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Una Mano Sul Cuore
Shanae Johnson
Una studentessa universitaria che insegue un sogno. Un eroe che ha i giorni contati. Riusciranno a trasformare il loro accordo in qualcosa di duraturo prima che il  tempo sia scada per lui?
Una studentessa universitaria che insegue un sogno. Un eroe che ha i giorni contati. Riusciranno a trasformare il loro accordo in qualcosa di duraturo prima che il tempo scada per lui?

Francisco DeMonti è sempre stato un uomo con un progetto. Purtroppo il suo ultimo piano ha portato il suo intero drappello ad essere ferito durante una missione in Afghanistan. Adesso sta cercando di redimersi organizzando i matrimoni di tutti gli uomini della sua unità, in modo che possano restare insieme e guarire al Purple Heart Ranch. Ma il  cuore di Fran è sottochiave a causa della scheggia che potrebbe ucciderlo da un momento all'altro.

Eva Lopez ha sempre creduto nel potere dell'istruzione. Dopo aver risparmiato e messo da parte per anni, mette finalmente piede in un campus universitario, ma manderà tutto all'aria per colpa delle sordide strade dalle quali proviene. Una gang locale mette in pericolo la sicurezza della sua famiglia, fino al giorno in cui un veterano ferito le offrirà una tregua: sposare un soldato in cambio di protezione e della libertà di continuare gli studi.

Fran ha tutte le intenzioni di indirizzare Eva verso uno dei suoi compagni d'armi, uomini che non rischiano una morte improvvisa, ma non riesce a resistere a quella ragazza intelligente e le fa la proposta lui stesso. La proteggerà fino all'ultimo respiro, ma innamorarsi è qualcosa di vano per un uomo con una bomba ad orologeria che ticchetta nel petto. Eva non può fare a meno di innamorarsi dell'uomo che la sta aiutando a realizzare i suoi sogni, ma quando lui la tiene a distanza, potrà convincerlo che questo matrimonio è qualcosa di più di un'unione di convenienza, anche se avranno ben poco tempo a disposizione?

Venite a scoprire se l'amore può guarire tutte le ferite in questo romanzo dolce e divertente sui matrimoni di convenienza che si trasformano in storie d'amore durature. Una Mano sul Cuore è il secondo libro di una serie di storie di matrimoni di convenienza che hanno come protagonisti i Guerrieri Feriti curati dal potere dell'amore.


Una Mano Sul Cuore
Copyright © 2021, Ines Johnson. All rights reserved.
This novel is a work of fiction. All characters, places, and incidents described in this publication are used fictitiously, or are entirely fictional. No part of this publication may be reproduced or transmitted, in any form or by any means, except by an authorized retailer, or with written permission of the author.

Edited by CHV Translations

Manufactured in the United States of America
First Edition November 2021

Indice
Capitolo 1 (#u679ebd62-08c3-5218-b361-68cf739ff94e)
Capitolo 2 (#u4aafdbca-50a0-5923-8095-49778e9f2121)
Capitolo 3 (#u7aa3c45a-474b-5496-8ac9-7eb182bc335b)
Capitolo 4 (#u26fa47b2-bb27-59c6-b45e-818cf1efebe7)
Capitolo 5 (#ufd846f22-e375-5c8a-87c1-dcceb0d2587e)
Capitolo 6 (#u1fad42d6-4500-56cd-a3cf-99a91384d841)
Capitolo 7 (#u2eab5caa-1532-5b58-9740-985a5350d928)
Capitolo 8 (#u2fbd80eb-4628-5cb9-a37b-3ceed2120efd)
Capitolo 9 (#u28999198-fce1-5790-ae6b-c688b0164cb0)
Capitolo 10 (#u64b9da7e-7e23-5d93-84d5-ce3ed63e3f59)
Capitolo 11 (#u36863f4c-ad76-5780-bae2-2bc49e5f03db)
Capitolo 12 (#ue34f851b-7579-5bc8-a6e1-4feab0a7a5f2)
Capitolo 13 (#u74711c55-90d4-5af8-9df5-ebd4a2250b66)
Capitolo 14 (#u7eeeedff-fdd0-5eef-8863-01389393857a)
Capitolo 15 (#u84dbc161-d76c-52c5-bb5c-b571949af34f)
Capitolo 16 (#u2e36b0b3-9c25-5d4a-9a3f-0ce2c5b6904f)
Capitolo 17 (#u6add1a28-b9d2-52a6-8da2-21b0190d924b)
Capitolo 18 (#uf7e425c2-55f8-5cc7-9c0f-fdf8cd925bbd)
Capitolo 19 (#u7992b6ee-1515-59a7-9e47-a2af05b94a4b)
Capitolo 20 (#udf72a919-3107-52bf-b34f-d517d74f817b)
Capitolo 21 (#udc289258-eabc-5cd4-a663-89ee2a31f6e2)
Capitolo 22 (#ubb860da8-fbd8-5b4a-aa28-a8652e66e9cd)
Capitolo 23 (#u5f8b8622-e243-5386-8873-1e7e43c195ad)
Epilogo (#u60a9dd92-9f1a-5c48-bd18-7af08400309e)

Capitolo Uno
Fran osservava il puntino sul monitor. Raggiunse il picco come se stesse attraversando il punto più alto e ricadde all'istante verso il basso, come un uomo con un paracadute difettoso, per poi rialzarsi e farlo di nuovo.
Se quella non era una metafora della sua vita, non avrebbe saputo dire cosa fosse.
Guardò il monitor dell'elettrocardiogramma, mentre il suo cuore batteva ancora per qualche volta. Il battito era forte, consistente. Per il momento. Ma come sapeva bene il dottore che monitorava il suo cuore, anche Fran era consapevole che si sarebbe potuto arrestare in ogni secondo.
"Sembra che non ci siano cambiamenti, caporale DeMonti." La voce del dottor Nelson era ferma, monocromatica come il puntino che osservava sullo schermo. Scribacchiò degli appunti su un bloc-notes con una matita, volgendo lo sguardo da un macchinario all'altro, poi al proprio orologio. Non guardò lui neppure una volta.
Fran era abituato a essere ignorato da quelli che pensavano di essergli superiori. In quanto caporale dell'esercito americano, aveva lottato per ottenere un grado superiore. Era stato a un soffio dall'essere promosso sergente. Fino a quando una missione non era andata terribilmente male.
Quindi, no, la mancanza di attenzione da parte del dottore non lo infastidiva. Ciò che lo faceva, era il fatto che quell'uomo scrivesse con una matita invece che con una penna. Il tratto della grafite sulla pagina era temporaneo per Fran. Poteva essere cancellato con la gomma rosa all'altra estremità, proprio come la vita di Fran poteva essere cancellata da un movimento sbagliato. Se la scheggia che si era conficcata nel suo petto si fosse spostata di pochi millimetri a sinistra e gli avesse trafitto il cuore, lui sarebbe stato cancellato dall'esistenza. Sparito dalla pagina della vita.
"Purtroppo entrare e rimuoverla è ancora troppo pericoloso," disse il dottore. Alzò gli occhi e lo guardò finalmente in faccia. "Tutto quello che possiamo fare è continuare con la terapia e pregare."
Fran era sempre scioccato, quando sentiva un dottore prescrivere la preghiera. Pensava che la maggior parte degli uomini e delle donne dalla mente scientifica preferissero il tangibile allo spirituale. Ma spesso si sbagliava. Almeno era all'ospedale per veterani. Molti degli uomini e delle donne lì si erano trovati in situazioni che potevano solo essere attribuite a un potere superiore, e ne erano usciti. Quindi, non si vergognavano di rivolgersi al Signore, quando le loro menti non riuscivano a risolvere un problema fisico.
Fran sapeva molto bene che la sua scommessa migliore nella vita era il Signore. Per quel motivo, non aveva alcun problema a prendere la medicina prescritta. Avrebbe solo voluto conoscere più chiaramente quello che Dio aveva in serbo per lui. Voleva che Fran andasse presto a casa da Lui? Oppure la sua volontà era di lasciare che lui restasse in giro a giocare ancora per un po'?
Fran preferiva avere un piano concreto, ma conosceva anche il vecchio adagio: l'uomo progetta e Dio ride.
Non pensava che Dio stesse ridendo di lui. Non si sarebbe concesso di credere che il Creatore potesse fargli uno scherzo così crudele.
Quando Fran uscì dalla sala esami, alcune delle donne nei corridoi gli sorrisero, cercando di attirare il suo sguardo. A occhio nudo, sembrava perfettamente sano. Non aveva perso alcun arto e non aveva cicatrici visibili, a parte sul petto. No, la sua ferita era profonda. Andava oltre il pezzo di metallo vicino al cuore. Quella ferita gli scendeva fino all'anima.
Era tutta colpa sua.
Fran e il suo drappello erano al lavoro per rendere le vite di donne e bambini migliori, quando era successo. Lo scoppio che aveva infilato la scheggia nel petto di Fran non si era portato via nessuna vita. Tuttavia, si era portato via sei abitazioni, più l'attentatore suicida che aveva sacrificato la sua esistenza per una vocazione sbagliata.
Le vite dei sopravvissuti erano cambiate per sempre. E proprio quando stavano per rimetterle in sesto al Bellflower Ranch, era esplosa un'altra bomba nelle loro esistenze. No, quello non poteva assolutamente essere uno scherzo. Era davvero troppo crudele.
Fran uscì dall'ospedale per veterani e attraversò la cittadina in direzione del ranch. Quando guardò il paesaggio di fronte a sé, gli si gonfiò il cuore. Il Montana era semplicemente bellissimo.
Fran era cresciuto a New York. Le sue montagne erano stati i grattacieli. I suoi campi erano fatti d'asfalto. Ma non c'era niente che potesse essere paragonato al vedere la bellezza e la maestosità della natura che si innalzavano nel cielo.
L'Afghanistan aveva avuto lo stesso effetto su di lui. In un posto descritto come un deserto, c'erano state aspre montagne e valli profonde. La neve ricopriva le cime frastagliate. Le valli erano ricche di raccolti e bestiame.
Era stato sorpreso di trovare bellezza e abbondanza in un luogo ritratto come squallido. Ma quel ritratto non includeva tutti: i bravi abitanti del posto cercavano di restare fuori dalla cornice. Molto spesso, non avevano successo e una pennellata di violenza colorava le loro vite.
Fran si fermò davanti al ranch. Quando il comandante del suo drappello lo aveva acquistato, i soldati lo avevano rapidamente ribattezzato il Purple Heart Ranch. I ricchi petali viola di una campanula erano il simbolo di quello stesso nome. La Purple Heart era una medaglia, il premio per coloro che avevano servito in battaglia ed erano stati feriti da mani nemiche. Ogni uomo nel suo drappello era stato ferito e ora che erano andati tutti lì per guarire, avevano subìto un altro colpo.
Fran e gli uomini del suo drappello si dovevano sposare nel giro di poche settimane, se volevano restare tutti in quel ranch che aveva iniziato a guarire le loro ferite e aveva ridato a tutti uno scopo nella vita. Il problema era che non c'erano molte donne disposte a lasciarsi incatenare per tutta la vita a un gruppo di guerrieri feriti. Certamente nessuna alla quale lui potesse donare il proprio cuore, visto che poteva smettere di battere da un momento all'altro.
Quindi Fran avrebbe dovuto lasciare il ranch molto presto. Ma non prima di aver visto sistemati tutti gli altri uomini. Era colpa sua se tutti quanti avevano perso una parte di se stessi, quindi era in debito con loro. Si sarebbe assicurato che quegli uomini avessero la tranquillità che meritavano. E chissà, forse avrebbero persino trovato l'amore.
Era un bel sogno. Di quelli che un tempo aveva fatto per se stesso. Ma era un sogno che sapeva di non poter mai realizzare, visto che aveva una bomba a orologeria che ticchettava nel petto.

Capitolo Due
Eva trasse un profondo respiro per calmarsi. Tuttavia, le tremavano le mani. Sollevò la penna sopra il foglio, scosse le dita e provò di nuovo.
Aveva fatto i conti nella mente. Non si poteva sbagliare a scrivere le cifre e il loro corrispettivo in lettere. Quello era un assegno molto grosso. Il più grosso che avesse mai compilato in vita sua.
Dopo aver controllato per tre volte e poi ricontrollato per tre volte ancora, posò la penna. Rotolò lontana da lei, ma la lasciò andare. Non aveva più bisogno dell'inchiostro. Aveva speso i soldi e ora il suo conto era vuoto. Ma ne era valsa la pena.
Strappò l'assegno dal libretto con cautela. Era il numero uno. Non aveva mai compilato un assegno in vita sua, aveva sempre pagato in contanti. Quello era il primo conto corrente che usava per spendere e non per incassare. Ed era il suo primo assegno.
Lo porse alla donna dietro il bancone. Aveva occhi gentili e un sorriso paziente. Esaminò l'assegno.
Eva trattenne il fiato. Non poteva aver commesso un errore. Non poteva permettersi di infilare un centesimo di più in quell'assegno.
"Sembra tutto a posto, mia cara," disse la donna.
Le spalle di Eva si abbassarono visibilmente per quell'affermazione.
"Ecco il suo orario." La responsabile delle ammissioni porse a Eva un foglio con i numeri delle stanze, i nomi dei corsi e dei professori stampati in linee ordinate. "Arrivederci a lunedì, signorina Lopez."
"Sì," sussurrò Eva. "Sì, certo."
"Buone lezioni, cara."
"Anche a lei. Cioè, grazie. Buona giornata."
Eva diede le spalle allo sportello delle ammissioni, stringendosi l'orario al petto. Dietro di lei c'era una lunga fila di studenti che si volevano iscrivere. Apparivano annoiati e stanchi. Nessuno aveva la sua stessa eccitazione nelle vene. Forse era perché la maggior parte di loro aveva una borsa di studio, o qualche aiuto economico, o dei genitori che pagassero per la loro istruzione.
Non era il caso di Eva. Lei aveva guadagnato ogni centesimo che aveva appena ceduto alla scuola con una firma. Le ci erano voluti tre anni, ma ce l'aveva fatta. Aveva risparmiato abbastanza per il suo primo semestre di college. Non online. Avrebbe frequentato un vero campus. E nemmeno qualche corso di istruzione professionale: quella era l'università di Stato.
Non stava facendo la snob. Beh, in verità sì. Per la prima volta in vita sua, faceva parte dell'élite. Se solo i suoi genitori avessero potuto vederla in quel momento! Comunque, sentiva che la stavano guardando da lassù e che erano raggianti d'orgoglio.
Ce l'aveva fatta. Aveva realizzato il suo sogno. I suoi genitori glielo avevano detto fin dal primo giorno di scuola materna: l'istruzione era la chiave per realizzare i suoi sogni. Con l'istruzione, tutto diventava possibile.
Eva non sapeva esattamente cosa avrebbe fatto con quell'istruzione. Sapeva solo di desiderarla. Amava andare a scuola, sedersi dietro un banco mentre l'insegnante faceva magie alla lavagna.
Gli ultimi tre anni dopo che si era diplomata alle superiori erano stati tristi. Tuttavia, presto sarebbe stata di nuovo al proprio posto dietro un banco. Allora, tutto sarebbe stato possibile.
Eva saltò sull'autobus e iniziò il viaggio verso casa sua, che era oltre i bei quartieri che circondavano il college. Casa sua era oltre i condomini alla moda nel quartiere degli affari. Casa sua era un edificio fatiscente nella zona molto meno alla moda, dove la gente lavorava per compensi orari spesso inferiori al minimo statale.
Il bus non si fermava vicino all'edificio. Scaricò Eva davanti alla chiesa. Negli ultimi mesi da quando era andata a vivere lì, c'era entrata qualche volta. A ogni trasloco, si assicurava sempre di trovare una chiesa. Anche se non conosceva nessuno, quella era sempre una casa per lei.
"Buon pomeriggio, signorina Lopez."
Eva si voltò al suono della voce di un uomo più anziano. Un sorriso le si allargò sul viso. "Salve, pastore Patel."
Eva si avvicinò e strinse la mano dell'uomo. Lui la allontanò e strinse la ragazza in un abbraccio caloroso. Eva lo accettò con gratitudine: gli abbracci del pastore Patel assomigliavano a quelli che le dava un tempo suo padre.
"Non ti vedo da un paio di settimane," la rimproverò il pastore.
"Ho fatto qualche extra, per guadagnare un po' di soldi. Ma ora mi vedrà. Avrò più tempo nei fine settimana. Ce l'ho fatta, mi sono iscritta al college."
"Oh, mia cara. Sono molto felice per te." Le accarezzò la spalla con affetto, come faceva sempre sua madre. "Comunque, vorrei che avessi accettato i soldi della chiesa."
Eva scosse la testa. Oltre alla necessità di una buona istruzione, suo padre le aveva insegnato a non accettare la carità. La sua famiglia aveva lavorato per ottenere tutto quello che aveva. Bisognava donare alla Chiesa e ai meno fortunati. Per il resto, si affidavano alla famiglia. Quello era lo stile di vita dei Lopez.
"Bene, adesso che sei una studentessa universitaria," disse il pastore Patel, "verresti domani a fare lezione all'associazione giovanile?"
Eva esitò. Non credeva di avere già qualcosa da insegnare. Aveva difficoltà a farsi ascoltare dai suoi stessi fratelli, quando dava consigli sulla vita. Ma sapeva che il pastore Patel non avrebbe accettato un no come risposta, quindi acconsentì. Con un ultimo abbraccio, lui la lasciò andare per la sua strada.
Eva percorse il tragitto a passo svelto. La ragione per la quale l'autobus non arrivava fino al suo quartiere era evidente. C'erano dei vetri sulla strada. Da alcuni vicoli arrivava un fetore disgustoso. Alcuni uomini bighellonavano agli angoli della strada nel pomeriggio, prima della fine della giornata lavorativa. Uno di quelli era troppo basso per poter essere considerato un uomo.
"Carlos," chiamò Eva.
Il ragazzo non si voltò, ma lei sapeva che l'aveva sentita.
Eva si avvicinò a suo fratello a passo di marcia. Si trattenne dal tirargli su i pantaloni che gli cascavano dal sedere. Dov'era la cintura che gli aveva comprato il mese scorso? Il ragazzo si voltò verso di lei con uno sguardo cauto. I tipi intorno a lui iniziarono a ridacchiare.
"Sono solo uscito con i miei amici," disse.
"Bene, è ora di venire a fare i compiti."
I ragazzi ridacchiarono ancora di più.
"Vai con la tua bella sorellina, ometto. Quando finisci i compiti, ho del lavoro vero per te."
Eva rivolse al teppista un'occhiata tagliente. Tuttavia, gli Occhi Cattivi funzionavano solo con i consanguinei.
Carlos si allontanò con lei. Eva era consapevole di averlo messo in imbarazzo, ma era meglio che quei tipi pensassero che fosse un cocco di mamma, o della sorella. Era pronta a rovinargli la reputazione, se ciò significava salvarlo dalla strada.
"Bighellonare in strada non ti porterà da nessuna parte," disse Eva quando ebbero attraversato la strada.
"La scuola invece sì? Guarda dove ha portato te." Carlos alzò le mani per indicare il quartiere. Tutto quello che Eva riusciva a vedere erano sfumature diverse di marrone, dagli edifici fino alla sporcizia sulla strada e a quella sui volti dei ragazzini.
"Tutto questo cambierà presto," disse Eva. "Una laurea è un mezzo per uscire da qui. Vedrai."
Il problema era che ci sarebbero voluti almeno due anni per dimostrargli la veridicità del suo ragionamento. Sperava solo di avere così tanto tempo a disposizione, per provare la propria teoria. Nel frattempo, non avrebbe permesso che le strade reclamassero il suo fratellino.

Capitolo Tre
Fran posteggiò il furgone davanti a casa. Si trattava di una villetta con quattro camere da letto, nascosta in un angolo della proprietà. Si era stabilito lì quando era arrivato un anno prima. Era stato il primo a farlo, dopo che erano stati tutti congedati. Aveva creduto che avrebbero vissuto tutti lì, ma visto che gli uomini che arrivavano al ranch stavano ancora soffrendo, ciascuno di loro cercava il proprio spazio.
Dylan aveva scelto il cottage con due camere accanto a quello di Fran. Reed, Sean e Xavier si erano stabiliti ciascuno in una delle casette a schiera alla fine della strada.
Fran alzò gli occhi a guardare il posto che chiamava casa da un anno. Era confortevole, ma troppo grande per lui. Pensava che uno degli altri ragazzi si sarebbe trasferito lì, quando avesse trovato una moglie. Diamine, forse avrebbero persino messo su famiglia e riempito le stanze.
Quello era l'ennesimo sogno che Fran non avrebbe visto realizzarsi. Non riusciva a immaginare di mettere al mondo un figlio, non quando lui non sarebbe stato nei paraggi per occuparsene, per vederlo crescere, lasciando la moglie sola con tutte quelle responsabilità. Non era fatto così.
Presto avrebbe dovuto iniziare a fare i bagagli. Ma non subito. Quel giorno doveva solo controllare gli altri ragazzi e assicurarsi che fossero sulla via di un matrimonio che avrebbe assicurato loro la permanenza al ranch.
La porta della casa di Dylan si aprì. Latrati e guaiti si riversarono fuori dalla soglia, prima di qualsiasi umano. La prima a varcarla fu Star, una Carlina alla quale mancavano strisce di pelle sulla schiena. La cagnolina aveva la tendenza a camminare di lato, come se non volesse che gli altri vedessero le sue imperfezioni.
La seguiva alle calcagna Stevie, un Rottweiler parzialmente cieco con un bel pelo blu-grigiastro. Il cane teneva il naso vicino a Star per farsi guidare.
Sugar, il Golden Retriever, uscì lentamente dalla porta. Tirò su la testa, quando percepì la presenza di Fran, che si rianimò alla vista del cane. Uomo e cane si diressero l'uno verso l'altro. A giudicare dal suo aspetto esteriore, Sugar sembrava un animale sano, ma il Retriever aveva il diabete che, qualche volta, lo rallentava.
Fran si chinò e gli diede una bella strofinata alla testa. I due si erano affezionati l'uno all'altro nelle poche settimane che i cani avevano passato lì. Il diabete nei cani era molto duro, ma non era la fine del mondo. Maggie, la moglie di Dylan, si occupava di tutti quegli animali feriti. Osservandola, i soldati avevano capito che le loro cicatrici non erano ostacoli per l'amore.
"Sei tornato."
Fran alzò gli occhi e vide Dylan che scendeva dalle scale della veranda di casa sua. Teneva in braccio un cane: Spin, un Irish Terrier, che aveva perso le zampe posteriori qualche settimana prima. Dylan mise giù la bestiola e attaccò una specie di sedia a rotelle alla sua parte posteriore.
Mentre Dylan si raddrizzava, Fran riuscì a scorgere la gamba protesica dell'uomo. Era una visione insolita. Di solito Dylan la copriva con pantaloni lunghi, per nascondere l'invalidità. Tuttavia, dopo essersi sposato ed essere stato accettato per quello che era, aveva iniziato a indossare pantaloni corti e militari, lasciando che la protesi risplendesse.
"Com'è andata?" chiese Dylan. "Cos'ha detto il dottore?"
Prima che Fran potesse rispondere, Maggie sporse la testa fuori dalla porta. Tutti i cani si girarono verso di lei, scodinzolando e con le lingue a penzoloni. Anche Dylan si voltò verso di lei. Non gli cadde la lingua fuori dalla bocca, ma il suo sorriso si allargò.
"Tesoro, non dimenticare la medicina di Sugar, quando vai in città."
Dylan prese la moglie tra le braccia, dandole un bacio sullo spazio tra la guancia e il naso. Maggie sorrise in quell'abbraccio, poi girò la testa e il suo sguardo si posò su Fran.
Lui aveva intenzione di girarsi dall'altra parte, ma i suoi occhi assorbirono l'affetto che probabilmente non avrebbe mai trovato per se stesso.
"Fran, sei tornato," disse Maggie. "Cos'ha detto il dottore? C'è qualche cambiamento?"
Quella era l'altra ragione per la quale Fran non poteva avere una relazione. Maggie non era nemmeno la sua compagna, eppure aveva la speranza negli occhi. La speranza che lui potesse essere miracolosamente curato. Era molto improbabile che potesse accadere. Era già fortunato ad essere vivo...
Fran scosse la testa e si aggrappò alla loro compassione e alla loro benevolenza.
"Mi hanno dato una dritta su degli specialisti," disse Dylan. "Andremo a fare una visita."
"Io continuerò a pregare per te," disse Maggie. "Non ci arrenderemo."
Sugar si strusciò contro il fianco di Fran. Lui si chinò e dedicò le proprie attenzioni al cane, mentre il suo amico continuava a cercare inutilmente di salvargli la vita.
"Nel frattempo," disse Dylan, "devi metterti alla ricerca di una moglie. Il tempo sta per scadere, se vogliamo restare tutti quanti al ranch."
Fran non si prese il disturbo di discutere. Dylan gli era superiore di grado e non avrebbe avuto problemi a dare ordini. Anche se quello non era il genere di ordine al quale Fran si sarebbe sentito costretto a obbedire. Quindi si limitò ad annuire e deviò la conversazione.
"Reed ha detto che la sua ricerca di donne tramite un'applicazione per appuntamenti stava avendo successo," disse.
"È un'idea folle," disse Dylan. "Ma a mali estremi, estremi rimedi. Giusto?"
"Vi raggiungo più tardi, ragazzi." Fran si girò per andarsene e Sugar lo seguì alle calcagna. Fran si rivolse di nuovo a Maggie. "Va bene se viene con me?"
"Certo," disse Maggie sorridendo. "Solo non farlo agitare troppo. E controlla che non mangi qualcosa che non dovrebbe."
"So come funziona," disse Fran per rassicurare la proprietaria del cane.
Lui e Sugar si avviarono lungo il sentiero. Il ranch si estendeva davanti a loro. Fran vide Xavier in groppa a uno dei cavalli per la terapia. Quegli animali aiutavano a rinforzare gli arti perduti, ma sentirsi in groppa a un cavallo bastava a restituire a un uomo una sensazione di potere. Il giorno dopo era quello in cui Fran montava. Avrebbe voluto andare più veloce del trotto, ma nelle sue condizioni doveva essere cauto.
Invece di dedicarsi all'equitazione, Fran trascorreva un sacco di tempo nei giardini. Lavorare la terra era un buon esercizio per il corpo, ma anche per la mente. Vedere le cose crescere sotto le sue cure gli placava lo spirito.
"Aspetta, Fran," lo chiamò Reed.
Reed uscì dalla sala mensa dell'edificio principale, dove consumavano i pasti insieme, anche se ogni villetta aveva la propria cucina. Sventolava un telefono nella mano sana. La manica della camicia era arrotolata e appuntata alla spalla, nel punto in cui l'avambraccio era scomparso, lasciato indietro durante un'esplosione in Afghanistan.
"Guarda qui." Reed spinse il telefono sotto il naso di Fran. "Cinquanta risposte, finora."
Sullo schermo apparve un carosello di immagini femminili. Il dottor Patel aveva parlato di quell'app. Era stata creata da un parente dello psicologo, il quale aveva collaborato a definire l'algoritmo della compatibilità.
"Ci sono così tante donne che ti vogliono incontrare?" chiese Fran.
"Non solo incontrarmi. Mi vogliono sposare. E credevamo che sarebbe stato difficile." Reed racchiuse il cellulare nel palmo, scorrendo a sinistra e a destra con il pollice. Niente poteva rallentare quell'uomo e nemmeno buttarlo giù, tanto meno un arto mancante.
"Sposarti? Delle perfette estranee ti vogliono sposare? Sanno di...hai capito?"
Reed cliccò sull'immagine del suo profilo. Lo mostrava chiaramente: era in uniforme, senza un braccio. "L'unica cosa che una donna ama più di un uomo in uniforme? Un'anima ferita da poter curare."
Fran sospirò. Non perché Reed si stesse comportando da stupido. Fran sapeva che, da inguaribile ottimista che era, Reed si aspettava di trovare il vero amore dopo quella disavventura.
"Questa app valuta la compatibilità al novantanove per cento. Se non riesco a trovare la mia compagna qui, allora vuol dire che non esiste. Ho ristretto la ricerca a queste cinque donne; questa ha una compatibilità del novantotto per cento."
Reed mostrò la foto di una bella donna. Era in posa, come se fosse una modella. Era bionda con occhi verde chiaro, ma era un po' troppo truccata per i gusti di Fran.
"È praticamente perfetta," disse Reed. "L'ho invitata ad andare a bere qualcosa questo weekend, ma sarà fuori città fino alla fine del mese."
Fran non sapeva bene cosa dire. Non era sicuro che Reed fosse fuori dal suo elenco di soldati da sorvegliare, o se invece doveva tenere d'occhio quel ragazzo, per assicurarsi che il suo futuro fosse davvero delineato. Fran era determinato a fare in modo che tutti gli uomini fossero sistemati e che potessero rimanere al ranch, dopo che lui se ne fosse andato. Forse quel matrimonio combinato poteva riuscire, soprattutto se tutti sapevano in anticipo a cosa stavano andando incontro.
Reed continuò a parlare, illustrando a Fran tutti gli altri attributi della donna. Tuttavia, l'attenzione di Fran era da tutt'altra parte. Sean Jeffries stava scendendo dalle scale dell'ambulatorio medico. Si trattava di un fienile convertito a quell'uso per il dottor Patel, le infermiere e il resto del personale che si occupava degli uomini e degli animali per la pet terapy. Sean teneva la porta aperta, assicurandosi di girare la testa in modo che solo il suo lato buono si presentasse a quelli che uscivano.
Ruhi Patel, la figlia del dottore, uscì dalla porta. Ruhi era un'infermiera e veniva spesso ad aiutare suo padre con i soldati che vivevano al ranch o che venivano in vista per le cure.
Ruhi e il padre chiacchieravano, scendendo dalle scale. Sean abbassò lo sguardo a terra, ma Fran lo vide gettare occhiate furtive all'infermiera.
Fran sospirò. Era da molto che sospettava che Sean avesse una cotta per Ruhi. In tal caso, quell'uomo non avrebbe acconsentito a cercare una sposa su un'app di appuntamenti. Ciò significava che anche Sean avrebbe lasciato il ranch.
Il dottor Patel alzò lo guardo, vide gli altri uomini e li salutò.
"Vedo che stai usando la app," disse a Reed.
"La prossima settimana ho un appuntamento con compatibilità del settantadue per cento," rispose Reed, sollevando il telefono per mostrare una brunetta. Sembrava aver dimenticato la modella del novantotto per cento.
"Credo che quello che vi stanno costringendo a fare sia criminale," disse Ruhi. "Costringervi a sposarvi per conservare casa vostra."
"Pensavo che tu credessi nei matrimoni combinati," disse Reed.
"Questo è un matrimonio forzato. È illegale."
"Nessuno ci sta costringendo," disse Reed. "Non dobbiamo farlo per forza, se non vogliamo. Possiamo vivere in qualche altro posto e venire qui per la cura."
Sean distolse lo sguardo. Fran sapeva che quell'uomo non aveva un altro posto dove andare, il che significava che la sua era una situazione senza via d'uscita. Neppure Fran avrebbe voluto andare via. Amava svegliarsi al ranch, ma non aveva altra scelta: il suo cuore non gli permetteva di restare.
"Mio padre cerca di farmi fidanzare da quando sono adolescente," disse Ruhi. "Non mi interessano i matrimoni combinati. Non credo neppure di volermi sposare: non ce n'è bisogno, di questi tempi e a questa età."
Il modo in cui la gola di Sean si muoveva rivelò a Fran che non solo a quel ragazzo piaceva Ruhi, ma che ne era probabilmente innamorato cotto. Sarebbe stato un bel problema.
"Cosa mi dici di te, Francisco?" chiese il dottor Patel. "Sei alla ricerca di una moglie?"
"Non posso dar via il mio cuore; è rotto."
Lo aveva detto con un sorriso, sperando di suscitare una risata. Nessuno lo fece. Erano tutti al corrente delle sue condizioni.
"Sarà un cliché, ma dicono che l'amore guarisca le ferite," disse lo psicologo.
Fran avrebbe voluto dire che l'amore non poteva spostare il metallo, ma si trattenne e annuì.
"Se non sei pronto per l'amore, forse potresti dedicare del tempo a ispirare la prossima generazione. Domani è la Giornata della Gioventù in chiesa. Ho la sensazione che il tuo punto di vista, specialmente la tua fiducia in una buona istruzione, potrebbe illuminare qualche giovane anima."

Capitolo Quattro
Eva e Carlos salirono le scale fino al loro appartamento. Era una camminata di tre piani. Al piano terra, una delle vicine aveva coperto con della carta stagnola i buchi nelle zanzariere. C'erano più chiazze di sporcizia che erba, in quello che poteva a malapena essere considerato un cortile.
La pesante porta-vetro di sicurezza richiedeva una chiave per entrare. Tuttavia, come sempre, era stata lasciata aperta, in modo che chiunque potesse avere accesso all'edificio. Eva non si preoccupò di spostare la scatola che puntellava la porta. Sapeva che qualcun altro avrebbe infilato qualcosa nella soglia, non appena la porta si fosse chiusa.
Salì le scale con suo fratello al seguito. Gli scarafaggi si allontanarono al loro passaggio. In un angolo, un roditore alzò gli occhi a guardarli, come se fosse irritato perché i loro passi avevano disturbato la sua tranquillità.
Raggiunsero la porta di casa ed Eva tirò fuori un mazzo di chiavi. Armeggiò per aprire la triplice serratura, prima che la porta cedesse, ma solo un po'. C'era il catenaccio.
"Rosalee," gridò Eva attraverso la catena.
Ci fu un fruscio all'interno, poi il rumore di piedi nei calzini sul pavimento di legno consunto. Senza calze, le schegge erano un bel problema.
Un paio di occhi marroni apparvero nella fessura della porta. Poi l'anta si chiuse. Ci fu il fruscio di una catena e la porta si aprì, ma solo quanto bastava per far entrare i due corpi. Poi la porta sbatté e tutte le serrature tornarono al loro posto con uno sferragliare.
"Hai passato una bella giornata a scuola, Rosalee?"
Lei fece spallucce. Aveva la pelle pallida. La ragazza era allampanata invece che paffuta, a causa dell'inattività. Eva sapeva che la sorella aveva bisogno di uscire più spesso, o non avrebbe sviluppato migliori capacità di socializzazione. Ma in casa era al sicuro, quindi non discuteva molto.
"Ho preso A nel mio compito di scienze," disse Rosalee, "ma una B in quello di inglese. Lo sto ripassando adesso, per ripeterlo la prossima settimana."
Eva annuì. Sua sorella credeva nel lavoro scolastico, a discapito dell'uscire ed essere socievole. Suo fratello preferiva passare il tempo fuori, piuttosto che in classe. Se avesse potuto mescolare quei due, avrebbe ottenuto il bambino perfetto.
Carlos si diresse verso il frigorifero. Da lì, Eva riusciva a vedere che era quasi vuoto. La situazione sarebbe stata difficile per qualche settimana, mentre lei sistemava le cose in classe. Presto avrebbe ricevuto notizie dal programma per studenti lavoratori. Nel frattempo, avrebbero mangiato ramen ogni sera per un po'.
"Zia Val è in camera sua con il suo ragazzo." Rosalee ritornò verso la stanza che Eva condivideva con i fratelli più piccoli in quell'appartamento striminzito con due camere da letto.
La zia Val li aveva accolti a casa sua l'anno precedente, dopo che lo zio Ricardo aveva fatto andare suo figlio a vivere di nuovo con loro. Prima di allora, avevano abitato presso dei cugini lontani, ma quel quartiere era ancora peggio di quello attuale e Eva aveva trasferito tutti quanti rapidamente. La figlia della zia Val aveva lasciato lo Stato con il suo fidanzato ed Eva ne aveva approfittato per impadronirsi della sua stanza. Erano anni che Val viveva lì e ciò significava che avrebbero avuto una certa stabilità.
Dalla porta chiusa della zia provenivano risatine e respiri affannati. La stabilità era un termine relativo. Sua zia aveva un continuo via vai di uomini, ma stava in quell'appartamento da dieci anni. Eva aveva solo bisogno che ci restasse per altri due anni, poi sarebbe stata in grado di pagarsi un appartamento grazie alla laurea e alle prospettive di lavoro.
Tutto quello di cui aveva bisogno erano due anni, tre al massimo, prima di avere in tasca la laurea e un lavoro in un ramo di sua scelta, e di poter trasferire la famiglia in un appartamento tutto per loro, con tre camere da letto.
Eva andò in cucina a preparare il Ramen proprio nel momento in cui la porta della camera di sua zia si aprì. Il corpulento fidanzato della settimana uscì dalla stanza e gettò ad Eva un'occhiata che indugiò un po' troppo a lungo. Lei continuò a guardare dall'altra parte: non voleva avere problemi con quell'uomo.
"Oh, Eva, sei tornata. Ho grandi notizie."
Val era sulla quarantina, ma sembrava un po' più vecchia. Aveva avuto una vita dura: aveva cresciuto tre figli e ne aveva persi due sulla strada.
"Non indovinerai mai." Zia Val le mostrò il dito. C'era una fascia consunta d'argento sbiadito al suo anulare, con dei piccolissimi diamanti. Una pietra era mancante. "Sto per sposarmi. Mike me l'ha chiesto. Riesci a crederci? Alla mia età."
La mano di Eva si bloccò sul pentolino che aveva appena riempito d' acqua. "Wow. È stupendo." Anche se, dal suo tono, non sembrava. "Quindi, Mike, ti trasferirai qui?"
Mike fece una smorfia. "No, porterò mia moglie a vivere con me."
Eva sussultò, poi rivolse un'occhiata ribelle alla zia un tempo stabile. "Te ne vai?"
"Sì, ma puoi avere l'appartamento tutto per te."
"Non posso permettermi questo appartamento da sola."
Zia Val aggrottò la fronte. "Certo che puoi. Guadagni abbastanza con il tuo lavoro."
"Mi sono licenziata, ricordi? Mi sono iscritta al college oggi. Ho speso tutti i miei risparmi per le lezioni."
"Quindi? Puoi fare entrambe le cose. Troverai il modo. Oh, Eva. I miei sogni si stanno avverando."
I sogni di sua zia potevano anche avverarsi, ma al momento quelli di Eva erano infranti. Come avrebbe fatto a pagare l'appartamento, mettere il cibo in tavola e andare a scuola? E visto che il semestre iniziava la settimana successiva, non avrebbe avuto un rimborso. Era nei guai.

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