande quasi quanto lei.
‹‹Gloria e Onore a voi, somma Dea. Io sono Twinkle e a nome di tutto il popolo fatato, la prego di accettare il nostro umile dono››. E allungò il fiore verso di me. ‹‹Questa non è una semplice margherita, in realtà contiene polvere fatata. Sono certa che ti sarà molto utile in futuro per poter scoprire quali sono i tuoi nemici››.
‹‹Le servirà eccome, allora››, disse Sonia trattenendo un sorriso.
Non risposi.
Mi limitai a darle un pizzicotto sul braccio.
Guardai la piccola Twinkle dagli enormi occhioni blu. Trovavo quel nome davvero buffo, mi ricordava uno di quei pupazzi che emettono suoni strani schiacciando la pancia.
Le porsi la mano, così che potesse consegnarmi il dono. Appoggiò i piccoli piedi scalzi sul palmo e stese la margherita come una mamma metterebbe nella culla il suo bambino.
Le ali erano ferme e, finalmente, potei osservarle bene. Erano grandi, ricoprivano quasi tre quarti del suo corpo. Il sottile strato membranoso di cui erano rivestite era di un rosso scarlatto ed erano decorate con sottili filamenti dorati e brillanti che formavano esotici arabeschi.
‹‹Accetto volentieri questo dono, Signora delle fate. Gloria e Onore a voi››.
Twinkle portò la mano con le dita incrociate sul cuore e si inchinò. Subito dopo, anche il suo popolo la imitò. Centinaia di piccoli esseri volanti inchinati di fronte a me. Dalle loro ali scendeva un arcobaleno di polvere fatata.
Sorrisi, ero sinceramente grata di quel regalo.
Mi sentivo in pace e sollevata, ci voleva proprio dopo una giornata come quella.
Ora non desideravo altro che andarmene a letto, e magari una doccia calda se mi era concesso.
La piccola fata si alzò dall’inchino. ‹‹Neman, usa con molta attenzione la polvere di fata. Usala quando ne avrai veramente bisogno, solo così potrà funzionare››.
‹‹E se volessi scoprire chi è contro di me? Come devo usarla?››, questa era un’informazione che avrei sfruttato prima o poi.
Dovevo scoprire chi stava dalla mia parte e chi no.
Avrei aspettato il momento giusto, bisognava solo avere pazienza.
E quella non mi era mai mancata.
Twinkle incrociò le gambe, si sedette sulla mano e cominciò a spiegare. ‹‹Vedi, devi fare in modo che chi sospetti sia contro di te tocchi o abbia vicino a sé la margherita. Devi metterla in una tasca o regalarla o altro, e nel momento in cui avviene il contatto… bam››, e schioccò le minuscole dita, ‹‹Il gioco è fatto! Se l’aura di questa persona è dorata, tutto apposto, sta dalla tua parte. Se invece è nera, fuligginosa… Beh, ti conviene dartela a gambe››.
Sembrava una cosa facile da fare.
Aura dorata, amico.
Aura fuligginosa, nemico.
Semplice!
‹‹Grazie Twinkle, ne farò buon uso››. La fatina si alzò, fece un inchino veloce e raggiunse gli altri esserini volanti.
Un rumore di zoccoli si fece largo tra la folla e attirò la mia attenzione.
Era Calien, sempre con la camicia di seta svolazzante e i pantaloni color cachi.
Stavolta però i capelli erano sciolti, raccolti all’indietro con una treccia per lato.
Accostò il cavallo vicino a noi e fece un leggero inchino.
Era la prima volta che lo vedevo da vicino, i suoi occhi erano di un blu cielo intenso, spettacolare.
‹‹Siete arrivate, finalmente. Vedo che Twinkle non ha aspettato a consegnarti la polvere di fata››. Sorrise.
Non a me però, a Sonia.
E lei ricambiò il sorriso, arrossendo.
C’era qualcosa fra i due? Sembrava proprio di sì.
Avevo appena scoperto che anche Sonia aveva una parte dolce.
‹‹I Siruco sapevano dov’era. Siamo fuggiti in fretta perché la stavano cercando al castello di Ares. Credo ci sia una spia fra di noi››.
La piccola Sara parlava poco, ma nel momento in cui lo faceva mi sorprendeva sempre.
Capii che la sua dote era l’osservazione.
Ricapitolando: Sonia era la più pratica, Sara la più attenta ai dettagli, e io?
Di sicuro potevo essere la più problematica o la più combina guai.
Certo, mi ci vedevo benissimo in quel ruolo.
‹‹Sì, sanno che è arrivata. Sono venuti a cercarla anche qui. Ci hanno fatto credere che era una normale spedizione in cui rubano e torturano tutto ciò che si trova sul loro cammino, ma non hanno portato via nulla e nessuno è stato torturato, fortunatamente››. Calien scosse la testa, sconcertato.
Non capivo come potesse essere accaduto. Se i Siruco non potevano viaggiare alla luce del sole, chi era venuto al villaggio? Non avrebbero potuto cercarmi stando sottoterra.
Non feci in tempo a pensare a tutto ciò che Sara mi precedette nel porre domande.
‹‹Maledetta Waning››, sbottò la mia sorellina.
Era disgustata per non so quale motivo.
‹‹Chi è Waning?›› chiesi.
‹‹La regina delle fate nere. Pensi che le fate siano tutte belle, buone e carine come Twinkle? Allora non hai mai visto il popolo Curoos! Vivono sulle montagne che hai visto prima, quelle al confine fra i due Regni. Le montagne Gehnul››.
Fate nere.
Non riuscivo a immaginarmi delle fate cattive.
Come poteva essere? Ero cresciuta, come tutte le bambine, con storie di magia in cui le fate sono sempre dalla parte dei buoni. Non potevo pensare che quegli esseri indifesi avessero la forza per fare del male a qualcuno, grande o piccolo che fosse.
‹‹Non posso crederci››, mi sorpresi a dire scuotendo la testa.
‹‹E fai male! Devi stare molto attenta, invece: le fate nere sanno essere molto cattive e crudeli››. Calien parlò con tono serio.
Era una cosa con cui non si poteva scherzare.
Avevo capito in pochi giorni che esisteva un mondo pieno di esseri di cui avevo sentito parlare solo nei racconti e, allo stesso tempo, questi esseri magici convivevano con un popolo oscuro e potente.
Io ero stata catapultata lì per qualche preciso motivo.
Un allineamento particolare dei pianeti?
Una cospirazione divina?
Fatto sta che tutti in quel posto credevano in me.
E io non volevo deluderli.
Nei loro occhi vedevo speranza, giustizia e libertà.
Volevano essere liberi dalla crudeltà e dalla sottomissione di Mefisto e la Dea in persona mi aveva detto che solo io potevo aiutarli.
Cosa potevo fare a quel punto?
Dovevo prendere in mano le redini del mio destino.
Dovevo domare i miei poteri e la mia forza.
Dovevo combattere contro Siruco, Curoos e Mefisto in persona.
E ce l’avrei fatta! Ma ne ero poi così sicura?
‹‹Farò tesoro di quello che mi avete detto, Calien. Ora, se non ti dispiace mi piacerebbe fare una bella dormita. Senza incubi, spero››.
Avevo riposato veramente male la notte prima e il mio corpo cominciava a sentire tutta la stanchezza.
Arrivata a casa mi diressi pigramente nella mia stanza.
Avevo dimenticato tutto, vedevo solo il letto. Mi stesi sopra le coperte e mi addormentai ancora vestita.

***

Qualcuno stava correndo.
Era una foresta quella che vedevo o cosa?
Mi ricordava un posto in cui ero già stata.
A terra c’erano tante foglie morte che coprivano una specie di vialetto terroso. Sorvolai un ponte che se ne stava adagiato sopra un fiumiciattolo pieno di ciotoli.
Sono già stata qui!
Mi accorsi che stavo fluttuando, attirata da qualcosa.
Il respiro affannato di qualcuno risuonò nelle mie orecchie.
Abbassai lo sguardo, mentre tutto attorno a me scorreva velocemente. Un ragazzo stava correndo e io mi muovevo con lui. Ogni tanto si guardava alle spalle.
Evidentemente credeva di essere seguito.
Non riuscivo a vederlo bene in faccia ma mi ricordava qualcuno.
Si fermò di colpo e trattenne il fiato. Qualcosa per terra gli bloccava il passaggio. Sembrava un tronco coperto di foglie.
Fluttuai più in basso per vedere meglio.
Era un tronco strano, sembrava avere forma umana.
Il ragazzo si piegò sulle ginocchia, affianco al tronco.
Un singhiozzo strozzato bucò il silenzio.
Stava piangendo.
Perché?
Alzò una mano tremante e spostò un po’ di foglie.
Rimasi paralizzata.
Una parte di me voleva fuggire lontano, un’altra voleva restare a guardare la macabra scena.
Non era un tronco.
Vedevo dei vestiti. Una canotta che doveva essere stata bianca, un disegno indecifrabile ormai rovinato da un’ampia macchia rossa, un paio di pantaloncini corti neri e…un paio di Converse nere e rosa!
Ero io, era il mio corpo!
Mi avvicinai di più al ragazzo.
Un rumore di foglie e rami spezzati attirò la sua attenzione e alzò la testa di scatto.
Mia Dea, era Michael!
Il ragazzo che si era innamorato di me, quello per cui avevo paura di uscire di casa.
Trattenni il respiro.
Un senso di nausea si impossessò del mio corpo.
Come aveva fatto a trovarmi?
Perché si trovava lì nel bel mezzo della notte?
I miei pensieri furono interrotti.
Michael spalancò gli occhi e qualcosa gli si scaraventò addosso.
Urlai con lui e fui inghiottita dall’oscurità.



10
ARRIVI INASPETTATI



Il sogno che avevo fatto mi aveva lasciato un senso di smarrimento, terrore e un lieve pizzicore allo stomaco che non significava niente di buono.
Ero convinta che qualcosa fosse successo veramente a Michael, ma non avrei potuto fare nulla. Avrei voluto poter consultare i tarocchi, di loro potevo fidarmi senza avere il terrore che mi pugnalassero alle spalle.
Non sapevo a chi avrei potuto raccontare del sogno e delle sensazioni che mi erano rimaste.
Tutti stavano ancora dormendo, solo io ero seduta in cucina sulla sedia a dondolo.
Quella mattina faceva caldo, perciò mi liberai del vestito scomodo e scesi in slip e canottiera. A parte Sonia e Sara, non c’erano ragazzi in casa.
Gabriel, come al solito, spariva per andare chissà dove a fare chissà cosa. Ovviamente senza dire nulla a nessuno.
Stavo sorseggiando una tazza di tè verde, ovvero l’unica cosa decente che avevo trovato in cucina, mentre osservavo il sole che, a poco a poco, riprendeva il suo brillare che distingueva il giorno dalla notte
Qualcosa attirò la mia attenzione.
Qualcosa di famigliare a cui però non sapevo dare un nome.
Girai leggermente la testa e tesi l’orecchio.
Rimasi in silenzio ad ascoltare.
Qualcosa stava graffiando la porta.
Un rumore secco e regolare, come un segnale.
Il pensiero scivolò nella mia mente cercando di dare una forma, una dimensione e finalmente qualcosa trovò.
‹‹Ade!››. Quasi urlai per la gioia.
Saltai giù dalla sedia a dondolo su cui mi ero rannicchiata e quasi inciampai per la fretta. Un po’ di tè scivolò fuori dal bordo macchiando il legno fresco sotto i miei piedi.
Appoggiai la tazza al volo sul tavolo e mi precipitai verso il pomello della porta. Lo girai freneticamente. Le mani sudate per l’agitazione non facevano aderenza sull’ottone e non riuscivo ad aprire.
Finalmente un click, e la porta si aprì.
Un batuffolo di pelo chiaro mi saltò addosso. Mi chinai sulle ginocchia per coccolarlo e abbracciarlo e lui agitò freneticamente la coda bianca con una riga nera nel mezzo. Con il muso annusò ogni singola parte del mio viso, dandomi un leggero bacio-leccatina ogni tanto.
‹‹Ade! Mi hai trovato. Come hai fatto? Sei qui veramente!››.
Mi accorsi che stavo piangendo solo quando qualcosa di umido e caldo cadde sulle mie gambe.
Lui rispose con un bau e dei piccoli cigolii di contentezza.
‹‹Mia Dea, ma che succ… tesoro! Vieni qui bello!››. Sara, con addosso una maglia blu di due taglie più grande, si accucciò, tese una mano e schioccò le labbra per chiamare il cane.
Ade scodinzolò felice fino a lei, l’annusò e decise che le stava simpatica.
Nel frattempo, Sonia ci raggiunse scendendo le scale di corsa con la sottoveste di pizzo color bronzo che svolazzava a destra e a sinistra. I capelli rossi le sfuggivano da tutte le parti e aveva un’espressione strana.
Aveva qualcosa da nascondere?
La risposta alla mia domanda arrivò quasi subito.
Sì, qualcosa nascondeva.
Più che qualcosa… qualcuno!
Dietro di lei si materializzò Calien. Anche lui con i capelli stropicciati, l’aria di chi non ha mai dormito la notte e i suoi fedeli pantaloni color cachi.
Stavolta la camicia bianca non c’era.
Immaginavo dove poteva essere finita, ma non volevo pensarci.
La mia mente era impegnata a gioire con il mio fedele amico. Ero talmente impegnata che non mi preoccupai di essere in slip e canottiera in presenza di un ragazzo.
Sonia, talmente rossa in viso che avrebbe potuto mimetizzarsi con i suoi capelli, si avvicinò. ‹‹Non ci posso credere. Non dirmi che lui è…››.
‹‹Lui è Ade, il mio tesoro››, dissi io mostrando un sorriso a trentadue denti e accarezzando il mio cucciolone.
‹‹Sofia, mmm… lo sai che significa questo, vero?››, disse Calien con un tono un po’ troppo serio per i miei gusti, le braccia incrociate sul petto nudo e lo sguardo solennemente triste di chi sta per darti una cattiva notizia.
‹‹Cosa significa questo… cosa?››. Il cuore mi martellava nel petto.
Avevo il terrore che mi dicesse che stavo immaginando tutto, che Ade non era veramente lì con me. Non avrei voluto sentirmi dire una cosa del genere, al solo pensiero mi sentivo male.
Sì, lo so, è solo un cane, ma per me era molto di più. Ero legata a lui quando ero in vita. Era il mio compagno fedele, sempre al mio fianco nel momento del bisogno, e ora più che mai avevo bisogno di lui.
‹‹Ade… il tuo cane. Insomma, non… non ti chiedi come abbia fatto a raggiungerti?››.
La domanda me l’ero posta per soli due secondi, ma la gioia di averlo ancora con me era troppo grande, sovrastava qualsiasi altra cosa.
‹‹Sì, beh, me lo sono chiesta ma…››.
Calien mi interruppe. Si avvicinò a me, ancora inginocchiata a terra, mi posò un braccio sulle spalle.
Brutto segno.
‹‹Vedi, tu e lui avete un legame forte. Come posso spiegarti? Hai mai sentito parlare di imprinting?››.
Sì, sapevo cos’era. L’avevo letto in molte storie e ne avevo sentito parlare molte volte. Era una sorta di teoria per cui un animale era portato a seguire, di solito come sua madre, il primo animale o essere umano con cui veniva in contatto.
Più o meno doveva funzionare così.
Annuii verso Calien, senza dire niente.
‹‹Ecco, Ade è legato a te. Legato talmente tanto che, quando tu sei morta per venire in questa dimensione…›› e non finì la frase.
Qualcosa si illuminò dentro il mio cervello, quella fastidiosa lucina che a volte vorresti bruciare perché ti fa capire cose a cui non avresti mai voluto pensare.
‹‹Vuoi dire che… che…››, un groppo in gola non mi permise di finire la frase.
Mandai giù e feci un respiro profondo. Lacrime umide e calde stavano affiorando sui miei occhi, questa volta non di gioia.
Non volevo piangere.
Distolsi lo sguardo e come una volta, quando ero ancora viva, guardai Ade e lo accarezzai. Forse capì quello che provavo e appoggiò la testa vicino alle mie gambe dandomi un piccolo colpetto con il naso freddo e bagnato.
‹‹Sì, Sofia, è morto per seguirti fin qui››. Calien, che mi stava ancora tenendo il braccio sulla spalla, aumentò la presa e mi scrollò un po’.
‹‹Non essere triste. A volte bisogna saper vedere il lato positivo della morte, anche se è nascosto al nostro cuore. È solo più difficile da vedere››.
Già, il lato positivo.
In questo caso ero felicissima di poter essere ancora insieme al mio Ade. Era come sentirmi realmente viva, di nuovo. Come un legame con la ragazza che ero stata prima.
Ma a questo punto mi venne da pormi una domanda.
‹‹Qual è il lato positivo della mia morte?››. La mia voce fu un sussurro quasi impercettibile e le lacrime scendevano silenziose sul mio viso.
Calien alzò gli occhi verso Sonia. Si guardarono e abbassarono lo sguardo.
Li avevo messi in imbarazzo?
Beh, non mi importava.
Pretendevo una risposta senza mezzi termini.
Sara spiazzò tutti ome sempre. ‹‹Okay, vuoi sapere perché sei morta? Te lo spiego io››.

11
POTERE



Sara ci portò in uno stanzino che non sapevo nemmeno esistesse.
Aveva tirato fuori da non so dove un’altra maglia enorme blu, e me la diede. Avrei dovuto chiedere se nell’armadio dove teneva lo stock di maglie blu c’erano anche dei jeans. O almeno dei pantaloni di qualsiasi tipo.
Spostò qualche scatolone pieno di cianfrusaglie e afferrò qualcosa dal pavimento. Non capii subito che cosa stava facendo, ma poi notai che stringeva fra le mani una maniglia.
Tirò e una parte di pavimento legnoso si alzò. Era una specie di porta, una botola.
‹‹Ta-da!››, disse Sara in tono soddisfatto, e con un gesto secco del braccio ci fece cenno di scendere.
‹‹Scendo prima io, non si sa mai. Preferisco essere sicuro che là sotto non ci sia niente di pericoloso››. Calien dimostrò di essere un vero cavaliere d’altri tempi.
‹‹Sara, hai una pila o una torcia?››.
‹‹Certo››. Si diresse verso gli scatoloni, frugò un po’ e poi trovò una pila che porse al mezzelfo.
Calien scese qualche gradino. Sparì per qualche secondo e poi la sua testa riemerse.
‹‹Via libera. Potete scendere››.
Sonia mi superò e sparì nel buco sul pavimento.
Poi toccò a me.
Guardai dentro. Vedevo solamente pochi gradini e poi il buio. Fortunatamente la scala non era come avevo immaginato, verticale e a strapiombo nel nulla, ma aveva una pendenza dolce e i gradini erano in marmo.
Man mano che scendevo, una luce leggera illuminava l’ingresso di quella che sembrava essere una galleria.
‹‹Ragazzi, guardate qua››, dietro di me Sara stava trafficando con un accendino e un pezzo di legno con una pezza legata all’estremità.
Un leggero odore di benzina scivolò sotto il mio naso. Appena la fiamma toccò la pezza, questa prese fuoco immediatamente con un bagliore caldo e rosso.
Sara si avvicinò alla parete destra e piegò leggermente la torcia verso qualcosa che era attaccato al muro. Era una ciotola che prese fuoco all’istante appena entrò in contatto con la torcia improvvisata.
Una scia calda avanzò velocemente come acqua che scorre lungo il percorso che le è stato imposto dalla natura accendendo, ogni due metri, altre ciotole attaccate al muro.
Sara si spostò verso il lato sinistro della galleria e compì lo stesso rito del fuoco.
Tutto si illuminò e quello che a me poco prima era sembrato un buco stretto, piccolo e buio, era in realtà un enorme tunnel illuminato.
‹‹E questo cos’è? Sara, perché non ne sapevo nulla? Avresti potuto dirmi che sotto casa nostra c’è una galleria››.
Sonia si guardava attorno stupita mentre rimproverava la piccola Sara, la quale si limitò a sollevare le spalle e a dire: ‹‹Beh, questo posto devo conoscerlo solo io, fa parte del mio potere. Vedi, qui… qui c’è la fonte della conoscenza››, disse allargando le braccia con enfasi. ‹‹Io devo proteggerla e nasconderla, come mi è stato detto dalla Dea››.
La Dea aveva comunicato anche con lei?
Quindi si era manifestata anche alle mie sorelle, non solo a me.
Il ricordo di Morrigan si fece vivo di fronte ai miei occhi. Non ricordavo il suo viso, ricordavo solo il contorno sfumato del suo vestito bianco e i suoi capelli corvini. Nel vero senso della parola dato che erano veramente formati da corvi.
‹‹Quindi anche tu hai visto Morrigan?›› chiesi, lieta di poterne parlare con qualcuno.
Sara sgranò gli occhi e Sonia trattenne il respiro. ‹‹No, non l’ho mai vista. La Dea non mi ha parlato di persona, ho ricevuto il suo messaggio spiritualmente. Ma…›› Si guardò attorno e si avvicinò a me parlando sottovoce. ‹‹Vuoi dire che tu l’hai vista?››.
Un alito di aria fresca si posò sulle mie gambe nude. Ebbi un fremito.
Che dovevo fare?
Mentire o dire la verità?
Optai per la seconda opzione, sfidando la sorte di nuovo. Loro erano le mie sorelle, dopotutto, dovevano sapere.
‹‹Sì, io… l’ho vista quando sono caduta da cavallo ieri››.
‹‹E perché non l’hai detto subito? Così avresti evitato quella scenata con Gabriel››. Sonia era su tutte le furie.
Fu Sara a risponderle e gliene fui grata. ‹‹Non si fida, non l’hai ancora capito? Lei preferisce qualcun altro. O non hai capito nemmeno quello?››
Sonia mi trapassò con lo sguardo. ‹‹Che diavolo, Sofia! Da quant’è che conosci Ares? Un giorno? È un immortale, per la miseria››.
La vocina fastidiosa si ripresentò nella mia testa, chiara e limpida.
Non ascoltarla, è solo gelosa. Ares è tuo.
Una rabbia improvvisa cominciò a ribollirmi dentro.
‹‹Che c’è, sorellina? Sbaglio o sei stata tu a dirmi che ci si poteva fidare di lui?››.
La voce mi uscì con un timbro diverso. Sembrava una brutta imitazione della mia. Più… malvagia. Non saprei come altro descriverla.
‹‹Sì, ammetto di aver detto che è l’unico immortale di cui ci si può fidare, ma non ho detto che mi fido ciecamente di lui! Gli immortali sono imprevedibili. La loro natura può essere repressa, nascosta in qualche angolo della loro mente, ma può uscire quando meno te lo aspetti››. La voce di Sonia si era alzata di un’ottava.
Era talmente tanto arrabbiata che i capelli le si erano rizzati in testa come attirati da un’invisibile scarica elettrica.
‹‹E allora perché mi avete portato da lui se non ti fidi ciecamente?››. Le mani cominciarono a tremare leggermente.
Mi volevano vendere al nemico? Ero convinta che di loro potevo fidarmi.
Mi stavo sbagliando?
In quel caso, Sonia doveva darmi una spiegazione convincente.
‹‹Ti abbiamo portato da lui perché può aiutarti. Infatti ti ha spiegato un sacco di cose e ti ha dato quello››. Con il dito indicò il medaglione di cristallo con i draghi.
Era vero, me l’aveva dato per proteggermi.
Nonostante ciò, la rabbia non voleva sbollire. Anzi, cresceva ogni secondo di più.
‹‹Voglio solo che tu stia attenta. Non si sa mai cosa potrebbe succedere se tu ti innamorassi di lui››.
Nessuno può impedirti di provare qualcosa per Ares.
La vocina insisteva e fu come soffiare sul fuoco alimentandolo sempre di più.
Qualcosa mi punzecchiò i piedi e salì, salì, fino a raggiungere le mani.
Un battito d’ali invisibile si poteva udire in lontananza.
‹‹Tu. Non. Devi. Dirmi. Cosa. Devo. Fare. CAPITO?››.
Alzai le mani come per lanciare qualcosa in direzione di Sonia e una forza invisibile si sprigionò dalle mie braccia.
Udii un cra cra e il battito d’ali sempre più vicino.
Immaginai un corvo scendere in picchiata verso quella che era diventata mia sorella.
‹‹Attenta!››. Calien si precipitò verso Sonia e la buttò a terra nell’istante stesso in cui l’ondata di potere esplose nel punto esatto in cui lei si trovava pochi attimi prima.
Feci un respiro profondo e il pizzicore che avevo sotto la pelle sparì velocemente com’era arrivato.
Guardai Sonia ancora a terra, Calien che la teneva delicatamente abbracciata. Ogni tanto le dava un bacio in testa smettendo per un secondo di accarezzarle i rossi capelli.
‹‹Che mi sta succedendo?››. Ero inorridita da quello che avevo appena fatto e allo stesso tempo attirata dal potere che mi era esploso dentro.
‹‹Non preoccuparti, forse so che cosa sta succedendo, ma non voglio accusare nessuno. A questo punto…››. Fece una pausa, tenendo in sospeso il discorso. ‹‹Credo che dovresti parlare con la sibilla››. Sonia mi parlò dolcemente.
Forse capiva l’ondata di pensieri e dubbi che avevo dentro. Ero lieta che volesse aiutarmi.
‹‹Come posso raggiungerla?››
‹‹Tramite il corvo››, disse Calien senza staccare gli occhi dalla sua amata.
‹‹No, devo parlarle di persona. Il corvo mi accompagnerà››.
Avevo bisogno di parlare con la sibilla a quattr’occhi. Lei mi avrebbe finalmente spiegato tutto.
Forse.
‹‹Non puoi, è pericoloso e ne va della tua vita››. Sonia era preoccupata, ma non alzò la voce.
Mi resi conto che potevo percepire cosa provava. Aveva paura di una mia reazione come la precedente.
‹‹L’accompagnerò io››, disse Calien spiazzando tutti. ‹‹Ne ha bisogno e in questo caso… ha visto la Dea. Che ti ha detto a riguardo?››.
Ripassai mentalmente la conversazione. ‹‹Ha detto che le parole della sibilla sono vere e che devo ascoltare sempre cos’ha da dirmi››.
Calien annuì. ‹‹Questo dovrebbe bastare per convincerti. Lasciami andare, tesoro. Con me sarà al sicuro, fidati››. Teneva il viso di Sonia tra le mani e le diede un bacio delicato sulle labbra.
‹‹Okay››, disse Sonia con le guancie in fiamme. ‹‹Andrai con lei››.
‹‹Ehi, ragazzi››, s’intromise Sara. ‹‹Vi siete dimenticati perché siamo qui? Dobbiamo rispondere a una domanda››.
In realtà avrei voluto una risposta all’intero caos di domande che mi gironzolava in testa, ma era meglio fare un passo alla volta.
Un mattoncino dietro l’altro e forse sarei riuscita a risolvere tutto.

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