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Scherzi Del Diavolo
Marco Fogliani
In questa raccolta (che in un certo senso può considerarsi agli antipodi rispetto ai ”Racconti buonisti” dello stesso autore) sono presenti i racconti dell'autore in cui il Diavolo, se non direttamente presente come personaggio, lascia trasparire in modo evidente la sua presenza attraverso la malvagità e la cattiveria dell'uomo. Perchè un po' di Diavolo, purtroppo, è anche nell'animo di ogni uomo.
Qui di seguito, in ordine alfabetico, l'elenco dei racconti inclusi nella raccolta:
ALL'INFERNO!
DIAVOLI E AUTOMOBILI
FRA CIRINO E DON CICCILLO
IL CALCIO DI OGGI NON E' PIU' COME PRIMA
IL PESO DI UN SEGRETO
IL PRIMO ANNUNCIO
LA MENSA DEI POVERI
LA ROSCIA
LA SCOMMESSA
Si avverte che, dato il carattere tematico della raccolta, i suddetti racconti potrebbero essere presenti anche in altre raccolte dello stesso autore.


Marco Fogliani
Copertina di Marco Fogliani
Aggiornamento al: 20/11/2021

DIAVOLI E AUTOMOBILI
Quel giorno Dario, alla guida della sua utilitaria, era deciso ad andare a togliersi uno sfizio; o forse, almeno, una curiosità. Chissà se era vero quello che gli avevano detto: se era davvero possibile acquistare una Diablo praticamente nuova per qualche centinaio di euro. Bastava trovare fisicamente quel concessionario, scoperto su internet da qualche navigatore curioso e che il suo amico Giorgio, non meno curioso e incredulo di lui, era già riuscito a scovare. A quanto pare stava davvero a casa del diavolo, ma a sentire Giorgio era vero tutto, le Diablo c'erano, costavano poco e si potevano comprare. E Giorgio l'aveva comprata.
Eccola, finalmente: concessionaria Belzeheb, di Belzeheb Abdul. Dario parcheggiò e scese dalla sua utilitaria lanciandole un'ultima occhiata di commiserazione e di disprezzo. Se tutto va bene ti mollo oggi stesso, pensò prima di trasferire il suo sguardo alla elegante Diablo rossa ammiccante in vetrina. Entrò. Gli venne incontro un signore distinto: barbetta scura umida e ben curata, faccia da arabo, modi - così gli sembrava - un po' viscidi. Dario, benché impaziente, avrebbe voluto affrontare la cosa in maniera più graduale; ma vedendosi l'unico visitatore e sentendosi indirizzare un “Buongiorno”, sebbene non pressante, andò subito al dunque.
“Ho sentito che vendete la Diablo a un ottimo prezzo.”
“È esatto: ma non solo. Insieme all'automobile offriamo anche un prodotto finanziario collegato, una sorta di assicurazione personalizzata che le garantirà una rendita fissa periodica non trascurabile. Acquistandola diventerà parte di una organizzazione multilivello, ricevendo in seguito le commissioni da tutti gli acquirenti che faranno, direttamente o indirettamente, riferimento a lei. Come mi piace dire, chi compra da me sposa anche una nuova, rivoluzionaria strategia di business, che può cambiare la vita.”
Il signor Abdul parlava con voce calda e suadente, lentamente e scandendo bene le parole, in maniera quasi solenne, come se ragionasse in quel momento su ogni singola parola che pronunciava.
“Ho capito”, ribatté Dario. “La classica struttura di vendita a piramide. Ma se poi chi acquista non dichiara il suo referente, addio commissione”, disse Dario balenandogli in mente l'idea di fare uno scherzo al suo amico Giorgio.
“In tal caso addio anche a ventimila euro di sconto. Lei cosa dice: si ricorderebbe chi è il suo referente?”
“Sì, decisamente sì. Il mio referente si chiama Giorgio Vattalà.”
“Ah, Giorgio. Sì, me lo ricordo, è stato molto entusiasta dell'acquisto.”
“Però io”, continuò Dario, “mi sono sempre chiesto cosa c'è sotto questo tipo di organizzazioni. Qual è il trucco. Come si chiude il giro in modo che ci guadagnino tutti. Per esempio: a lei cosa ne viene? Ed è sicuro che non ci sia qualcosa a mio svantaggio che non mi abbia detto?”
“In quanto a me”, gli rispose il concessionario con una specie di sorriso appena abbozzato, “non si preoccupi, che ho il mio tornaconto. Il ritorno di immagine, la soddisfazione del cliente, il passaparola: è tutta pubblicità che, fatta tramite giornali e televisione, non ha idea di quanto costerebbe. E se ci pensa bene è di per sé un fattore positivo anche il solo allargamento dell'organizzazione, come un aumento di capitale o un azionariato popolare per una società per azioni. In quanto a lei ci stavo arrivando, non le avrei nascosto niente: il prezzo da pagare non è solo monetario, quei mille euro che sono una bazzecola per una macchina del genere. Deve rinunciare a qualcosa di molto, molto importante, qualcosa a cui tiene di più di qualunque altra cosa.”
“Cioè?”, si intromise Dario, incuriosito.
“Il contratto che io propongo è personalizzato, ritagliato su misura per ciascun cliente: se ha tempo, e se le interessa, possiamo sederci e approfondire la cosa con più tranquillità.”
Dario acconsentì, e i due si accomodarono alla scrivania del signor Abdul. La conversazione che seguì tra loro sembrò a Dario una via di mezzo tra una intervista di marketing, un colloquio di lavoro ed una confessione. Gli venne chiesto non solo cosa faceva nella vita, ma anche le sue abitudini, i passatempi e ciò che preferiva fare. Dario fu più volte tentato di mandarlo al diavolo, dicendogli che si facesse gli affari suoi, o di raccontargli una cosa per un'altra; ma lo trattennero il pensiero della Diablo a mille euro e la sensazione di trovarsi di fronte ad una persona molto preparata in psicologia. Ogni volta che non voleva rispondergli o voleva dirgli una bugia, infatti, il suo interlocutore sembrava leggergli nel pensiero e, guardando la Diablo, buttava lì quasi con noncuranza un “Bella macchina la Diablo, vero?”, che lo faceva desistere dai suoi propositi.
“Quale è la cosa che preferisci in assoluto?”, gli fu chiesto.
“Il calcio, direi.”
“Ti piace giocarci, o solo guardarlo? (Bella la Diablo, vero?)”
“A giocare sono negato. Sono un gran tifoso della Magica squadra della mia città.”
“Vai allo stadio?”
“Tutte le domeniche. Ho l'abbonamento.”
“Ecco, a questo dovrai rinunciarci.” Poi, dopo una pausa e quasi a prevenire un dubbio analogo da parte di Dario: “Naturalmente dovrai rinunciare anche a vedere le sue partite in televisione; ma tanto di qui a uno o due anni ci dovranno rinunciare tutti, perché la tua squadra si sta avvicinando a grandi passi verso la bancarotta ed il fallimento.”
“E lei come fa a saperlo?”
“Oh, dammi pure del tu. È solo una mia opinione; ma lo vociferano anche alcuni giornali finanziari.” E a tal proposito gli mostrò il titolo di un articolo di una rivista che, guarda caso, aveva proprio lì nel cassetto della scrivania. “Comunque, in cambio della Diablo mi dovrai dare anche il tuo abbonamento allo stadio.”
“Allora temo che dovrò tornare un'altra volta, perché non ce l'ho con me.”
“Sei sicuro? Non è che per caso…”
“No, no. Lo lascio sempre a casa quando non mi serve.” E così facendo fece l'atto di rivoltare le tasche del suo giacchetto, una alla volta, vuotandone il contenuto sulla scrivania.
“Non è per caso quello?” Un tesserino giallo e verde, insieme ad un fazzolettino di carta, era scivolato per terra.
“Oh, che strano. Ero proprio sicuro…” Dario risistemò le sue tasche e il loro contenuto, lasciando l'abbonamento sulla scrivania.
“E sul lato degli affetti che mi dici? Sei sposato, fidanzato … o che?”
“Divorziato.”
“Così giovane?”, disse Abdul con una certa sorpresa, e forse anche con un po' di ammirazione.
“E hai avuto figli?”
“No.”
“E adesso stai con un'altra?”
“Sì, ma niente di particolarmente serio.”
“E la mamma, la famiglia? Quanto sono importanti per te?”
“Abito ancora coi miei genitori, non lo nego. E questo ha i suoi inconvenienti, ma anche i suoi vantaggi.”
“Bene, Dario. Penso che per me sarà un piacere fare affari con te: e ti confesso che se le circostanze lo consentiranno sarei lieto in futuro di instaurare con te, perché no, magari una collaborazione più stretta, di tipo lavorativo e professionale. Comunque per adesso è tutto. Mi serve solo un tuo documento per i dati anagrafici, e almeno una mezz'oretta di tempo per la stesura del contratto personalizzato. Nel frattempo puoi farti un bel giro di prova per vedere se la macchina è di tuo gradimento, cosa di cui non dubito. Eccoti le chiavi, Dario, e divertiti.”
Dario gli consegnò la carta di identità mentre riceveva le chiavi. “Ma… come facevi a sapere che mi chiamo Dario?“
Abdul gli mostrò di nuovo l'abbonamento. “Sono uno a cui non sfugge quasi nulla, caro mio.”
Quella macchina era una cosa dell'altro mondo: una tenuta di strada formidabile, un'accelerazione da brivido, un sedile avvolgente. Dario ne fu veramente entusiasta. Il gusto della guida e, perché no, la benzina non pagata gli fecero dimenticare lo scorrere del tempo. La targa di prova, poi, ma anche l'affidabilità, la potenza e l'elasticità che andava sperimentando nella Diablo, gli fecero osare qualcosa in più di quanto non avrebbe fatto. In una occasione, in mezzo a una curva presa con decisione, si trovò di fronte un gatto nero sulla carreggiata, ma con un ottimo riflesso e grazie anche all'ottima tenuta di strada della Diablo riuscì a scartarlo come nulla fosse, senza il minimo segno di sbandata o rumore di frenata.
Era passata quasi un'ora e Dario, più che soddisfatto dal suo lungo giro di prova, era già sulla via del ritorno quando gli si presentò un nuovo imprevisto. Stavolta era un motorino, che viaggiava disciplinatamente accostato al bordo della strada; e anche se lo raggiunse dopo una curva non gli era sembrato un ostacolo quanto un gioco, come un birillo messo lì perché lui potesse divertirsi a scansarlo come aveva già fatto col gatto. Però stavolta tardò un attimo di troppo, o prese male le misure: fatto sta che lo urtò leggermente sul di dietro, mandandolo giù nel fossato. La Diablo, in accelerazione, non ne risentì minimamente e si dileguò. Il motorino finì nell’erba. Probabilmente il motociclista non si era fatto niente, e non era riuscito a vedere chi l’avesse urtato. Però … chissà, meglio non rischiare e accertarsene, pensò Dario, che decise così di rientrare al più presto dal concessionario per poi tornare sul luogo dell’incidente con la sua vecchia macchina facendo finta di niente.
Prima di entrare nell'autosalone Dario fece un paio di giri attorno alla Diablo, osservandola con soddisfatta ammirazione da varie angolature. Il contrasto con la sua vecchia utilitaria, parcheggiata accanto, la metteva ancor più in evidenza.
“Bellissima, veramente”, disse mentre riconsegnava le chiavi al signor Abdul. “Senti, avevo dimenticato di dover fare una commissione. Mi serve ancora un po’ di tempo”.
“Usa pure la Diablo, se ti pare”, gli rispose Abdul.
“No, grazie. Non è il caso, almeno in questa occasione. Ah: ho notato un piccolo graffio sul paraurti, vicino al faro anteriore. Suppongo che anche questo abbia fatto scendere un po' il prezzo…”
“Un graffio? Strano.”
“Te l'assicuro. Guarda tu stesso.”
Abdul, i cui lenti movimenti manifestavano la stessa ponderatezza e solennità delle sue parole, trovò ed esaminò sul paraurti anteriore il piccolo segno, a stento visibile, appena lasciato dal motorino.
“Capisco. Ma non è affatto un problema: come vedi ce ne ho un'altra a disposizione, se preferisci.”
In effetti un'altra vettura esattamente uguale occupava ora lo stesso posto da cui, circa un'ora prima, Dario aveva preso la Diablo in prova.
“Allora a tra poco, per la firma del contratto. Mi raccomando, tienimela da parte.”
Il luogo dell’incidente era poco distante dal concessionario. Il motorino, in non buone condizioni, era stato appoggiato ad un albero e vicino ad esso stavano due persone, una delle quali seduta sull’erba e in apparenza dolorante.
Alla loro vista Dario rallentò, cercando di ricordare se potessero esserci stati due passeggeri sullo stesso motorino. Poi addirittura fermò la sua utilitaria e fece per andare loro incontro, fingendo di voler prestare aiuto; ma fu vero stupore quando riconobbe nel più malconcio dei due il suo amico Giorgio.
“Giorgio! Sei tu? Ma cosa ti è successo?”
“Andavo tranquillamente in motorino e sono stato urtato da dietro, non ho visto né come né da chi.”
“Un mascalzone, un pirata della strada l’ha investito ed è scappato senza prestare soccorso”, aggiunse l’altro signore. “Ma voi vi conoscete?” E ricevendo dai due risposta affermativa, costui si congedò: “Allora può prendersi cura lei del suo amico, vero? Ho un impegno e devo proprio andare, ma vado via tranquillo sapendo che è in buone mani”.
Così Dario rimase solo con Giorgio. Lo aiutò ad alzarsi e, sostenendone il passo zoppicante, a raggiungere la sua utilitaria, dove lo fece sedere. Qui Giorgio scoppiò in lacrime.
“Oh, Dario, che sbaglio che ho fatto. È tutta colpa di quella maledetta Diablo!”
“Vuoi dire che è stata una Diablo ad investirti?”, chiese Dario in cuor suo preoccupato.
“No, non credo, anche se non mi sorprenderebbe. Voglio dire che quella macchina porta una jella pazzesca. Da quando l’ho comprata non me ne è andata bene una. Ho litigato coi miei e soprattutto con mia moglie, da cui mi sono quasi separato. In ufficio ora tutti mi detestano. Prima ero un uomo felice; poi non so cosa mi è successo. Sono diventato vuoto, arido, crudele. Tutto è andato allo sfascio. Per questo oggi sono venuto a riconsegnarla, a strappare quel maledetto contratto; ma evidentemente non è bastato. E sì che mi sembrava di aver fatto un così grande affare. Pensa che l’ho addirittura consigliato a destra e a manca, spargendo la voce a tutti i miei amici.” Qui Giorgio si interruppe e, preoccupato, guardò Dario. “A proposito, tu che ci fai qui? Non mi dirai che sei venuto anche tu fin quaggiù per comprarla?”
Dario fece il vago. “L’offerta sembrava buona, da come l’avevi descritta.”
“No, non ti fidare. Ti farà un contratto scritto a caratteri piccolissimi: leggilo tutto con attenzione. Purtroppo io l’ho fatto troppo tardi. Firmandolo, rinuncerai alla tua anima: c’è scritto proprio così! In un impeto d’ira l’ho strappato in mille pezzi, altrimenti te lo farei leggere, perché capisco che sia difficile da crederci. Ma devi credermi. E oggi, tornando a consegnargli la macchina, ho preteso che strappasse la sua copia del contratto. Sta qui a due passi, e sospetto che sia stato lui volontariamente a investirmi.”
“Adesso calmati. Sei già stato tanto scosso per la botta. Se ti agiti non migliori certo la situazione. Ti accompagno alla fermata dell’autobus, non è molto lontana da qui.”
“Forse sarebbe meglio se mi portassi all'ospedale, a un pronto soccorso, a farmi visitare”, ribatte Giorgio un po’ confuso.
“Suvvia, non esagerare. Non buttarti troppo giù: sei giovane, una tempra forte, cosa vuoi che ti sia successo? Vedrai che a casa, con un po’ di riposo, ti riprenderai subito.”
Per Giorgio, che in cuor suo pensava di meritarsi ben altro trattamento (magari essere riaccompagnato a casa, non certo scaricato subito), fu un altro duro colpo al morale, già a terra dopo l’incidente. Non insistette più di tanto mentre scendeva, zoppicando, alla fermata dell'autobus.
“Ci sarebbe anche da recuperare il motorino, devo portarlo ad aggiustare. Puoi occupartene tu, visto che sei già qui con la macchina?”
“Certamente”, gli rispose Dario. “Adesso vado e lo carico nel bagagliaio. Stai tranquillo, te lo farò riavere a casa al più presto.”
Dario salutò sbrigativamente Giorgio e poi, facendo inversione di marcia, ritornò a prendere il motorino. Ma solo dopo averlo sistemato a bordo gli venne in mente che, se avesse acquistato la Diablo, non poteva tornare a casa guidando due auto.
“Non fa niente”, pensò, “caso mai glielo riporto un'altra volta, con calma.” E poi, continuando nei suoi pensieri: “Però, che idea: vendersi l'anima. Per forza gli è successo di tutto: lui ci crede a queste cose. Io per fortuna no. Sono ateo, figuriamoci se posso credere di avere un'anima. La compravendita dell'anima mi sembra un'altra ciarlataneria, un possibile modo molto astuto per fare soldi, questo sì. Fossi stato più furbo magari ci avrei pensato già da tempo. Però, quell’Abdul: ne sa una più del diavolo.” E, a proposito di furberie, cominciò a vagliare il modo e la possibilità di risparmiare anche le commissioni a Giorgio o addirittura a intascarsi le sue, dato che il suo amico aveva restituito la macchina.
Così ragionando Dario arrivò di nuovo al concessionario dove, era convinto, avrebbe di lì a poco portato a termine il migliore affare della sua vita.

ALL'INFERNO!
Io e il giovane avvocato Laurenzi avevamo cenato insieme al ristorante. Si era finito con la bottiglia di spumante ed un brindisi.
L'aveva proposto lui, ed io ero stato pienamente d'accordo. Seguire i suoi suggerimenti aveva portato la mia azienda a ricevere l'ordinativo più consistente di sempre, in un periodo di crisi generalizzata. Ora potevamo tirare un sospiro di sollievo, smaltire le giacenze accumulate in magazzino, e soprattutto avevamo lavoro garantito per diversi mesi. La sua idea aveva funzionato, i risultati gli avevano dato ragione, ed io avevo fatto bene a fidarmi di lui, nonostante tutti i miei scrupoli e le mie perplessità.
“Bisogna puntare di più sul marchio, sul fatto che i prodotti sono made in Italy; ed abbassare drasticamente i costi, magari anche un po' a scapito della qualità: perché fatto in Italia vuol dire semplicemente sul territorio italiano, ma non necessariamente da artigiani italiani”, sosteneva. Anche da cinesi andava bene lo stesso, parola di avvocato. E se poi ci fossero stati problemi per la qualità più scadente, lui era lì apposta per curare gli aspetti legali.
Il suo modo di pensare si era rivelato vincente, ed io quella sera stessa, per gratitudine e per premiarlo, al momento del brindisi gli avevo anche proposto di diventare mio socio.
Eravamo da poco usciti dal ristorante, con in corpo l'euforia di quasi una bottiglia di spumante in due. Sarei tornato a piedi, il ristorante l'avevo scelto vicino a casa: lo conoscevo e si mangiava bene. Accompagnai il Laurenzi alla macchina.
“Mi raccomando, sii prudente, Ci vediamo domani”.
I fumi e l'euforia dell'alcool e del successo avevano un po' offuscato la mia coscienza, che aveva fatto sentire con forza la sua voce fino al momento della firma del contratto ed all'incasso dell'assegno. Mio padre non avrebbe approvato quello che avevo fatto. “Quando prepari un vestito, mettiti nei panni di chi lo indosserà”, era solito dire. E mio nonno: “l'onestà prima di tutto”, anche se non si può dire che avessi tenuto un comportamento disonesto: perché “disonesto è solo ciò che va contro la legge”, sosteneva a ragione l'avvocato Laurenzi. Ma quelli di mio padre erano altri tempi: tempi in cui si andava all'inferno per le brutte azioni e dopo morti, non già da vivi per mancanza di denaro e di lavoro.
Forse pensavo a questo quando i miei occhi, alleati con l'oscurità, mi fecero un brutto scherzo. Per terra, dall'altro lato della strada, più avanti … non erano neanche in direzione di casa mia … c'erano due o tre … Ma cos'erano? Non vedevo chiaramente cosa fossero. Decisi di avvicinarmi. Attraversai, non tanto per sapere cosa fossero, quanto per capire fino a che punto un po' d'alcool potesse prendersi gioco della mia vista.
Adesso sì, era più chiaro. Una moto, o meglio uno scooter sdraiato per terra; poco oltre una persona, pure lei giù lunga, probabilmente il guidatore, sotto quel che restava di una panchina in pietra. E poi ancora più in là qualcos'altro, forse una borsa o un bagaglio, e un casco.
Normalmente, chissà, così al buio forse sarei stato alla larga, o al massimo avrei chiamato la polizia o un'ambulanza. E invece mi avvicinai. Non ero né un fifone né un disonesto. (Ma a chi volevo dimostrarlo? Forse a mio nonno o a mio padre?) Anzi, ero una persona retta e con un gran senso civico, per cui mi avvicinai a vedere se quella persona stesse bene.
“È tutto a posto?”, gli chiesi. Chiaramente no. Quella macchia scura sotto di lui sembrava sangue … o forse era olio della moto? Ma da come mi parlò rantolando, no, non era affatto tutto a posto.
“Ti prego, aiutami”.
Col cellulare chiamai subito il numero di emergenza. Non fu facile, col buio e con l'alcool. Una volta riattaccato mi vennero tanti dubbi: l'indirizzo che avevo indicato era quello giusto? Ero riuscito a farmi capire?
“La gamba … mi fa male. Ho la gamba bloccata … e rotta. Aiutami.”
Feci del mio meglio per sollevare e spostare quel peso. Non so, in quelle condizioni, come ci riuscii, soprattutto a vincere l'impressione del sangue: devo essere stato aiutato da qualche forza sovrannaturale. Forse lo ammaccai ulteriormente durante l'operazione, quando lui emise quel grido di dolore: ma alla fine la sua gamba fu ibera.
“Adesso arriverà l'ambulanza, spero”, cercai di consolarlo.
“Grazie”, mi rispose, mentre a fatica si era tirato su seduto per terra. “La borsa … la borsa, per favore”.
Andai a prendere la borsa. Anzi, le borse, perché ce n'erano due, piuttosto grosse. Nel dubbio, e a fatica, gliele portai tutte e due, insieme.
“È questa”. Cercò di aprirla con una mano sola, ma non ci riuscì.
“Aspetta, lascia che ti aiuti.” Seppure con difficoltà, riuscii ad aprirgliela.
“Vuoi che avvisi qualcuno? Hai moglie, una famiglia?”
“No, no”, rispose mentre frugava nella borsa. “Piuttosto avvicinati e fammi luce, se puoi.”
Puntai la luce del mio cellulare dentro la borsa mentre lui cercava. Alla fine trovò e prese in mano quello che voleva. Era una cosa piccola e massiccia, di metallo. Mi sembrava un grosso accendino. Io ero già vicino a lui, e ciononostante mi fece cenno con l'altra mano di avvicinarmi. Fece come per porgermelo.
BUUM!
Maledizione. Non era un accendino, era una pistola. E cosa ne potevo sapere io? Non ne avevo mai vista una dal vero, solo nei film e nei fumetti. Avrei avuto tutto il tempo di scappare, di togliergliela, in mille modi. Con un calcio, con le mani, lui era lì a terra con una gamba rotta. Ma … come potevo sospettare? Il rumore mi riempì la testa, ed il dolore il corpo; anzi, me lo svuotò.
Razza di un Giuda che non sei altro! Io mi sono fermato, ti ho aiutato, e tu in questo modo mi ricompensi? Una volta tanto che ho fatto davvero una buona azione, coraggiosa, da essere fiero di me stesso. Anche mio padre e mio nonno lo sarebbero stati. E guarda che fine da pollo vado a fare. Spero solo che esista l'inferno, e che tu ci vada dritto dritto al più presto, con la tua gamba rotta, e non ne esca più. Tanto non è detto che vivrai per molto, nelle tue condizioni; e se vivrai, ti perseguiterò col mio odio come potrò. Spero che tu muoia presto nel dolore, ma per favore non voglio incontrarti di nuovo all'altro mondo. Tu meriti l'inferno, e spero tanto che esista; io no di certo.
Avevo chiamato io stesso i soccorsi qualche minuto prima, pensai. Chissà quanto ci metteranno ad arrivare, e se arriveranno in tempo, per me.

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