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Tornanti
Pamela Fagan Hutchins


TORNANTI

INDICE
eBook di Pamela Fagan Hutchins gratuiti (#ubc411e8c-e978-505b-b398-b02912006bb6)
1. Buffalo, Wyoming (#uf0c253cf-cb6c-5d08-a54f-00b55ef9379c)
2. Buffalo, Wyoming (#uca4205fb-7859-51b3-81ee-71eecf6cc01a)
3. Buffalo, Wyoming (#uce462362-4670-5366-b1bc-5d4b67176a22)
4. Interstatale 90 a nord di Buffalo, Wyoming (#u343c9628-cf89-52ad-8d91-13a657a40599)
5. Buffalo, Wyoming (#u7ea5ed79-7d37-5c39-b4d6-271104d7182b)
6. Big Horn, Wyoming (#u46f1329d-dbeb-571d-b3c2-e90e776e8e8a)
7. Foresta nazionale di Bighorn, Wyoming (#u98d5a136-b36a-5978-8c00-bd9ae6cbff1f)
8. Buffalo, Wyoming (#u5cc919ce-b162-5480-9806-d208351df581)
9. A sud-ovest di Walker Prairie, foresta nazionale di Bighorn, Wyoming (#ufb8d3514-6982-5753-983e-c6cbe9c88402)
10. Buffalo, Wyoming (#u435a734c-1b5e-5fe2-ac99-0f257fe15491)
11. A sud-ovest di Walker Prairie, foresta nazionale di Bighorn, Wyoming (#udbee9ede-dd9b-5b86-8974-b3f440cfe106)
12. Buffalo, Wyoming (#u79f3ce96-cae2-5278-90d3-a9a9c978e976)
13. Walker Prairie, foresta nazionale di Bighorn, Wyoming (#u5330651e-2de9-5ea0-9715-26077da421b0)
14. Walker Prairie, foresta nazionale di Bighorn, Wyoming (#u6205bd80-9f79-5f28-a962-3a15a8c8d987)
15. Buffalo, Wyoming (#u6bafb67e-b512-5b0e-acee-27f9166826f6)
16. A sud-ovest di Walker Prairie, foresta nazionale di Bighorn, Wyoming (#ua02b32da-dd1e-5062-bb20-6a1926248b52)
17. A sud-ovest di Walker Prairie, foresta nazionale di Bighorn, Wyoming (#u25b48e9d-e590-59ca-8ee3-5d0543db8048)
18. A sud-ovest di Walker Prairie, foresta nazionale di Bighorn, Wyoming (#uc765d15c-d750-5330-a125-ad250c0825c4)
19. Buffalo, Wyoming (#ua9008895-2f97-5f47-872b-98fff85ea685)
20. Walker Prairie, foresta nazionale di Bighorn, Wyoming (#ud6f06b58-fd03-511e-a1ce-1f54729bea1b)
21. Buffalo, Wyoming (#u859bb6cf-e88e-5720-aeb6-4a736644b22b)
22. A sud-ovest di Walker Prairie, foresta nazionale di Bighorn, Wyoming (#u6fe90af5-c0b2-5a37-a7e4-5e572f86e876)
23. Buffalo, Wyoming (#ued97b12b-dd72-58e7-aff5-9c0a0a1fda62)
24. Ranger Creek, foresta nazionale di Bighorn, Wyoming (#u7e3fdaa3-2da3-55dc-b9a6-f1b232ed03d0)
25. Area forestale vergine nei pressi di Woodchuck Pass (Passo della Marmotta), foresta nazionale di Bighorn, Wyoming (#u334a2662-e7ee-58d3-864d-6e98eaac4c5f)
26. Area forestale vergine nei pressi di Woodchuck Pass (Passo della Marmotta), foresta nazionale di Bighorn, Wyoming (#uab4423b8-6617-507c-810d-f0345d6c5ec9)
27. Strada Red Grade, due miglia a sud di Woodchuck Pass, foresta nazionale di Bighorn, Wyoming (#u7b6518e5-a398-551f-ade4-194724bcdebe)
28. Stazione dei ranger di Big Goose, foresta nazionale di Bighorn, Wyoming (#uae94c5c2-31fd-59f5-a639-fcc4e456dc2e)
29. Woodchuck Pass, foresta nazionale di Bighorn, Wyoming (#ud0334a06-8b6b-5071-a324-415cd11089c3)
30. Stazione dei ranger di Big Goose, foresta nazionale di Bighorn, Wyoming (#u072bcaff-5a18-5deb-bf37-78fec71d97c9)
31. A sud-ovest del monte Bruce, area wilderness di Cloud Peak, Wyoming (#u005962df-6f18-5f3e-ac78-fef704ee639d)
32. A sud-ovest del monte Bruce, area wilderness di Cloud Peak, Wyoming (#u99116f68-4228-5080-8888-86b8ed1f9c20)
33. A sud-ovest del monte Bruce, area wilderness di Cloud Peak, Wyoming (#u6432ecfe-9e45-5378-a4d3-d612c4137581)
34. Woodchuck Pass, foresta nazionale di Bighorn, Wyoming (#u64a0da4c-9175-5385-a273-6435aa7f711f)
35. A sud-ovest del monte Bruce, area wilderness di Cloud Peak, Wyoming (#u02bcb3d9-bba1-5b24-9b18-cebbacbffc5b)
36. A sud-ovest del monte Bruce, area wilderness di Cloud Peak, Wyoming (#u894a0509-8a40-5a8c-899d-06f22d73ed7f)
37. A sud-ovest del monte Bruce, area wilderness di Cloud Peak, Wyoming (#ud9c15d14-624d-519e-bc1e-8f169c4c7599)
38. A sud-ovest del monte Bruce, area wilderness di Cloud Peak, Wyoming (#u537ec01d-e1ac-5aaf-bdc3-9c87d4905eb1)
39. A sud-ovest del monte Bruce, area wilderness di Cloud Peak, Wyoming (#uf065c54f-efed-581a-92b0-44c1ef8b3fbe)
40. A sud-ovest del monte Bruce, area wilderness di Cloud Peak, Wyoming (#u9c9dbded-86ae-51d4-b2c7-a41e275ee5d3)
41. Buffalo, Wyoming (#uc374b6ad-743f-5538-a39c-82111565cd58)
Dedizione (#u92405c28-13be-5113-9c66-c76ce5809de1)
Ringraziamenti (#ubacbb8a5-1099-5cfc-a291-f05044f91d6a)
Libri della stessa autrice (#ufdcf211b-323c-50a4-94b1-57b705e23aa0)
Circa l’autrice (#u3840d916-78a8-5f91-9ce0-e5e3e0f9ed43)
Apprezzamenti e premi di Pamela Fagan Hutchins (#u0e21a4f8-615e-5b30-ab42-944d6e50338a)
Altri libri della SkipJack Publishing (#ufd792b8a-2df2-551c-8ae9-827a3d2633d9)
Diritto d'autore (#u13b27f4d-3fca-54ba-9c97-2ec80d9087db)
Prefazione (#u03013d6a-2d0d-587a-a904-2cc5a2fde834)

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UNO

BUFFALO, WYOMING
18 settembre 1976, ore 2 di notte
Patrick
Se c’era una cosa che Patrick aveva imparato lavorando al pronto soccorso del Parkland Memorial Hospital di Dallas quando era uno studente di medicina, era che dopo la mezzanotte non succedeva niente di buono. Forse nella sonnolenta cittadina di Buffalo, nel Wyoming, non si trovava ad avere a che fare con prostitute con le mascelle fratturate, adolescenti in overdose, teppisti con una pallottola in mezzo agli occhi, o avventurieri del sesso riluttanti a spiegare come mai avessero un criceto infilato nel loro posteriore. Ma comunque, quando il telefono squillava alle due di notte, sapeva che non era niente di buono.
Si girò e scosse sua moglie, che aveva involontariamente sepolto sotto strati di coperte, togliendosele di dosso durante la notte. «Susanne, devo andare dentro.»
«Stai attento», borbottò lei in modo automatico. Le stesse parole che diceva sempre, ed era certo che non fosse uscita dal sonno REM.
«Susanne, Susanne.»
«Cosa c’è?» La moglie si mise seduta di scatto con aria sospettosa, gli occhi sgranati e i capelli arruffati, nella debole luce della luna che entrava dalla finestra. Ma, anche così, era maledettamente bella. Il suo cuore fece una capriola. La stessa donna di cui era innamorato da quando aveva quindici anni ed era uno studente modello alla A&M Consolidated High School di College Station, in Texas.
Le toccò la guancia. «Tutto a posto. Devo andare in ospedale. Puoi assicurarti che tutti finiscano di fare i bagagli domattina, nel caso tornassi tardi?»
La moglie si rigettò indietro sul cuscino. «Sicuro.»
«Grazie.»
Si vestì quasi al buio con gli abiti che aveva lasciato fuori la sera prima; dopotutto era il medico di guardia. Prima di andarsene, premette le labbra sulla tempia di Susanne. Un “hmm” soddisfatto interruppe il suo lieve russare. Patrick attraversò velocemente la zona giorno del piano superiore, scese al piano inferiore ─ che era costruito sul fianco di una collina ed era per lo più un seminterrato ─ e uscì dalla porta d’ingresso per andare alla sua auto parcheggiata sul vialetto circolare. Dato che non aveva un garage, doveva farsi quel pezzo a piedi tutti i giorni.
Si mosse con fare furtivo, usando le tecniche indiane della camminata della volpe che aveva imparato da bambino nei boy scout. Bisognava abbassarsi con le mani sulle ginocchia, sollevare il piede in alto, appoggiare l’esterno del piede, poi l’interno, poi il tallone, l’alluce e infine appoggiare il peso. E avanti così. Se qualcuno lo avesse visto, si sarebbe sentito sciocco a farlo, ma era solo ed era una buona pratica per l’imminente gita di caccia. E poi stava giusto passando sotto la stanza di sua figlia Trish e di sicuro non voleva svegliarla. Sarebbe stato già abbastanza brutto quando li avrebbe fatti alzare tutti alle nove in punto, salire sul pick-up e via in montagna. Dio, salvami dagli adolescenti lunatici. Perry non era tanto male avendo solo dodici anni, ma sarebbe arrivato anche il suo momento.
Chiuse la portiera della sua Porsche 914 bianca il più silenziosamente possibile. La sera prima l’aveva parcheggiata in previsione di una partenza notturna, puntandola in discesa e tirando il freno a mano. Tolse il freno e lasciò che l’auto sportiva prendesse velocità finché non fu quasi in fondo al vialetto. Mentre era in corsa sull’ottovolante, abbassò i finestrini. L’unico rumore che si udiva erano le ruote sulla strada sterrata. Poi mollò la frizione e la Porsche prese vita con un ruggito.
Il tragitto fino all’ospedale di solito durava solo cinque minuti, ma erano sempre cinque minuti di terrore. I cervi suicidi e le basse roadster erano una combinazione mortale: i cervi uscivano in forze al tramonto, spaventando le auto fin quasi all’alba.
Susanne lo aveva aggredito per aver comprato la Porsche. C’erano solo due conducenti nella loro famiglia, gli aveva ricordato, e avevano già due auto: la station wagon color bronzo di lei e il suo vecchio pick-up. Probabilmente non era ancora il momento di dirle che aveva messo gli occhi su un aeroplano Piper Super Cub ora che aveva la patente di pilota. Ma la Porche gli piaceva. E, dannazione, quando un uomo si era sposato a diciannove anni con l’unica ragazza della sua vita, aveva avuto un figlio a venti e si era arrangiato a fare diversi lavori mentre studiava medicina solo per permettere loro di sopravvivere, beh, quell’uomo si meritava una Porsche non appena se la poteva permettere. Non era una cosa così esagerata, aveva comprato quella più economica. Ma sopra c’era pur sempre la scritta PORCHE, come sui modelli più sofisticati, e rimuovendo l’hard top nero si trasformava in una decappottabile. Era stato orgoglioso di aver speso poco, fino a quando non aveva ben presto consumato i risparmi per gli speciali pezzi di ricambio e per meccanici che conoscevano solo auto americane e grandi camion. Quando si fermò al semaforo, il motore si mise a scoppiettare come se gli stesse leggendo nel pensiero.
«Basta. Ho deciso.Metterò in vendita questa stronza», disse tra sé e sé.
Con la coda dell’occhio vide un altro autista dall’aria stanca che lo fissava dalla corsia a fianco. Era un ragazzo su un pick-up con i finestrini alzati.
«Cos’hai, amico, non hai mai visto nessuno parlare da solo?» L’altro lo salutò con il capo. «Almeno so sempre che avrò una risposta intelligente.»
La luce divenne verde. Patrick dette una grande accelerata. La Porsche partì ruggendo ma il pick up schizzò via davanti a lui. Quella piccola auto sportiva era tutto fumo e niente arrosto. Il motore rombava che era una meraviglia, ma praticamente aveva la stessa ripresa del suo vecchio Maggiolino Wolkswagen di un tempo.
Guidando lungo la pittoresca strada principale in stile western di Buffalo, illuminata da tenue luci, Patrick passò sotto i festoni che celebravano il bicentenario – un evento che la cittadina aveva preso a cuore e che durava tutto l’anno - e pochi minuti dopo parcheggiò fuori dal pronto soccorso nello spazio riservato al medico di turno. All’interno, una luce fluorescente ronzava e lampeggiava, conferendo all’austero spazio un’atmosfera surreale come nella serie Ai confini della realtà.
Andò subito dal radiologo, quello che lo aveva svegliato con la telefonata. Nella maggior parte degli ospedali erano le infermiere di turno a chiamare. Ma questo succedeva perché non avevano Wes. «Di che si tratta, Wes?»
Il tecnico era una spanna più alto di Patrick e pesava venti chili di meno. La sua divisa blu da medico non gli arrivava alle caviglie. «Beh, Doc, si tratta di una possibile frattura alla gamba.»
Wes lo disse in modo professionale, ma Patrick colse uno scintillio nei suoi occhi. Cosa poteva esserci di divertente in una gamba rotta alle due di notte? «Dov’è il paziente?»
«Fuori nel parcheggio, ovviamente.»
Patrick si stava dirigendo verso l’interno del pronto soccorso, ma si fermò e si girò verso il suo collega, guardandolo in faccia. «E non lo portiamo dentro?»
«La. E no, non credo che sarebbe una buona idea.»
«Qual è il problema?»
«Nessun problema.»
«C’è qualcosa che non so?» Di solito non doveva tirargli fuori le risposte. Forse il radiologo aveva sonno. Era fiacco. Come lui.
«Non saprei, Doc. Vuoi che venga con te a vederla?»
Patrick fu certo che Wes stesse quasi ridendo. «Certo che sì.»
I due uomini uscirono insieme e incontrarono un giovane con blue jeans impolverati, una logora camicia western e un paio di stivali consumati. Era in piedi ai margini del parcheggio e quando li vide si tolse il cappello.
«La ringrazio tanto per essere venuto.» La mano che si protese verso quella di Patrick era callosa e ruvida come carta vetrata, e gli stritolò la sua. «Sono Tater Nelson.»
«Dottor Flint. Mi hanno detto che c’è una possibile frattura alla gamba.»
«Sì, dottore.»
«Come si chiama la paziente?»
«Mildred.»
«Mildred, ok.» Seguì Tater nel parcheggio, dove si fermarono davanti a un trailer per due cavalli. Tater aprì lo sportello posteriore.
«La tiene qui dentro?»
«Non volevo che si spaventasse nel parcheggio e si facesse ancora più male.»
Patrick sbirciò nel trailer. Partì una zoccolata, mancandolo di poco. Fece un salto all’indietro di mezzo metro, per stare sul sicuro. «Mildred è un cavallo.» Stava per uccidere il radiologo. Wes avrebbe dovuto avvertirlo.
Tater annuì con entusiasmo. «Sì. È una puledra da rodeo pazzesca. Può fare qualcosa per lei?»
Patrick si voltò verso Wes, che si portò una mano alla bocca come se avesse il mal di denti. Ma era un sorriso che nascondeva. «Non lo so. Wes, possiamo fare qualcosa per lei?»
«Lo spero proprio, Doc, visto che stanotte sostituisci il veterinario.»
Patrick alzò le sopracciglia, ma la sua voce era piatta. «Sostituisco il veterinario.» Joe Crumpton, il veterinario, non gli aveva chiesto di sostituirlo.
«Sì. Il dottor John lo fa sempre.»
«E viceversa?»
«Questo non andrebbe bene. Un veterinario che si prende cura delle persone? La gente non lo accetterebbe.»
«Ma va bene che un medico si prenda cura degli animali.»
Gli altri due uomini annuirono. Patrick non ne era così sicuro. La cosa più vicina alla medicina veterinaria che avesse letto era Tutte le creature grandi e piccole.
«Tater, ci dia un minuto per parlare. Torneremo subito per occuparci di Mildred.»
«D’accordo.»
Quando furono fuori portata d’orecchio, Patrick interrogò Wes: «Ok, sapientone, dimmi cosa faccio con un cavallo selvaggio con una zampa rotta?»
«Cosa faresti con un cowboy da rodeo con una gamba rotta?»
«Intendi quel ragazzo di Kaycee?»
«Quel ragazzo di Kaycee... Doc, mi fai morire dal ridere. Quel ragazzo è il campione del mondo di cavalcata senza sella. Chris Ledoux.»
«Non ha detto nulla al riguardo quando lo hanno portato qui. Mi ha solo detto che sarebbe tornato la settimana dopo per farsi mettere un’altra ingessatura, perché si sarebbe tolto quella che gli avevo fatto. “Lavoro”.» Patrick disegnò nell’aria due virgolette con le dita.
«Chris è così. Ma prima di mettergli il gesso, cosa hai fatto?»
Patrick lo guardò senza capire. «È una domanda trabocchetto?»
«Gli hai fatto fare le lastre, Doc. Quindi, ovviamente, me le farai fare anche alla zampa di Mildred.»
Patrick sospirò e si strofinò la testa proprio dove i capelli si stavano diradando, cosa che non poteva evitare di fare per quanto Susanne gli dicesse sempre di smetterla. «Pensavo che avessimo stabilito che Mildred non sarebbe entrata.»
«Useremo l’apparecchio a raggi X portatile. Ovviamente.»
«E se la zampa è rotta?»
«La ingesseremo.» Quella volta Wes non disse ovviamente, ma Patrick lo udì ugualmente.
«La ingesseremo, eh?»
«Sì.»
«Non ho mai ingessato la zampa di un cavallo prima d’ora.» E dubitava che l’assicurazione per responsabilità medica coprisse una cosa del genere.
«Un gioco da ragazzi per un vecchio segaossa come te.»
Ogni volta che Wes passava dal chiamare Patrick doc al chiamarlo segaossa, significava che si stava rilassando. All’inizio dell’estate aveva regalato a Patrick un coltello tascabile da quindici centimetri per il suo compleanno, con la scritta SEGAOSSA incisa sul manico; accompagnato da un biglietto che gli suggeriva di buttare via quel coltellino di Minnie dei tempi dei boy scout e portarsi qualcosa di utile. Ora Patrick non andava da nessuna parte senza averlo con sé. Di notte lo teneva sul comodino di fianco al portafogli e all’orologio. In Wyoming, infilare quel grosso coltello in tasca era diventato per lui parte del vestirsi.
Dette un colpetto alla tasca e al coltello, poi sbuffò. Un gioco da ragazzi. Se lo dice lui. Ogni secondo che passava si sentiva sempre più stupido e meno capace.Prima di trasferirsi nel Wyoming due anni prima, non era mai stato un esperto di cavalli. Ma aveva imparato abbastanza da temere un animale che si sentiva intrappolato e aveva zoccoli duri, grandi denti e una mascella robusta.
Ricordando il calcio che Mildred gli aveva tirato, chiese: «Abbiamo un torcinaso?» Lo metteva sempre intorno al muso del suo cavallo Reno in modo che non mordesse il maniscalco che si occupava di lui. Funzionava piuttosto bene.
«No.» Wes fece un largo sorriso. «Il trucco sarà muoversi velocemente e rimanere fuori dalla sua traiettoria.»
«Grandioso.» Ma ora anche Patrick sorrise. Essendo cresciuto nel Texas, pensava di conoscere il West, ma il Wyoming era ancora più a ovest del Texas. Un uomo doveva saper ridere di se stesso, o la vita faceva presto a diventare poco divertente.
«O qualcuno le tiene sollevata la zampa opposta allo stesso tempo. La maggior parte dei cavalli rimangono abbastanza fermi con due zampe sollevate da terra.»
«Puoi prendere quella posteriore, allora. Io scelgo l’anteriore.»
Wes rise.
Rientrati nel pronto soccorso, i due uomini continuarono con le loro amichevoli battute mentre raccoglievano materiali e attrezzature. Poi Patrick udì un trambusto nell’area della reception. Grida, una discussione e il rumore come di un pugno.
Una donna gridò: «Fermati» con voce agitata.
Patrick uscì immediatamente dalla porta del magazzino pieno zeppo, facendo solo cadere una fila di flaconi di pillole da uno scaffale; seguito da Wes, che stava spingendo una macchina per radiografie con le ruote. Alla reception, si precipitarono verso un uomo in uniforme da guardacaccia e guardia ittica del Wyoming con la bassa e muscolosa corporatura di un lottatore. Teneva una donna a faccia in giù con un braccio piegato dietro di lei, il ginocchio contro la sua schiena. I capelli della donna le coprivano il viso, ma non attutivano la sua voce. Stava imprecando con enfasi e grande varietà espressiva, sembrando molto esperta in materia. La luce fluorescente crepitava e lampeggiava sulle pareti e sul pavimento bianco grigiastri, e sui braccioli di metallo delle sedie. Un uomo magro con una salopette di jeans e una donna grassoccia in ciabatte con un abito da casa a fiori color lavanda erano rannicchiati in un angolo. Dalla parte opposta della hall c’era Kim, l’infermiera di turno, tra Patrick e un ragazzo dal fisico atletico con gli scarponi da trekking, che si teneva stretta la guancia rossa e brufolosa.
Kim era una donna massiccia che portava i grigi capelli in un pratico chignon. Stava parlando con voce ferma all’escursionista, accompagnandolacon i gesti. «Venga con me, signore. La faccio sistemare in una sala per farla visitare.»
Lui gridò, quasi piangendo: «Mi ha colpito. Quella puttana mi ha colpito.»
Il guardacaccia fece un cenno a Kim. «Possiamo metterla il più lontano possibile da lui?» Agitò le manette che aveva in mano. Patrick non lo aveva mai visto, ma conosceva la guardia che c’era prima, Gill Hendrickson, e suppose che quell’uomo fosse il suo sostituto. Quando il corpo di Gill, ucciso a colpi di fucile mentre era in servizio, era stato portato al pronto soccorso all’inizio dell’anno, Patrick era il medico di guardia.
«Lo metterò nella numero uno. Lei la metta nella numero quattro», rispose Kim indicando con il braccio. La numero quattro era la sala più lontana dalla reception.
Patrick guardò l’impaurita coppia di anziani. Ben fatto, Kim.
La guardia si rivolse alla parte lesa: «Signore, vuole sporgere denuncia?»
Il ragazzo spostava il peso avanti e indietro sui suoi piedi, muovendo la testa rapidamente, la mano ancora sulla mascella. «Cosa? No, no. Mm-mm.»
La donna venne messa in piedi, con una certa delicatezza. La sua faccia era arrossata dove era stata premuta contro il linoleum, ma per il resto sembrava illesa. Aveva la maglietta bagnata di sudore sotto le ascelle e intorno al collo. Respirava in modo affannoso, ma non sembrava essere in iperventilazione.
I suoi occhi passarono fulmineamente da una persona all’altra, fermandosi su Patrick con la sua giacca da medico. «Penso di avere un infarto.» Portò la mano al petto e alla spalla.
Sfortunatamente, Patrick aveva già visto a Dallas comportamenti e sintomi come quelli prima, e spesso anche. Ma solo una volta a Buffalo. Non sembrava stesse avendo un attacco di cuore. Era pronto a scommettere che avesse fatto abuso di metanfetamina. Entrambi, lei e l’escursionista. La sudorazione, l’iperattività di lui, il dolore al petto di lei erano spesso effetti collaterali dell’ansia indotta dalle anfetamine. Ma perché il guardacaccia era lì?
«Sono Alan Turner», disse l’uomo a lui e a Wes, senza lasciare andare la donna.
Wes si presentò.
«Sono il dottor Flint. Piacere di conoscerla. Da dove vengono questi due?»
«Stavano guidando a zig-zag sulla Red Grade vicino al loro campeggio. Ho deciso che avevano bisogno di un passaggio fino a qui, per ovvie ragioni.» I guardacaccia erano agenti delle forze dell’ordine a pieno titolo, con l’autorità di far rispettare tutte le leggi dello stato del Wyoming quando necessario, sebbene le leggi riguardanti la gestione della fauna selvatica e ittica fossero di loro speciale competenza.
L’infermiera ritornò dopo aver sistemato il suo paziente.
«Kim, puoi prendere i parametri vitali mentre Wes e io ci occupiamo di un paziente fuori?» Se Patrick aveva ragione chesi trattasse solo di una questione di metanfetamina, non era niente che un paio di Valium non avrebbero messo a posto.
Kim fece un cenno con la testa indicando la donna. «Da sola?»
«Resterò io con lei», la rassicurò Alan.
Kim annuì. «In tal caso, nessun problema.»
«Non mi lasci, dottore», disse la donna. «Sto morendo.» Si strinse il petto.
«Lei è in buone mani. Tornerò tra non molto.»
Patrick si sbrigò a uscire con Wes.
«Non sopporto di vedere casi di droga da queste parti», confessò al radiologo.
«Sono molti di più ultimamente. Ne ho avuto qualcuno lo scorso fine settimana quando il dottor John era di guardia.»
Il contrasto tra la notte tranquilla ─ accompagnata solo dal rumore delle ruote della macchina a raggi X portatile ─ e il dramma umano dentro l’ospedale, era netto. Patrick si fermò poco prima di arrivare al parcheggio.
«Mi chiedo cosa stia succedendo. Speriamo che finisca con la stagione turistica.» Ma la stagione turistica si era conclusa con il Labor Day, che era stato qualche settimana prima. Tornò con la mente al cavallo. «Hai dato un’occhiata alla gamba di Mildred prima che arrivassi?»
«Sì, l’ho fatto.»
«Quanto è grave?»
«Sentendola attraverso la pelle non sembra rotta, ma Miss Mildred sente male ed è nervosa. Piuttosto vicino all’articolazione del pastorale, ma penso che sia illesa. Sei fortunato, Doc. La prognosi per i cavalli che si rompono le articolazioni non è buona. Un bel po’ muoiono di sepsi articolare.»
Non era una frattura composta, non era nell’articolazione. Nessuna ferita aperta, quindi nessuna infezione. Tutti aspetti positivi. Patrick non voleva che gli morisse un altro paziente di setticemia, nemmeno un cavallo. Soprattutto dopo aver perso per la prima volta in quel modo una paziente la settimana precedente. Bethany Jones, si chiamava. Se la sua famiglia non avesse aspettato a portarla all’ospedale fino a quando era prossima alla morte, Patrick avrebbe forse potuto salvarla. La gente del Wyoming aveva la tendenza a contare solo su se stessa. A volte un po’ troppo.
«Bene.» Patrick riprese a camminare verso il trailer.
Wes gli mise una mano sul braccio, fermandolo di nuovo. «Uno dei figli della Jones è passato questo pomeriggio. Voleva una copia del referto dell’autopsia di sua madre.»
«Di nuovo, eh?» Patrick non li aveva incontrati, ma continuava a sentire i resoconti delle loro visite.
«Sono sempre stati insistenti.»
«Speriamo di ricevere presto il referto, così non avranno più motivo di presentarsi qui. Sono piuttosto ansioso di metterci le mani sopra io stesso.» Era difficile non sentirsi responsabile quando qualcuno gli moriva, che avesse senso o no.
Wes lasciò il braccio di Patrick e i due uomini fecero il giro del trailer portandosi sul retro. Mildred ora era rivolta verso l’esterno e Tater le stava sussurrando all’orecchio. Quando li vide fece un cenno di saluto con il capo.
«Darò a Mildred un antidolorifico prima di esaminarla e farle una radiografia alla zampa», spiegò Patrick.
Entrò nel trailer, trovandosi con Tater e la sua cavalla. Mildred girò immediatamente le orecchie all’indietro e si mise a scalciare contro l’interno del rimorchio con gli zoccoli posteriori.
«Buona, Mildred.» Patrick le siavvicinò. «Va tutto bene, ragazza.»
«Forse dovremmo portarla fuori di qui, dottor Flint», suggerì Tater.
«Buona idea.» Patrick aveva bisogno di spazio per muoversi.
Tater tirò il nodo della lunghina di Mildred. «Diavolo. Ha tirato e l’ha stretto così tanto che non possiamo slegarla.»
Patrick estrasse il suo coltello tascabile con la scritta segaossa e lo mostrò. «Sì?»
«Sicuro. Io la tengo ferma e lei velocemente taglia la corda dove c’è il nodo. Sarà ancora lunga a sufficienza.»
Patrick lo fece, poi rimise il coltello in tasca.
Wes intervenne: «Con quel coltello di Minnie mica ci saresti riuscito, vero?»
Patrick sorrise.
Tater portò Mildred fuori dal trailer senza che si facesse ulteriormente male, grazie all’eccellente stecca che qualcuno le aveva fissato alla zampa. Poi legò la corda a un’assicella laterale. Patrick le si avvicinò di nuovo per farle una puntura sul collo. Il cavallo reagì fulmineo come un serpente a sonagli e affondò i denti nel suo petto.
«Aah!» gridò. Si incurvò e piegò le ginocchia. «Figlia di un’esca di una poiana!»
Tater colpì Mildred sul fianco, ma la puledra mantenne la presa per due atroci secondi prima di lasciar andare Patrick, che si allontanò rapidamente. L’animale agitò la coda.
Wes incrociò le braccia. «Figlia di cosa?»
Patrick non rispose. Si strofinò il petto. La pelle non si era rotta. Però il giorno dopo avrebbe avuto una bella irritazione.
Tater accarezzò il naso della sua cavalla. «Scusi, dottor Flint. Mildred è un po’ irascibile.»
Avrebbe voluto che Tater glielo avesse detto prima di arrivare a portata dei suoi denti.
«E io che pensavo che tutti ti amassero, Doc», ironizzò Wes.
Patrick gli lanciò un’occhiataccia. Chiese a Tater: «Haimai fatto una puntura a un cavallo?»
«Una o due volte.»
Patrick gli porse la siringa. «Accomodatipure, allora.»
Wes tossì nella propria mano, ma sembrava molto più una risata.
Un rumore di passi affrettati e una voce senza fiato fecero trasalire Patrick. «Dottor Flint, abbiamo ricevuto una chiamata.» Era Kim. Kim non correva mai.
«Cosa c’è?» Si allontanò da Mildred per tenere se stesso e Kim fuori portata.
«Un vice sceriffo. Attaccato da un detenuto. Lo stanno trasportando qui.»
Patrick poteva trasferirsi in capo al mondo, ma il peggio di cui l’essere umano era capace lo avrebbe seguito ovunque. Il suo cuore crollò. Conosceva i vice sceriffi della zona. Uno era suo vicino di casa. «Contea di Johnson?»
«Big Horn.»
Non conosceva nessuno dei vice sceriffi della contea di Big Horn. Ma ciò non minimizzava la tragedia. «Quanto ci metteranno ad arrivare?»
«Quarantacinque minuti.»
«E i pazienti all’interno?»
«I loro parametri vitali sono coerenti con l’assunzione di anfetamine. Nessun altro indicatore.» «E la coppia più anziana?» «Lei è diabetica e si è dimenticata di far rifornimento di insulina.»
Patrick chiuse gli occhi per un lungo secondo. «Va bene, allora. Cinque milligrammi di Valium per i nostri consumatori di psicofarmaci e tenerli sotto osservazione. Controllare il livello di glucosio della nostra paziente diabetica. Sistemeremo Mildred e poi verrò a controllare tutti e a firmare le prescrizioni. Dovremmo aver finito prima che arrivi l’ambulanza. Grazie, Kim, e fammi sapere se ci sono dei cambiamenti.»
«D’accordo.» L’infermiera annuì e rientrò nell’ospedale.
Al suo posto apparve un uomo robusto con un cane da montagna dei Pirenei tra le braccia. La testa del cane era sopra la sua spalla, voltata dalla parte opposta rispetto a Patrick. Una zampa era appoggiata sulle braccia dell’uomo. Patrick rimase senza parole. Fai che sia solo una zampa finita in una trappola per orsi.
L’uomo chiese: «Lei è il dottore che sostituisce il veterinario?»
Patrick avrebbe voluto negarlo, ma rispose: «Sì», e pensò: sarà una lunga, interminabile notte.

DUE

BUFFALO, WYOMING
18 settembre 1976, ore 10 di mattina
Susanne
Susanne sapeva che avrebbe dovuto sentirsi in colpa, ma non si sentiva tale.
Trish stava ancora ronfando e Perry era parcheggiato davanti alla TV a guardare il college football. Dette un’occhiata a suo figlio. Stava a pancia in giù sul tappeto marrone a pelo lungo, con indosso solo le mutande di Superman. Il mento tra le mani, le ginocchia piegate, i piedi che dondolavano nell’aria. Un mini Burt Reynolds sul suo tappeto di pelle d’orso, pensò, e ridacchiò. Nessuno dei due figli era pronto per la partenza. Nessuno dei due aveva preparato i bagagli. Nemmeno lei, se era per questo.
Sorseggiò una tazza calda di quella che Patrick chiamava la sua “acqua color caffè”. Erano le dieci di mattina ed era seduta al tavolo della cucina con indosso un caftano rosso vivo che si era fatta lei stessa. Un programma radiofonico locale che promuoveva vendite di seconda mano stava offrendo cuccioli, forniture per recinzioni e finimenti per cavalli da tiro. Rivaleggiava con la TV nell’altra stanza e il russare di Ferdinand, il loro levriero irlandese trovatello che mangiava come una betoniera e puzzava perennemente come se si fosse rotolato sopra un cane della prateria morto. Attraverso la finestra panoramica in fondo al soggiorno e sala da pranzo, Susanne poteva vedere le foglie autunnali dorate sui pioppi nel cortile posteriore, che brillavano con il sole e la brezza. Nonostante l’incalzare del ticchettio dell’orologio, non si mosse. Sentiva una tremenda mancanza di sua madre e di sua sorella, che la paralizzava. Aveva già esaurito il suo budget mensile per le chiamate interurbane parlando con loro nelle prime due settimane del mese. Le lettere sarebbero anche andate bene, ma ne riceveva solo una su tre che inviava loro. Le capiva. L’una aveva l’altra e la propria famiglia, gli amici e la comunità. Era lei quella a essere sola.
Perché Patrick aveva dovuto farli andare a vivere così lontano da tutti quelli a cui tenevano? A parte loro stessi, ovviamente. Sembrava che stesse cercando di ritrovare un elemento, il posto, del sogno che aveva abbandonato per seguire la facoltà di medicina: fare felicemente il biologo della fauna selvatica o la guardia forestale, anche se poco pagato. Certo, si era fatta qualche amica a Buffalo, ma non era come dove viveva prima. Beh, tranne che con Evangeline Sibley. La moglie incinta dell’allevatore era una buona alternativa a sua sorella. E Patrick era a sua volta un grande amico del marito di Vangie, Henry. A parte lei, le donne native del Wyoming erano semplicemente troppomascoline e amanti della vita all’aria aperta per Susanne. La maggior parte di loro non aveva mai visto un tubetto di rossetto o una scatolina di fard. Andavano a caccia e a pesca con, o senza, gli uomini. Susanne era orgogliosa di essere una donna del Sud. Non voleva essere come loro, ma in qualche modo si sentiva comunque... non abbastanza, debole... in loro compagnia.
Come a confermare i suoi pensieri, il conduttore radiofonico annunciò: «Becky Wills è stata sorteggiata per una licenza di caccia all’alce vicino a Jackson e cerca qualcuno che tenga i suoi ragazzi, di tre, cinque e sette anni, per una decina di giorni mentre lei e suo marito sono fuori città a cacciare.»
Solo nel Wyoming una donna avrebbe fatto un annuncio alla radio per trovare qualcuno che facesse da babysitter ai suoi figli per poter andare a caccia. Susanne non avrebbe mai lasciato i suoi figli con degli estranei. Non in Texas, almeno. Avrebbe potuto trovarsi nella necessità di farlo se avesse dovuto lasciare la città in fretta per un’emergenza, ma di sicuro non sarebbe stato per andare a caccia.
Come faceva a legare con donne come Becky Wills? Ed erano tutte come lei.
Trish entrò in cucina, stropicciandosi gli occhi. Dalle sue due lunghe e bionde trecce alla francese fuoriuscivano dei capelli, formando una cornice disordinata intorno al viso e alla testa. «Cosa c’è per colazione?»
Ferdinand si alzò. Incurvòla schiena, stiracchiando il corpo smilzo e dall’aspetto trasandato, grande quanto quello di un pony. Poi fece un balzo da levriero e volò verso Trish. Lei lo abbracciò al collo e gli fece le moine.
«Perry, Ferdie e io abbiamo mangiato due ore fa. Nella dispensa ci sono i cereali Life.»
Trish strinse gli occhi e arricciò il naso, ma prese una ciotola e un cucchiaio, posandoli un po’ troppo pesantemente sulla spessa lastra del tavolo. Susanne sussultò. Il tavolo e la dispensa abbinata a fianco erano speciali per lei. Pregiato legno di noce lucido, rifiniture in ottone, ante in vetro. I primi mobili nuovi che lei e Patrick avevano acquistato. Fortunatamente, la tovaglietta assorbì l’impatto dell’urto. Trish tornò per i cereali e il latte.
«Tuo padre è in ospedale. Vorrà partire appena torna.»
«Senti, che vada pure.»
«Trish.» Il tono della sua voce diceva: basta con questa storia. La figlia sospirò. «Ti posso ancora sculacciare, sai? Non sei troppo grande.» Susanne non ne andava orgogliosa, ma aveva rotto stecche, cucchiai di legno, spazzole per capelli e bastoncini sul sedere dei suoi figli. Non avevano avuto una grande efficacia.
«Se riesci a prendermi.»
Susanne indicò i capelli della figlia. «A questo servono le trecce.»
Trish versò cereali e latte nella ciotola. Sbatté il cucchiaio contro i denti, poi fece una gran bevuta rumorosa. «A che ora sarà qui?»
«Comportati bene, Trish. Sarebbe già dovuto arrivare.»
«Grazie per avermi svegliata.»
Susanne finse di non notare il sarcasmo. «Prego.»
Il telefono squillò. Sperando che fosse sua madre o sua sorella, Susanne si lanciò per rispondere. Ma la figlia fu più veloce.
«Casa Flint, parla Trish», si presentò l’adolescente, come i suoi genitori le richiedevano, roteando gli occhi al cielo. Ascoltò per un momento. «Non è qui in questo momento. La faccio parlare con mia madre.» Porgendo il telefono a Susanne, disse: «Vogliono lasciare un messaggio, sai, no?»
«Non dire “sai, no”. Non lo so, a meno che tu non me lo dica», brontolò Susanne, e strappò il telefono alla figlia. «Sono Susanne Flint.»
«Salve, signora Flint. Sono Hal Greybull, il medico legale della contea.»
«Salve, dottor Greybull. Ci siamo incontrati a quella colazione con i pancake per i vigili del fuoco, mi pare?»
«Sì, effettivamente. Ho appena cercato Patrick in ospedale e non l’ho trovato. Può farmi chiamare da lui?»
«Mi dispiace. Starà tornando a casa. Saprà di cosa si tratta?»
«Ho qualche ultima domanda da fargli prima di rilasciare il referto dell’autopsia della Jones.» Le diede un numero di telefono.
Susanne sapeva di che caso si trattava. Suo marito era di malumore da quando non era riuscito a salvare la vita dell’anziana donna. Patrick era un medico brillante e lei sapeva che aveva fatto del suo meglio. A volte le brutte cose accadevano e basta. Senza motivo. La gente viveva, moriva e i medici non erano Dio, ma pochi lo capivano. «Nessun problema.»
«Grazie.»
Susanne rimise giù il telefono. La sua mente andò alla notte in cui Bethany Jones morì. Patrick aveva pianto tra le sue braccia. Lei aveva gli occhi che le bruciavano. Era stata così fortunata a trovare un marito come lui, in molti modi. Forse il Wyoming non sarebbe stato per sempre.
Il cucchiaio di Trish cadde rumorosamente sul tavolo, fuori dalla tovaglietta. Con la bocca piena, chiese: «Comunque, perché papà ci fa andare a caccia di cervi con lui?»
Bella domanda. Una a cui preferì non rispondere. Le discussioni con le ragazzine adolescenti andavano evitate a tutti i costi. «Togli quel cucchiaio bagnato dal mio tavolo.»
Trish lo fece, lentamente.
Susanne fu colpita da un pensiero. Capiva perché Patrick voleva andarci. Amava cacciare. Capiva anche quanto volesse trascorrere del tempo con i figli e fare insieme a loro quella attività che amava. Ma perché lei doveva andare con loro? Lei era sempre con i bambini. Enumerò mentalmente i punti a sfavore della caccia. Odiava, in nessun ordine particolare, avere freddo, dormire sul terreno duro, sparare, i cavalli e le cose morte. In un lampo, comprese perché non aveva fatto fare i bagagli ai bambini o finito di preparare le sue cose.
Non ci sarebbe andata.
«Mamma, mi hai sentita? Ti ho chiesto perché papà ci fa andare con lui?»
La porta d’ingresso si aprì e si chiuse. Patrick era a casa. Ferdinand trotterellò di sotto per andare ad accoglierlo. Susanne lo udì salutare, poi mandare fuori il cane.
«Chiedi a tuo padre.»
Perry era così preso dalla TV che non aveva sentito suo padre entrare. Se se ne fosse accorto, sarebbe saltato in piedi e avrebbe spento il televisore. Patrick e Susanne di solito limitavano i bambini a guardare Il mondo sottomarino di Jacques Cousteau o Mutual of Omaha’s Wild Kingdom, e un cartone animato a settimana. Con il suo morale a terra, Susanne aveva chiuso un occhio e lasciato Perry guardare la TV più del consentito.
La testa dai capelli castano chiaro di Patrick apparve in cima alle scale, che davano sul soggiorno, e su Perry. «Tutti pronti per la caccia?» Il suo bel viso appariva tirato e gli occhi azzurri infossati, ma la sua voce era allegra.
«Ehi, tesoro», disse Susanne. «Una lunga notte?»
Trish tornò ai suoi cereali. Ogni risucchio di latte e ogni sbattere di denti sollevava l’ira di Susanne. Si sentiva sull’orlo di un brutto sbalzo d’umore, per cui si incollò un sorriso sul viso.
«Incredibilmente dura. Ti racconterò tutto mentre andiamo in montagna.» Mentre si avvicinava a Susanne, Patrick si chinò per evitare una lampada che pendeva dal basso soffitto, aggrottando la fronte. Era alto non più di un metro e ottanta, ma la lampada era posizionata in modo strano. «Perché Perry sta guardando il football?»
Udendo il proprio nome, Perry finalmente notò la presenza di suo padre e balzò in piedi. Indietreggiò fino alla TV e la spense.
«Gliel’ho lasciata accendere un attimo mentre mangiava.» Susanne incrociò le dita in grembo e sperò che i bambini non facessero la spia.
Patrick baciò sua moglie sulla guancia, poi posò il portafogli e le chiavi sul bancone della cucina. «Le borse sono pronte per essere caricate sul pick-up?»
Perry si avvicinò al tavolo. Abbassò il capo. «Non ancora.»
«Ehi, campione, pensavo fossi emozionato di essere finalmente abbastanza grande per cacciare.»
«Lo ero. Sono. Sarò pronto in fretta. Ma, papà, come mai non posso giocare a football? Sono abbastanza grande anche per questo.»
«Perché non voglio che ti spacchi il cranio. Ne abbiamo già parlato. Potrai giocare quando sarai alle superiori.» Distolse lo sguardo dal figlio e lo portò su Trish e Susanne. «Ora preparatevi. Tutti voi. Stiamo sprecando la luce del giorno e si va a caccia!» Disse le ultime parole quasi cantando e mancò poco che inciampasse per la fretta.
«Devo proprio?» chiese Trish, con la voce dolce per convincerlo.
Suo padre si fermò. «Farò finta che tu non me l’abbia chiesto. Muovetevi.»
I ragazzi se ne andarono in fila, Perry in punta di piedi ed eccitato, Trish con le spalle curve e la faccia imbronciata.
«Che cos’ha?» chiese Patrick. Si versò una ciotola di cereali e una tazza di caffè.
«È una ragazza di quindici anni. Vuole stare con i suoi amici. E, visto come corre ogni volta che squilla il telefono, penso che potrebbe esserci di mezzo un ragazzo.»
«È troppo giovane per avere un ragazzo.»
«La stessa età che avevo io quando ho iniziato a uscire con te.»
«È esattamente questo il punto.»
Susanne gli sorrise. «Forse è come me sotto molti punti di vista.»
«Cosa intendi dire?»
Era impossibile che quello che stava per dirgli gli andasse bene, ma doveva dirglielo. «Odio la caccia.»
«Non odi la caccia.»
Si fece forza. «Sì, invece. Non mi piacciono per niente i fucili. E i cavalli. Cindy inciampa continuamente. Mi spaventa. E ho deciso che non verrò a questa gita.»
La ciotola di Patrick cadde sul pavimento e si ruppe, facendo schizzare latte e cereali sul linoleum e sugli armadietti, arrivando fino al tappeto. «Tu hai cosa?» Gli occhi che le rivolse erano tempestosi.
No, non la stava affatto prendendo bene.

TRE

BUFFALO, WYOMING
18 settembre 1976, ore 11 di mattina
Trish
Trish sollevò la cornetta del telefono a ciambella giallo che i suoi genitori le avevano regalato per il suo quattordicesimo compleanno. Compose il numero, fece confusione e lo compose di nuovo. Mentre la linea squillava, si sedette sulla sua sedia a uovo sospesa e si dondolò, ammirando il fondo dei suoi jeans a zampa di elefante. Sua madre non le permetteva di indossare i sandali con la zeppa che desiderava ardentemente, ma i pantaloni non stavano male con i suoi finti stivali Dingo.
Sentì voci alterate al piano di sopra. Piantando i piedi nel tappeto, trattenne il respiro per poter sentire.
«Ho detto che non vengo.» La voce di sua madre era ferma. Non teneva testa a suo padre tanto spesso, ma quando lo faceva, lo faceva alla grande.
«Vuoi rovinare la vacanza a tutti?» chiese suo padre.
La voce di una donna all’orecchio interruppe il suo origliare. «Pronto?»
«Posso parlare con Brandon, per favore?» chiese Trish, usando il tono educato che riservava agli adulti non della famiglia e parlando a bassa voce in modo che i suoi genitori non la sentissero. Ma di che si preoccupava? Suo padre aveva appena urlato qualcosa a sua madre. Quando i due litigavano, erano in un mondo a parte.
«Chi lo desidera?» La donna sembrava scettica.
«Trish Flint.»
«Flint?» La signora Lewis enfatizzò la t finale, emettendo un suono che parve a Trish quello di una cavalletta sputata fuori, come quando gliene era volata una piccola in bocca.
«Sì.»
Trish poteva sentire la donna respirare mentre rifletteva sulla sua richiesta. La signora Lewis era un’infermiera e Trish aveva udito i suoi genitori parlare del suo licenziamento il mese prima. Doveva aver rubato qualcosa e il padre di Trish l’aveva colta sul fatto. Non doveva avere molta simpatia per lui. Questo voleva dire che non vedeva di buon occhio nemmeno la figlia? Non aveva il tempo di cercare di farsela amica, se non chiamava subito Brandon, non avrebbe avuto la possibilità di parlargli prima che suo padre la costringesse a marciare fuori dalla porta per quella stupida gita in campeggio.
«Un attimo, per favore.»
Un forte rumore metallico disse a Trish che la signora Lewis aveva lasciato cadere la cornetta sul bancone. Poco gentile, signora. Iniziò a contare. Se fosse arrivata a cento senza che la donna avesse fatto venire Brandon al telefono, avrebbe riattaccato. Suo padre non sarebbe stato contento se fosse sceso e l’avesse trovata al telefono invece di fare i bagagli.
La madre di Trish gridò così forte che anche i vicini potevano udirla, cosa che normalmente non avrebbe fatto. «Odio la caccia. E i fucili. E il campeggio. E sentirmi dire cosa fare. E tu sapevi tutto questo prima di decidere di fare questa gita.»
Brava, mamma! Se lei non ci va, papà non costringerà nemmeno me! Poi si ricordò che quel fine settimana c’erano un sacco di attività in parrocchia. Se fosse rimasta a casa, sua madre l’avrebbe fatta andare là. Obbligava i figli a partecipare a tutto quello che organizzava la loro chiesa. La scuola domenicale, lo studio della bibbia durante le vacanze e ora il gruppo giovanile. L’unica cosa che le piaceva dello studio della bibbia era che poteva memorizzare i versi per vincere dei premi, perché vinceva sempre: settimane in campeggio, autolavaggi, prodotti da forno. La famiglia di Brandon apparteneva alla stessa parrocchia, ma non si faceva quasi mai vedere. Che cosa era meglio: evitare quello o non dover cacciare?
Suo padre si stava innervosendo sempre di più. «Non vedevo l’ora di fare questa gita. Non passo mai del tempo con i bambini.»
Niente faceva più paura della voce di suo padre quando era arrabbiato. Trish rabbrividì, ma Susanne non aveva paura di Patrick.
«Io sì. Potrei prendermi una pausa.»
Bello, mamma. Ti voglio bene.
Poi udì Brandon: «Senti... ciao.» Aveva un tono sorridente.
Trish sentì calore al viso. Non riusciva a credere di aver trovato il coraggio di chiamarlo. Non aveva mai chiamato un ragazzo prima. Dimenticò completamente il litigio dei genitori. «Senti, ciao a te.»
«Come butta?»
Con Brandon, Trish si sentiva così fuori moda. Andava matta per il modo in cui parlava. Come se fosse californiano o qualcosa del genere, anche se era nato e cresciuto a Buffalo. «Mio padre ci porta a caccia con l’arco. Per i cervi, sai, no?»
«È lontano.»
Trish valutò se dire che era d’accordo con lui. Brandon era un vero fusto e più grande di lei, due anni più avanti a scuola. Piaceva a tutte le ragazze. Era piuttosto sicura di piacergli, ma l’aveva chiamata solo poche volte e non le aveva mai chiesto di andare con lui da qualche parte né altro. Le sue amiche ritenevano che fosse importante lasciare i ragazzi parlare di se stessi e comportarsi come se si amassero le stesse cose che facevano loro. Ma Trish non era molto brava a fingere, e questo poteva rovinare le cose.
«Non lontano. Ma ci farà perdere la scuola e tutto il resto.»
«“Miss voti perfetti” rischia di prendere un otto?»
Trish udì un clic sulla linea telefonica. «Qualcuno ha appena preso su la cornetta?»
«Non credo», rispose Brandon. «Pronto, pronto, c’è qualcuno?»
Non ci fu risposta.
Trish ruotò la sedia verso la finestra e parlò più piano. «Anche mia madre non vuole andarci, ma lascia che mio padre mi ci porti. È tipo complice di un rapimento. Dovrei scappare e basta.»
«Esatto. Non lasciare che l’uomo ti metta i piedi in testa.» Trish udì una risata nella sua voce.
«Mi stai prendendo in giro?»
«Sì, un pò. Rilassati. Sarà un bel viaggio. Che culo.»
«Cioè, se lo dici tu.» Si sentiva stupida a cercare di parlare come lui, e non era nemmeno sicura di farlo bene.
«Dove andate?»
«Non lo so. Da qualche parte vicino ad Hunter Corral è quello che ha detto a mia madre.»
«Vi portate tutto con lo zaino?»
«A piedi?»
«No, a cavallo, scema.»
«Oh. Sì. A cavallo. E poi ci accampiamo.»
«Ganzo.»
«Forse dovresti andarci tu al posto mio.»
«O potrei semplicemente venire lassù per un saluto.»
«Quello sarebbe una figata.» Una vampata di calore le fece arrossire di nuovo le guance.
La voce di suo padre tuonò dal fondo delle scale. «Trish, perché la tua borsa non è vicino alla porta? Bisogna che tu venga fuori immediatamente.»
«Devo andare, Brandon.» Si fermò, quasi trattenendo il respiro, sperando che lui si dichiarasse e rendesse le cose ufficiali tra loro. Sarebbe valso qualche secondo in più e l’ira di suo padre.
Tutto quello che disse fu: «Vai, che vai alla grande.»
Parte dello sballo che aveva provato parlando con lui evaporò. Se fosse tornata e avesse scoperto che stava uscendo con Charla Newby, non avrebbe mai perdonato suo padre. Charla. Le faveva venire il vomito. Capelli neri lunghi e ricci, e grandi occhi scuri. Prima classificata nel barrel racing al rodeo giovanile di quell’anno. Charla poteva avere tutto quello voleva, e ultimamente Trish aveva sentito dire che voleva Brandon. «Ehm, sì. Ci becchiamo poi.»
Riappese e affrontò il genitore infuriato, che ora era davanti alla porta della sua camera. Però non appariva così minaccioso con la carta da parati a fiori blu come sfondo.
«Eri al telefono?»
«Scusa. Dovevo parlare con un’amica perché si faccia dare i compiti per me. Visto che sto perdendo le lezioni.»
«Datti. Subito. Una mossa.»
Si fece coraggio e disse tutto d’un fiato: «Papà, se la mamma non viene, non ci vengo nemmeno io».
«Oh sì che ci vieni, signorina.»
«Ma non mi piace cacciare.»
Era vero. Non le dispiaceva sparare ai bersagli. Suo padre pensava che saper sparare fosse un’abilità necessaria nella vita e le aveva insegnato a farlo quando aveva undici anni. Perry aveva cominciato ancora prima. «Tutto parte dalla sicurezza, e la sicurezza inizia con la conoscenza», aveva detto. Le aveva fatto caricare e manovrare una carabina, una rivoltella e un fucile, tutto da sola. Sua madre aveva insistito sul fatto che, se voleva insegnare loro a sparare, avrebbe dovuto insegnare anche a difendersi in altri modi. Il padre, allora, aveva organizzato vere e proprie lezioni, con tappetini sul pavimento del soggiorno e i suoi tre allievi, contando anche la madre, di fronte a lui. Li istruiva per bene. «Qualunque cosa vi faranno fuori da qui sarà sempre peggio di quello che vi farò io qui. Quindi lottate, lottate, lottate.» Poi li addestrava sulle mosse di autodifesa. Dita negli occhi. Colpi di testa al naso. Calci all’inguine.
Onestamente, suo padre era piuttosto violento. E un super fanatico.
In definitiva, non le piaceva combattere. Ma sparare era divertente ed era brava in quello. Le piaceva di più la pistola. Non le rinculava contro la spalla. Negli ultimi tempi, l’ossessione di suo padre era il suo nuovo arco compound e lei e Perry si erano esercitati con lui.
Ma poi l’aveva fatta andare a caccia di antilopi con lui l’anno prima. Non aveva voluto sparare da sola, così il padre si era messo dietro di lei e l’aveva aiutata a tenere il fucile. Aveva persino messo il proprio dito sopra il suo sul grilletto. Il loro primo colpo in tandem aveva colpito l’animale, ma, probabilmente grazie a lei, non l’aveva ucciso. Suo padre gli aveva allora dato rapidamente il colpo di grazia per porre fine alle sue sofferenze. Il pensiero di aver ferito un animale e che avesse sofferto, anche solo per un secondo, a causa sua? Era stato orribile. Aveva pianto tanto. Dopo che si era calmata, avevano dovuto eviscerarlo. Suo padre le aveva fatto guardare tutto il processo. Disgustoso. Disgustoso e triste. E ci era voluta un’eternità. Poi avevano dovuto trascinarlo e caricarlo sul pick-up e portarlo a casa. Che schifo! E per settimane avevano mangiato solo antilope. Il gusto era buono, ma aveva finito per stufarla, e le ricordava come era morto l’animale a ogni singolo pasto.
Suo padre stava ancora parlando. «Non è necessario che ti piaccia cacciare. Vieni lo stesso.»
«Non voglio.»
«Non ti ho chiesto se volevi.» La sua voce cambiò da cupa ad allegra. «Ma sarà divertente. Vedrai.»
La figlia cambiò il proprio tono da ribelle a triste. «I miei amici vanno tutti a una festa di compleanno.»
«Peccato per loro che non abbiano padri in gamba che li portino a caccia di cervi.»
Dal momento che la tristezza non funzionava, Trish alzò gli occhi al cielo. «Perderò una settimana di scuola.»
«Non una settimana intera. Ho detto a tua madre che rimarremo fuori solo quattro giorni.»
Il cuore di Trish sobbalzò. «Solo quattro giorni?» Fece il gesto di esultazione del pugno pompato. «Sì.»
«Non fare quei gesti.» Si voltò prima di arrivare alla porta, guardandola da sopra la spalla. «Vado ad agganciare il trailer. Ci vediamo giù al cancello per aiutarmi a caricare i cavalli. E porta la tua borsa e tuo fratello.»
Lei saltò in piedi e si mise sull’attenti. «Sì, signor sergente, ai suoi ordini, signor sergente.»
«Molto divertente. E mettiti qualcosa che vada bene per la montagna», rispose il padre, e se ne andò.
Pochi secondi dopo, la porta d’ingresso sbatté dietro di lui.
Borbottando, Trish tirò fuori a casaccio qualche indumento dai suoi cassetti e li infilò in una borsa. Poi saltò su una gamba e si sfilò gli stivali. Lanciò il suo bel completino sui finti Dingo, facendo un mucchio disordinato sul pavimento in mezzo alla stanza. Dopo essersi messa una maglietta, jeans e stivali da cowboy, fece un ultimo cambiamento, rimuovendo gli elastici neri dalle trecce e sostituendoli con quelli a sfera con le faccine sorridenti che ancora le piacevano, ma che non poteva più portare in pubblico. Poi si mise la borsa sulla spalla. Forse non avrebbe avuto bisogno di tutta quella roba. Ma non le importava. A volte in montagna faceva un freddo boia in settembre. Avere freddo era una rottura.
Si precipitò fuori dalla sua stanza, sospirando, e per poco non si scontrò con la madre nel corridoio. Era buio, poiché tutta la parte posteriore del pianterreno era sottoterra e non aveva finestre. Solo la parte anteriore le aveva. Era una specie di dugout gigante, che conosceva solo perché suo padre l’aveva fatta giocare a baseball due estati prima. Nella squadra maschile, perché non c’era una squadra femminile. Era stato mortificante.
Trish si aspettava di vedere un cesto della biancheria tra le braccia di sua madre. L’unica stanza nel corridoio oltre alla sua era la lavanderia, e dal momento che sua madre sosteneva di stare meglio senza vedere il disordine nella stanza di Trish, non ci entrava mai se poteva evitarlo. Ma non stava portando i panni da lavare. Nell’altra direzione c’era la scala centrale e oltre di essa una grande stanza aperta che i loro genitori chiamavano la stanza dei giochi. Trish là ascoltava i dischi. Perry faceva le sue cose, mentre lei lo ignorava. Ma sua madre non stava andando nemmeno nella stanza dei giochi. Stava andando da Trish.
«Non ho sentito squillare il telefono», disse Susanne, bloccandole il passaggio. I suoi lunghi capelli castani erano raccolti in una coda bassa sulla nuca. Era una bella donna con delle belle curve e briosa. Tanto che metà dei ragazzi della sua scuolaavevano una cotta per lei. Trish sperava che tra quelli non ci fosse anche Brandon. Quanto sarebbe stato imbarazzante?
«Cioè, non ha squillato.»
«Ma ti ho sentita parlare con Brandon Lewis.»
«Eri al telefono?» Trish alzò la voce. «Eri al telefono?» Si ricordava del clic.
Susanne non rispose alla sua domanda. «Le brave ragazze non chiamano i ragazzi. Soprattutto i ragazzi più grandi.»
«Forse nell’età della pietra, ma siamo nel Wyoming nel 1976 e le ragazze possono chiamare i ragazzi.»
«Non ti chiamerà mai se lo fai tu al posto suo.»
Sua madre stava seriamente dicendo che lei non era una brava ragazza e che Brandon non l’avrebbe mai chiamata? «Grazie per la dritta, mamma. Devo andare. Papà vuole che lo aiuti a caricare. Dov’è il moccioso?»
«Non parlare così di tuo fratello.»
Trish aggirò sua madre. Quando arrivò in fondo alle scale, urlò: «Perry, dobbiamo andare. Dai.»
Apparve Perry, trascinando giù dietro di sé, un gradino alla volta, un borsone di tela verde militare e portando nell’altra mano la sua canna da pesca e la relativa cassetta. «Sto arrivando.»
«Cioè, se ti muovi così, avrò l’età di mamma quando arriverai giù.»
Sua madre sospirò dietro di lei. «Trish.»
«È vero.»
«Ascolta, dì a tuo padre che il medico legale vuole che lo chiami.»
«Perché non glielo dici tu?»
«Ooh, che intelligente, lo capirai», si intromise Perry, saltando sulle punte dei piedi con il viso gongolante.
«Sono troppo arrabbiata con tuo padre per parlare con lui.»
Trish si gettò la punta della treccia dietro la spalla. «Non devi essere tanto arrabbiata. Non ti ho sentita rompere niente.»
«Io non rompo niente.»
«L’hai fatto quella volta che hai tirato una tazza di caffè a papà», le ricordò Perry.
«E un’altra volta quando gli hai tirato un piatto», aggiunse Trish.
«Non so di cosa stiate parlando.» Tirò su con il naso e baciò ciascuno di loro sulla guancia.
Trish e Perry si guardarono con le sopracciglia alzate. La loro mamma faceva sempre finta di non ricordare ciò di cui non voleva parlare.
Susanne salì le scale fino al pianerottolo. «Tenete d’occhio vostro padre. E state attenti. Ci vediamo tra quattro giorni.»
Trish gemette. «Se sopravviveremo così a lungo.»
Perry strinse i pugni e li ruotò agli angoli degli occhi come se stesse piangendo. «Uè, Trish deve andare a caccia. Uè, uè.»
Trish spalancò la porta, lasciando entrare la brillante luce del sole autunnale. Ferdinand era proprio lì fuori, dimenando la sua lunga coda ricurva. «Dai, stupido. Andiamo e non pensiamoci più.»

QUATTRO

INTERSTATALE 90 A NORD DI BUFFALO, WYOMING
18 settembre 1976, mezzogiorno
Patrick
All’incrocio tra la strada principale e quella per l’aeroporto, Patrick fermò il pick-up, anche se non c’era traffico in nessuna delle due direzioni. Il motore Ford faceva le fusa come un gattino, dopo la sua messa a punto all’inizio della settimana.
Respirò l’aria attraverso i finestrini aperti. Libertà. Quattro giorni interi con i suoi figli, senza essere di guardia, senza telefoni. Niente cavalli che scalciavano, escursionisti drogati, cani che mordevano o, peggio ancora, agenti delle forze dell’ordine assassinati. Perché l’agente dello sceriffo che era stato portato d’urgenza al pronto soccorso quella mattina era morto. Morto di una morte violenta e insensata. L’essere umano poteva essere così perverso. Come medico, odiava il fatto che a volte il bene non fosse sufficiente per sconfiggere il male. Come genitore, si preoccupava solo di come proteggere i suoi figli. Era successoin quella zona. Non in una grande città. Non in un paese straniero. Ma proprio lì nel nord del Wyoming, troppo vicino a casa loro. E, a causa del suo lavoro, ci si era trovato in mezzo. Gli piaceva fare il medico, ma non gli sarebbe mancato l’ospedale mentre era via. Aveva bisogno di una pausa.
L’unica cosa che gli sarebbe mancata durante quella gita sarebbe stata sua moglie. Al pensiero, sentì una profonda fitta nel petto, della malinconia mista a disappunto. Forse era stato troppo duro con Susanne, ma lei non avrebbe dovuto spingerlo a esserlo. Avrebbe dovuto desiderare di stare con lui. Tuttavia, l’ultima cosa che voleva era essere intransigente con tutti quelli che lo circondavano, come lo era stato suo padre. Lui e Susanne avevano un ottimo rapporto e non doveva importargli che non le piacessero certe cose che piacevano a lui. Lei era divertente e avventurosa, ed era la sua compagna. Solo che se non le faceva conoscere ciò che rendeva meraviglioso il Wyoming, non se ne sarebbe mai innamorata. Allora sarebbe stata solo questione di tempo prima di ritrovarsi alla guida di un furgone da trasloco per tornare in Texas.
Trish alzò lo sguardo dal suo libro. Patrick sapeva che stava di nuovo leggendo Per sempre di Judy Blume, anche se nascondeva la copertina. Lui e Susanne avevano deciso di lasciarla fare, anche se il romanzo trattava della sessualità adolescenziale. Ogni adolescente si trovava ad affrontare quelle problematiche. Diavolo, per questo lui e Susanne si erano sposati così giovani, per poter dare libero sfogo al desiderio sessuale adolescenziale senza problemi. Sorrise.
«Cioè, perché ci siamo fermati? E perché stai parlando da solo? Di nuovo.»
Patrick non si era nemmeno accorto che le sue labbra si stavano muovendo. Si atteggiò da tipo fico come meglio poté e imitò il modo di parlare di sua figlia. «Cioè, perché sto decidendo da che parte andare, sai, no.» Ma all’improvviso decise e girò a sinistra.
Trish gemette. «Che sfigato.»
Ma non disse “cioè” o “sai, no.” Aveva messo a tacere quel suo linguaggio adolescenziale. Missione compiuta.
La figlia si accigliò. «Papà, Hunter Corral è a destra.»
«Vi stavo portando là solo perché a tua madre piacciono i campeggi con i bagni.»
«Anche a me.»
«Sarà troppo affollato nel fine settimana. Andremo invece a Walker Prairie.» Patrick era eccitato. C’erano più cervi lassù. Meno gente. E nuovi posti da esplorare.
Sul sedile posteriore, Perry russava. Patrick dette un’occhiata a suo figlio nello specchietto retrovisore. Era così carino con i capelli biondi a spazzola, il viso lentigginoso e la saliva che gli si accumulava sul mento. Cinque minuti da quando erano partiti e suo figlio stava già dormendo. Sorrise. Era normale per lui.
Trish chiuse il libro di botto e si voltò a guardare suo padre, la voce improvvisamente alta e stridula. «Ma avevi detto Hunter Corral.»
Perry si mise a sedere. «Eh? Cosa?»
Patrick mise la freccia. Sinistra. Verso i monti Bighorn settentrionali. «Qual è il problema?»
Trish riaprì il libro, borbottando qualcosa sul fatto che il padre avesse incasinato i suoi piani con i suoi amici. Patrick sapeva per esperienza passata che la discrezione era la strategia migliore e non le chiese di ripetere quello che aveva detto. Invece accese la radio. Stavano suonando “Joy to the World” dei Three Dog Night. Alzò il volume quanto era possibile senza provocare scariche elettriche. Si mise a cantare battendo sul volante. Perry si unì a lui.
«La volete smettere? Qualcuno potrebbe vedervi», disse Trish.
A parte loro, non c’era nessuno sull’interstatale 90, cinque miglia a nord di Buffalo e trenta miglia a sud di Sheridan. Perry si protese verso l’orecchio della sorella e cantò più forte. Lei gli tirò una sberla e lui si abbassò per schivarla. Non molto tempo prima, Trish avrebbe cantato con loro, saltando sul sedile. Dov’è andata a finire la mia bambina, e quando questa musona ha preso il suo posto? Il suo atteggiamento toglieva a Patrick un po’ di entusiasmo, ma non lo dava a vedere. In nessun modo le avrebbe permesso di rovinare quella gita a Perry. O a lui.
Oltrepassarono il lago Desmet. «Guardate, ragazzi.» Indicò un branco di antilopi. Un grande branco, perché era il periodo degli accoppiamenti. Cinquanta o più, e stavano approfittando delle ultime offerte della stagione nei campi di qualche povero contadino. Era una scena comune in quel periodo dell’anno. Quello che più voleva vedere, però, e non l’aveva ancora fatto, era un branco di pecore bighorn allo stato selvatico sui monti Bighorn. Le aveva viste nello Yellowstone, naturalmente. Chiunque poteva vederle nello Yellowstone. Là erano praticamente addomesticate. Ma lui voleva vedere quelle creature dalle grandi corna in via di estinzione nel loro ambiente originario, sulle montagne dove un tempo erano così numerose che gli indiani avevano chiamato il fiume Bighorn in loro onore e in seguito Lewis e Clark avevano dato il loro nome all’intera catena montuosa. «Quel maschio deve essere un vero animale da monta per avere un così grande gruppo di femmine. Sapevate che le antilocapre americane comunicano il pericolo l’una all’altra alzando i peli bianchi della groppa?»
«Veramente?» chiese Perry.
«È un po’ rozzo», commentò Trish.
«Hanno una vista eccezionale e sono...»
«I secondi animali terrestri più veloci del mondo», ripeterono insieme i ragazzi.
«Lo sappiamo, papà», disse Trish.
Patrick sorrise e si perse con lo sguardo nel branco e oltre. I colori delle praterie all’inizio dell’autunno sembravano monotoni a certe persone, ma lui ci vedeva un’intera palette di marroni, grigi e neri. Il ciclo di vita della prateria non smetteva mai di stupirlo. Mentre contemplava la natura, il pick-up finì sul ciglio della strada.
«Paaa-pà.» La voce di Trish lo avvisò, scandendo bene le sillabe. «Guarda dove vai. Cioè, non voglio mica morire adesso.»
«Ops.» Patrick corresse la direzione.
Alla radio misero “Bad, Bad Leroy Brown”. Jim Croce era il cantautore preferito di Patrick. Lui e Perry gridarono le parole sopra la musica. Il piede di Trish iniziò a battere. All’ultimo ritornello si muovevano anche le sue labbra.
«Un’aquila testa bianca», urlò Perry all’orecchio del padre, indicando i fili della corrente.
Uno di quei maestosi uccelli vi era appollaiato sopra, con la testa che ruotava alla ricerca di una preda. «Buon occhio, ragazzo.» Patrick lanciò un’occhiata a Trish. «Chi vuole fermarsi a Sheridan dal McDonald’s?» chiese.
Trish tirò il suo libro sul fondo dell’auto, presa dall’entusiasmo. «L’ultima vera roba da mangiare per giorni, ma scherzi? Le Patty grasse, sì!»
Patrick lasciò l’interstatale e parcheggiò il pick-up e il trailer in una strada laterale, sentendosi appena appena colpevole per aver comprato l’affetto dei figli con il fast food. Quando Trish e Perry erano piccoli, lui e Susanne non potevano dire “patatine fritte” in auto senza che ci fosse una rissa. Avevano pertanto iniziato a parlare delle potenziali fermate al McDonald’s in codice, chiamando le patatine fritte “Patty grasse”. Pensavano di essere astuti, ma Trish, che aveva quattro anni, aveva capito tutto fin dalla prima volta e lo aveva detto al fratellino. E le patatine fritte erano diventate da quel momento in poi le Patty grasse, nella loro tradizione familiare.
Mentre parcheggiavano e scendevano, si udì un forte colpo provenire dal trailer.
Trish commentò: «Eccola di nuovo.»
Era Cindy, il cavallo di Susanne. Aveva la brutta abitudine di prendere a calci l’interno del trailer. Poteva continuare a farlo per ore. Lo dimostravano le fiancate del loro rimorchio, che portavano ammaccature a forma di zoccolo. Patrick sperava che non finisse prima o poi incastrata con le sue piccole zampe. Anche se ciò avrebbe potuto farle perdere l’abitudine di tirare calci.
Entrarono uno dietro l’altro nel ristorante. Il suo amico Henry Sibley stava svuotando il proprio vassoio nella spazzatura.
Patrick si avvicinò allo smilzo allevatore da dietro e gli diede una pacca sulla spalla. Dalla sua camicia uscì uno sbuffo di polvere. «Ehi, fratello.»
Henry si girò di scatto, poi sorrise. «Doc. Bambini. Che ci fate voi qui?»
«Caccia al cervo», disse Perry, con voce eccitata.
«Oh, cavolo, che fortunati! Magari potessi andare a caccia questo fine settimana.»
«Che cos’hai in ballo?» chiese Patrick.
«La consegna del fieno.»
«Peccato. Allora, tu e Vangie siete invitati a venire a mangiare le bistecche di cervo, uno di questi giorni. Sto usando il mio nuovo arco compound.»
«Quale hai preso?»
«Un Darton.»
«Bello. Che modello?»
«Trailmaster 45 K.»
«Fammi sapere come si comporta sul campo.» Henry corrugò la fronte. «Ehi, posso parlarti un secondo?»
Patrick tirò fuori dal portafogli un biglietto da venti dollari e lo porse a Trish. «Prendimi un Big Mac, patatine fritte e una Coca.»
«Sì, papà.» Lei e Perry fecero a gara per arrivare per primi alla fila, lanciando qualche sgomitata mentre cercavano di prendere posizione. Per fortuna che sua figlia si preoccupava di cosa pensassero gli altri del loro comportamento.
Non appena i figli furono fuori portata d’orecchio, Patrick chiese: «Che succede?»
«Stavo giusto parlando con Harry Bethel.»
Patrick dovette pensare un attimo per ricordarsi chi fosse Bethel. «È un agente della contea di Sheridan, no?»
«Già. Mi ha detto che, la scorsa notte, un prigioniero ha ucciso un suo collega ed è sfuggito alla custodia durante il trasporto dalla contea al penitenziario statale. Billy Kemecke, quello che ha ucciso quel Gill Hendrickson del Dipartimento della caccia e della pesca.»
«Eh, sì. Ero di turno. Hanno portato l’agente al pronto soccorso. Un giovane di nome Robert Hayes. Quando è arrivato era ormai morto. Non abbiamo potuto fare niente. Lascia una moglie e un bambino. Davvero triste.»
«Come ha fatto Kemecke a ucciderlo?»
«L’ha strangolato con un filo, poi gli ha spezzato il collo per star sul sicuro.»
«Brutta cosa. Veramente brutta.» Henry si passò una mano dalla fronte al mento, lasciandosi dietro un’espressione affaticata. «Hai sentito qualcos’altro quando l’hanno portato?»
«Hanno detto che è successo sul versante ovest delle montagne, vicino a Ten Sleep, mentre lo stavano portando al penitenziario statale. Ma questo è tutto quello che so.»
«Non ti conviene imbatterti in Kemecke. Non un bel tipo.»
Patrick annuì.
«Dove avevi intenzione di andare a cacciare?»
“Walker Prairie.» Patrick non ci aveva pensato, ma Walker Prairie era dalla parte opposta dell’area wilderness di Cloud Peak, rispetto a Ten Sleep. Una ragione in più per andarci.
Henry lo confermò: «Bene». Poi diede a Patrick le indicazioni per il suo posto preferito dove accamparsi, vicino a quelle che considerava le migliori aree di caccia. Era cresciuto andando a caccia nella zona, quindi sapeva quello che diceva.
Perry arrivò trotterellando, facendo dondolare un sacchetto di carta di McDonald’s e sorridendo. «Papà, abbiamo la tua ordinazione.»
Patrick strofinò i capelli ispidi del ragazzo. Suo figlio non aveva ancora avuto lo scatto di crescita adolescenziale. Era praticamente un piccoletto con una voce acuta e rotolini di grasso sui fianchi. Era stato così anche lui da bambino? Gli sembrava di ricordare di essere cresciuto tardi. Ma poi aveva raggiunto un’altezza normale e anche Perry lo avrebbe fatto, così sperava. Ma, cavolo, il ragazzo aveva un gran cuore. Il sorriso del figlio spazzò via un po’ della sua persistente inquietudine per la dura notte passata e per il litigio con Susanne.
Non poté fare a meno di ricambiargli il sorriso. «Arrivo, figliolo.» Poi si accorse che Trish non era con lui. «Dov’è tua sorella?»
«Al telefono pubblico.» Perry gli lanciò uno sguardo d’intesa ruotando gli occhi al cielo e sospirando.
«Uhm.» Con chi diavolo aveva già bisogno di parlare? Aveva terminato la sua ultima telefonata solo un’ora prima. Oh, beh. Doveva solo accettare il fatto che, quando si trattava di ragazze adolescenti, ci fosse la possibilità di non capirle mai fino in fondo.
Henry lo salutò con un cenno del capo. «Guardati le spalle.»
Patrick lo ricambiò con un saluto a due dita all’altezza della fronte. «Sempre.»

CINQUE

BUFFALO, WYOMING
18 settembre 1976, mezzogiorno e mezza
Susanne
Attraverso le vetrine del locale, Susanne poteva vedere la gente che affollava la caffetteria Busy Bee, tra cui alcuni turisti di fine stagione. Il posto era un’istituzione locale. Stretto tra il torrente Clear Creek e l’hotel Occidental, condivideva parte del fascino del vecchio West di quest’ultimo. Rivestimenti in legno. Una vecchia stufa a legna nell’area dei tavoli. Un bancone decorato e un barman vestito da cowboy. I turisti erano facilmente identificabili per le loro ingombranti macchine fotografiche e i loro modi rilassati. Il Labor Day segnava la fine della stagione estiva, ma l’area attirava comunque qualche visitatore di inizio autunno, per ammirare le foglie autunnali e godersi le fresche giornate in relativa solitudine. Anche i cacciatori cominciavano ad apparire, con tute mimetiche esagerate e bisognosi di un bel bagno, ma non ne vide nessuno nel ristorante.
Mentre era sul punto di entrare, Susanne sentì chiamare il suo nome alle sue spalle. Si voltò e vide Hal Greybull, il medico legale della contea. Stava attraversando la strada e agitando il braccio, la sua figura stagliata sullo sfondo delle facciate di mattoni rossi degli edifici del centro. Accidenti. Non aveva detto a Patrick che il coroner aveva chiamato. Dare l’incombenza a Trish di farlo era stato irresponsabile da parte sua e ne era pentita. Si trattava del lavoro di Patrick, la loro fonte di sostentamento. Si stampò un sorriso sul viso e ricambiò il saluto con il braccio.
«Signora Flint. È un piacere vederla così presto dopo aver parlato con lei.» Le guance rosse e la barba bianca di Greybull le ricordavano Babbo Natale, uno però che aveva bisogno di qualche buon pasto. La sua cintura combatteva una battaglia persa contro la gravità, senza fianchi o sedere che tenessero su i pantaloni.
Dopo essersi dati la mano, Susanne si protesse gli occhi dal sole di mezzogiorno con l’altra. «Anche per me.»
«È riuscita a riferire il mio messaggio al dottor Flint? Siamo sotto pressione da parte della famiglia per chiudere il caso Jones.»
«Non l’ha chiamata? Sono così dispiaciuta. È stata una mattinata frenetica.» Non era una bugia, ma quasi si toccò il naso ugualmente per vedere se stava crescendo. «È partito per qualche giorno per andare a caccia di cervi con i bambini, ma tornerà mercoledì.»
Hal si tirò la barba, il viso serio, poi sorrise. «È la stagione.»
«Sì. Saranno accampati ad Hunter Corral, se è un’emergenza.»
«Mi limiterò a staccare il telefono e non sarà più tale.»
Lei rise. «Va tutto bene con il caso?»
«Non sono libero di dire molto, ma posso dire che il dottor Flint ha fatto tutto il possibile. E che non sarei sorpreso se la famiglia sporgesse denuncia ugualmente.» Abbassò la voce e si guardò dietro entrambe le spalle, prima di avvicinarsi a lei. «Io non le ho detto nulla, ma non sarebbe la prima volta che fanno causa a qualcuno quando le cose non vanno come vogliono loro.»
«Oh, no.»
«Quindi dobbiamo assicurarci di non tralasciare nessun dettaglio. Ma, le ripeto, non si preoccupi. Suo marito non ne ha colpa.»
«Farò in modo che la chiami immediatamente appena rientra.»
«Se tutto va bene, prima di allora, avranno catturato quel fuggitivo da un pezzo.»
«Quale fuggitivo?»
«Non ha sentito? Ne parlano tutti i notiziari alla radio. Un prigioniero ha ucciso un agente di Big Horn dalle parti di Ten Sleep ed è fuggito con il suo veicolo. Lo stesso tizio che ha ucciso il guardacaccia.»
«Oh mio Dio!» Ten Sleep era dall’altra parte delle montagne, ma lei avrebbe passato la notte da sola e viveva in campagna. Doveva tenere il fucile di Patrick vicino al letto.
«Tutti gli agenti delle forze dell’ordine statali, federali e locali della parte settentrionale dello stato lo stanno cercando. Anche lui è di queste parti, è cresciuto a Buffalo. La radio ha detto che ci saranno aggiornamenti ogni ora.»
«Non mancherò di ascoltarli.»
«Stia attenta, signora Flint.»
«Anche lei, dottor Greybull.»
Il medico la salutò sollevando un cappello immaginario, poi tornò dall’altra parte della strada con i pantaloni che si abbassavano pericolosamente, fischiettando “Blueberry Hill”.
Susanne si affrettò a entrare nel ristorante e rimase sulla porta in cerca di Vangie. Un gruppo seduto sotto l’enorme testa di bisonte sembrava familiare, ma non riuscì a ricordare i loro nomi. Continuò a scrutare. Il locale era pieno. Oltre ai tavoli gremiti, ogni sgabello al bar era occupato. Alcuni camerieri erano raggruppati vicino alla postazione del caffè, tenendosi in disparte mentre i clienti facevano la fila per l’unico bagno. Le posate sbattevano contro i piatti, fendendo il baccano delle conversazioni. Il posto era un pollaio.
Susanne udì: «Qui!» Vangie le stava agitando le braccia da un tavolo con la vista sul Clear Creek. La sua amica era vestita con jeans e una maglietta gialla, i capelli neri tagliati in un pratico caschetto, come i nativi del Wyoming, ma il suo forte accento del Tennessee tradiva le sue radici meridionali.
Susanne sapeva che anche il suo accento texano si sentiva. Forse era per questo che era stata così attratta da Vangie all’inizio. Due pesci fuor d’acqua. Ma Vangie riusciva a nuotare, mentre Susanne si sentiva come se stesse affondando. La sua amica era seduta con le spalle al torrente, il cui nome Susanne pronunciava ancora con una lunga i invece di “crick”, come la gente del posto. Un altro modo in cui non si integrava. Si sistemò il fiocco sulla scollatura della sua camicetta a pois. E poi di nuovo.
«Ti ho ordinato un tè zuccherato.» Vangie aveva posato il bicchiere sulla tovaglietta di Susanne, un menù plastificato. «Lo faccio solo per prenderli in giro. Lo portano sempre non zuccherato, con bustine e un cucchiaino a parte.»
Susanne fece un’espressione disgustata, rabbrividendo. «Non è la stessa cosa.» In realtà beveva il tè senza zucchero, quindi a lei andava bene così, ma capiva il punto di Vangie.
«Voglio dire, faccio bollire l’acqua per i colibrì, santo dio. Lo zucchero non si scioglie nell’acqua fredda. Ogni vero cuoco lo sa.» Inarcò un sopracciglio guardando verso la cucina, come per suggerire che forse non c’era un vero cuoco là dietro.
Le due donne ordinarono due insalate dello chef e si raccontarono le novità nella vita di ciascuna.
«Come sta il bambino?» chiese Susanne. La gravidanza di Vangie era un segreto tranne che per gli amici intimi. Aveva avuto diversi aborti spontanei e non aveva ancora superato il primo trimestre con quel bambino.
Vangie guardò fuori verso il torrente. Era basso. Per lo più sassi al posto dell’acqua. «Ho qualche perdita.»
«Oh, no. Ma forse non è niente. Cosa dice il tuo dottore?»
Vangie aveva iniziato ad andare da un ginecologo a Billings, nel Montana. «Non gliel’ho ancora detto. Mi spaventa parlare con lui.»
«Devi chiamarlo.»
«Lo so. Lo farò se peggiora.»
Susanne prese la mano di Vangie e la strinse. «Posso fare qualcosa?»
«Le tue preghiere e la tua amicizia sono tutto ciò di cui ho bisogno.» Si asciugò una lacrima, poi il suo viso cambiò espressione. Sorrise, il che accentuò gli zigomi alti e rotondi. «Sono rimasta sorpresa quando mi hai chiesto di pranzare insieme. Pensavo dovessi andare a caccia di cervi.»
«Sì, ci dovevo andare.»
«E?»
Vangie poteva essere la sua migliore amica del Wyoming, ma Susanne non parlava con lei di questioni personali che riguardavano Patrick, né con nessun altro. «Patrick aveva bisogno di passare un po’ di tempo da solo con i bambini.»
«Che bravo papà.»
La cameriera mise davanti a loro le insalate. «Qualche altra cosa?» La sua bocca aveva un aspetto secco e raggrinzito, come se fumasse da una vita.
Vangie fece l’occhiolino a Susanne. «Dell’altro tè dolce, per favore.»
La cameriera sospirò e tornò in cucina.
Susanne mescolò la sua insalata. Non le importava del tè. Quello che le mancava era una buona salsa ranch per condirla. Fatta in casa con vero latticello. Tutto quello che riusciva a trovare in città era quella fatta con normale latte e una di quelle nuove bustine di condimento con dentro un sapore artificiale di latticello.
«Come stanno i bambini?» chiese Vangie.
«Perry è adorabile. I maschietti sono così dolci.»
Vangie sorrise. «E questo significa che Trish… »
«Sempre meno simpatica. Sono una cattiva madre per dire questo?»
«Sei una grande madre. È una fase della crescita. Ne uscirà. E poi l’ho vista in città la scorsa settimana ed è stata gentile con me. Probabilmente è solo una questione di rapporto madre figlia.»
In città. Susanne si chiese come ci fosse arrivata. Trish andava a scuola in autobus. «Con chi era?»
«Un gruppo di ragazzi.»
«A passeggio?»
«Stavano scendendo da un vecchio pick-up.»
«Uno di loro non era per caso Brandon Lewis?»
Vangie annuì. Insegnava alla scuola elementare di Buffalo e quindi conosceva tutti i bambini della città. «Credo che potesse essere lui alla guida. Perché?»
«L’ho sentita chiamarlo oggi al telefono. È troppo grande per lei.»
«Ooh, sì. È un ragazzo molto maturo. Un Casanova con le adolescenti, se le voci sono vere.
Magnifico. Proprio quello che volevo sentire.
La voce di una donna interruppe la loro conversazione. «Signore. Come va?»
Susanne alzò lo sguardo. La nuova arrivata, con una coroncina di trecce bionde e gli occhi celesti, sorrise loro dalla sua notevole altezza. Ronnie Harcourt. M-e-r-d-a, scandì Susanne mentalmente. Se avesse dovuto indicare una donna con tutti i tratti che rendevano le donne del Wyoming così diverse da lei, Ronnie sarebbe stata quella giusta. E si dava il caso che vivesse nella proprietà vicina a quella dei Flint. Ronnie stava facendo pratica come agente dell’ufficio dello sceriffo della contea di Johnson. Nel suo ranch marchiava il bestiame e lo catturava con il lazo, e cacciava pure. Aveva anche l’abitudine di apparire ogni volta che Susanne dimostrava di essere una sprovveduta di città senza speranza. Come mettere il piede sbagliato nella staffa per montare a cavallo. Rimanere bloccata con il pick-up in un cumulo di neve. O puntare accidentalmente un fucile carico nella direzione sbagliata, facendo finire tutti stesi a pancia in giù.
«Ciao, Ronnie. Ti va di unirti a noi?» chiese Vangie.
Susanne gemette dentro di sé. Si preparò a essere gentile, socievole persino, perché era così che era stata educata. Ma non significava che le piacesse.
Ronnie rifiutò. «Sono solo qui per prendere qualcosa da portar via e poi torno al lavoro. Ma vado a fare una camminata al Circle Park questo pomeriggio quando finisco il turno. Qualcuna di voi vuole venire con me? Le foglie saranno uno spettacolo.»
Vangie sembrava sinceramente dispiaciuta. «Vorrei poterlo fare.»
Circle Park: era vicino ad Hunter Corral, dove sarebbero stati i piccoli cacciatori di Susanne. All’improvviso, fu pervasa dall’ansia. I volti della sua famiglia apparvero uno dopo l’altro come diapositive da 35 mm nel proiettore a carosello della sua mente. Sembrava una premonizione, ma vaga e non specifica. Non credeva nelle premonizioni. Patrick sì. La incoraggiava ad ascoltare le sue viscere, insistendo entusiasticamente sulla loro connessione con la mente e tutto quello che potevano dirle. Ma l’unico messaggio che a lei davano era: è ora di mangiare! Era sorprendente che qualcuno così scientifico e razionale come suo marito nutrisse quel misticismo. Forse era legato alla sua ossessione per quella che considerava la connessione soprannaturale dei pellerossa con la natura.
Scosse la testa. «Non posso, ma grazie mille per l’invito.»
Lo sguardo di Ronnie le diceva che non gliela dava a bere. «La prossima volta, allora. Ci vediamo.»
Susanne ricambiò: «Buona giornata.»
«Allora, ciao», seguì Vangie. Poi si inclinò verso Susanne. «Non è così male, sai.»
«Ne sono sicura.»
«Hai davvero da fare? Perché se così non fosse, potresti venire con me a Billings per fare acquisti.» Vangie faceva frequenti viaggi in Montana per comprare cose per il ranch dei Sibley, Piney Bottoms. Il Montana non addebitava l’imposta sulle vendite, quindi faceva risparmiare un po’ di soldi se si dovevano acquistare articoli costosi o in grandi quantità.
«Il mio programma è infilarmi nella vasca da bagno con quel nuovo libro di cui tutti parlano: Dove sono i bambini?, una bottiglia di Zinfandel bianco e qualche candela. La casa è tranquilla ed è tutta mia.» Si sentiva un po’ in colpa per essere così eccitata, nonostante il suo strano senso di disagio, all’idea di avere qualche giorno per sé. E per averlo ammesso con Vangie, che stava avendo così tanti problemi a metter su una famiglia tutta sua. Ma era un lusso, un raro lusso. «La prossima volta?»
«La prossima volta, certo.»
«Ma fa’ attenzione. Sono preoccupata per te.» Per il bambino, naturalmente, ma era anche preoccupata per Vangie, che avrebbe guidato da sola sull’interstatale. «Non fermarti a prendere su autostoppisti. C’è un assassino in libertà. Ha ucciso un agente di Big Horn.»
La boccuccia di Vangie si spalancò. «Veramente?»
«È quello che mi ha detto il coroner poco fa.»
Vangie infilò la forchetta nella sua insalata e ne tenne un boccone per aria. «È meglio per me stare fuori a fare qualcosa, così non mi raggomitolo in casa preoccupandomi per questo bambino. Non preoccuparti. Sono armata e pericolosa, e non mi fermerò per niente e per nessuno.»

SEI

BIG HORN, WYOMING
18 settembre 1976, una del pomeriggio
Trish
Trish uscì dal McDonald’s e andò al trailer dei cavalli. Cindy scalciava ritmicamente. Quella cavalla aveva un futuro come batterista, anche se a suo padre piaceva dire che l’avrebbe mandata alla fabbrica di colla, se non la smetteva di picchiare contro il rimorchio. Attraverso un finestrino aperto su un lato del trailer, accarezzò il muso di Goldie. La palomina aveva un naso come il Coniglietto di Velluto. Trish aveva desiderato una cavalla nera come Black Beauty, ma si era innamorata della sua bionda compagna. E le piaceva il fatto che i propri capelli e il suo pelo fossero abbinati.
Goldie nitrì e la spinse con il muso, in cerca di un biscotto. Trish non ne aveva.
«Scusa, tesoro.»
Tornò al loro ammaccato pick-up di colore bianco. Suo padre l’aveva già avviato e aveva inserito la marcia. Era ancora un po’ agitata per la chiamata che aveva fatto dal telefono pubblico. Aveva chiesto alla signora Lewis di riferire un messaggio al figlio, riguardante il cambio di programma da Hunter Corral a Walker Prairie, dopo che la scorbutica donna le aveva detto che Brandon non c’era e stava per riattaccare. Trish sperava che non fosse già partito per Hunter Corral per vederla. E che la signora Lewis gli riferisse il suo messaggio.
Perry e suo padre stavano parlando del Super Bowl e delle possibilità dei Dallas Cowboys di vincerlo in quella stagione. I Dallas Cowboys erano la squadra del cuore dei due. Chi cresceva in Texas era come se dovesse fare il tifo per loro, a meno che non vivesse a Houston e fosse allora un fan degli Oilers. In Wyoming, invece, la gente tifava per i Denver Broncos. Trish aveva deciso che, dal momento che adesso era una ragazza del Wyoming, loro erano la sua squadra.
Suo padre uscì dal parcheggio, diretto verso le montagne. Lontano dall’interstatale. Stava andando di nuovo nella direzione opposta a quella che lei si aspettava.
«Papà, che stai facendo?»
Perry continuava noiosamente a parlare del football. «Roger Staubach è destinato a entrare nella storia.»
Suo padre le sorrise. «Stiamo prendendo una scorciatoia. Vedi quella strada sterrata su per la parete della montagna?» Gliela indicò.
Lei strizzò gli occhi. Ne vide una, a malapena. «Sì.»
«Questo ci farà risparmiare un’ora di viaggio.»
Trish ricordava un sacco di volte in cui le scorciatoie di suo padre erano finite male. O erano rimasti bloccati, o era una strada a fondo chiuso, o si era rotto il pick-up, o si erano persi. «Magnifico.»
Patrick tornò alla conversazione sul football con Perry. Una fastidiosa voce interruppe la musica della stazione radio con un aggiornamento sulle ricerche di un fuggitivo. Trish ruotò la manopola della sintonia, scorrendo le poche stazioni, tutte disturbate, disponibili nel nord del Wyoming.
Superarono un cartello che segnava l’inizio del centro abitato di Big Horn. Trish non l’aveva mai sentito. Dato che lo attraversarono in meno di un minuto, capì perché. Era persino più piccolo di Buffalo. Era convinta che ci fossero meno abitanti in tutto lo stato del Wyoming che a Irving, la città dell’area metropolitana di Dallas-Fort Worth dove avevano vissuto prima di trasferirsi nel vero stato dei cowboy.
Lentamente lo scenario l’attirò e, senza accorgersene, lasciò la radio su una stazione di musica gospel. Cervi, antilopi e tacchini selvatici vagavano ovunque. La strada li portò vicino a un torrente serpeggiante, le cui sponde erano fitte di pioppi, quelli tremuli e i populus trichocarpa, gli alberi che facevano il “cotone”. Abbassò il finestrino e annusò forte. Qualche sentore del dolce profumo degli ulivi di Boemia aleggiava ancora nell’aria. L’ultimo resto dell’estate. In lontananza, le montagne si ergevano ripide, i loro fianchi ricoperti di alti pini, fatta eccezione per le enormi formazioni rocciose dai differenti colori. Rosa, rosso, nero, bianco, grigio. Il vento le sferzava i capelli. Era ancora caldo, ma sentì che si stava raffreddando, preannunciando l’autunno. Presto sarebbe arrivata la neve. Sua madre diceva sempre che Trish era proprio come suo padre. Lei non vedeva come. Suo padre era un duro e voleva tutto a modo suo. Ma, effettivamente, amava le montagne come lei. E i cavalli. Trish amava davvero tanto i cavalli.
«Bello, vero?» disse suo padre.
La figlia continuò a guardare fuori dal finestrino. «Mm-mm.»
Le venne in mente una cosa. Sua madre le aveva chiesto di dirgli di chiamare il medico legale. Glielo avrebbe detto più tardi. Non aveva ancora finito di punirlo per averla portata in quella stupida gita di caccia. Doveva credere che stesse soffrendo. Ma non smise di ammirare il panorama, e quando sbirciò suo padre, vide che le stava sorridendo, per niente ingannato.
Le gomme saltarono dall’asfalto a una strada sterrata in salita. La carrozzeria vibrò, il motore gemette e il rumore nell’abitacolo si fece più forte.
«Hai mai fatto questa strada?» chiese Trish. «È sicura, almeno?»
Le labbra di suo padre iniziarono a muoversi senza che uscisse alcun suono. Quello le diede la risposta: no.
Il pick-up raggiunse la cima di una collina, quando una gomma urtò contro una roccia. Ci fu un botto, poi l’intero veicolo sbandò a destra, che per fortuna era il lato in salita. Iniziarono a sentire un brutto rumore: buh-bud-uh buh-bud-uh buh-bud-uh.
Patrick guardò lo specchietto laterale e accostò in un punto pianeggiante. «Merda.» Poi: «Non dire a tua madre che l’ho detto.»
«Che sta succedendo?» chiese Trish.
«Una gomma del trailer a terra. Penso che i cavalli siano un po’ pesanti per questa strada accidentata.» Parcheggiò il pick-up e spense il motore. «Va bene, ragazzi. Adesso cominciamo a divertirci.»
Perry si avvicinò trepidante dal sedile posteriore. «Cosa facciamo?»
Trish incrociò le braccia.
«Ho sentito dire che questa strada diventa piuttosto ripida ed è tutta accidentata. Voglio che montiate in sella ai vostri cavalli e saliate in cima, conducendo a mano gli altri due. Questo alleggerirà il veicolo e le gomme. Ne ho solo una di scorta.»
«Quindi non è sicura. Stai parlando sul serio?» chiese Trish. Sua madre non sarebbe stata contenta quando glielo avrebbero detto.
«Più serio di così si muore.»
«Che bello!» disse Perry. Stava già scendendo dal pick-up.
Trish lo seguì, scuotendo la testa. Un’altra storia da aggiungere alla lista delle scorciatoie di suo padre. Quando ebbero tirato fuori i cavalli dal trailer, la ragazza chiese: «Quanto manca alla cima?»
«Non è lontano. Poche miglia.»
Beh, non era la fine del mondo.
Sellò Goldie. Patrick aiutò Perry con Duke, il suo cavallo pezzato. Duke era alto e aveva la brutta abitudine di gonfiare la pancia. Inspirava fino a gonfiarla ogni volta che qualcuno andava da lui con una sella, il che rendeva difficile stringere bene la cinghia. Trish era già montata e teneva Reno, il gigantesco cavallo nero di suo padre, un incrocio percheron, e Cindy, una saura bassa e tarchiata. Oltre a essere un piccoletto, suo fratello saltava da una cosa all’altra come una palla di gomma e gli ci voleva un’eternità per terminarne una. Alla fine, anche lui era in sella.
Patrick disse: «Devo solo cambiare la gomma. Voi ragazzi, andate avanti.»
«Ok», rispose Trish.
Perry prese la lunghina di Cindy e schioccò la lingua a Duke per farlo partire. Trish diede un colpetto al collo di Goldie, poi si spostò in avanti, stringendo leggermente le gambe attorno al corpo del suo cavallo. Tutti e sei, Trish, Perry e i quattro cavalli, partirono a passo lento. Meno di venti minuti dopo, il padre li raggiunse e li salutò con il braccio avanzando su per la montagna, più veloce dei cavalli, ma sempre lentamente. Scomparve dietro una curva a esse e lei e Perry rimasero soli.
Trish si godeva il panorama. Ogni volta che c’era un’interruzione tra gli alberi sul lato a valle, poteva vedere in lontananza, oltre le colline, le isolate formazioni rocciose disseminate qua e là, del colore rosso mattone. Per qualche minuto Perry non disse una parola. Oltre al rumore degli zoccoli, si sentivano solo il canto degli uccellini e i versi delle aquile. Ma non durò.
Perry fece avanzare Duke e Cindy al trotto per mettersi a fianco di sua sorella. «Chi hai chiamato al McDonald’s?»
«Piantala.»
«Era un ragazzo?»
Trish non rispose.
«Era Brandon Lewis?»
«Cosa?» Trish si girò di scatto verso di lui. «Non sono cavoli tuoi.»
«Lui ti piace.»
«Sei una peste.» La ragazzina aumentò la pressione delle gambe su Goldie. La cavalla rispose con un lento trotto. Reno fece resistenza e la lunghina si tese. Trish scosse la testa. Reno era una bestia testarda. Goldie insistette e Reno si arrese, anche se la corda era sempre tesa.
Perry gridò: «Aspettami.»
Dietro di loro si avvicinava un rombo di motori. Trish spostò i suoi due cavalli sul lato destro della strada, contro la parete della montagna. Non si voltò a guardare, sapendo che avrebbe creato una reazione a catena con Goldie e Reno, che sarebbero tornati in mezzo alla strada.
«Spostati, Perry.»
Se le rispose, non poté udirlo. Qualche manciata di secondi dopo, due motociclisti la affiancarono. Erano in sella a grandi moto nere con cromature argentate. Le selle avevano una forma a banana che li faceva piegare all’indietro. I due uomini indossavano jeans con copripantaloni di pelle, giubbotti di pelle e bandane sulla fronte. Entrambi portavano barba e baffi lunghi e fini. Uno aveva la coda di cavallo. L’altro aveva un bizzarro taglio a spazzola come quello di Perry. Il tipo con la coda di cavallo, che era a torso nudo sotto la giacca, le fece un verso di apprezzamento quando la vide. Trish cercò di non vedere i peli sotto le sue ascelle. Che schifo. L’uomo frenò davanti a lei e girò la modo di traverso, bloccandole la strada. L’altro fece lo stesso.
I cavalli si fermarono di colpo.
«Ehi, piccola bellezza. Chi è questo che hai con te?» L’uomo con la coda indicò Perry con il pollice.
Scioccata, Trish guardò dritto davanti a sé e guidò Goldie per aggirare le moto. Il suo accento non era del posto. Il che aveva senso, perché nessuno del Wyoming si sarebbe comportato in quel modo. Ma non riusciva a capire da dove venisse. Non era texano. Non era del Nord. Non era del Sud. Né della costa orientale, come Boston o New York.
«Non fare la presuntuosa solo perché sei carina.»
La voce di Perry, quando parlò, era così stridula che sembrava uno dei Chipmunks. «Lascia in pace mia sorella.»
Gli uomini si guardarono e scoppiarono a ridere.
Quello con i capelli a spazzola disse: «Il suo eroe. Bella questa.»
Quello con la coda fissò Perry con occhi minacciosi. «Cosa farai se non lo facciamo, microbo?»
«Andiamo, Perry», disse Trish. «Ignorali.»
«Dove sei diretta, dolcezza? Forse ci vediamo più tardi.»
Di nuovo Trish non rispose. Perry aveva problemi a far procedere Duke oltre le motociclette.
«Dagli una pacca sul sedere. Deve sentire che sei tu che comandi», disse a suo fratello.
Perry fece come gli aveva suggerito, e Duke sbuffò e avanzò al trotto con Cindy, superando Trish, Goldie e Reno.
«La tipa ha carattere. Mi piace», disse l’uomo con i capelli a spazzola.
I due avviarono i motori sgasando, per poi superare Trish, Perry e i cavalli, ma senza fermarsi. Una delle moto scoppiettò sfiammando. Duke scartò bruscamente a sinistra. Perry si aggrappò al corno della sella. Alcune persone avevano una predisposizione per l’equitazione, lui no. Il suo corpo vacillò e si inclinò, ma rimase in sella. Goldie scosse la testa, sbuffando.
Le moto scomparvero in lontananza.
Trish tirò un sospiro di sollievo.

SETTE

FORESTA NAZIONALE DI BIGHORN, WYOMING
18 settembre 1976, ore 2 del pomeriggio
Perry
Cavalcando su per la ripida strada, con un notevole precipizio alla sua sinistra e una salita quasi diritta alla sua destra, il cuore di Perry non voleva rallentare. Di solito non aveva paura dell’altezza, ma sentiva come se una calamita gigante lo stesse tirando verso il bordo. Duke e Cindy non rendevano le cose più facili. Non riusciva a convincerli a starne lontani. Duke era quasi saltato oltre il bordo quando gli uomini sulle motociclette se ne erano andati facendo andare su di giri i motori e sfiammando con la marmitta.
Quegli uomini avevano guardato sua sorella in un brutto modo. Era così infuriato. Come lo era stato la volta un cui Judd, un bullo della scuola, lo aveva chiamato “viscida ragazzina”. Perry si era sbracciato per tirargli dei pugni e Judd gli aveva riso in faccia afferrandogli i polsi, senza nemmeno prendersi la briga di colpirlo. Al posto della faccia di Judd c’erano ora i denti macchiati dal fumo di Coda di Cavallo e gli occhietti di Testa Rasata; al posto della sua risata, le loro voci. Neanche loro lo avevano preso sul serio. Non c’era stato niente che Perry avesse potuto fare per proteggere Trish. Non era nemmeno riuscito a far fuggire il suo stupido cavallo senza il suo aiuto.
Perché tutti mi trattano come un bambino?
Le lacrime gli bruciavano gli occhi ed era sollevato di essere dietro a sua sorella. Le lasciò scorrere e asciugarsi al vento del Wyoming. Avrebbe voluto essere più grande e più forte — all’istante.
Il silenzio era pesante, rotto solo dal rumore degli zoccoli, dal forte respiro dei cavalli e, occasionalmente, dai loro sospiri tra le labbra. Gli sembrava di avere la bocca piena di marshmallow. Non riusciva nemmeno a dire a Trish quello che avrebbe voluto. Che gli dispiaceva di non essere stato d’aiuto. Gli dispiaceva e aveva paura. Era quello che sentiva anche lei? Era per questo che non gli diceva niente?
Sperava solo che i due uomini non tornassero.
Un instabile camion scendeva traballando verso di loro. Duke tese le orecchie in avanti e sollevò la testa. Mentre il mezzo si avvicinava, Perry vide che aveva una piattaforma di legno sopra la cabina, recintata da assi verticali. Dalla parte anteriore del recinto facevano capolino le minuscole zampe, il naso appuntito e le orecchie ciondolanti di un cane bassotto, a fianco di un san Bernardo così enorme che sembrava impossibile che il camion non si fosse ancora rovesciato.
Un autista con una folta barba nera sollevò due dita in segno di saluto mentre passava. Perry guardò il veicolo a bocca aperta. Il pianale aveva una recinzione che raggiungeva l’altezza di quella anteriore, anche se era fatta con i più tradizionali assi di legno orizzontali. Dietro il camion c’era un vecchio rimorchio per cavalli scoperto. Un cavallo maculato come un dalmata nitrì a Duke.
Duke sbuffò.
Trish mise una mano sulla sella dietro di sé e si voltò completamente per guardare il camion. «Solo nel Wyoming.»
Perry fece di sì con la testa. Il buffo veicolo lo fece sentire un po’ meglio. La gente del Wyoming era decisamente diversa da quella del Texas. Più avanti, vide finalmente il pick-up e il trailer di suo padre. Quando lui e Trish lo raggiunsero, lo trovarono mentre leggeva le cartine distese sul cofano.
«Ci avete messo un bel po’.» Patrick sorrise e iniziò a ripiegare le cartine. «Pronti per caricare?»
Trish gli chiese: «Hai visto le motociclette?»
«Sì. Delle Harley Davidson. Non se ne vedono molte in montagna.»
Perry squittì: «Quelli là erano dei pezzi di merda. Hanno dato fastidio a Trish.»
Patrick si paralizzò mentre si stava infilando le cartine nella cintura. «Cosa?»
«Solo chiacchiere e niente fatti», minimizzò Trish.
Patrick prese le redini di Duke.
Perry saltò a terra. «Hanno spaventato Duke.» Non disse quanto avessero spaventato lui.
«Avete parlato con loro?» Gli occhi di Patrick fissarono quelli di Perry, sapendo bene quale dei suoi figli aveva più probabilità di rivelare informazioni.
«No. Ma volevano sapere dove stavamo andando.»
«Glielo avete detto?»
«No.»
«Bene.»
Si diressero verso il retro del trailer. I tre rimasero in silenzio mentre appendevano i finimenti e le selle, e facevano salire i cavalli. La paura di Perry iniziò a calare. Il solo fatto di stare con suo padre lo faceva sentire al sicuro. Si guardò intorno. Non aveva mai visto le montagne da quel lato. La vista ravvicinata di Cloud Peak lo fece sentire vuoto. Dal lato di Buffalo, quella era la vetta più alta. Dalla nuova prospettiva, sembravano denti neri arrabbiati.
Salirono sul pick-up e Patrick iniziò a guidare lentamente lungo la strada Red Grade.
Trish disse: «Mi sembrano le Alpi svizzere di Heidi.»
«Eh?» chiese Perry.
«Tu conosci il libro di Heidi?»
Guardò fuori dal finestrino. Trish amava leggere. Lui lo odiava. La conversazione finì, ma non gli dispiacque. Per mezz’ora la sua mente vagò pensando al calcio, alla pesca, alla caccia al cervo e poi più a niente, mentre passavano davanti ad acquitrini, alci che brucavano piante acquatiche, torrenti, ampi prati dall’erba marrone e qualche casetta di legnoqua e là.
Doveva essersi addormentato, poiché quando aprì gli occhi, Patrick stava svoltando a destra in una strada forestale oltre un torrente.
Patrick abbassò il finestrino dalla proprio parte. «Parcheggeremo qui vicino e proseguiremo a cavallo.»
Trish lasciò su il proprio, mentre Perry tirò giù entrambi quelli posteriori. Passarono davanti a un pick-up con un trailer e delle Harley Davidson parcheggiate fuori. I finestrini e gli sportelli del trailer erano oscurati con qualcosa attaccato dall’interno.
«Sono le stesse motociclette.» Perry arricciò il naso. «C’è uno strano odore.»
Patrick inclinò la testa verso il finestrino aperto. «Sembra ammoniaca.»
Trish rabbrividì. «Sono lì dentro. Accampiamoci lontano da loro.»
Patrick annuì. «Il posto consigliato da Henry è bello lontano.»
Un miglio più in là, Patrick parcheggiò il pick-up. Cindy, come sempre, stava scalciando nel trailer.
Patrick dette una botta sul fianco. «Smettila o ti faccio diventare cibo per cani.»
Perry allungò la mano e accarezzò il collo di Cindy. «Papà, non può farci niente. È nervosa.»
«Io direi che è impaziente.» Patrick sorrise a suo figlio.
«Non la venderai davvero per farne cibo per cani, vero?»
«Probabilmente no.»
«Papà! Prometti che non lo farai.»
Patrick strofinò i capelli a spazzola di Perry. «Lo prometto. Anche se è fastidiosa, non la venderò come cibo per cani.»
Cindy continuò a scalciare finché lo sportello posteriore non venne aperto. Preparare i cavalli richiese più tempo di quanto ce n’era voluto sulla Red Grade. A Cindy fu montata una sella da carico con attaccato l’arco con le frecce; oltre a quello, lei e gli altri cavalli portavano bisacce piene di attrezzature, viveri e indumenti. Ma non tutti gli indumenti. Patrick aveva fatto lasciare a Trish metà dei suoi sul fondo posteriore del pick-up.
Perry osservò il padre mentre controllava la sua 357 magnum e il suo coltello, poi li infilava rispettivamente nella fondina e nel fodero attorno ai fianchi. «Se andiamo a caccia con l’arco, come mai stai portando tutte quelle armi?»
«La pistola è per autodifesa. Mentre il coltello è per eviscerare il cervo che prenderemo.» Patrick tirò fuori dalla tasca il suo coltello tascabile con la scritta segaossa. «E questo è il mio coltello multiuso.»
Perry prese il coltello e lo esaminò mentre suo padre metteva le munizioni in una delle bisacce di Cindy. Quelle calibro 38 special, perché erano più economiche delle calibro 357. Suo padre preferiva le cose a buon mercato. «Posso portarlo io?»
Patrick scompigliò di nuovo i capelli di Perry. «Questo è per un uomo adulto. Forse Babbo Natale te ne porterà uno per Natale.»
«Papà, Babbo Natale non esiste.»
«Io non lo direi tanto forte. Potrebbe sentirti.» Patrick gli fece l’occhiolino. Si diresse verso il pick-up e lo chiuse a chiave, poi andò dal suo cavallo e infilò le chiavi in una tasca esterna della sua bisaccia con la cerniera.
Reno sembrava cattivo, ma in realtà era molto carino. Suo padre adorava quel cavallo. Il suo amico Henry lo tormentava perché cavalcava un cavallo da tiro nel paese dei veloci cavalli da mandria, allora aveva portato Reno a lezioni di cutting. Ora si vantava di avere il cavallo da cutting più lento del West.
«Tutti pronti?» chiese Patrick con un tono allegro.
«Per andare a casa», rispose Trish. «Anche Goldie. L’hai caricata troppo.» Ma salì ugualmente.
«Mai quanto se ti avessi permesso di portarti tutta quella roba inutile.»
Perry rispose: «Sono pronto, papà.»
Patrick si mise di fianco a Duke e allungò una mano. Perry la usò come appoggio per salire in groppa al cavallo. Poi Patrick montò su Reno e prese la lunghina di Cindy. Si mise in cammino, Perry dietro di lui e Trish per ultima. Passarono davanti ad altri pick-up e roulotte parcheggiati lungo la strada, e anche qualche tenda. La gente caricava e scaricava, incordava gli archi e cucinava. Tutti salutavano.
Con i loro carichi ingombranti, i cavalli ondeggiavano più che camminare. Passò quasi un’ora prima che Patrick dicesse a Perry di iniziare a cercare il posto adatto per accampare. Perry era stanco di cavalcare, ma cercò con attenzione.
Dopo aver scartato alcuni posti - troppo rocciosi, troppo piccoli, senza un bidone per il fuoco - fermò Duke in una bella radura tra gli alberi, arretrata rispetto al sentiero, con buona erba e un contenitore per il fuoco ben sistemato. «Che ne dici di questo, papà?»
Trish guidò Goldie al bidone del fuoco. «Sta ancora bruciando. Sembra che qualcuno stesse bruciando della spazzatura.»
Patrick scosse la testa. Il suo viso era serio e disgustato. «Un buon modo per appiccare un incendio nella foresta, e questo è esattamente il periodo sbagliato dell’anno per farlo. L’intera montagna è secca e a rischio di incendio.»
«L’erba è ancora buona. E c’è una corda tesa per legare i cavalli.»
Perry vide punte di rami a terra che ricoprivano i bordi della radura. «Perché tutti quei pezzi d’albero sono per terra?»
Patrick gli spiegò: «Molto probabilmente sono stati gli scoiattoli. Mordono e fanno cadere i rami nuovi e poi si nutrono delle gemme comodamente a terra.» Alzò bene la gamba per passare oltre le bisacce. Ne colpì una comunque. Reno si mosse di lato. Patrick fece leva sulla sella e scese. «Allora questo è il nostro posto. Ottima scelta, Perry.»
Perry sospirò. Scivolò giù da Duke, improvvisamente stanco, come se avesse appena finito di giocare un’intera partita di calcio come attaccante.
«Un po’ di vita, ragazzi. La luce del giorno sta calando e c’è un campo da montare.»
Perry sospirò di nuovo, questa volta più forte.
«Io mi occupo dei cavalli.» Trish stava già togliendo la sella a Goldie. La cavalla si voltò a guardarla e Trish le accarezzò il muso.
«Allora tu e io ci occuperemo della tenda.» Patrick arruffò ancora una volta i capelli di Perry.
Perry si sfilò da sotto la sua mano. Avrebbe voluto che suo padre smettesse di farlo.
Trish fece un sorrisetto di scherno. «Mi spiace per te, mostriciattolo.»
Il fratello le mostrò il dito medio alle spalle di suo padre, e lei arricciò le labbra e si batté la mano sul sedere.
Mezz’ora dopo, i cavalli erano stati abbeverati a un vicino torrente e messi a brucare l’erba con le pastoie alle zampe. La tenda era montata, con i sacchi a pelo srotolati all’interno, in un punto per lo più pianeggiante senza troppe pietre. Le montagne bloccavano la maggior parte della luce del sole, anche se era ancora alto nel cielo.
Patrick issò le bisacce che contenevano i viveri in alto su un albero all’estremità dell’accampamento. «Se ceniamo tardi, abbiamo tempo per fare un giro d’ispezione per la nostra caccia di domani.»
Quelle parole elettrizzarono Perry. La stanchezza era solo un ricordo. Era per lui il primo anno in cui aveva l’età per cacciare legalmente. Aveva sparato a un sacco di animali nocivi con la sua pistola a pallini di gomma, per scacciarli, e suo padre gli aveva permesso di premere il grilletto del fucile durante la caccia al cervo, standogli a fianco, ma questa volta era diverso. Avrebbe scelto il suo cervo e usato l’arco compound da solo e reclamato il suo trofeo; se fosse riuscito a prenderlo, ovviamente. Si era esercitato con l’arco per tutta l’estate ed era diventato veramente bravo, ma suo padre gli ricordava sempre che un animale in movimento era diverso da un bersaglio fisso.
I suoi pensieri furono interrotti da una voce proveniente dal sentiero che lo colpì come una frustata.
«Questo è il nostro campo.» La voce apparteneva a un uomo alto e massiccio con le guance incavate e una barba rada. Aveva i capelli neri e brizzolati. Indossava una salopette mimetica con sotto una maglietta nera, dello stesso colore del suo cavallo.
Perry non l’aveva nemmeno sentito arrivare e provò pietà per il cavallo, che doveva portare qualcuno così pesante. In ritardo, Goldie, Duke, Cindy e Reno iniziarono a nitrire e a sbuffare. Perry immaginò che fosse per quello che non esistevano cavalli da guardia. Desiderò che avessero portato Ferdinand. Abbaiava a tutto, ma era proprio per quel motivo che suo padre aveva detto “niente cani durante una gita di caccia”.
Ma questo era il suo accampamento. L’aveva scelto lui.
Gonfiò il petto. «È nostro.»
Patrick tese una mano verso Perry con il palmo rivolto verso il basso, dicendogli di stare zitto. «Buongiorno. C’è qualche problema?»
Perry e Trish si scambiarono un’occhiata. Gli occhi di lei dicevano: «Che diavolo sta succedendo?» e il fratello sapeva che anche i suoi dicevano la stessa cosa.
Altri due uomini a cavallo apparvero da dietro la curva del sentiero. I due erano come il primo, dovevano essere una famiglia. Scuri di carnagione. Alti. Uno della stessa età del primo, ma magro e con i capelli completamente bianchi; l’altro sembrava abbastanza giovane da frequentare le scuole superiori. Quello più vecchio aveva uno stuzzicadenti in bocca e mostrava i denti. Il giovane aveva il capo chino e guardava dalla parte opposta all’accampamento.
Il primo uomo ripeté quello che aveva detto: «Questo è il nostro campo. Lo è sempre stato. Per tutta la stagione.»
Patrick scosse la testa. «Non c’era niente qui quando l’abbiamo trovato. L’avete prenotato?»
I due uomini più anziani sghignazzarono. Il giovane non reagì.
Il primo disse: «Divertente. Una prenotazione per un campeggio libero nel mezzo del nulla. Sei un comico, forse?»
«No, sono un medico.»
Il ragazzo si mosse sulla sella.
«Forse potrebbe guardare la zampa di Blue.» Il tipo con i capelli bianchi era su un roano bluastro con un grande taglio aperto sulla zampa posteriore.
Patrick sorrise. «Beh, ho curato un cavallo con una zampa rotta la scorsa notte in ospedale, ma vi avverto, non sono un veterinario.»
«No.» Di nuovo la voce sferzante del primo tipo. Fissò Patrick, uno strano sguardo negli occhi.
Perry non sapeva cosa pensare di quello sguardo. La gente rimaneva spesso piuttosto colpita dal fatto che suo padre fosse un medico. In chiesa, si mettevano in fila per parlargli, mostrandogli disgustose braccia con irritazioni cutanee e piedi nudi con le unghie incarnite. Quest’uomo non sembrava per niente impressionato.
Rispose: «Tutto ciò che vogliamo da te è il nostro accampamento.»
«Stai parlando sul serio?» chiese Patrick. Questa volta alzò la voce.
Perry e Trish si avvicinarono al loro papà. Reno iniziò a scuotere la testa e a scalpitare.
«Sì.»
«C’è un posto davvero buono proprio sul sentiero», suggerì Trish. «Meglio di questo. L’ho visto mentre abbeveravo i cavalli. Più vicino al torrente. Più grande.»
L’uomo grugnì. «Allora, potete prenderlo voi.»
Perry vide suo padre dare un’occhiata alla tenda. L’arco era appoggiato a un albero a fianco e la pistola era nel cinturone appeso a un ramo dell’albero.
«Non ci sposteremo», disse con calma. «È meglio che ve ne andiate.»
Il suo tono fece rizzare i peli sulle braccia di Perry. Quando era infuriato, suo padre diventava più tranquillo. Gli uomini si spostarono sulle loro selle e quello con i capelli bianchi guardò il capo, il quale sputò il tabacco che stava masticando, facendolo schizzare sui sassi.
Dei motori ruppero il silenzio teso, e due motociclette apparvero da dietro la curva del sentiero sbandando a gran velocità. Non le ruggenti moto da strada, come le Harley che Perry aveva visto in precedenza, ma delle moto da cross. Moto fantastiche, una rossa, l’altra gialla, che sembravano piuttosto nuove. Si avvicinarono due uomini con la testa rasata, i volti quasi interamente coperti dagli occhiali da cross. Non avevano il casco, come quelli delle Harley, si rese conto Perry. Suo padre aveva detto che questo aveva qualcosa a che fare con la legge della selezione naturale e un certo Darwin non-so-chi. Passando davanti ai cavalli, i centauri lasciarono andare l’acceleratore.
Dovevano aver capito che qualcosa non andava, perché quello davanti si fermò e spense il motore. L’altro lo superò e si fermò anche lui. «Ehi, gente, va tutto bene?»
Il capo rispose: «Alla meraviglia.»
A Perry fece improvvisamente male lo stomaco e si avvicinò di un altro passo a suo padre.
I tipi delle moto da cross li salutarono con la testa. Rimisero in moto le moto, dando un colpo in basso con la gamba destra, e ripartirono.
«Spero che questo accampamento ne valga la pena», disse il capo di quelli a cavallo a suo padre.
Patrick si mise le mani sui fianchi. «La pena di cosa?»
Il capo schioccò la lingua al proprio cavallo e l’animale dal pelo lucido scosse la criniera, poi avanzò barcollando sotto il pesante carico. Gli altri due lo seguirono al trotto per raggiungerlo.
Perry non sapeva che cosa avesse voluto dire il capo, ma era piuttosto sicuro che non fosse nulla di buono.

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