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Conquista Di Mezzanotte
Arial Burnz
Eccovi  la saga di questo vampiro scozzese sexy- Broderick MacDougal- mentre insegue l'anima del suo vero amore, Davina. Dovrà conquistare il suo amore in ogni vita nella quale lei si incarna e insieme dovranno affrontare  numerosi ostacoli- mortalità, maledizioni, profezie, vampiri, lupi mannari, pirati, gli Illuminati, angeli, demoni e l'inferno stesso. L'amore riuscirà a trionfare su tutto? Solo il TEMPO potrà dirlo. (Psss...sì, questo è un indizio.) Seguite la serie COMPLETA di questo paranormal romance e fate una scorpacciata!
Innamorarsi non faceva parte del piano. Dopo trent'anni passati a cercare il mio nemico, lo trovo... nei ricordi di una bella vedova. So che lei è un'esca, ma è innocente oppure fa parte del piano? Cerca di resistermi, ma non riesco a starle lontano. Ho fame di lei. Al diavolo la trappola, non ho pace fino a quando non è nel mio letto. Non avrò pace fino a quando non potrò farla mia. Ecco il primo libro di questa serie di romance per adulti sui vampiri. I libri di questa serie di paranormal romance per adulti sono scritti come romanzi autoconclusivi, ma si apprezzano meglio se letti secondo l'ordine. Avviso per il lettore: questo è un romanzo di vampiri con del sesso ed ha un'ambientazione storica come sfondo. Fatevi catturare dalle Cronacje Vampire. Uniti attraverso il sangue di Arial Burnz! Leggete questa serie di paranormal romance epici con grandi figure femminili, un eroe alfa, scherma, combattimenti, torture, vendetta, giganti, mostri, inseguimenti, fughe, vero amore... e sì, persino miracoli. Seriamente... questi libri hanno tutte queste cose e  altro ancora. I libri di questa serie di paranormal romance sono: Libro 1- Conquista di mezzanotte. Libro 2- Il prigioniero di mezzanotte. Libro 3- Caccia di mezzanotte. Libro 4- Eclissi di Mezzanotte. Libro 4.1 (Novella autoconclusiva)- Cuori congelati Libro 5- Salvezza di mezzanotte. Libro 6- Redenzione di mezzanotte


Arial Burnz

Conquista di Mezzanotte
Volume 1 delle Cronache Vampire. Uniti dal sangue.

© 2021 - Arial Burnz
Tradotto da Valentina Giglio
Dedica
Un Grazie a Sting
Per“Moon Over Bourbon Street”
Mi ha introdotto
alle delizie di Anne Rice
Lei ha piantato il seme
Di tutto quello che ho scritto
Se non fosse stato per lei
Non sarei mai stata morsa
* * * * *
Recensioni a 5 stelle
“Amici, Midnight Conquest è un meraviglioso ritratto dell'amore eterno. Davina e Broderick sono anime gemelle, eppure ogni volta che ho girato una pagina, ero indecisa tra dubbi e paure. Come può una scrittrice farvi sentire così in conflitto? Il mio cuore gridava mentre precipitavo in un mondo che solo Arial Burnz sa creare. Sono diventata Davina. Sono stata rovinata da Broderick.
“Midnight Conquest vi farà arrabbiare e inciderà una nuova definizione dell'amore nel vostro cuore. Non avevo fili a trattenermi, ma Broderick ha catturato il mio cuore tra le sue dita immortali ed io non ho assolutamente alcuna intenzione di liberarmi.”
~Nom de Plume Book Reviews

“Una volta che Arial Burnz ha fatto penetrare saldamente il suo mondo nella vostra mente, questa storia prende il volo e non vi lascia più! Ha creato un' atmosfera che sembra reale, pericolosa, eppure non rinuncia mai al romanticismo, neppure per un attimo. Entrate nel lato oscuro della storia, dove l'amore è come un faro che unisce due persone, per condividere un amore unico nella vita!”
~Dii Bylo, Tome Tender Reviews Blog

“Un fantasy epico dall'inizio alla fine! Due amanti destinati all'eternità, nonostante le avversità. Grazie a personaggi eccezionali e ad un'azione inarrestabile fin dall'inizio, non sono riuscita a posare il libro. Kudos ad Arial Burnz per aver creato una storia così bella!”
~AJ Nuest, autrice di The Golden Key Chronicles, vincitrice del RONE Award 2015 per il Best Time Travel Romance

“Arial ha una capacità unica di scrivere in un modo che si svela in un insieme di livelli emotivi e mitologici dai quali ho trovato impossibile allontanarmi.”
~M. Sembera, autrice di The Rennillia Series
* * * * *
Estratto dalle Note dell'autrice
Per la cronaca, ho chiamato i miei vampiri “Vamsyriani” perché l'etimologia della parola “vampiro” afferma che non esisteva fino al 1732. Poiché questo termine non era usato nel periodo nel quale si svolge il Volume 1, ho creato una parola che potesse essere facilmente trasformata in “vampiro” con il passare del tempo.
Non ingannatevi, questo romanzo non è classificato come fiction storica, ma come romance paranormale con uno sfondo storico. Per questo motivo ho scritto la maggior parte della storia usando una giusta quantità di linguaggio contemporaneo. Mi sono sforzata di assicurare al dialogo dei personaggi un “sapore” da periodo rinascimentale. Non ho pretese che questo linguaggio sia storicamente accurato. (Inoltre, solo nel linguaggio moderno ci sono così tante parole per descrivere i genitali maschili e femminili, quindi non potevo limitarmi alla scarsa offerta del vocabolario del 16
secolo.) Buona lettura!

Ecco i miei due penny…
Arial
Giugno 2011
Capitolo 1

Fortezza Scozzese del Consiglio Vamsyriano—1486
“La morte? Posso...” Una nuova ondata di agonia gli strinse il petto. Broderick MacDougal si sentì bruciare, mentre un dolore affilato come un rasoio si diffondeva nel suo corpo e scorreva nelle sue vene. Cadde in ginocchio. Mettendo le mani di fronte a sé, impedì al volto di colpire l'arenaria, mentre il respiro gli veniva strappato dai polmoni. Appoggiò la guancia a terra, senza fiato. La pietra fredda alleviò la febbre della sua pelle. Il suono dei suoi respiri affannati riecheggiò nella vastità della fortezza Vamsyriana. Mentre il dolore scemava, lottò per rimettersi in piedi, fissando i visi giovanili degli Anziani.
Gli Anziani del Consiglio Vamsyriano erano seduti sui loro troni di ferro nero dietro la superficie del tavolo di marmo nero e sembravano tutt'altro che anziani. Rivolsero uno sguardo furioso a Broderick, inginocchiato sul pavimento davanti a loro. Quei tre uomini di diverse nazionalità sconosciute e dall'aspetto diverso, vestiti in eleganti abiti di broccato rosso scuro, non dimostravano più di venticinque anni. Eppure, la loro età poteva essere misurata in secoli, come gli aveva detto Cordelia.
Finalmente in grado di reggersi in piedi, Broderick si schiarì la gola. “La morte?” disse di nuovo. “Non mi sarà permesso vivere, se non sceglierò nessuna delle altre opzioni?”
L'anziano Rasheed, che aveva concesso a Broderick quelle tre scelte, sollevò un sopracciglio nero come il carbone. “Se scegliessi di andare con l'Armata della Luce, non ci sarebbe permesso di ucciderti; ma sì, se non si sceglie una di quelle opzioni oppure noi, la tradizione vuole che la persona che ha rifiutato di fare questa scelta sia uccisa. E' un caso raro, ma è accaduto. Ucciderti sarebbe più misericordioso che preservare il segreto dello nostra razza.”
Nonostante il fuoco che divampava nel suo corpo, Broderick riuscì ad inarcare un sopracciglio a sua volta. “Misericordia? In che senso?”
L'anziano Rasheed rivolse lo sguardo ai suoi pari accanto a sé. “Ti è stato sicuramente illustrato il tuo destino come Schiavo di Sangue. Non è questa la ragione per la quale sei qui?”
A Broderick non piacque il suono di quelle parole e scosse la testa, mentre un rivolo di sudore gli scendeva dalla fronte lungo la guancia. “Cos'è uno Schiavo di Sangue?”
L'anziano Rasheed aggrottò la fronte, poi rivolse uno sguardo critico verso Cordelia. Broderick girò la testa verso destra, stringendo la mascella per lo sforzo, e fissò la donna che lo aveva portato lì. Cordelia Harley aveva un atteggiamento regale, tuttavia cercava di evitare lo sguardo di tutti gli altri, osservando gli arazzi sulle pareti di pietra, mentre il rossore si diffondeva sulle sue guance.
“In poche parole,” continuò Rasheed, “diventare uno Schiavo di Sangue è una sentenza di morte. Lo scambio di sangue che hai sperimentato è ciò che determina la tua condizione.”
In quegli ultimi mesi, Cordelia si era nutrita di Broderick e le sue piccole zanne gli avevano perforato la gola mentre lei beveva piccole quantità di sangue. Poi lei si tagliava il polso e nutriva lui con il proprio sangue, che era il risultato di quello di entrambi. Quello scambio di sangue era necessario... così aveva detto. “Cordelia mi ha detto che ciò faceva parte della trasformazione.”
Rasheed abbassò la mascella e rivolse a Cordelia uno sguardo assassino. “Sei stata tu a creare questo Schiavo di Sangue?” Cordelia rifiutava ancora il contatto visivo con tutti loro. “Guardami, donna!”
Quella bellezza pallida ma perversa guardò l'Anziano da sotto le ciglia corvine, poi abbassò lo sguardo verso il pavimento e annuì. Broderick borbottò.
“Ci hai fatto credere, quando hai richiesto questa trasformazione, che stessi cercando di salvarlo dalla sua condizione, non che l'avessi creata tu stessa!” Rasheed si alzò dalla sedia come la fiamma dal fuoco, lento e illuminato dalla rabbia. “Se oserai muoverti da quel posto prima che sia tutto finito, ti scorticherò viva personalmente e ti lascerò in mostra in questa Sala Grande, fino a quando riterrò che tu abbia sofferto abbastanza.”
Cordelia respirò più velocemente, mentre fissava gli Anziani con occhi colmi di terrore. Rivolse loro un piccolo cenno di assenso.
Rasheed si lasciò sprofondare sulla sedia, continuando a fissarla. “No, Broderick MacDougal. Questo piccolo scambio di sangue ti lega emotivamente e fisicamente all'immortale e, essenzialmente, ti trasforma in uno schiavo della sua volontà. E' per questo che è definito 'Schiavo di Sangue.' Inoltre, questa è la ragione per cui il tuo corpo sperimenta così tanto dolore. Il sangue immortale combatte dentro il tuo corpo, cercando di compiere la trasformazione. Poiché non c'è abbastanza sangue immortale dentro di te, il tuo corpo morirà, combattendo questa battaglia.”
Broderick strinse i denti, lottando sia contro la rabbia nei confronti di Cordelia che contro il dolore della sua condizione. Tutto ciò spiegava perché l'avesse seguita così ciecamente- non aveva il controllo delle proprie emozioni. Aveva di nuovo permesso che una donna lo tradisse.
Tra le due donne delle quali si fidava, quale era responsabile della sua posizione attuale? Il suo tentativo di tutta una vita di uccidere il nemico del suo clan lo aveva spinto ad accettare spontaneamente tutto ciò che Cordelia gli aveva promesso. Comunque, il tradimento di Evangeline aveva causato il massacro dei suoi fratelli e delle loro famiglie, alimentando ulteriormente il suo desiderio di vendetta e non lasciandogli altra scelta che l'immortalità, per raggiungere i propri scopi. E tuttavia, il cuore spezzato dentro il suo petto non avrebbe preteso niente di meno. Broderick spostò gli occhi a sinistra, per fissare il flagello della sua esistenza... il nemico del suo clan, Angus Campbell.
Fin dall'infanzia di Broderick, suo padre Hamish MacDougal aveva guerreggiato senza sosta con Fraser Campbell, in un conflitto privato le cui radici rimanevano- ancora in quel momento- un mistero. Coinvolto in una battaglia sanguinaria dopo l'altra e avendo visto i suoi cari perire sotto i colpi di spada, Broderick aveva sviluppato le proprie ragioni di vendetta contro quel ramo dei Campbell.
Adesso il suo nemico era in piedi davanti a lui, con le vene che pulsavano sulle tempie e la furia che bruciava nei suoi occhi verde-smeraldo, mentre passava uno sguardo furioso prima su Broderick e poi su Cordelia.
“La tua scelta determinerà il tuo destino,” disse l'Anziano Rasheed.
“Chi fa parte di questa Armata della Luce?” chiese Broderick, reprimendo l'impulso di spaccare la mascella ad Angus e rivolgendo invece l'attenzione al Consiglio.
L'Anziano Ammon fornì una spiegazione in un accento ancora più strano di quello di Rasheed. “Si auto-definiscono i figli speciali di Dio,” disse con disprezzo, abbassando lo sguardo lungo il naso aquilino. “Sono uno snaturamento di quello che siamo noi. Affermano di offrire la vita eterna, eppure noi, con la nostra immortalità, non possiamo morire, mentre le loro vite mortali hanno un termine.”
“Se sono mortali,” chiese Broderick con voce tremante, “ a cosa mi servirà andare con loro? Pensavo di essere destinato a morire.”
L'Anziano Mikhail sorrise. “Ci è stato detto che il loro dio può fare miracoli e guarire. Poiché non abbiamo mai visto quelli che si sono uniti a loro- e puoi essere certo che sono molto pochi- non abbiamo modo di confermare o negare queste affermazioni. Se andrai con loro, forse riusciranno a curarti... o forse no. Non possiamo dare garanzie riguardo a ciò che offrono o a ciò che affermano di fare.” Mikhail agitò il suo dito sottile con disprezzo.
“Ma devi affrontarli,” disse l'Anziano Ammon, indicando una porta alla destra di Broderick. “Ti offriranno la loro parte di questa scelta che stai facendo. Tutti quelli che decidono di far parte della razza Vamsyriana devono farlo spontaneamente e prendere una decisione ponderata. Ascolterai quello che hanno da dire, prima di decidere.”
Due uomini, che Broderick notò solo in quel momento in piedi dietro agli Anziani, si fecero avanti e lo aiutarono ad alzarsi. Appoggiandosi a loro, trascinò faticosamente i piedi verso la porta dietro alla quale lo attendeva un nuovo, possibile destino. Guardò in cagnesco Cordelia. Lei rifiutò ancora il contatto visivo con lui, mentre passava. L'aveva preso per uno stupido. Non aveva mai avuto l'intenzione di donargli l'immortalità, ma lo aveva semplicemente usato per arrivare ad Angus e negargli la vendetta di uccidere Broderick con le sue stesse mani. La rabbia evidente di Angus sia nei confronti di Broderick che di Cordelia confermava che lei era riuscita nel suo intento. Tuttavia, Broderick poteva solo tirare a indovinare il motivo per cui lei lo aveva condotto davanti al Consiglio. Perché non deriderlo semplicemente di fronte ad Angus? Perché portarlo lì? Inoltre, la presenza di Angus a quella riunione non aveva senso. Era lì per opporsi alla trasformazione? Perché il Consiglio non permetteva semplicemente ad Angus di ucciderlo? Broderick non poteva certamente difendersi, eppure l'altro si comportava come se avesse le mani legate.
Poi un'idea lo colpì. Se fosse entrato in quella stanza e avesse scelto di diventare un membro dell'Armata della Luce, quasi certamente Angus non avrebbe ottenuto la sua vendetta. Broderick sarebbe stato sotto la loro protezione. Se per caso l'Armata della Luce fosse riuscita a curarlo, probabilmente avrebbe vissuto un altro giorno per combattere ed avrebbe ancora avuto la loro protezione, pur essendo mortale. E se non avessero potuto curarlo, almeno, se fosse morto, lo avrebbe fatto sapendo che Angus non avrebbe avuto la sua ricompensa... un ultimo atto di sfida, per quanto debole. Nessuna di quelle cose gli piaceva, ma che scelta aveva?
Un Vamsyriano spinse la pesante porta di quercia. I due immortali aiutarono Broderick a sedersi sull'unica sedia di legno nella stanza, di fronte a un'altra porta sulla parete opposta. Annuirono, poi si ritirarono negli angoli in ombra dietro di lui. Il silenzio della stanza lo avvolse come una nebbia.
Un braciere elevato bruciava alla destra di Broderick, crepitando, sibilando e gettando una tremula luce arancione sulle pareti di pietra, ma senza fornire troppa illuminazione. Lui sobbalzò, quando un'altra ondata di fuoco gli attraversò il corpo, togliendogli il fiato. Si aggrappò al bracciolo, lottando contro quel tormento e aspettando che il dolore scemasse. Tutto questo deve finire o impazzirò per la tortura diquesta condizione!
Il rumore di un chiavistello che veniva tirato indietro dall'altra parte della porta fece vibrare il suo corpo. Nuove ondate di dolore gli avvolsero le gambe e gli fecero arricciare le dita dei piedi. Una figura incappucciata entrò nella stanza. La porta si chiuse dietro quella persona e il chiavistello produsse di nuovo un rumore metallico, chiudendoli tutti nella stanza. Il corpo di Broderick si riprese, mentre la fitta scemava e lui riusciva a respirare di nuovo.
La figura si fermò di fronte a lui. “So che la tua condizione può sembrare senza speranza, ma Dio può guarirti da questa malattia del sangue.”
Broderick si irrigidì e si sporse in avanti per cercare di vedere il viso sotto il mantello, ma il braciere forniva poco aiuto ai suoi occhi. “E' impossibile,” grugnì tra i denti. “La voce che sento deve uscire da una tomba.”
La donna davanti a lui spinse indietro il cappuccio per rivelare i lunghi capelli dorati che lui conosceva così bene. Evangeline, quella sgualdrina di sua moglie, scosse la testa e lo fissò con lo sguardo inebetito. Il labbro di Broderick si arricciò in una smorfia e lui inghiottì la bile che gli stava risalendo in gola.
Evangeline piagnucolò e cadde in ginocchio. “Caro Padre nel Cielo, come hai potuto scegliere me per affrontare mio marito? Sceglierà di sicuro la strada dell'oscurità, se sono io che devo mostrargli la luce. Perché non hai mandato qualcun altro?”
Broderick si alzò e le si avvicinò, mentre la rabbia gli offuscava i sensi. La pena che si diffuse nel suo cuore minacciò di travolgerlo come le onde di un torrente e lui cercò di combattere le lacrime che gli pungevano gli occhi. Avrebbe guardato la luce abbandonarla, come aveva visto spegnersi le vite di Maxwell e Donnell.
Evangeline sobbalzò e sollevò i palmi delle mani, pronunciando una sfilza di parole sconclusionate.
Broderick andò a sbattere contro una parete invisibile e cadde a terra. Mentre si contorceva in agonia, la rabbia fu scacciata dai suoi sensi. Vacillò attraverso una nube fioca di consapevolezza, quando le due guardie Vamsyriane lo aiutarono a sedersi di nuovo, prima di ritirarsi negli angoli. Evangeline abbassò le mani e restò in ginocchio sul pavimento di pietra dalla parte opposta. Dopo aver ripreso il controllo, Broderick si schiarì la gola. “Cosa è questa magia, strega?”
Lei aggrottò la fronte. “Non sono una strega, Broderick. Sono un membro della Tzava Ha'or- l'Armata della Luce. Dio ci ha concesso alcune misure di protezione contro...” Serrò le labbra ed abbassò lo sguardo. Un sospiro tremulo le scosse le spalle, poi sollevò il mento, affrontandolo con occhi colmi di lacrime. “Contro il sangue dei dannati.”
Broderick afferrò i braccioli della sedia per alzarsi, ma poi ricordò il suo ultimo incontro con quella protezione divina e ci ripensò. “Come puoi essere viva e trovarti tra quelli che sono considerati i figli speciali di Dio?” L'odio permeava ogni sillaba che riuscì a pronunciare a denti stretti. Lei lo implorò con gli occhi, riuscendo solo a fare fremere ancora di più dalla rabbia e dal dolore il suo corpo. “Perché vivi ancora?”
“Sono scappata,” sussurrò lei tra le lacrime, fissando il passato. “Sono scappata dalla battaglia, correndo per ore nella foresta. Quando sono crollata dalla stanchezza, sono stata assalita dai ladri che...” Chiuse gli occhi e deglutì. “Mi hanno presa con la forza... poi mi hanno data per morta.”
“Eppure sei in ginocchio davanti a me.” Broderick cercò di reprimere la compassione. “Vai avanti.”
“Non so per quanto tempo sono rimasta lì a terra, ma mi sono svegliata e ho barcollato lungo la strada, dove un gruppo di monaci mi ha quasi calpestata con il cavallo e il carro. Mi hanno portata in un convento, dove le sorelle mi hanno curata fino alla guarigione e dove sono diventata un membro dell'Armata della Luce.” Evangeline guardò Broderick con una scintilla di speranza negli occhi vitrei. “Mi hanno insegnato che Dio è un Dio che perdona e ama, Broderick. Per favore, non Gli voltare le spalle scegliendo questa via dell'oscurità. Lui ti può guarire e perdona qualsiasi cosa. Ha perdonato persino me.”
“Io non l'ho fatto!” La rabbia scosse le membra di Broderick e gli diede la forza di contrastare l'agonia che gli dilaniava il corpo. Il tremore spezzò le sue parole. “Pensi che tutte le vite che hai preso con il tuo tradimento possano essere buttate da parte così facilmente? Tu sei la ragione per la quale mi trovo qui, a cercare di rifarmi contro il mio nemico, del quale hai condiviso il letto. Tu rimani tra le braccia protettive di Dio, mentre il mio corpo muore da Schiavo di Sangue.”
“Dio ti può curare, Broderick! Ha liberato quelli che erano Schiavi di Sangue come te. Unisciti all'Armata della Luce e Lui potrò curarti.”
Le due guardie Vamsyriane si affiancarono a Broderick, quando fece un passo verso di lei. Lui cercò di liberarsi dalle loro braccia, dall'angoscia nella sua anima, dall'ingiustizia che continuava ad affliggere la sua vita. “Sei pazza se credi che accetterei qualcosa da te o da un Dio che protegge i traditori. Dovresti essere morta, invece sei seduta davanti a me e mi offri la salvezza. Pensavi che ti avrei perdonata perché puoi farmi questa offerta?”
Evangeline si chinò e scosse la testa. “No,” sussurrò. “Sono anch'io sorpresa che tu sia vivo. In quanto tale, sono ancora tua moglie e tu mantieni il diritto di fare quello che vuoi con me.” Evangeline sollevò di nuovo i palmi, mormorando un'altra sfilza di strane frasi.
Broderick respirò meglio, grazie al notevole cambiamento nell'atmosfera e alla minore pressione sul suo corpo. Anche i Vamsyriani ai suoi fianchi si guardarono intorno con occhi colmi di stupore. Il muro invisibile che lei aveva eretto doveva essere crollato. Broderick cercò di scagliarsi in avanti, ma i Vamsyriani lo trattennero. Non potendo lottare contro di loro, si arrese. “Ho scelto la strada dell'immortalità, perché tu mi credessi morto. Visto che Dio ha perdonato i tuoi peccati, sono sicuro che la Chiesa annullerà la scusa patetica del nostro matrimonio. Adesso Dio è tuo marito e che possiate soffrire entrambi per questo!”
Evangeline cadde a terra in un mare di lacrime, mentre Broderick veniva scortato fuori dalla stanza.
I due Vamsyriani lo lasciarono andare, dopo averlo portato di nuovo davanti al Consiglio e Broderick raccolse tutte la forza che riuscì a trovare per stare in piedi. “Ho scelto di diventare un Vamsyriano,” annunciò con voce roca. Rivolse uno sguardo furioso ad Angus, che mostrò sorprendentemente un sorriso di soddisfazione sulle labbra.
Gli Anziani annuirono e rivolsero gli occhi verso Cordelia. Lei si fece avanti e guardò Angus. Aveva gli occhi colmi di lacrime e incrociò le braccia sull'ampio seno, rivolgendosi al Consiglio. “Annullo le mie pretese su Broderick MacDougal.”
L'anziano Rasheed spalancò gli occhi, contemporaneamente ai suoi pari. “Stai affermando che non desideri trasformare Broderick MacDougal, cioè la ragione per la quale siamo stati convocati?”
Cordelia fece un passo indietro e deglutì. “Sì,” rispose con voce tremante.
L'Anziano Rasheed si alzò e Cordelia ebbe abbastanza buonsenso da indietreggiare. “Stai mettendo alla prova la mia pazienza, donna! Potrei ancora scorticarti!”
“Anziano Rasheed, se posso...” Angus si fece avanti, disincrociando le braccia.
Rasheed sospirò rassegnato. “Sì, Angus Campbell,” disse con un gesto sprezzante. “Come hai richiesto inizialmente quando ti sei presentato davanti a questo Consiglio, questa povera creatura è tua e puoi farne quello che vuoi. Poni fine alla sua sofferenza.” Rasheed si sedette e si prese la testa tra le mani.
“No, Anziano Rasheed.” Angus guardò Broderick. “Quello che propongo è effettuare la trasformazione io stesso.”
Gli occhi spalancati di Broderick non furono gli unici a fissare l'attenzione su Angus Campbell. “Perché faresti una cosa del genere? Finalmente hai l'opportunità di eliminarmi dalla tua esistenza. Coglila e fai come ha detto l'Anziano Rasheed... poni fine alle mie sofferenze.” Broderick fu scosso da un'ondata di dolore.
“Anche se mi piace vederti soffrire,” lo schernì Angus, “non c'è alcuna soddisfazione nell'ucciderti mentre sei così indebolito. La mia anima non avrebbe mai pace.” Angus si avvicinò a Broderick, rivolgendo uno sguardo compiaciuto al suo corpo piegato e profanato. “Devi essere disposto a fare la trasformazione, Rick, o non potrò effettuarla. Cosa scegli?”
Broderick osservò tutti gli altri, mentre lo sguardo di Cordelia era fisso su di lui. Ogni persona sembrava trattenere il fiato, nell'attesa che lui pronunciasse la parola.
“Vivi per combattere un altro giorno,” lo provocò Angus. “Sii un valido rivale.”
Broderick fissò furioso gli occhi beffardi del suo nemico. Un lungo istante di silenzio scese su di loro, colmo di contrasti. Gli spiriti dei suoi fratelli, delle loro mogli e dei loro bambini chiedevano vendetta dalle regioni più recondite della sua anima. “Fallo, allora,” ringhiò Broderick. “Ma rimpiangerai la tua decisione.”
Angus ridacchiò e aspettò l'approvazione di Rasheed, che continuava a fissare quella scena assurda. Ad un semplice cenno dell'Anziano, si avventò su Broderick, gli tirò indietro la testa con un violento strattone ai capelli ed affondò le zanne nel suo collo tenero. Broderick urlò e graffiò, mentre Angus gli squarciava la gola. Comunque, il dolore che gli attraversava il corpo e gli bruciava il collo svanì ben presto nell'euforia del nutrimento, proprio come era accaduto con Cordelia, e Broderick si accasciò tra le braccia di Angus. Il contatto con Angus si allungò in una nebbia profonda. Di solito Cordelia gli sondava la mente quando beveva da lui, ma non provò niente di simile con Angus. Broderick scivolò più a fondo verso la morte, mentre la sua vita fluiva via. Dopotutto, Angus avrebbe potuto prosciugarlo della vita e ucciderlo.
Finalmente, Angus interruppe il contatto e posò Broderick sul pavimento. Rasheed si alzò e gli porse un pugnale con il manico nero. Dopo essersi tagliato il polso, Angus nutrì Broderick dalla ferita aperta. Tuttavia, Broderick non riusciva ad aprire la bocca e ad accettare il sangue del Vamsyriano che gli colava sul mento. Sarebbe stato meglio poter semplicemente rifiutare e morire.
“Sei tu che hai fatto questa scelta, Rick!” Angus abbaiò e si tagliò nuovamente il polso che stava guarendo rapidamente. “Apri la bocca!”
Prima che Broderick potesse rallegrarsi per aver finalmente trionfato e sconfitto Angus, l'odore del sangue assalì i suoi sensi e lui aprì la bocca per ricevere l'immortalità. Bevve a fondo e boccheggiò, quando Angus tirò via il polso per tagliarlo di nuovo.
“Sì, Rick” lo tranquillizzò Angus, quando Broderick chiuse la bocca intorno al taglio, ingoiando sorsate di quel liquido che donava la vita.
La forza pervase di nuovo il suo corpo, una sensazione lenitiva si diffuse nelle sue vene mentre il sangue si faceva strada nelle membra. Gli pizzicava la gola. Angus tirò via la mano di scatto. Anche se Broderick non riusciva ancora a piegare il corpo ai propri desideri, rimase lì sdraiato, meravigliandosi dei suoi sensi diventati di nuovo acuti. Il respirare delle guardie Vamsyriane dall'altra parte della stanza fluttuò fino alle sue orecchie; l'aroma delicato della verbena di Cordelia gli toccò il naso, come quando si cibava di lei; le venature nel tavolo di marmo nero sembravano brillare e quelle fratture sottili come un capello divennero visibili per la sua nuova vista.
Angus si voltò verso Rasheed, pulendosi la bocca con un fazzoletto. “Perché non sono riuscito a leggergli nella mente? Perché non ho potuto ritrovare tutti i suoi ricordi?”
Cordelia sogghignò e strinse i pugni lungo i fianchi, con gli occhi illuminati dalla gioia. “Perché il mio sangue governava il suo corpo. Non puoi cogliere quei ricordi da un altro Vamsyriano, Angus. Volevi avere un vantaggio tale su Broderick da riuscire a sapere tutto di lui, ma non hai potuto, perché lui era il mio Schiavo di Sangue.” Sembrava eccitata da una rivelazione particolare. Broderick sobbalzava e si contorceva a terra, mentre i due enormi Vamsyriani interrompevano di colpo il momento di esultanza di Cordelia. Le si affiancarono, la afferrarono per le braccia e la portarono fuori dalla stanza. “Mio signore,” protestò e cercò di liberarsi dalle loro mani che le stringevano i polsi. “Per favore, mio signore!”
Le proteste di Cordelia svanirono dietro la porta chiusa, lasciando la stanza in un silenzio pesante, mentre Broderick rifletteva sul coinvolgimento di Cordelia in quella messinscena. Lei sapeva che Angus avrebbe effettuato la trasformazione, anche se forse non ne conosceva i risultati. Perché quell'informazione le aveva provocato una tale euforia?
Rasheed fissò con gli occhi socchiusi Broderick, sdraiato sul pavimento di pietra. Dopo un lungo istante, gli Anziani uscirono in fila dalla stanza, attraverso la stessa porta dietro alla quale era scomparsa Cordelia, e nessuno di loro pronunciò una parola. Angus era chino sul corpo di Broderick scosso dalla febbre a causa del sangue Vamsyriano. che stava eliminando gli ultimi resti della sua umanità. L'odore del suo nemico- un ben distinto odore speziato e muschiato- aleggiò intorno a Broderick, che impresse quell'aroma nella memoria.
“Ora saremo fratelli per tutta l'eternità, legati per sempre dal sangue.” Angus si inginocchiò davanti a Broderick e sussurrò, “Ti concederò questo tempo, Rick, per capire cosa sei diventato. Usa il tempo saggiamente. Quando sarà finito, inizierò a darti la caccia.” Annuì, alzandosi, poi si voltò verso l'uscita.
“No, se ti troverò io per primo.” Broderick sogghignò, continuando a tremare, e fulminò con lo sguardo Angus, che uscì a passo di marcia dalla Sala Grande.

Stewart Glen, Scozia—Tardo autunno 1505—Diciannove anni dopo
Gli occhi di Davina Stewart danzavano di gioia intorno alle tende colorate e ai carrozzoni dell'accampamento degli zingari. Così tanti profumi esotici le pervasero i sensi che ebbe per un attimo l'acquolina in bocca e l'attimo dopo trasse un sospiro di piacere. Tra le torce tremolanti e i falò, gli acrobati facevano capitomboli, i giocolieri lanciavano per aria bastoni infuocati e i mercanti mostravano ai passanti le merci provenienti da tutto il mondo. Parlan, il padre di Davina, e suo fratello Kehr, si scusarono e si incamminarono lentamente verso la carne di cavallo che gli zingari mettevano in vendita.
“Davina.” Sua madre Lilias posò la mano sul braccio di Davina, poi indicò una tenda in lontananza. “Io e Myrna andiamo in quella tenda. Voglio prendere un regalo per tuo padre, prima che lui e tuo fratello siano di ritorno. Resta vicina a Rosselyn e non allontanarti.”
“Sì, mamma.” Davina strinse la mascella per trattenere l'eccitazione, mentre guardava sua madre e Myrna prendersi sottobraccio e allontanarsi.
Rosselyn era rimasta a bocca aperta.
Davina si schiarì la gola. “Se vuoi restare qui a fissare le nostre madri, allora lo farai da sola. Per quanto mi riguarda, non sprecherò questa rara opportunità di godermi la mia libertà.” Davina si voltò e scappò nella direzione opposta, per mettere una certa distanza tra se stessa e sua madre.
Rosselyn si affrettò a raggiungerla e prese Davina sottobraccio. “In qualità di tua ancella e guardiana fidata, devo ricordarti che lei ti ha detto di non allontanarti?”
“Riesci a credere che ci abbia permesso di esplorare?” Un senso di leggerezza stava crescendo dentro Davina e le sue risate sgorgarono attraverso le sue mani, quando si coprì la bocca.
“Non hai già esplorato abbastanza, quando sei andata in visita a Corte con tuo fratello?” Rosselyn nascose un ricciolo castano ribelle sotto la cuffia.
“Bah!” Davina sbuffò, imitando l'esclamazione preferita di suo fratello. “Ho scoperto che la Corte è un posto orribile. Le donne si fingono amiche ma si calunniano a vicenda, e non fanno altro che parlare dello svolazzare delle gonne e degli incontri segreti con qualche bel ragazzo in giardino.” Il calore pervase le guance di Davina per quelle affermazioni audaci.
Rosselyn ridacchiò. “Davina Steward, stai arrossendo! E fai bene! Tua madre ti prenderebbe a frustate, se ti sentisse dire queste cose.”
“A Corte, la mamma mi tiene vicina a lei, quindi no, non posso esplorare molto neppure lì. Mi godrò la mia libertà questa sera!” Davina scoppiò a ridere, ma la sua gioia svanì, quando si rese conto di come dovevano suonare quelle parole. “Oh, non fraintendermi. Adoro la mamma, ma...”
“E' vero, non ti lascia mai allontanare dalla sua portata, figurati dalla sua vista.” Rosselyn aveva due anni più di Davina, che aveva tredici anni, ed era cresciuta nella loro famiglia. Naturalmente, era diventata l'ancella di Davina, visto che sua madre Myrna era l'ancella di Lilias. Anche se Rosselyn svolgeva molto bene quel compito, Davina amava l'altra ragazza più come una sorella.
Prendendo in prestito l'idea di sua madre, Davina trascinò Rosselyn con sé, per esaminare le merci nelle tende e cercare dei regali da acquistare per la sua famiglia. Un pugnale da stivali particolarmente bello attirò la sua attenzione. Il gitano estrasse la piccola lama dal fodero. “Una splendida lama per una donna bella come voi,” la incalzò.
“Oh, non è per me, ma per mio fratello,” replicò Davina.
“Ah, un'arma molto bella, da infilare nello stivale! Avete visto le incisioni d'argento lungo la lama?”
“E' veramente argento?” Davina sollevò il pugnale da stivale ed osservò le incisioni celtiche, decorative, che scendevano a spirale lungo la stretta lama.
“Sì! Un'opera d'arte.” Quando l'uomo le disse il prezzo, Davina contorse le mani. “Vero argento. Lo giuro.”
Lei gli restituì la spada, ma il fabbro non voleva prenderla. Si guardò intorno, poi sussurrò un prezzo più basso con fare cospiratorio. Non molto più basso, ma abbastanza. Davina si arrese e gli diede la moneta.
Rosselyn tirò Davina per la manica. “Guarda,” disse indicando una donna anziana. La zingara aveva una lunga treccia argentata e una sciarpa scarlatta le copriva la testa.
La donna fece un cenno verso di loro. Era seduta davanti a una tenda dipinta con la figura impressionante di una donna dai capelli chiari, seduta dietro a un tavolo sul quale erano sparpagliate delle tavolette. Stelle, lune ed altri strani simboli che Davina non riconobbe fluttuavano intorno alla cascata di capelli biondi della donna. “Quali servizi offre, secondo te?” Davina sussurrò intimorita.
Rosselyn rivolse lo sguardo oltre il cerchio di tende e carrozzoni, in direzione delle loro madri. Lilias e Myrna erano ferme davanti a un mucchio di nastri drappeggiati sulle braccia di un uomo. Rosselyn afferrò la mano di Davina, mentre un ampio sorriso si allargava sulle sue labbra sottili e una scintilla birichina le accendeva gli occhi nocciola. “Vieni!”
Davina si sforzò di stare al passo quando Rosselyn la tirò per la mano, quindi corsero fino a ritrovarsi senza fiato davanti alla zingara.
“Vedo che siete impazienti di farvi predire la sorte,” intervenne la gitana nel suo bell'accento francese, poi mosse la mano rugosa verso l'apertura nella tenda. “Solo una alla volta, s'il vous plaît.”
“Vai tu per prima, Roz,” la incoraggiò Davina.
Rosselyn fece un passo verso l'ingresso della tenda, poi si fermò. Si voltò indietro e passò lo sguardo tra Davina e la zingara. “Non deve andare da nessuna parte.” Spostando di nuovo lo sguardo su Davina, scosse il dito in segno di rimprovero. “Resta qui, hai capito? Tua madre mi staccherà la testa, se andrai in giro senza di me.”
La donna afferrò la mano di Davina e l'accarezzò affettuosamente con il suo tocco caldo. “Non abbiate paura, mademoiselle. Le farò la guardia a rischio della mia stessa vita, mentre beviamo un tè.” Quindi sospinse Davina verso un piccolo sgabello davanti al fuoco; Rosselyn sembrò soddisfatta della sistemazione e si affrettò ad entrare nella tenda, ansiosa di fare quella seduta
“Vi piace il tè, oui?” La donna guardò il palmo di Davina. “Io sono Amice.”
“Il mio nome è Davina,” rispose lei in francese. Com'era d'uso nelle corti scozzesi, Davina aveva studiato il francese, anche se i legami tra la sua famiglia e la Corte erano piuttosto lontani. “E sì, vi sarei molto grata se mi offriste una tazza di tè.” Un ampio sorriso si allargò sulla bocca di Amice, quando Davina usò la lingua madre della vecchia, e Davina osservò la zingara che le studiava la mano e stringeva gli occhi per leggere le linee. “Cosa vedete?”
Amice alzò le spalle, strofinò il centro del palmo di Davina, poi le sorrise. I suoi occhi giovanili si posarono di nuovo su Davina, tra le rughe che il tempo aveva scavato sul suo viso. “I miei occhi sono vecchi e non vedo niente. Volete farvi leggere la mano?”
“Leggere la mano?” Davina aggrottò le sopracciglia. “Potete leggere un palmo come si legge un libro?”
Amice scosse la mano sbrigativamente. “E' un modo di dire.” Spinse gentilmente Davina a sedersi e, prima di prendere anche lei uno sgabello, le porse due tazze di terracotta. Davina si posò in grembo il regalo per suo fratello, per lasciare libere le mani. Amice allungò la mano dietro di sé ed afferrò una piccola cesta; sbriciolò qualche foglia di tè nelle tazze, poi mise da parte la cesta. Prese quindi un grosso straccio sul ceppo tagliato in mezzo a loro, che fungeva da tavolo improvvisato, per afferrare una teiera appoggiata sul fuoco. Sorrise e versò l'acqua calda nelle due tazze da tè, riempiendone una solo a metà, che prese per se stessa, e lasciando a Davina quella ricolma.
Il freddo della notte pizzicava le guance di Davina, quindi tenne la tazza calda tra i palmi, soffiando sul liquido ambrato.
Sentì uno scricchiolio dietro di sé e quando si voltò vide una ragazzina con i capelli dorati arruffati, che sbirciava attraverso la porta del carrozzone della zingara. La bambina sembrava poco più giovane dei tredici anni di Davina, che le sorrise e le fece un timido cenno con la mano. La bimba aggrottò la fronte, tirò fuori la lingua, poi si rintanò all'interno.
Amice chiamò Davina con un cenno della mano. “Venite, ho preparato il tè.” Davina rimase a bocca aperta per la maleducazione della ragazzina, poi si voltò a bere il tè accigliata.
Aveva bevuto più di metà tazza, quando notò che Amice non aveva ancora bevuto un sorso, ma aveva invece posato la tazza sul ceppo. Prima che Davina potesse farle domande, Rosselyn riemerse dalla tenda, strofinandosi il palmo e sorridendo. “Affascinante, signora!”
“Mamma mia! Come hanno fatto presto!” Davina rivolse un'occhiata dispiaciuta ad Amice. Chinandosi in avanti, la gitana afferrò la teiera e riempì la tazza sul ceppo. Con le foglie già sminuzzate, l'acqua aggiunta fornì una tazza di tè bollente.
Che furba! Pensò Davina.
Mentre Rosselyn e Amice si scambiavano i convenevoli, Davina finì il tè- facendo attenzione a non inghiottire le foglie rimaste- poi porse la tazza ad Amice ed entrò nella tenda. Un aroma speziato di incenso aleggiava nell'aria e lei inalò quel profumo esotico. La luce soffusa creava un'atmosfera rilassante; la luce del falò all'esterno gettava delle ombre sulle pareti di tela, dando all'ambiente le sembianze di un sogno. C'era un tavolo ad un'estremità, con un piccolo sgabello davanti ad esso. Delle lampade a olio su sostegni di ferro illuminavano una cesta in un angolo del tavolo, e dietro al tavolo non era seduta un'altra vecchia o una ragazza gitana carica di gioielli, come si aspettava Davina, ma l'uomo più robusto sul quale lei avesse mai posato gli occhi. E molto bello!
Il suo cuore inesperto batté forte nel suo esile corpo, quando lo sguardo penetrante dell'uomo incontrò il suo.
Quel gigante sovrastava tutto ciò che si trovava nella stanza. Il petto e le braccia si gonfiavano sotto la stoffa sottile della sua camicia di lino marrone. Una piccola apertura nel colletto rivelava una massa di peli ricci castano-ramati, fiammeggianti come i capelli sulla sua testa- sorprendenti sotto la luce delle lampade. Il rossore riscaldò il viso di Davina, causato da quel mix di emozioni sconosciute che la attraversarono alla semplice vista dell'uomo, quindi afferrò il lembo della tenda, pensando di scappare da quel seduttore.
“Prego, ragazza,” disse lui in un tono profondo e morbido come la crema. Si chinò in avanti, posando un gomito sul tavolo, poi allungò l'altra mano verso di lei e il tavolo scricchiolò di conseguenza. “Lasciami leggere il palmo.”
Attirata da quella voce pastosa e da quegli occhi socchiusi, Davina lasciò andare il lembo e si sedette davanti a lui. “Mi chiamo Davina,” gli disse cercando di rimandare.
“E' un onore incontrarti, signora. Io sono Broderick.” L'uomo sorrise e le viscere di Davina si sciolsero come la neve in primavera.
“Broderick”, sussurrò, assaporando quel nome. Si schiarì la gola, si fece forza, posò il regalo per Kehr sul tavolo e gli diede la mano.
“Non hai niente da temere, ragazza,” la rassicurò Broderick, e quando le toccò la mano, la sua preoccupazione svanì.
Broderick chiuse gli occhi, lasciando che la testa ricadesse leggermente all'indietro e che il suo naso aquilino facesse ombra sulla guancia scolpita. Davina si chinò verso di lui, attratta dai suoi bei lineamenti e dalla forza che emanava dal suo corpo. Non poté fare a meno di paragonarlo a suo fratello Kehr. Nessun uomo che avesse mai visto poteva reggere il paragone con suo fratello: bello, intelligente, spiritoso, alto di statura e di carattere. Tuttavia, quello zingaro gigantesco era uno spettacolo. Sorrise leggermente e una fossetta attraente apparve proprio a destra della sua bocca, spingendo anche Davina a sorridere.
“Hai una vita felice, ragazza. Una famiglia piena d'amore e calore. Hai un posto speciale nel cuore per... Kehr.”
Davina sussultò. Come faceva a conoscere il nome di suo fratello? Poi strinse le labbra. “Rosselyn vi ha detto di mio fratello.”
Lui aprì gli occhi e sorrise. “Beh, ho visto quel ragazzo anche nella sua vita. Ma quello che ho detto riguardo a tuo fratello, è quello che ho appreso da te. Non credi nel predire la sorte?”
Davina si indignò. “Non avete detto niente che possa convincermi che siete un portento, signore.”
Una risata risuonò nel profondo del petto di Broderick e il cuore di Davina sbatté contro le costole. Lui abbassò le palpebre per concentrarsi. “Miele. Hai una passione particolare per il miele. E tuo fratello condivide questa passione con te.” Chiuse gli occhi e scosse la testa. “Uhm... Suvvia, ragazza. Tu e Kehr dovete fare più attenzione durante le vostre incursioni notturne. Voi due vi rovinerete, se ne mangiate così tanto in una sola volta. Vi suggerisco di limitare i furti, per evitare i guai.” Le fece l'occhiolino.
Il viso di Davina avvampò di imbarazzo, che però lasciò presto il posto allo stupore. Come poteva sapere che lei e Kehr vagavano per le sale del castello di notte, per rubare le scorte di miele?
Broderick si chinò in avanti e sussurrò: “Non temere, ragazza. Il tuo segreto è al sicuro con me.”
Davina chinò la testa per nascondere un sorriso, poi rimase come ipnotizzata, mentre il gigante le girava la mano sotto la luce della lampada e studiava le linee sul palmo. Scattò in avanti, quando una ruga comparve sulla fronte di Broderick. “Cosa vedete, signore?”
I loro visi erano molto vicini, ma la voce profonda dell'uomo la mise in guardia. “Non posso mentirti, ragazza. Farlo sarebbe un disastro.”
“Un disastro?”
“Sì.” I suoi occhi di smeraldo erano fissi in quelli di Davina. “Il futuro non sarà piacevole. Ma non devi perdere la fede. Hai molta forza. Usa quella forza e tieniti stretto ciò che ti è caro, perché sarà quello che ti aiuterà ad attraversare i tempi difficili che devono ancora venire.”
“Cosa succederà, signore?” insistette lei.
“Non mi è noto. Non conosco i particolari. Le linee sul palmo non rivelano questi dettagli, dicono solo che ci saranno delle difficoltà nel tuo futuro. Ricorda quello che ti ho detto. Aggrappati alla tua visione della forza.” Posò le labbra sulla mano di Davina e le baciò le nocche, prima di lasciarla. Davina lo fissò, stordita e a bocca aperta, incollata alla sedia. L'angolo della bocca dello zingaro di sollevò, facendo spuntare una fossetta, e lei sorrise a sua volta, mentre ascoltava il cuore che le batteva forte nel petto.
Broderick si schiarì la gola e fece un cenno con la testa verso il cestino. Il sorriso di Davina si allargò mentre lei continuava a fissarlo, e lui fece di nuovo un cenno verso il cesto. Lei ricambiò il cenno, guardò il cestino, poi sobbalzò quando capì. Voleva che lei lo pagasse! Troppo imbarazzata per quel comportamento ridicolo e per lo sguardo inebetito, rovistò nel borsellino che portava alla vita, estrasse qualche penny scozzese e li mise nel cestino, poi uscì correndo dalla tenda senza voltarsi indietro.
Davina si fermò vicino all'ingresso per riprendere fiato; sperava che il suo viso smettesse di bruciare. Deglutì con fatica, poi si rivolse alla zingara. “Grazie per essere rimasta seduta qui con Rosselyn, Amice.” Premendo altre monete nella mano della donna, sorrise imbarazzata, mentre Rosselyn restituiva la tazza vuota ad Amice. Davina la prese per mano e trascinò via l'ancella, cercando di lasciarsi dietro l'imbarazzo.
“Cosa ti turba, signorina?” Rosselyn fece fermare Davina, prendendola per le spalle e cercando di confortarla.
Le parole sgorgarono di getto dalla bocca di Davina, mentre lei sbatteva le mani come un uccellino ferito. “Oh, mi sono comportata come una sciocca! Ho continuato a fissarlo con occhi da cerbiatta. Era così bello, Rosselyn! Il mio cuore non smetterà di battere impazzito nel petto! Cosa mi succede?” Davina si sventagliò il viso in un vano tentativo di raffreddare il bruciore sulle guance.
Rosselyn scoppiò a ridere e la abbracciò. “Mia cara Davina, credo che lo zingaro ti abbia rubato il cuore!”
Davina si batté le mani sulla bocca. “Per tutti i santi! Ho lasciato il regalo di mio fratello sul tavolo!”
Ritornando almeno in parte seria, Rosselyn si voltò verso la tenda dell'indovino. “Vieni, allora, torniamo lì e andiamo a prenderlo.”
Davina si aggrappò alla mano di Rosselyn con tutta la forza che aveva, tirando indietro l'amica. “No! Non posso affrontarlo di nuovo! Sicuramente morirei di...di...”
Rosselyn strofinò le spalle di Davina, come per scaldarla. “Non agitarti così! Andrò a prenderlo per te. Vieni con me e resta dietro al carrozzone, così lui non potrà vederti.”
Sgattaiolarono lungo il carrozzone dell'indovino e sbirciarono dentro. Amice sembrava intenta ad osservare le tazze di tè, muovendole avanti e indietro. Broderick uscì dalla tenda e Davina afferrò Rosselyn, tirandola indietro, fuori dalla vista.
“Cosa stai combinando, Amice?” Il suono della sua voce profonda fece vacillare le ginocchia di Davina, ma lei osò gettare uno sguardo nel carrozzone insieme a Rosselyn.
“Un po' di lettura delle foglie di tè,” disse Amice in francese, tenendo gli occhi fissi sulle foglie.
Rosselyn si voltò verso Davina e alzò le spalle, visto che non parlava francese. Davina le indicò che le avrebbe detto tutto più tardi e scambiò il posto con lei, per ascoltare meglio la conversazione.
“Riguarda le due ragazze?” chiese Broderick.
“Sì,” sorrise Amice. “Hai il suo cuore per sempre, figlio mio.”
Il gigante sollevò le sopracciglia curioso. “Quale delle due?”
“La dolce Davina,” disse Amice agitando una delle tazze per aria, mentre osservava l'altra. Davina rischiò di svenire per il rapido battito del cuore.
“Sciocchezze, quella ragazza non si ricorderà di me, quando troverà un marito.” Broderick ridacchiò. “Comunque, la sua evidente ammirazione per me mi ha fatto molto piacere. Adesso è carina, ma sarà in grado di conquistare i cuori, quando diventerà una donna.”
Pensa che io sia carina! Pensa che io sia carina! Davina dovette usare tutta la sua energia per evitare di saltare su e giù come una pulce. Si mordicchiò l'indice piegato, per soffocare una risatina euforica.
“Il tuo cuore è quello che conquisterà, figlio mio.” Amice passò a Broderick la tazza e Davina aprì la bocca in soggezione.
Lui sbirciò nella tazza, aggrottò la fronte, poi la restituì ad Amice. Stingendosi nelle spalle, sorrise e le porse il regalo incartato di Kehr. “Bene, visto che ritornerà per diventare il mio vero amore, dalle questo.” Finalmente Amice distolse l'attenzione dallo studio delle tazze di tè e guardò il pacchetto. “Se ne è andata così in fretta, che ha dimenticato di prendere il suo fardel.” Broderick scosse la testa, poi si voltò e ritornònella tenda. Amice restò seduta, sorridendo e continuando a leggere le foglie di tè.
Davina si aggrappò al fianco del carrozzone, con la bocca ancora spalancata. Visto che Broderick se ne era andato, Rosselyn si fece avanti, si scusò rapidamente e recuperò il coltello da stivale incartato. Poi sospinse Davina lontano dal carrozzone e, quando furono fuori portata d'orecchio, parlò. “Cosa hanno detto? Sembravi pronta a svenire!”
Davina inciampò in avanti come in trance, con la bocca aperta e il corpo intorpidito. Un sorriso molto debole le apparve sulle labbra.

Capitolo 2

Stewart Glen, Scozia—Estate 1513—Otto anni dopo
“Ti prego di perdonare mio figlio, Parlan.”
Davina Stewart-Russell si bloccò al suono della voce di suo suocero e si fermò sulla soglia che stava per varcare, per entrare nel salotto della sua casa d'infanzia. Un rapido sguardo nella stanza, prima di tornare a nascondersi, le concesse l'istante di cui aveva bisogno per vedere la scena. Suo padre Parlan era in piedi davanti al camino di pietra costruito con le rocce frastagliate della zona, con le braccia conserte e la schiena rivolta verso la stanza. Munro, suo suocero, era fermo alla destra del camino, con le mani strette e posate sull'elsa della spada, e si rivolgeva a padre di Davina. Suo marito Ian si teneva indietro, tra i due uomini, con la testa bassa e le spalle piegate, in un atteggiamento di sottomissione molto insolito. Tutti loro rivolgevano la schiena a Davina, quindi non la videro avvicinarsi né ritrarsi velocemente. Facendo capolino dalla soglia e restando nascosta dietro la porta leggermente socchiusa, sbirciò tra le fessure dei cardini.
Munro continuava la sua supplica a vantaggio del figlio, parlando come se Ian non si trovasse nella stanza. “Ne abbiamo discusso a lungo tu ed io: questa posizione di responsabilità non è molto adatta a Ian. Apprezzo la tua pazienza e la tua disponibilità a lavorare con me, per sistemare la sua posizione come marito e padre.”
“Non farò alcuno sforzo di presentarlo ai miei contatti reali, se non darà prova di essere maturo.” Parlan si voltò verso Munro ed incrociò le braccia sul petto nell'atteggiamento che Davina conosceva molto bene e che dimostrava la sua determinazione su quella faccenda. “E faresti bene a chiudergli i forzieri. Come ben sai, ha già attinto alla dote di Davina.”
“Sì, Parlan. Io...”
“Per favore, padre!” protestò Ian.
“Tieni a freno la lingua, ragazzo, o te la taglio!” Munro fulminò il figlio con lo sguardo, finché non abbassò la testa.
Il cuore martellante di Davina la lasciò senza fiato per la paura di essere scoperta e per la rara visione di suo marito così sottomesso. Rischiò quasi di svenire per quel misto di eccitazione e trepidazione che crescevano dentro di lei. Quante volte suo marito l'aveva fatta sentire in quello stesso modo? Quante volte l'aveva zittita con mano pesante? Vedere Ian sottomesso ad un'altra autorità le fece venire voglia di applaudire. Eppure, le sue membra tremavano al pensiero che Ian potesse scoprirla mentre assisteva a quel momento e si godeva la propria vittoria privata sulla sua disciplina. Si sforzò di rimanere una spettatrice silenziosa.
Parlan aggrottò la fronte pensieroso, osservando Ian e Munro. Quando quest'ultimo sembrò sicuro che il figlio sarebbe rimasto zitto, rivolse di nuovo l'attenzione verso Parlan. “Temo che tu abbia ragione, Parlan. Avevo sperato che limitasse le spese, e vorrei poter dire dove finisce tutto questo denaro...” Fulminò il figlio con lo sguardo. “Ma sono d'accordo con quello che suggerisci di fare.”
“Ho provato, padre!” esclamò Ian. “Non ho dato prova di essere un marito migliore?”
Munro fece un passo avanti e schiaffeggiò il figlio con il dorso della mano, facendo piegare la testa di Ian su un lato e spargendo sangue sul pavimento di pietra. La coscienza di Davina provò un lieve senso di colpa, perché lei stava godendo della situazione del marito. Nello stesso tempo, si chiese cosa lui potesse intendere con “un marito migliore.” Semmai, Ian era diventato più brutale negli ultimi quattro mesi, più o meno. Pensava che imporre una disciplina più severa alla moglie fosse la qualità di un marito saggio? Munro sollevò il pugno e Ian si fece scudo contro un altro colpo.
“Basta!” abbaiò Parlan. “Ora posso vedere da chi ha imparato tuo figlio la sua idea di disciplina.”
Munro si raddrizzò in tutta la sua altezza, spingendo il petto in fuori in segno di sfida. “La disciplina severa è l'unica cosa a cui darà ascolto, Parlan. Puoi fidarti di me.”
“Potrà anche essere così, visto che io non conosco tuo figlio abbastanza bene, ma conosco Davina e quel tipo di punizione non è necessaria per lei. Anche se può essere piuttosto drammatica, è una donna ragionevole, con la quale si può parlare. Capisco che un uomo abbia il diritto di fare quello che vuole con la propria moglie e che ad alcune donne sia necessario insegnare la disciplina con un po' di forza, ma non è il caso di mia figlia.”
Davina si sforzò di vedere attraverso le lacrime che le avevano riempito gli occhi per la difesa di suo padre. Non si era resa conto che suo padre sapesse tutto. L'orgoglio e il sollievo che le gonfiarono il petto le avrebbero sicuramente spezzato la cassa toracica!
“Abbiamo stipulato questo contratto matrimoniale a vantaggio di entrambi,” continuò Parlan. “Visto che io sono il cugino di secondo grado del re Giacomo, ciò vi offre legami importanti. I Russell hanno ricchezze da investire ed opportunità di affari per me e mio figlio Kehr.” Si avvicinò a Munro con occhi minacciosi e la voce ridotta ad un sussurro, perciò Davina ebbe qualche difficoltà a sentirlo. “Ma non ho contrattato la brutalità contro mia figlia, in questo scambio.”
Munro guardò il figlio in cagnesco. “Parlan, di prego di nuovo di perdonare mio figlio.” Si voltò verso il padre di Davina, con un atteggiamento più contrito. “E ti imploro di perdonare anche me, per qualsiasi cosa io possa aver fatto per contribuire all'eccessivo zelo di mio figlio nei suoi doveri coniugali.”
Un brivido attraversò Davina. Anche se Munro sembrava sincero- e l'espressione di consenso sul viso di suo padre indicava che lui credeva al suocero di Davina- Ian assumeva troppo spesso quello stesso tono di finta umiltà. Tuttavia, quell'umiltà si rivelava sempre come una maschera elaborata. Persino le sue parole dimostravano che non pensava di essere in difetto: “Qualsiasi cosa io possa aver fatto...” Nei quattordici mesi da quando Davina e Ian si erano sposati, lei aveva imparato che quei segni velati miravano ad attirare la comprensione e l'arrendevolezza, ma in verità erano indici della verità dietro la facciata.
Munro rivolse i suoi occhi penetranti verso Ian, continuando a parlare. “Per dimostrarti i miei sforzi di sistemare le cose, Parlan, farò proprio come suggerisci e chiuderò i forzieri a mio figlio.” Un lieve accenno di soddisfatta compiacenza si diffuse nei lineamenti di Munro, per la propria posizione di potere sul figlio. Davina notò facilmente che il corpo di Ian stava tremando di rabbia repressa, con le mani strette a pugno dietro la schiena. Fu colta da un terribile presentimento, come se l'acqua ghiacciata di una corrente invernale la facesse sprofondare in una profonda oscurità. Sarebbe diventata sicuramente l'oggetto della frustrazione del marito, una volta rimasti soli e ritornati nella loro fredda dimora.
Aggrappati a quell'immagine di forza, canticchiò Davina nella mente, come aveva già fatto innumerevoli volte, e quella forza consisteva nella voce e nel viso di Broderick. Ogni volta che il dolore o la disperazione minacciavano di consumarla e di farla impazzire, si concentrava su quei capelli rosso fuoco, sull'ampio petto e sulle braccia forti che la circondavano in un bozzolo sicuro e sulle labbra piene di Broderick che le imprimevano un bacio confortante sulla fronte. Lui non l'avrebbe mai trattata come la trattava Ian e Davina si rifugiava nella fantasia di essere la moglie del gitano. In quel mondo, in quel reame della fantasia, Ian non poteva toccarla, spezzarle l'animo o distruggere il suo orgoglio.
Girando sul tallone, Munro guardò di nuovo in faccia Parlan ed annuì brevemente, attirando l'attenzione di Davina. “E' veramente un saggio consiglio e mi vergogno di non averci pensato prima.”
“Ci sono altre responsabilità, oltre all'amministrazione delle finanze, Ian.” Parlan era in piedi davanti al genero e guardava in cagnesco il suo capo piegato. “Davina ha un cuore gentile, un animo amorevole...”
“Tutte ulteriori ragioni per le quali sono molto felice di questa unione,” lo interruppe Munro, fermandosi accanto a Ian. “Lei è la mano tenera che domerà la bestia dentro mio figlio. Sono sicuro che tu abbia visto la saggezza in tutto ciò e che questo sia il motivo per cui hai acconsentito a questa unione. Davina riuscirà a trasformare mio figlio in un marito e un padre amorevole.”
Il viso di Parlan si adombrò e lui si avvicinò ad un soffio dai due uomini. Li osservò, poi i suoi occhi si posarono su Ian, che incrociò il suo sguardo. “E' difficile diventare padre, Ian, quando si picchia il vaso che contiene il tuo bambino.”
Davina usò la manica del vestito per asciugarsi le lacrime di sollievo. La solitudine era stata la sua unica compagna sotto le mani brutali del marito, e il bambino mai nato che aveva perso le causava più dolore di quanto potesse sopportare. Non aveva idea che suo padre sapesse cosa aveva dovuto sopportare. Ian la minacciava ripetutamente, affermando di svolgere solo il dovere di un marito che punisce la moglie disobbediente, e se lei avesse raccontato a qualcuno di quelle continue punizioni ben meritate, lo avrebbe rimpianto. Visto che combattere contro di lui sembrava solo aumentare il suo predominio, Davina aveva iniziato a pensare di avere torto e di aver provocato la rabbia del marito contro di lei. Dopotutto, molte delle sue cugine parlavano delle punizioni che tutte le donne devono sopportare per mano dei mariti, anche i metodi crudeli con i quali i loro mariti le portavano a letto. Perché la sua situazione avrebbe dovuto essere diversa?
Davina era sempre in guardia, a causa dell'umore instabile del marito. Qualche volta lui dimostrava un'attenzione amorevole e le sussurrava promesse; l'attimo dopo le dava la colpa di qualsiasi cosa gli rovinasse l'umore. Le girava la testa per quel torrente di accuse diverse e di ragioni per quel carattere mutevole. A volte, Davina non riusciva a distinguere l'alto dal basso ed ogni raziocinio veniva meno, nel caos della sua situazione. Quando vide suo padre venire in sua difesa e apprese che lui aveva occhi capaci di scorgere la verità, si aggrappò alla parete per calmare le gambe rese instabili da un puro sollievo. Non era pazza1 Non era colpa sua!
“Tieniti i forzieri, quindi, Munro. Fino a quando Ian non si sarò dimostrato più gentile con Davina, lei tornerà a stare qui e il corteggiamento ricomincerà da capo.”
Ian voltò la testa di scatto verso suo padre e Munro restò a bocca aperta. “Credo che adesso tu stia andando troppo oltre, Parlan. Non c'è bisogno di sconvolgere Davina, facendola ritornare qui e imponendole l'instabilità di una vita domestica mutevole.”
“Una vita domestica sicura e piena d'amore è meglio della prigionia che ha sopportato sotto il tuo tetto. Darò disposizioni affinché le sue cose siano riportate qui immediatamente.” Parlan strinse lo sguardo su Ian. “Se sei avido di legami con la corona, ragazzo, farai meglio a dimostrare di essere un marito innamorato e di meritare il frutto dei miei nipoti.”
Davina lottò per calmare il rimbombare del suo cuore, che batteva fuori controllo. Sarebbe stata a casa!
“Parlan.” Munro posò una mano tranquillizzante sulla spalla del padre di Davina. “Posso assicurarti che Davina sarà al sicuro sotto il mio tetto. Ora che sono al corrente della situazione...”
“Il maltrattamento è andato avanti sotto il tuo naso e tu non hai saputo vederlo!” ruggì Parlan.
Munro chinò la testa, indietreggiò e annuì. “Hai ragione, Parlan. Non posso esprimere il mio rammarico per avere ignorato il dolore che ho causato alla tua preziosa figlia. Sono giunto a considerare Davina come la figlia che ho sempre desiderato e mi dispiace che mia moglie non abbia vissuto abbastanza da conoscerla.” Munro si voltò e iniziò a camminare avanti e indietro con un'espressione affranta e le mani dietro la schiena: l'immagine stessa del pentimento. “Credo che se Ian fosse stato influenzato dall'amore di mia moglie, avrebbe imparato ad essere un marito più gentile. Temo di essere stato troppo occupato con gli affari riguardanti le mie proprietà e la ricchezza, per passare del tempo con lui, quindi sono venuto meno al mio dovere di insegnargli queste cose.” Munro sostenne la propria causa, rivolgendo a Parlan uno sguardo addolorato. “Capisco la tua decisione e non mi opporrò, se vorrai mantenere questa posizione. Nonostante ciò, ti imploro di darmi la possibilità di sistemare le cose. Ho aperto gli occhi e sarò il protettore di Davina. Manterrò il controllo su Ian.”
Davina aspettava con il fiato bloccato nel petto, osando sperare nella sicurezza che suo padre le offriva. Gli attimi si allungarono all'infinito, mentre guardava Parlan riflettere sulle parole di Munro. Con un profondo sospiro, Parlan annuì. “Te lo concedo.”
Davina restò a bocca aperta e il suo cuore precipitò nel più profondo del suo essere.
“Ad una condizione: resterete tutti qui come nostri ospiti per due settimane o persino di più. Desidero passare del tempo con mia figlia, darle la possibilità di una tregua ed osservare per un certo periodo tuo figlio.” Parlan puntò il dito verso il viso di Munro e fece una smorfia. “Ma se vedrò il minimo accenno di dolore negli occhi di mia figlia o anche il più piccolo segno sul suo corpo, se non vedrò il suo comportamento trasformarsi in quello di una donna beatamente felice in breve tempo, scioglierò questo matrimonio e non mi importa dello scandalo che ciò potrà causare o di quanto potrà costarmi.”
Munro strinse la mascella e i suoi occhi divennero freddi. “Sì, sono sicuro che lo scandalo sia qualcosa che sei pronto ad affrontare, considerate le tue origini.”
Il volto di Parlan divenne scarlatto. “Nonostante le mie origini, io sono ancora quello con i legami con la Corona e non solo grazie alla mia nascita illegittima. Condividere la nursery ed essere cugino stretto di colui che è attualmente sul trono ha i suoi vantaggi.”
I due uomini si fissarono in uno scontro silenzioso, ma alla fine un ampio sorriso si allargò sul viso di Munro. “Non preoccuparti, amico mio! Non sarai deluso. Ian sarà un genero modello e noi avremo molti nipoti dei quali esser fieri!” Le pacche sonore di Munro sulla schiena di Parlan non riuscirono a cancellare la linea determinata della bocca di quest'ultimo, che tuttavia annuì di nuovo in assenso.
Davina inghiottì le nuove lacrime di sgomento che minacciavano di tradirla. Retrocedendo dalla soglia, percorse il corridoio in silenzio e si allontanò da quell'incontro tra uomini, quell'insieme di potere maschile che le imponeva una vita dominata dal destino. Barcollò nella cucina, poi all'esterno nel cortile deserto e dietro le scuderie, mentre il suo cuore sprofondava ancora di più all'idea della protezione di Munro, nella quale non credeva affatto. Davina non aveva mai detto niente a suo padre, e Parlan era venuto a sapere che Ian la maltrattava durante le poche visite che i suoi genitori le avevano fatto, o durante le brevi visite che lei e il marito avevano fatto a casa. Com'era possibile che Munro fingesse di ignorare ciò che avveniva sotto il suo stesso tetto? Si lasciò cadere su un piccolo mucchio di paglia dietro alcuni barili di acqua piovana, avvicinò le ginocchia al petto e nascose il viso tra le braccia, lasciando scorrere le lacrime.
Non si era confidata con suo fratello Kehr neppure una volta durante quell'orribile farsa di matrimonio. Persino adesso, non poteva andare da lui, perché Kehr si trovava ad Edimburgo, ad almeno tre giorni di viaggio dalla loro casa a Stewart Glen. In quel momento Davina non riusciva a capire la ragione per la quale non aveva mai condiviso i suoi guai riguardo a Ian con il fratello. Gli aveva sempre raccontato tutto, incluse le sue fantasie di diventare la moglie dello zingaro indovino. Non i dettagli più intimi, ovviamente, ma l'idea che lui sarebbe tornato e le avrebbe dichiarato il vero amore. Era stata felice che suo fratello accettasse i suoi sogni, anche se ogni tanto la prendeva in giro. Kehr l'aveva sempre sostenuta, ma l'aveva ammonita di non farsi intrappolare eccessivamente nel mondo dei sogni. Dopotutto, erano solo fantasia.
Trasse un profondo respiro per calmare il battito del cuore e le mani tremanti, cercando quelle fantasie per alleviare le preoccupazioni. Che impressione aveva fatto su di lei, quello zingaro gigante che prediceva la sorte! Aveva fatto molte visite all'accampamento degli zingari durante il loro ultimo soggiorno e aveva conversato con Amice, mentre sorseggiavano il tè accanto al fuoco. Broderick andava e veniva senza quasi degnare Davina di uno sguardo, prediceva la sorte e andava avanti con le sue occupazioni. Troppo timida per rivolgergli direttamente la parola, Davina approfittava di ogni opportunità per vederlo e la sua infatuazione cresceva. E quando lui le rivolgeva la parola, lei non riusciva a mettere insieme più di due parole senza una raffica di risatine. Tuttavia, aveva memorizzato ogni lineamento del viso di Broderick: la curva del suo naso aquilino, il bell'angolo dei suoi zigomi, la linea dritta della sua mascella squadrata. Alla tenera età di tredici anni, l'innocenza e la mancanza di esperienza davano ai suoi sogni il gusto di passeggiate attraverso le foreste illuminate dalla luna e baci rubati. Mentre cresceva, quelle fantasie erano maturate e bruciavano di abbracci pieni di passione. Amice aveva detto che sarebbero tornati. Negli otto anni trascorsi da quando lo aveva incontrato, ogni gruppo di zingari che attraversava il loro piccolo villaggio di Stewart Glen le incendiava il cuore, ma la delusione di non vedere Broderick tra loro gettava acqua su quel fuoco. Quando suo padre aveva stipulato il contratto matrimoniale con Munro e aveva concesso la sua mano a Ian, lei si era costretta ad abbandonare i sogni ed era giunta alla conclusione realistica di dover mettere da parte i capricci, come le consigliava suo fratello.
Tuttavia, la tetra realtà della sua unione con Ian aveva fatto rinascere quelle fantasie, alle quali si aggrappava come alla vita.
Dei gattini miagolarono da qualche parte nelle scuderie: i loro piccoli versi impotenti attirarono la sua attenzione e le fecero sollevare gli angoli della bocca dalla compassione. Sospirò. Almeno il suo cuore aveva smesso di martellare e le sue mani erano di nuovo ferme.
Appoggiò la testa contro la struttura di legno delle scuderie e fissò le pietre del muro perimetrale dall'altra parte... pietre che suo padre aveva disposto con le sue stesse mani. Sorrise al ricordo del suo tentativo di progettare l'apertura segreta situata sul lato nord del muro perimetrale, alle spalle dei loro terreni, proprio alla sinistra di Davina. Suo padre si era lamentato di quanto fossero imperfetti i meccanismi. Kehr e Davina si erano divertiti ad usare quel passaggio negli anni, anche se il padre li aveva ammoniti severamente di non rivelare dove si trovava. Anche se la loro casa non era stata progettata per essere una formidabile fortezza contro un esercito, le mura li tenevano al sicuro, indirizzando il traffico verso i cancelli anteriori. Parlan si era sempre preoccupato della propria famiglia, come dovrebbe fare un padre responsabile.
Davina sobbalzò a un rumore dall'altra parte del muro e si portò la mano al petto, costringendo il respiro a rallentare. Senza muovere un muscolo o osare respirare, aspettò che qualche altro rumore rivelasse cosa era successo. Il sangue scomparve dal suo viso quando il borbottio di Ian le giunse alle orecchie. Delle proteste profonde e nervose si levarono dai cavalli nelle scuderie, quando Ian prese a calci quelli che sembravano dei secchi o degli sgabelli. “Puttana! Tutto questo è colpa sua!” Il rumore delle fibbie e dei finimenti risuonò nella confusione. “Stai fermo, stupido animale!”
Davina si rannicchiò a terra dove era seduta e sbirciò attraverso le fessure degli infissi nell'apertura sopra di lei. Ian faticava a sellare il cavallo. Lei sobbalzava ad ogni strattone e spinta che il cavallo subiva dal padrone, fino a quando lo stalliere Fife non si schiarì la gola, entrando nel box. “Posso esservi di aiuto, padron Ian?”
Ian si ritrasse al suono della voce di Fife, poi trasse un respiro per calmarsi, allontanandosi dal cavallo. “Sì Fife, lo apprezzerei.”
Il cuore di Davina si contorse alla vista del bel sorriso di Ian e della sua aria affascinante. Era stato così con lei, durante il corteggiamento, ma adesso mostrava quel lato della sua personalità a tutti, tranne che a lei. La gente non poteva sospettare che un uomo crudele si nascondesse sotto quell'aspetto attraente.
“C'è qualcosa che vi preoccupa, padron Ian?” Fife si strofinò il naso largo e rotondo, stringendo gli occhi segnati dall'età, mentre accarezzava il collo del cavallo e si spostava dall'altro lato, per allacciare le cinghie di cuoio.
“Oh, solo un piccolo disaccordo con mio padre. Niente di serio.” Ian sorrise e scosse la testa. “Mi chiedo se si smetta mai di avere disaccordi con i genitori.”
Fife ridacchiò e scosse la testa, abbassando la guardia. “E' una battaglia infinita che dobbiamo sopportare per tutta la vita, ragazzo. Tutta la vita.” Risero entrambi per quella saggezza. Fife porse le redini a Ian. “Andateci piano con lei, padron Ian. Fate una bella cavalcata, per alleviare la tensione, e ritornate in tempo per la cena.”
Ian scosse la testa di buon umore e salì in sella con il suo corpo snello. “Mi sembra di avere più di un padre qui, visto che voi e Parlan mi siete così affezionati.”
“Ci stiamo semplicemente prendendo cura di voi, padron Ian.” Fife salutò con la mano, guardando Ian che girava il cavallo e si dirigeva verso il cancello anteriore. “Bravo ragazzo,”sussurrò mentre sistemava le scuderie.
Davina si morse il labbro inferiore dalla frustrazione. Era l'unica a riconoscere la crudeltà di Ian? Stringendo i pugni, uscì a passo di marcia da dietro le scuderie e si diresse verso il castello; Fife le rivolse uno sguardo stupito quando Davina chiuse la porta dietro di sé. No, non era l'unica. Suo padre aveva occhi per vedere e si sarebbe assicurata che sapesse fino a che punto poteva arrivare la brutalità del marito.
Si diresse immediatamente nel salotto, ma trovò la stanza vuota e il fuoco che bruciava ancora nel camino. Girò sui tacchi e si scontrò quasi con sua madre.
“Oh! Davina, mi hai spaventata!” Lilias si posò una mano sul petto e trattenne il respiro. “Tuo padre mi ha mandata a cercarti.”
“Lo stavo proprio cercando anch'io.”
Lilias prese sua figlia per mano e la condusse attraverso il pianterreno della loro casa fino al primo piano, che ospitava le camere da letto private. Ogni pietra che superavano lungo la strada verso la camera dei genitori ricordava a Davina l'orgoglio negli sforzi di suo padre e la propria fiducia nella sua saggezza, che avrebbe dato ascolto alle suppliche della figlia.
Quando Lilias aprì la porta della camera da letto, sospinse Davina nella stanza, chiuse la pesante porta dietro di loro e si sedette sul divanetto accanto al fuoco, occupando un posto tranquillo ma di sostegno al fianco del marito. Parlan era in piedi davanti al camino, con le spalle alla porta, in un atteggiamento simile a quello che aveva tenuto nel salotto. “Non so con certezza quanto tu abbia sentito fuori dal salotto, Davina, ma mi dispiace che la conversazione ti abbia sconvolta così tanto.” Si voltò a guardarla, aggrottando la fronte per il dispiacere. “Non temere, ero l'unico testimone della tua fuga in preda alle lacrime.” Le sue ultime parole furono un sussurro confortante.
Davina mise il labbro tremante tra i denti, per calmarlo, e si dimostrò forte davanti al padre. “Non si tratta di niente che tu abbia provocato, padre. Sono felice di sapere che sei al corrente della mia situazione.” Le tremava la voce, ma si schiarì la gola e trattenne le lacrime. “Stavo andando nel salotto, per prendere il mio lavoro di ricamo, quando mio suocero ti ha implorato di perdonare mio marito.”
Parlan inarcò le sopracciglia, apparentemente sorpreso che lei avesse sentito tutto ciò. Annuì. “Allora sei al corrente della punizione di Ian, per la sua incapacità di affrontare le responsabilità.”
Davina annuì.
Dopo una lunga pausa, suo padre disse: “Mi rendo conto che le condizioni di questo accordo suonano come se ti stessi rimandando indietro nella tana del leone.” Parlan osservò il morbido cuoio marrone dei suoi stivali, prima di guardarla di nuovo negli occhi. “Ian non è affatto felice della stretta al suo borsellino, che Munro gli imporrà, ne sono sicuro. Per questo ho insistito che restassero qui, sotto il mio tetto, in modo da offrirti una certa sicurezza e assicurarti che sarai protetta.”
Davina diede libero sfogo al suo dolore. “Per favore, padre, fai che io non debba sopportare un istante di più di questa unione! Non possiamo fare come hai detto e sciogliere il matrimonio?”
Parlan strinse la mascella e rivolse uno sguardo dispiaciuto alla moglie. Lilias gli afferrò la mano e sembrò offrirgli il proprio sostegno. “Davina, i Russell offrono delle immense opportunità di affari, sia per me che per tuo fratello e io non potrò affidarmi per sempre a mio cugino il re. Dobbiamo sforzarci di aumentare da soli i nostri possedimenti.” Si concentrò di nuovo su Davina, le si avvicinò e le prese entrambe le mani nelle sue. “Mi dispiace che tu abbia dovuto sopportare una dose maggiore di maltrattamenti da parte di tuo marito, rispetto a tutte le altre donne. Ora che non posso più fingere di ignorare questo suo comportamento, spero che potrai perdonarmi per non avere detto niente prima. Prenderò delle misure che ti assicurino la protezione e, con il tuo aiuto, penso che riusciremo a fare funzionare questa faccenda.”
Davina dovette fare un grande sforzo per riuscire a parlare, a causa del groppo che le si era formato in gola. “Sii la mano gentile che domerà la bestia,” sussurrò, ripetendo le parole di suo suocero.
Parlan annuì. “Munro ha chiaramente fatto ben poco per mostrare a Ian come essere uomo. Il tuo soggiorno, il loro soggiorno qui, darà indefinito. Ian e Munro staranno ciascuno in una stanza degli ospiti di sopra e tu avrai di nuovo la tua stanza privata, su questo livello. Ho insistito ulteriormente con Munro e supervisioneremo entrambi il comportamento di Ian nelle prossime, numerose settimane. Munro ha accettato umilmente la mia guida come padre, e quella di Lilias come madre, per mettere Ian sulla retta via. Solo quando vedremo dei miglioramenti, ti permetteremo di osare ritornare a casa loro. Solo quando mi sentirò sicuro che tu sia amata e curata come la donna preziosa che sei, ti consentirò di andare con loro.”
Anche se Davina si sentì sollevata al pensiero che le botte e i rapporti sessuali crudeli sarebbero cessati, si sentì comunque crollare il mondo addosso. “Non conosci il vero Ian, padre. E' capace di indossare una maschera affascinante sopra il mostro che è in realtà. Lui...”
“Davina, non gli permetterò assolutamente di farti del male. Sono d'accordo che lui stia prendendo troppo sul serio la propria responsabilità di esercitare il suo dominio di marito, ma non è un pericolo per la tua vita. Se pensassi che lo fosse, scioglierei all'istante questo matrimonio. Ti proteggeremo.”
Davina odiava sapere che la sua famiglia credeva che lei avesse una propensione per il dramma. Suo padre le baciò la fronte e la attirò in un forte abbraccio. “Non lascerò che ti faccia del male. Devi farlo per la tua famiglia. Un giorno, quando Ian avrà imparato il suo ruolo e i suoi doveri coniugali, forse riuscirai a perdonarlo e ad amarlo. In caso contrario, almeno potrai trarre gioia dai figli che avrai un giorno.”
Davina lasciò scorrere le lacrime, bagnando la tunica del padre e tenendolo stretto per farsi forza e sottomettersi ai suoi desideri. Sarebbe stata l'agnello sacrificale per dare alla sua famiglia un futuro stabile.
* * * * *

Il clangore dell'acciaio contro acciaio risuonava nell'aria, rimbalzando tra le pareti e l'alto soffitto della Sala Grande e mescolandosi ai ringhi, agli ansimi e ai gemiti di Kehr e Ian che stavano duellando. Kehr parava gli affondi di Ian, si girava e colpiva il lato scoperto dell'avversario, strappandogli un grugnito. Con un sorriso sul viso, Ian spingeva Kehr in avanti e quest'ultimo ricambiava il sorriso con un proprio affondo; comunque, Ian lo bloccava efficacemente con lo scudo.
“Bene!” lo incoraggiava Kehr.
“Grazie!” diceva Ian con un altro colpo di spada, che Kehr schivava.
Davina sorrise a suo fratello, confortata dalla sua presenza. Finalmente era tornato a casa dopo una lunga permanenza a Edimburgo, in visita a Corte. Era arrivato solo il giorno prima in tarda serata e, anche se lei aveva atteso con ansia il suo arrivo e l'opportunità di passare del tempo con lui, la notizia dell'apparizione che aveva fatto visita al re aveva fatto sprofondare il suo spirito.
Tutta la Scozia era in fermento per quello che era successo al re e Kehr aveva riportato la storia con grande enfasi, nel salotto. Con il fuoco che bruciava nel camino e gettava ombre nella stanza, la famiglia si era seduta in cerchio, con gli occhi fissi sulla drammatica messinscena di Kehr.
“Inginocchiatevi di fronte al re di Scozia!” aveva gridato il consigliere del re mentre inseguiva l'uomo che aveva fatto irruzione nella cappella privata del sovrano. Kehr imitò l'ufficiale John Inglis che correva dietro all'intruso. “Ma il re ha sollevato la mano ed ha bloccato i consiglieri, perché l'uomo si è fermato prima di raggiungere Sua Maestà.”
Scoppi di risate circolarono nella stanza e Davina si mise la mano sulla bocca, per reprimere i propri risolini. “E dite che io ho la tendenza al dramma!” scherzò.
Kehr rise per la sua interruzione, ma andò avanti. “ 'Basta',” disse il re. 'Lasciatelo parlare.' I consiglieri si sono osservati a vicenda per un lungo istante di silenzio, poi l'uomo ha allungato il braccio,” Kehr mimò le azioni dell'intruso, che si chinava in avanti con il pugno di fronte a sé, “ed ha afferrato la tunica del re, dicendo 'Sua Maestà, mia madre mi ha mandato da voi per chiedervi di non recarvi dove avete intenzione di andare.'” Kehr aggrottò la fronte, rivelando il grave messaggio che l'uomo aveva consegnato al re. “' Se lo farete, non starete bene durante il viaggio, e neppure tutti quelli che verranno con voi.'” Kehr camminò altezzoso davanti alle persone sedute in cerchio nella stanza, guardando ciascuno di loro negli occhi. Davina scosse la testa per quella pausa che lui usava con efficacia. Kehr si fermò al centro del pubblico. “E semplicemente così...” schioccò le dita, “l'uomo sparì come un battito di ciglia al sole!” La famiglia sobbalzò e si scambiò mormorii. Kehr si strinse nelle spalle. “E così il re ha deciso di non dichiarare guerra all'Inghilterra.”
Davina si calmò quando il fiato le uscì di colpo dal petto... mentre tutti gli altri scoppiavano in applausi, gioivano e festeggiavano quella grande occasione. Kehr afferrò l'idromele, fece un cenno a Davina e sollevò la tazza. Lei ricambiò il cenno con un sorriso forzato. Suo fratello si sedette tra gli applausi, mentre la famiglia si congratulava con lui per quella scena e per le meravigliose notizie.
Davina aveva fatto ogni sforzo possibile per apparire felice, proprio come in quel momento, sforzandosi di mantenere la maschera di un sorriso e aggrappandosi alla consapevolezza che Kehr e suo padre non sarebbero andati in guerra, dopotutto. Per fortuna, i discorsi sulla guerra la tenevano sempre lontana dalla Corte, dove odiava passare il tempo. Inoltre, voleva Ian sul campo di battaglia... non suo fratello o suo padre.
“Resisti, Ian”, lo ammonì Kehr e riversò su di lui un assalto di fendenti, colpi e affondi che fecero arretrare Ian per tutta la lunghezza della stanza. Poiché non faceva attenzione ai propri passi, inciampò e cadde all'indietro, ma si rimise rapidamente in piedi e si voltò, per evitare l'assalto di Kehr.
“Ti stai facendo prendere dall'eccitazione, nipote?” Tammus, il fratello di sua madre, si fermò accanto a Davina.
Davina si accorse di essersi aggrappata allo schienale della sedia, mentre guardava il fratello e il marito impegnati in quella finta battaglia, come parte dell'addestramento di Ian. Allontanò le mani dal legno duro e solo allora si accorse del dolore alle dita. Rivolse lo sguardo allo zio, il viso del quale era illuminato da una tinta arancione calda, a causa della luce delle torce disposte nella stanza. “Sì, Zio, mi preoccupo per entrambi,” mentì.
Tammus le mise un braccio intorno alle spalle con affetto e la strinse a sé. “Oh, non preoccuparti, ragazza. Di sicuro una finta battaglia è diversa da quella vera che, per fortuna, non dovremo combattere affatto.”
“Sì, Zio.” Davina sorrise e rivolse di nuovo l'attenzione ai duellanti.
Quando Kehr le fece l'occhiolino, con la schiena rivolta a Ian, quest'ultimo lo colpì al sedere con la parte piatta della spada, strappando un grido al fratello di Davina. Ian inarcò le sopracciglia con finta sorpresa e Kehr partì al suo inseguimento, ma Ian scappò gridando come una ragazza e facendo il giro dell'ampia superficie della stanza. Tutti scoppiarono a ridere per quella scena comica, eccetto Davina, perché quella scena di Ian la fece stare male. Nelle ultime sei settimane, da quando il marito era stato punito con una stretta ai lacci del borsellino, Ian aveva organizzato un'incredibile messinscena per conquistare la famiglia di Davina ad ogni occasione. Anche se loro due non venivano mai lasciati soli, con suo grande sollievo, nei rari momenti nei quali lui riusciva a gettare un'occhiata nella sua direzione o la metteva con le spalle al muro nel castello, le faceva capire in privato che tutto ciò sarebbe tornato a perseguitarla, quando lui avesse ottenuto lo scopo di avere di nuovo il controllo e il denaro.
“E' un gioco delizioso tra il gatto e il topo, vero?” le aveva chiesto una volta in cui l'aveva bloccata in un angolo.
“Non riuscirai ad ingannare la mia famiglia,” gli aveva detto Davina con sicurezza.
Lui l'aveva bloccata, facendola arretrare nel vano delle scale ed appoggiando le braccia alla parete. “Pensano di potermi controllare,” sibilò, “di controllare i fili di questa marionetta, facendomi misere concessioni del loro denaro? Vedremo se a loro piace essere controllati. Sono dei tipi fiduciosi, proprio come te.” La maledisse con un sorriso malvagio e si allontanò impettito. Davina aveva iniziato a tenere un pugnale nello stivale, dopo quell'incontro. Adesso, mentre osservava la sua famiglia diventare un giocattolo nelle mani di Ian, quell'affermazione del marito le sembrò piuttosto vera. A Ian piaceva quella messinscena, gli piaceva manipolare la gente, fargli credere e fare quello che voleva lui, un gioco nel quale riusciva alla perfezione. Fino a che punto si sarebbe spinto?
Kehr riuscì a fare inciampare Ian, che finì lungo disteso sul pavimento di pietra. Tutti accorsero in suo aiuto, Kehr primo tra tutti, scusandosi. Ian rimase per un attimo stordito e Davina si concesse un sorriso segreto. Dopo essersi ripreso, Ian si pulì il sangue sul labbro inferiore e la guardò. Sollevò un sopracciglio e sorrise brevemente- solo abbastanza perché lei lo notasse- prima che il suo viso diventasse di nuovo serio, poi abbassò lo sguardo, come se soffrisse. Rivolgendo un'occhiata a Davina, si alzò da terra e si spolverò i calzoni. Il suo lieve gesto fece voltare verso Davina suo fratello e suo padre. Prima che lei capisse il piano di Ian, era stata sorpresa a gongolare per l'incidente del marito, proprio come voleva lui.
Il calore le risalì fino alle guance. Parlan la fulminò con lo sguardo, spingendo il resto del gruppo a voltarsi verso di lei. Davina si scusò per dover lasciare la scena, uscì dalla Sala Grande, attraversò il corridoio oltre il salotto, la cucina e il cortile verso le scuderie, cercando di soffocare i singhiozzi. Il crepuscolo avvolgeva il castello, gettando su tutte le cose delle sfumature grigie. Degli aloni di luce ambrata circondavano le torce disposte nei terreni intorno, per illuminare almeno un po' il percorso. Davina entrò nelle scuderie e colpì con il piede un secchio vuoto sul pavimento. Il rumore svegliò i gattini, che si stiracchiarono.
“Come possono credere alla sua messinscena?” sibilò incrociando le braccia sotto il petto, stringendo i pugni e camminando avanti e indietro. Dopo il primo incidente, Davina era andata da suo padre per svelargli il piano di Ian e lui le aveva creduto. Tuttavia, quando Ian era stato portato davanti a Munro, Parlan e Davina per spiegarsi, aveva affermato che Davina lo aveva capito male e si era scusato per essere un inetto con le parole, incapace di dire le cose nel modo giusto. All'inizio, persino Davina aveva creduto di aver sentito male, fino a quando Ian non l'aveva messa un'altra volta con le spalle al muro. Era impossibile sbagliarsi. Dopo un po', il padre aveva iniziato a credere che Davina stesse cercando di screditare Ian, mentre lui si stava sforzando di cambiare. Comunque, quei fallimenti non l'avevano scoraggiata e aveva continuato a tentare.
Due gattini sbucarono da sotto una cesta sul retro della zona di lavoro di Fife. Davina si fermò e li fissò, aspettando. Dov'erano gli altri gattini? Si chinò sui talloni, sbirciando nell'oscurità. Un altro gattino strisciò fuori, miagolando. Erano cresciuti così tanto nelle ultime sei settimane... ma solo di taglia. Il ridursi del loro numero era quello che preoccupava Davina. Quando aveva visto i gattini per la prima volta, ne aveva contati otto. Una settimana dopo- quella successiva all'inizio della punizione e della supervisione di Ian- ce n'erano sette. Aveva rimosso quella differenza nel numero, pensando di aver contato male. Quando la settimana successiva era scomparso un altro micetto, aveva pensato che quel poveretto fosse stato catturato da un gufo o da qualche altro predatore. Giusto, un altro predatore. Fife le aveva detto del terzo gattino che era scomparso due settimane dopo e aveva affermato che Ian glielo aveva portato con il cuore quasi spezzato. La testa era stata schiacciata... da un cavallo, aveva immaginato Fife. Davina aveva cercato di parlargli dei suoi sospetti, ma lui le aveva detto in un tono paterno che era troppo dura con il padrone Ian, che doveva imparare a perdonarlo per le sue passate trasgressioni e come Ian si fidasse di lui riguardo al modo di provare ad essere un marito migliore.
Erano scomparsi troppi gattini perché lei non avesse sospetti, nonostante quello che diceva Fife. Si accucciò, aspettando che il quinto micetto uscisse dalla cesta. Niente. Prese una lanterna dalla parete e diresse la luce verso l'oscurità crescente della notte che stava scendendo, nella zona di lavoro di Fife. La cesta era vuota. Quattro gattini girovagavano intorno a lei: quattro su otto. Dov'era il quinto?
Mise a posto la lanterna e fece due giri intorno all'area davanti ai box, prima di entrare in quello della sua giumenta, Heather. Afferrò la sella e la sollevò sul dorso di Heather.
“Andate da qualche parte?” La voce di Ian la fece sobbalzare e sentì dei brividi freddi danzarle lungo la schiena.
Strinse le labbra e si concentrò nello stringere i lacci di cuoio, sforzandosi di sentire quello che faceva Ian al di sopra del tambureggiare incessante del proprio cuore. Spostandosi sull'altro lato del cavallo, pestò con il piede qualcosa di morbido e balzò indietro con un grido, pensando di aver calpestato un topo. Non si mosse niente. Con la punta dello stivale, toccò la paglia che aveva calpestato. Non ci fu nessun movimento, quindi si mise in ginocchio, allungò la mano tremante e spostò la paglia. Il quinto gattino.
“Oh, mio Dio!” disse Ian in un tono triste, ma quando Davina lo vide sbirciare nel box, aveva un sorriso sulle labbra. “Non un altro?” Nonostante il terrore, lei si meravigliò di come Ian riuscisse a dare un tono affettuoso o preoccupato alla sua voce, pur mostrando un ghigno così minaccioso sul volto. Le si rizzarono i peli sulla nuca.
“Perché?” piagnucolò. “Perché lo fai?”
Lui si diede un'occhiata oltre la spalla e sorrise. “Credulona fino alla fine,” sussurrò facendole l'occhiolino.
Davina afferrò uno straccio appeso a un chiodo in fondo al box e raccolse il corpicino freddo. Singhiozzava, quando mostrò a Ian il gattino. “Hai così tanta rabbia dentro di te, che devi sfogarla sugli animali innocenti, visto che non puoi sfogarla su di me?”
“Cosa stai dicendo, Davina?” Ian fece un passo indietro, verso l'uscita delle scuderie. “Stai dicendo che io...?” Scosse la testa, fermandosi appena fuori dell'ingresso; i suoi occhi colmi di tristezza riflettevano la luce tremolante della torcia, aumentando la sua aura demonica. “So di averti fatto torto, ma non ho fatto tutto quello che potevo, per dimostrarti che sono cambiato? Cosa ancora...?”
“Eccomi qui, padron Ian,” disse Fife entrando nelle scuderie. “Cosa vi ha sconvolto così, ragazzo?”
“E' questo che pensi di me, Davina?” disse Ian vinto dal dolore.
“Guarda, Fife! Un altro gattino!” Davina singhiozzava senza riuscire a controllarsi, temendo come sarebbe andata a finire. “E' come ho detto io! Mi ha vista quando ho trovato il gattino e non ha provato rimorso!”
Fife la fissò a bocca aperta, poi guardò Ian dispiaciuto. Davina li superò di corsa, tornò nel retro delle scuderie e posò il gattino su un piccolo mucchio di paglia. Si lavò via il sangue dalle mani, piangendo, e si spruzzò l'acqua piovana del barile sul viso, per cercare di schiarirsi le idee. Appoggiando le mani sul bordo del barile, ansimò, cercando di pensare a come affrontare tutto ciò. Non può essere vero! Perché sta accadendo?
Un segno marrone incrostato sul bordo del barile dell'acqua sembrava l'impronta parziale di una mano. Un'impronta insanguinata.
Ian la afferrò per le spalle e la fece voltare così rapidamente che le girò la testa. Bloccandola contro il muro posteriore della scuderia, le parlò abbastanza ad alta voce perché Fife potesse sentire, in un tono così colmo di affetto e sincero, che lei quasi credette alle sue parole... se non fosse stato per la maschera minacciosa sul volto. “Tu sei delicata come quei gattini. Odierei se ti accadesse qualcosa del genere. Mi schiaccerebbe.” Le strinse più forte le spalle, per sottolineare la parola “schiacciare.”
Il rumore di passi che si allontanavano svanì attraverso le imposte alla sinistra di Davina, sopra il barile dell'acqua, e Ian aspettò che Fife fosse fuori della portata d'orecchio.
“Credulona fino alla fine, Davina,” la schernì. “Mi farò accettare da tutti nella vostra famiglia e tu sarai quella costretta alle restrizioni. Forse ti crederanno persino pazza, quando avrò finito il mio lavoro.”
Sentendo il mondo chiudersi intorno a sé, Davina spinse via Ian e si avviò sconvolta verso il castello. Varcò la porta della cucina con irruenza, sfrecciò lungo il corridoio che portava al salotto e si fermò di colpo sulla soglia. La sua famiglia era seduta nella stanza, con gli occhi spalancati e uno sguardo interrogativo. Fife era in piedi alla sua sinistra, accanto a suo padre: stava schiacciando il cappello tra le mani nervose ed aveva un'espressione colpevole dipinta in viso.
“Cosa hai raccontato, Fife?” Davina si appoggiò i polpastrelli freddi sulle guance bagnate e arrossate.
Suo padre incrociò le braccia. “Cos'è questa storia di Ian che uccide i gattini?”
Davina corse ad afferrare l'avambraccio del padre. “Padre, sta sfogando la rabbia su quei poveri animali indifesi, invece che su di me.” Non riusciva a controllare i singhiozzi, mentre supplicava.
“Su, padrona Davina,” la rimproverò gentilmente Fife. “Padron Ian ha detto che non potrebbe fare del male a quei gattini, più di quanto potrebbe farne a voi. Avete semplicemente male interpretato quello che ha detto.”
“Grazie per avermi difeso, Fife, ma penso che sia inutile tentare ancora.” Ian era in piedi sulla soglia e il dispiacere gli piegava gli angoli della bocca verso il basso. “Credo che Davina abbia ragione, Parlan. Dovremmo sciogliere questa unione. Non mi perdonerà mai, per quanto io possa cercare di cambiare.”
“Perché stai facendo tutto questo!” gli gridò in faccia Davina.
“Ora mi vuoi? A che gioco stai giocando, Davina?” Ian sollevò le braccia frustrato e si spostò al centro della stanza per perorare la propria causa, lasciando Davina indietro, sulla soglia.
“No, non è quello che intendo dire e lo sai! Perché stai cercando di farmi considerare pazza dalla mia famiglia?”
Ian abbassò la mascella, come se fosse stato schiaffeggiato. Annuì, chiudendo la bocca e poi gli occhi. “Ho provato, Parlan.” Guardò dispiaciuto il padre di Davina, mentre la madre singhiozzava. “Amo vostra figlia ed ho sperato di riuscire a far funzionare il matrimonio, ma è evidente che lei non mi perdonerà.” Poi disse, rivolgendosi a suo padre Munro: “Andrò in camera a preparare il baule. Sarà meglio partire domani.” Quindi si voltò verso Davina, le si avvicinò volgendo la schiena alla stanza e le rivolse quel sorriso privato e malvagio che la voce non tradiva mai. “Addio, Davina,” sussurrò e se ne andò. Munro lo seguì, guardandola con cipiglio mentre usciva.
Davina era scioccata per gli sguardi accusatori della sua famiglia. Parlan sospirò e si avvicinò al camino, rivolgendole la schiena. Lilias singhiozzava nel fazzoletto che aveva tirato fuori dalla manica. Kehr si fece avanti, con le sopracciglia piegate verso il basso. “Davina, è tempo di lasciar perdere l'amante zingaro dei tuoi sogni. Nessun uomo, né tanto meno Ian, sarà mai capace di eguagliare questa fantasia. E' giunto il momento di crescere.”
Parlan si voltò con delle espressioni mutevoli che alternavano la confusione e la rabbia. Davina quasi soffocò, per il groppo che le si era formato in gola. Persino il suo amato Kehr la tradiva, la considerava pazza! Scappò dalla stanza e ritornò nelle scuderie. Tirò fuori Heather dal box, montò il cavallo e sfrecciò attraverso i terreni e fuori dal cancello anteriore, lontano da quella follia. Le sue guance, bagnate dalle lacrime, divennero fredde quando il vento la colpì, arruffandole i capelli. Quando raggiunse una radura dove di solito trovava la solitudine, tirò le redini di Heather e saltò giù dal cavallo, lasciandosi cadere sul terreno ricoperto dalle foglie dell'autunno precedente e bagnato dalla rugiada della sera.
Dopo essersi messa in ginocchio nel mezzo della foresta illuminata dalla luna, Davina singhiozzò tra le foglie. L'amante zingaro dei suo sogni aveva avuto proprio ragione! Era trincerata nel destino che Broderick aveva previsto per la sua vita da ragazza. Ma perché stava accadendo tutto ciò? Lei desiderava solo continuare la vita felice che aveva prima di incontrare Ian. Perché Dio l'aveva sposata a quel pazzo appassionato di manipolazione e controllo? Davina avrebbe voluto solo una famiglia e qualcuno da amare.
Si raddrizzò e si posò le mani tremanti sul ventre. Aver perso il primo figlio l'addolorava profondamente, ma alla fine si era chiesta se non fosse stato meglio non avere il bambino. Davina non avrebbe sopportato di vedere il sangue del suo sangue costretto a sottomettersi al suo stesso destino, alla pazzia che lei doveva sopportare. Piegando le ginocchia sul petto, attirò le gambe a sé e abbracciò il bimbo che adesso era accoccolato dentro di lei. Aveva saltato due cicli- uno prima della punizione di Ian e l'altro nell'ultimo mese- quindi era rimasta incinta prima che lei e Ian dormissero in stanze separate. Ma cosa sarebbe accaduto al suo bambino, se tutti la consideravano pazza? Dondolando avanti e indietro con la fronte appoggiata alle ginocchia, lasciò sgorgare le lacrime.
Toccò il pugnale nello stivale con l'incavo del braccio. Trattenne il fiato, paralizzata da un'idea che le era venuta in mente. Seguendo l'orlo dell'abito, tirò fuori l'arma dallo stivale e si accucciò sui talloni. Il suo cuore era combattuto riguardo a quella decisione. Sono pazza. Ma quale altra scelta ho? Strinse le mani intorno all'elsa del pugnale e siposò la punta della lama contro il cuore. Aveva le mani doloranti, con le nocche bianche e tremanti. Non sapeva bene se aveva afferrato il coltello per paura o per farsi forza. Una lieve brezza accarezzò le sue guance sporche di lacrime, rinfrescando la pelle nell'aria della sera. Non voleva farlo- prendere la propria vita e quella del figlio non ancora nato- ma come avrebbe fatto ad affrontare la pazzia che li attendeva entrambi? Come poteva affrontare il tradimento della sua famiglia? Oppure quella era solo una scusa da codarda?
Si lasciò sfuggire un grido di frustrazione e infilò la lama nel terreno soffice e bagnato, crollando a terra. Il suo corpo era scosso dai singhiozzi e l'odore della sporcizia si mescolava a quello stantio delle foglie in decomposizione, come in una tomba. “Sono stata così vicina,” piagnucolò, “così vicina a diventare vedova. Così vicina alla libertà.” Per colpa di una decisione presa dal re, tutte le sue speranze si erano infrante come ghiaccioli contro la pietra. Persino quel membro della sua famiglia- il suo cugino reale- l'aveva tradita; l'apparizione di re Giacomo sembrava essere stata mandata apposta per lei, solo per tormentare la sua esistenza. Davina singhiozzò ancora più forte, avvinta dalla disperazione.
Heather batté gli zoccoli a terra e scosse la testa. Davina voltò lo sguardo verso la foresta buia, alla ricerca della fonte dell'agitazione dell'animale. Le si strinse lo stomaco dalla paura.
Oh, mio Dio! Sono venuti a cercarmi? Impallidì.Forse Ian era venuto a cercarla...da solo.
Solo un freddo silenzio le rispose, a parte il leggero frusciare degli alberi nel vento. Perlustrò il terreno, ma non vide niente. Dopo un altro momento di silenzio, cercò di trarre un sospiro e il sollievo la sommerse. Nessuno era venuto a cavallo per prenderla e riportarla indietro. Davina si alzò in piedi, si asciugò il naso e si avvicinò alla cavalla, continuando a lasciare occhiate intorno. “Su, su,” cercò di calmarla, allungando le mani in avanti.
Prima che potesse posare un dito sul fianco di Heather, una forza invisibile le fece uscire il fiato dai polmoni e Davina sbatté la testa sul terreno. Il suo viso fu spinto tra le foglie, mentre la testa le pulsava e qualcuno le schiacciava il corpo. Incapace di respirare o di pensare, lottò per costringere l'aria a tornare nei polmoni, facendosi prendere dal panico.
“Rilassati, ragazza,” le sussurrò all'orecchio una voce profonda. “Il fiato tornerà tra un attimo.”
Il suo aggressore la rimise in piedi in un lampo e la fece voltare a guardarlo, mentre le sue mani toccavano le contusioni fresche che Ian le aveva procurato sulle braccia, quando l'aveva tenuta bloccata contro le scuderie. Con la vista offuscata e la mente ancora scossa da quell'incontro, Davina riuscì a calmarsi e ben presto l'aria della notte d'estate tornò a riempirle i polmoni. Trasse dei respiri avidi.
“Ecco qui, ragazza.”
La paura scosse il corpo di Davina, che lottò contro quell'uomo che la teneva prigioniera contro di sé. Un bagliore d'argento fuso nelle sue pupille la attrasse in quelle profondità e Davina si calmò. Fu sommersa da un'ondata di curiosità e confusione, quando posò gli occhi su quel viso familiare- quel naso aquilino, quegli occhi verde smeraldo e quel capelli rosso fiamma. Il suo Broderick era finalmente tornato per salvarla? Spinse contro il petto dell'uomo, per mettere un po' di distanza dal suo viso e guardarlo meglio.
No. Questo viso sembrava più giovane, la mascella non era così ampia e gli zigomi erano meno scolpiti. Ho perso la testa! Avrebbe dovuto essere spaventata a morte, tra le braccia del suo aggressore, invece si stava chiedendo se quello fosse l'uomo che aveva desiderato fin dalla giovinezza.
Il pericolo in quegli occhi si trasformò in confusione, quando l'oscuro straniero osservò il viso di Davina. Afferrandole i capelli, le spinse indietro la testa. Un grido sfuggì dalle labbra di Davina, mentre l'uomo le tirava i capelli sul bernoccolo che aveva in testa. Fu costretta a fissare il cielo nero e la luna piena sopra di lei. Trattenne il fiato, mentre la bocca dell'uomo si posava sulla sua gola e un dente affilato le perforava la pelle tenera. Un breve dolore... poi un'ondata inaspettata e calda di piacere le percorse le vene e Davina crollò contro di lui con un gemito, cedendo all'euforia.
Quell'uomo- quella creatura- le sondò la mente in un'invasione seducente dei suoi pensieri, apprendendo tutto di lei mentre beveva. In pochi istanti, Davina visse di nuovo i piaceri dell'infanzia, le frustrazioni dell'adolescenza e le fantasie dell'amante zingaro dei suoi sogni. Quei lontani ricordi di Broderick si fecero avanti impetuosi e la circondarono... l'aroma esotico dell'incenso, la forte presenza del suo calore, le farfalle nella pancia, quando l'aveva visto.
Davina rivisse la notte in cui aveva incontrato Broderick.
“Cosa vedete, signore?”
I loro visi erano vicini, quando la voce profonda di lui l'aveva messa in guardia. “Non posso mentirti, ragazza. Farlo sarebbe un disastro.”
“Un disastro?”
“Sì.” I suoi occhi di smeraldo erano fissi in quelli di Davina. “Il futuro non sarà piacevole. Ma non devi perdere la fede. Hai molta forza. Usa quella forza e tieniti stretto ciò che ti è caro, perché sarà quello che ti aiuterà ad attraversare i tempi difficili che devono ancora venire.”
“Cosa accadrà, signore?” insistette lei.
“Non mi è noto. Non conosco i particolari. Le linee sul palmo non rivelano questi dettagli, dicono solo che ci saranno delle difficoltà nel tuo futuro. Ricorda quello che ti ho detto. Aggrappati alla tua visione della forza.” Il resto dei ricordi che arrivavano fino a quel momento scorsero veloci e la riportarono alla disperazione che stava provando quel giorno.
Bene, quindi. Che questo straniero beva la vita che fluisce nel mio corpo. Che faccia quello che non riesco a fare da sola. Finalmente avrò pace e morirò tra le braccia dell'uomo che, al momento, immagino sia quello che amo. Nei momenti che erano passati da quando lui aveva chiuso la bocca sulla sua gola, si era sentita pervadere dalla serenità.
Lo straniero si staccò da Davina e la lasciò cadere a terra. Il collo della giovane pulsava. Le girava la testa per i rapidi ricordi che vorticavano nella sua mente e che le mostravano la vita come una recita riuscita male.
Osservando l'immagine sfuocata dell'uomo che iniziava a schiarirsi, lo vide gettare la testa indietro e ridere come un matto. “Dopo due decenni di ricerche, ho finalmente quello che cercavo!” Si inginocchiò davanti a lei e le prese il viso nei palmi. “Dio non è molto generoso con la mia razza, quindi posso solo ringraziate il Signore Oscuro per avermi portato un tale dono!” Respirò a fondo, mentre il sorriso si allargava. “Per quanto il tuo sangue sia dolce, mia cara signora,” disse l'uomo leccandosi il sangue sulle labbra, “ti lascerò alla tua tragica vita.” Il bagliore di argento fuso scomparve dai suoi occhi.
Le domande che vorticavano nella mente di Davina svanirono nella disperazione familiare che la percorse e le afferrò il cuore. A che giochi contorti stava giocando il Destino con lei? Perché rivivere quei momenti, con la Morte a portata di mano, solo per vedersi strappare via quella chance di libertà? Allungò le mani verso di lui, ma la debolezza dominava il suo corpo. “No”, cercò di dire attraverso il groppo che aveva in gola, soffocando le lacrime che le pungevano gli occhi. “Non potete lasciarmi a tutto questo. Per favore... finite il vostro lavoro.”
Lui le mise un dito sotto il mento. “Andrà tutto bene.” Le posò il palmo sulla fronte e la mente di Davina divenne nebbia. Poi tutto diventò nero.
* * * * *

Il cielo sopra di lei era cosparso di stelle e la luna era ormai alta. Davina si sedette, con la testa che girava, e toccò il bernoccolo che pulsava dietro il cranio.
“Grazie a Dio!” esclamò una profonda voce maschile. Una figura indistinta si inginocchiò davanti a lei e Davina si sforzò di schiarirsi la vista, per cercare di identificarla. “Cosa pensate?”
Lei aggrottò le sopracciglia confusa e con un gran caos nella testa. “Cosa...?
“Mi scuso. Forse sono stato troppo zelante nel cercare di salvarvi da voi stessa.” Quando Davina provò ad alzarsi, le mani calde dell'uomo sulle sue spalle la spinsero di nuovo giù. “Credo che abbiate bisogno di rimanere seduta ancora per un momento. Sapete dove vi trovate?”
Davina perlustrò la zona con lo sguardo, mentre il mondo iniziava ad apparire. Era seduta al centro della radura nella foresta, che frequentava quando era in cerca di solitudine. Heather si trovava un po' distante e stava mangiando le foglie di un cespuglio. Perché era lì? Guardandosi le mani tremanti, cercò di trovare una risposta. Lasciò vagare lo sguardo e riconobbe il suo pugnale nelle mani dell'estraneo. Osservò quello straniero, quegli occhi verde smeraldo colmi di preoccupazione sotto la luce argentata della luna. Le sembrava così familiare. Le si bloccò il fiato in gola: assomigliava così tanto all'amante zingaro dei suoi sogni, eppure non era come lui.
“State ricordando,” disse lui annuendo. “E' stata una fortuna che io sia arrivato, signora. Dio solo sa cosa vi abbia spinta a volervi togliere la vita, ma per il bene della vostra anima, spero che non proverete a ripetere quel gesto orribile.”
“Per favore, signore.” Davina gli posò una mano implorante sul braccio. “Cos'è successo?”
“Oh, pensavo che lo ricordaste.” L'uomo si schiarì la gola. “Stavate per togliervi la vita, quindi vi ho fermato. Nel farlo, avete sbattuto la testa. Spero che potrete perdonarmi.” Alzò gli occhi al cielo e mormorò: “Avrei potuto portare a termine questa faccenda io stesso, per colpa della mia goffaggine.”
“Non vorrei darvi cattive notizie, signore, ma vorrei che l'aveste portata a termine.”
“Sciocchezze!” Lui inalò a fondo e sembrò riprendere il controllo, dopo quello sfogo. “Perché credete che io sia qui, signorina?”
“Non sono sicura di capire cosa intendete, signore.”
“Tanto vale dire tutto subito, anche se le mie parole potranno sembrare folli.” Le prese entrambe le mani nelle sue e la fissò dritto negli occhi. “Non stavo girovagando per caso in questi boschi, stanotte. Lo dico dopo avervi salvato la vita, ma all'inizio ho dubitato della mia salute mentale. Stavo attraversando la vostra piccola e umile cittadina più in basso, quando questi boschi mi hanno chiamato. E' arrivato un messaggio nella mia mente mentre cercavo, senza sapere cosa stessi cercando. Il messaggio diceva: 'Devi dirle che lui tornerà, che la salverà. Devi dirle di non rinunciare alla speranza e di aggrapparsi a quell'immagine della forza.'”
Davina sobbalzò.
“Sapete cosa significa?”
Lei annuì.
“Bene, perché io non lo so.” Sollevò l'angolo della sua bella bocca, quando lei non offrì spiegazioni. “Ma non importa. Sono contento di non essere pazzo, dopotutto.”
“Lo sono anch'io, signore,” rispose lei in soggezione. Una nuova speranza sbocciò nel petto di Davina. “Ringrazio il Signore perché Lo stavate ascoltando, stanotte. Grazie per avermi fermata.” Represse l'istinto di abbracciare quell'estraneo oscuro, che era diventato il suo salvatore e messaggero, sotto forma dell'uomo che amava, e invece gli baciò le nocche in segno di gratitudine.
“Beh, questa è la ricompensa più grande che io abbia mai ricevuto e che mi sarei mai aspettato.” La aiutò ad alzarsi in piedi, senza lasciarle la mano fino a quando lei non dimostrò di tenersi salda sui piedi e non gli assicurò di essere in grado di cavalcare. Davina montò in sella ad Heather e lui le porse il pugnale, offrendole la parte del manico. Quando lei allungò la mano a prenderlo, l'uomo lo tirò indietro. “Ve lo restituisco con molte esitazioni, cara signora. Mi promettete di non rivolgere mai più la lama verso il vostro cuore?”
“Sì, signore, lo prometto.” Lui le restituì il pugnale e Davina lo infilò nello stivale. “Il messaggio che mi avete consegnato mi ha dato una ragione per vivere.”
“E' un grande sollievo.” Lui le diede una pacca sul ginocchio. “Penso che riuscirete a tornare indietro da sola.”
Lei annuì e il suo viso avvampò dalla vergogna. “Sì, sono sicura che la mia famiglia non abbia capito le mie intenzioni, quando me ne sono andata in quello stato. Essere costretta a spiegare come mi avete salvata da me stessa, metterebbe entrambi in una posizione imbarazzante.”
“Lo farebbe di certo. Anche se mi piacerebbe molto riaccompagnarvi, ho altre questioni urgenti. Ho aspettato qualcuno per molto tempo, e credo che non aspetterò più. Mi avete dato anche voi un segno, mia cara signora. Comunque, sono sicuro che ci rivedremo.” Retrocedette di qualche passo e la salutò con la mano, prima di voltarsi e andarsene. “Buonanotte, bella signora!”
“Oh, signore! Qual è il nome del mio salvatore, così potrò includerlo nelle mie preghiere?”
“Angus!” le gridò senza perdere il passo.
Capitolo 3

Stewart Glen, Scozia—Tardo Autunno 1514—15 Mesi Dopo
“Lasciatemi sola! Non toccatemi” Davina lottava contro le mani che la trattenevano.
“Davina. Davina.”
La dolcezza di quella voce la bloccò e lei scappò via, incerta di dove si trovasse.
“Sono io, Davina, tua madre!” Lilias accese una candela di sego e si arrampicò sul letto accanto alla figlia. Riuscì a calmarla, avvolgendola tra le sue braccia confortanti e dondolando avanti e indietro. “Va tutto bene. E' morto. Ricordi? E' ormai da molto tempo nella tomba, amore.”
“Sì, madre.” Davina sospirò e lasciò che sua madre le asciugasse la fronte sudata. “Cailin?”
“Cailin sta bene,” la rassicurò sua madre. “Myrna si sta occupando di lei. Riposa tranquilla, Davina.” Lilias sospirò e continuò a cullare sua figlia. “Sono passate molte settimane, dall'ultima volta che un incubo ti ha turbata.”
Davina annuì. Suo marito Ian era morto da un anno, ma gli incubi la perseguitavano ancora; tuttavia, negli ultimi tempi sembravano farsi più rari e ciò le dava un po' di speranza.
Erano successe così tante cose dalla notte in cui aveva cercato di togliersi la vita. Il tempo passava così velocemente che sembrava essere svanito; eppure, visto che lei continuava ad aspettare con impazienza il ritorno di Broderick, come le aveva promesso Angus, l'oscuro straniero, il tempo sembrava allungarsi in eterno. Anche se Ian era riuscito ad ottenere l'appoggio della sua famiglia, una lunga conversazione con loro aveva alleviato la tensione, quindi avevano concesso a Davina il vantaggio di osservare Ian più da vicino. I lividi che lui le aveva procurato afferrandola dietro le scuderie avevano aiutato la sua causa. Tuttavia, anche se lei aveva avuto il coraggio di mostrare loro le cicatrici che portava sul corpo per le botte passate, sciogliere il matrimonio non era più un'opzione. Davina aveva detto di essere incinta e, anche se la sua condizione dava alla famiglia un'ulteriore ragione per tenere Ian lontano da lei durante il periodo di osservazione, ciò aveva reso più solido il matrimonio.
Per fortuna, quella prova aveva tradito la vera natura di Ian, ma prima che potessero essere prese altre misure disciplinari, re Giacomo aveva cambiato idea e aveva dichiarato guerra all'Inghilterra. Prima che gli uomini fossero chiamati alle armi, Ian aveva cercato di scappare, prendendo tutto quello che poteva dalla residenza di suo padre per mantenersi, ma Munro e Parlan l'avevano fermato. L'avevano tenuto rinchiuso sotto chiave, fino a quando non erano partiti anche loro, con l'accusa di tradimento che pendeva sulla sua testa, nel caso di un'ulteriore fuga da parte sua. La sera prima della partenza, Ian aveva giurato che sarebbe tornato e che Davina avrebbe rimpianto di essere nata. Kehr aveva promesso a Davina, quando si erano detti addio in privato, che Ian non sarebbe tornato.
Il 9 settembre 1513, la battaglia di Flodden Field aveva travolto i patrioti scozzesi- portando via persino il loro re coraggioso- ed aveva lasciato una scia di donne dal cuore spezzato, incluse Davina e sua madre. La guerra non aveva trascinato soltanto suo marito sul campo di battaglia, ma anche suo fratello Kehr e suo padre Parlan, e si era rivelata una vittoria dolce-amara. Come aveva detto Kehr, Ian non era tornato. La sua morte l'aveva resa libera, ma le era costata la perdita dei suoi amati padre e fratello. Lo zio Tammus- che era uno dei pochi ad essersi salvato- aveva arrancato fino a casa, portando con sé i corpi di Parlan e Kehr. In mezzo agli altri numerosi uomini massacrati, il corpo di Ian non era stato trovato, visto che c'erano state così tante perdite. Avevano sepolto Kehr e Parlan nella loro terra e vederli scendere nel terreno freddo aveva dato un senso di finalità alle loro vite. Comunque, con la morte di Ian, il bambino che lei portava in grembo- da tre mesi allora- avrebbe avuto la possibilità di vivere una vita pacifica.
Anche Munro era caduto in battaglia, lasciando a Davina l'eredità delle sue proprietà e dei suoi fondi. Visto che lei non sopportava l'idea di tornare nel posto in cui Ian l'aveva terrorizzata, era tornata a casa. Ormai quel capitolo della sua vita era chiuso e la attendevano nuove responsabilità, come aiutare sua madre ad amministrare Stewart Glen. Inoltre, Tammus aveva assunto il ruolo di loro tutore e passava metà del tempo a Stewart Glen e metà nelle sue proprietà. Visto che anche suo figlio era morto in battaglia e sua moglie di parto, Tammus era stato felice di assumersi la responsabilità della famiglia.
Quindi, se i tormenti di Davina erano finiti, se Ian era morto e sepolto da tempo, come diceva sua madre... perché lui perseguitava ancora i suoi sogni? Perché lei non riusciva a sfuggire al timore del suo ritorno? Forse gli incubi erano dovuti al fatto che il suo corpo non era mai stato trovato e Ian era ancora una minaccia sospesa. Forse Davina aveva solo bisogno di perdonarlo e di smettere di odiarlo, alla fine.
Myrna entrò nella stanza, cullando un neonato che piangeva. “Vi chiama, padrona Davina.”
Davina avvertì il latte spingere in avanti nel suo seno e gocciolare sulla camicia da notte, al suono del pianto della bambina, quindi trasalì a disagio. Allungò le braccia a prendere la figlia di otto mesi dalla cameriera di sua madre. “Sì, amore,” tubò e calmò la neonata con baci e carezze sul suo piccolo viso. “Grazie, Myrna.” Davina notò che Myrna aveva perso molto peso nell'ultimo anno: la morte di Parlan e Kehr sembrava costare cara anche a lei. Davina si voltò verso sua madre. “Starò bene, madre. Cailin può stare con me per il resto della notte.”
Lilias diede a madre e bambina un bacio sulla fronte e le lasciò sole, alla luce della candela. Myrna la seguì immediatamente. Il bagliore della fiamma tremolava e danzava nel silenzio, gettando una luce soffusa sul viso della neonata. Le labbra di Davina si posarono sulla guancia di Cailin e la giovane si asciugò le lacrime. Tenere la neonata tra le braccia le fece dimenticare facilmente i suoi incubi. Sistemandosi la bimba su un fianco, aprì la camicia da notte bagnata e la bocca avida si chiuse sul suo capezzolo. Cailin smise di piangere ed emise dei soffi lievi e caldi contro la pelle di Davina.
Davina osservò la neonata che poppava- il suo nasino, le ciglia morbide sulle guance paffute, i capelli color cannella, folti e ricci, intorno al suo viso angelico. Nascose il viso tra i riccioli setosi della figlia e lasciò sgorgare lacrime silenziose tra i soffici boccoli. “Che benedizione da una maledizione,” sussurrò. Giurò a se stessa, come aveva fatto centinaia di volte dalla morte di Ian, che non si sarebbe mai più lasciata brutalizzare da un uomo.

* * * * *
La luce del sole mattutino baciò il viso di Davina e lei distese le membra in quel calore. Osservò la cameriera che apriva le tende e canticchiava una melodia, mentre prendeva i vestiti di Davina dall'armadio.
“Buongiorno, Davina.”
Davina sorrise. “Buongiorno, Rosselyn.” Si alzò dal letto, tenendo Cailin tra le braccia, e portò la figlia semi-addormentata oltre la porta-finestra, sul ballatoio esterno. Inalò a fondo l'aria fredda e sospirò. Con i mesi invernali ormai imminenti, il cielo era ancora in ombra e non era ancora illuminato dal sole che sorgeva tardi. Appoggiò la mano sul muro gelido in pietra a vista. L'orgoglio le gonfiava il petto per l'ingenuità di suo padre. Aveva usato i resti del camminamento sul muro di cinta della struttura più antica, per creare una terrazza. Quello era l'aspetto della sua camera da letto che Davina preferiva, perché offriva la vista sul cortile, sulla fitta foresta alla sua sinistra e sul villaggio in lontananza. Senza alcuna ragione apparente, sentì lo stomaco sfarfallare dall'eccitazione, come se aspettasse un dono atteso da molto tempo. Strano.
Davina sorrise e rientrò, andando a sedersi su una sedia ricamata, dove cullò la neonata; quindi aprì la vestaglia e la camicia da notte ed offrì uno dei seni turgidi alla figlia. Con avido entusiasmo, Cailin succhiò, afferrò una manciata dei capelli di Davina e chiuse gli occhi. Una balia che vivesse con loro era costosa e, anche se aveva ricevuto un'eredità sostanziosa dalla famiglia del marito, Davina faceva molta attenzione nel conservare quei fondi. Lei e la sua famiglia non possedevano titoli e il loro legami con la Corona attraverso la nascita illegittima del padre erano troppo distanti per quei lussi. Tuttavia, se la passavano abbastanza bene da possedere delle terre ed avere un rapporto reciproco con la comunità crescente di Stewart Glen. Quella sistemazione andava molto bene a Davina: la sua età e la sua posizione le permettevano di tenere un basso profilo, quindi non si preoccupava di trovare pretendenti. In ogni caso, non avrebbe mai mandato sua figlia lontano, presso una balia, ed era contenta dei seni prosperosi che le procurava l'allattamento di Cailin.
Dopo un po', Cailin smise di poppare e Davina si voltò per offrirle l'altro seno. Lilias entrò nella stanza e baciò Davina sul capo. “Vorrei che oggi aiutassi Caitrina e le sue ragazze con il bucato, Davina. Io, Rosselyn e Myrna ci faremo aiutare da Anna a spazzare e a cambiare i pagliericci.”
“Certo, madre,” disse Davina alzandosi e passando Cailin a Myrna, che portò la neonata nella nursery. “Andrete di nuovo al mercato, oggi?”
“Come previsto!” disse Lilias con finto stupore. “Devo continuare la mia eterna ricerca di nastri!” Ridacchiarono, poi Lilias uscì per dedicarsi alle proprie faccende.
Rosselyn sorrise. “Devo sbrigarmi con il nostro pasto.” Spezzò il digiuno insieme a Davina, quando ritornò con un vassoio, poi aiutò Davina a finire di vestirsi. Per prepararla al bucato di quella mattina, raccolse i lunghi capelli ramati che le ricadevano sulla schiena in una treccia stretta, che legò sotto la cuffia.
Come posso affrontare l'argomento? si chiese Davina mentre Rosselyn cercava di sistemarle le ultime ciocche. Come faceva negli ultimi tempi, Davina aveva voglia di parlare del fratello e del padre. Quale può essere il modo più adatto per introdurrel'argomento, senza farlo spuntare all'improvviso dal nulla? Guardò il vassoio, fissando ilmiele.
“A cosa pensi, Davina?”
Fu travolta dal sollievo, visto che Rosselyn aveva fornito una perfetta opportunità. “Stavo pensando a mio fratello, Roz. Il miele del nostro pasto mi ha ricordato che io e Kehr abbiamo fatto delle piccole incursioni di mezzanotte per molti anni.”
Rosselyn non fece alcun commento, mentre aiutava Davina a indossare la sottoveste. Allacciò la tunica di lana marrone, evitando il contatto visivo, con le lacrime che le salivano agli occhi e l'angoscia che le corrugava la fronte.
Le guance di Davina avvamparono per il silenzio di Rosselyn, ma lei continuò imperterrita. “Fino al giorno del mio matrimonio, io e Kehr sgattaiolavamo lungo i corridoi bui fino alla dispensa, ridacchiando come neonati nella nursery.”
Rosselyn non distolse mai lo sguardo dai suoi compiti, stringendo un labbro tra i denti dalla concentrazione.
Davina si voltò verso di lei e bloccò le sue mani sottili. “Per favore, parlane con me, Rosselyn. Dalla morte di mio padre e mio fratello, nessuno parla mai di loro con me. Ho paura di non riuscire a ricordarli.”
Il labbro inferiore di Rosselyn tremò. Le lacrime le scesero lungo le guance, oltre la linea attraente della sua mascella. “Davina, io...” Fissò l'amica per un lungo istante.
Quando Davina credeva ormai che l'amica avrebbe aggiunto qualcosa, Rosselyn si allontanò e scomparve nel guardaroba. Per quanto Davina desiderasse raggiungerla e consolarla, sentendosi responsabile per il suo stato, la fuga di Rosselyn indicava che aveva bisogno di tempo, quindi le lasciò qualche momento da sola.
Davina si voltò quando Rosselyn uscì dal guardaroba con gli occhi arrossati. “Grazie per avermi aiutata a vestirmi, Roz.”
Rosselyn annuì e si scusò, lasciando Davina in un silenzio spiacevole e con il cuore vuoto, per quell'ennesimo tentativo fallito di rievocare insieme a qualcuno. Davina prese un fazzoletto pulito dal cassettone e si sedette sul divanetto davanti al camino, nascondendo il viso nel lino fresco. Si asciugò il viso, infilò il fazzoletto nella manica, raddrizzò le spalle e si concentrò sulla giornata che aveva davanti. Le faccende domestiche sarebbero state una gradita distrazione.

Portate a termine le faccende più importanti per quel giorno, Davina e Lilias si rinfrescarono e si vestirono in modo più appropriato per andare fino al villaggio. Davina indossò un abito bordeaux plissettato in oro e ricamato con disegni verde-muschio sul petto. Un pizzo dorato decorava lo scollo squadrato della tunica, allacciata stretta come sostegno. Il soffice lino verde-muschio della sottoveste spuntava dalle aperture delle maniche bordeaux.
“Oh, nessuno di questo andrà bene!” si lamentò Lilias con Davina davanti al venditore. “Tutti i miei nastri sono vecchi. Qui non c'è niente di carino per sostituirli!”
Il mercante le guardò accigliato, mentre si allontanavano. Davina si voltò e rivolse uno sguardo di scuse all'uomo. “Oh, fai i capricci, mamma. Ti ho comprato dei nastri solo pochi mesi fa.”
“Sì! Sono vecchi!”
Una risatina sfuggì dalle labbra di Davina mentre spingeva la madre attraverso il mercato, facendosi strada tra i venditori ambulanti e i richiami cantilenanti dei mercanti, che cercavano di convincerle ad acquistare le loro merci. La folla riunita all'ingresso della piazza concesse a Davina una pausa e le fece sollevare le sopracciglia dalla curiosità. “Guarda, mamma,” disse puntando l'indice.
Allungarono il collo, cercando di vedere sopra la ressa. Delle risate scoppiarono in mezzo alla confusione e la folla riunita si divise per lasciare passare il corteo.
“Zingari!” strillò una giovane donna, infilandosi tra la folla fino a raggiungere la gente ferma di fianco a Lilias. “Gli zingari sono in città!”
Il cuore di Davina martellava contro le costole e la sua mano corse al petto. Erano passati almeno due anni dall'ultima volta in cui gli zingari erano venuti a Stewart Glen e lei non vedeva il gruppo al quale apparteneva il suo gitano gigante da nove anni. Davina mormorò una preghiera silenziosa.
Lilias le picchiettò la mano con autorità. “Avranno sicuramente una bella selezione di nastri che vengono da ogni parte del mondo.”
“Sì, madre,” disse Davina, sorpresa dalla propria mancanza di fiato.
Davina e Lilias si fecero strada attraverso quella foresta di corpi, per vedere passare il corteo. Con una musica festosa che tintinnava sulla folla, gli acrobati ruzzolavano sulla strada, i giocolieri lanciavano spade infuocate e torce nell'aria. I carrozzoni passavano rimbombando in un arcobaleno di colori, tutti dipinti di blu, verde, giallo e rosso brillante con decorazioni in ottone e rame. Alcuni avevano degli intagli nel legno scolpiti da eccellenti artigiani; vacillavano tutti, carichi di merci, vasellame e utensili, perline e sciarpe, visi allegri e mani che salutavano. Un carrozzone dipinto con delle stelle e dei simboli mistici avanzava lentamente, guidato da una bella ragazza con folti capelli biondi sulle spalle. Accanto a lei era seduta una donna rugosa e dai capelli scuri, che scorse Davina, socchiuse le labbra e spalancò gli occhi quando la riconobbe.
“E' tornato,” sussurrò Davina.
Guardò il grande carrozzone passare. La vecchia si sforzò di vedere Davina oltre la spalla, spostando di lato le sciarpe e le perline ciondolanti.
Davina fu travolta dall'eccitazione. E' tornato! E' davvero qui! Guardò i carrozzoni che procedevano oscillando e scomparivano lungo la strada principale. I suoi occhi saltavano da un viso all'altro nel corteo, mentre la gente le passava davanti, ma non lo vide da nessuna parte.
Lilias annuì, guardando gli acrobati in coda al corteo che si lanciavano a vicenda nell'aria. “Dovremmo tornare stasera e guardare il loro spettacolo, Davina. Promette di essere una serata molto divertente.”
“Sì, mamma,” disse finalmente Davina con un sorriso crescente. “E' proprio vero!”

* * * *

Un grido penetrò nell'oscurità e Broderick MacDougal corse in quella direzione, con un nodo allo stomaco per l'urgenza. Lei corse fuori dalla foresta verso di lui, con i capelli rosso-carota che sventolavano dietro di lei come una bandiera, gli occhi spalancati e colmi di terrore.
“Broderick!” urlò la bambina. Si guardò indietro da sopra la spalla, come se stesse scappando da qualche mostro orribile. Il suo corpo esile e fragile si gettò nelle braccia di Broderick e lui la avvolse nel suo abbraccio confortante, consolando la bimba dal viso lentigginoso. “Su, su, piccola. Sei al sicuro.”
Broderick si ritrasse per asciugarle le lacrime, ma non teneva più la giovane tra le braccia. Una donna matura, che assomigliava alla fanciulla, si aggrappava a lui adesso, con una folta cascata di capelli ramati che le incorniciava il viso. I suoi occhi color dello zaffiro, velati di lacrime, lo fissavano con speranza e la bocca arcuata tremava seducente. Il suo seno pieno premeva contro il petto di Broderick, che reagì con un gemito.
Un ringhio gutturale in lontananza riportò la sua attenzione su chi stava inseguendo la donna. Volgendo le spalle alla foresta buia e portando la donna tra le braccia, si diresse verso un banco di nebbia bianca nella valle, dove sarebbe stata al sicuro. Lei nascose la testa contro il suo petto, aggrappandosi a lui, mentre il suo calore penetrava nella carne di Broderick.
Quando raggiunsero la sicurezza della nebbia, lei gli premette il palmo sulla guancia. “Sapevo che saresti tornato.” La sua voce roca stuzzicò il desiderio che stava crescendo nei lombi di Broderick.
La lasciò scivolare davanti a sé e contro la sua erezione, facendola restare in piedi. Broderick gemette quando le sue mani accarezzarono le curve della donna e si rese conto che l'unica barriera tra le sue mani e la pelle di lei era una camicia da notte estremamente sottile.
“Sapevo che saresti tornato, Broderick,” sussurrò lei, toccandogli le labbra con i polpastrelli.
Broderick si chinò, le prese la bocca in un bacio affamato e lei si aprì a lui, invitandolo a sondare la sua dolcezza. Il semplice contatto fisico bastò ad eccitare le sue voglie- il calore della sua pelle, il profumo di rose e del suo sangue, il sapore della sua bocca, il suono della sua voce che sospirava il nome di Broderick- ma una connessione ancora più profonda spinse il suo corpo a reagire con un desiderio impetuoso che si diffuse nell'inguine. Cercò con le mani l'orlo della camicia da notte e sollevò la stoffa lungo i fianchi della donna, dove strofinò i palmi sulle morbide sporgenze delle natiche. La sollevò di nuovo tra le braccia e la convinse ad avvolgergli le lunghe gambe intorno alla vita, mentre le sue dita esploravano le pieghe bagnate della sua vagina. Lei sussultò e gettò indietro la testa, aggrappandosi alle sue spalle.
“Su, ragazza,” la incoraggiò Broderick. Giocherellò con il nocciolo sensibile e lei spinse i fianchi contro la sua mano, gemendo di piacere mentre si contorceva nella sua presa.
Lei gli circondò il collo con le braccia, fuse le labbra con le sue e mugolò l'orgasmo nella sua bocca. Quindi interruppe il bacio, sussultando tremante, senza fiato. “Ti voglio dentro di me, Broderick.”
Il suo membro si drizzò con trepidazione. Afferrandole il posteriore con una mano, Broderick si slacciò i calzoni, lasciando libera l'erezione. Lei era già bagnata e pronta per lui e scivolò sul suo membro con una facilità che fece piegare le ginocchia di Broderick, il quale si lasciò cadere sull'erba umida e se la fece salire a cavalcioni in grembo, mentre si metteva sulle ginocchia. Broderick le afferrò le natiche, muovendola su e giù mentre affondava il membro dentro di lei e guardava le labbra piene della donna che sussurravano il suo nome. Con una salda presa sui suoi fianchi, spinse più a fondo e più forte, tirandola contro di sé, incapace di saziarsi di quella donna e muovendosi sempre più vicino all'apice.
Lei lo implorò, con il fiato caldo contro l'orecchio. “Dì il mio nome, Broderick.” Lo fissò dritto negli occhi. “Davina,” lo incoraggiò. “Voglio sentire la tua voce piena di passione, mentre pronunci il mio nome.”
Un sorriso si allargò sulla bocca di Broderick e lui le obbedì prontamente. Chinandosi in avanti, la fece sdraiare sotto di sé, sollevandole i fianchi per avere un accesso migliore, e grugnì tra i suoi capelli.
“Davina!” Broderick MacDougal saltò su nel buio della grotta, svegliandosi dal sonno e strofinandosi l'erezione. Nell'oscurità, i suoi occhi perlustrarono lo spazio intorno. Mentre la nebbia del sonno diurno svaniva dalla sua mente, si rilassò e si sdraiò di nuovo.
Il suo corpo era coperto da un manto di sudore e lui era senza fiato. Sogni. Sembravano cose da mortali, eppure, dopo così tanti anni, ne aveva fatto uno. Toccandosi il membro turgido, si rese conto di non avere più avuto un'erezione mattutina da prima della sua trasformazione, circa...
Si bloccò e fece il calcolo. Sono veramente passati quasi trent'anni, da quando hofatto questo passo? Il tempo gli sfuggiva così in fretta. Aggrottò la fronte. Avrebbe voluto che qualcuno dei suoi ricordi scomparisse altrettanto velocemente. Tuttavia, nonostante il passare degli anni, il dolore del passato non diminuiva.
Scuotendo la testa per scacciare i ricordi che minacciavano di riemergere, trasse un respiro profondo per allontanarli e preferì riflettere su quel sogno. Un gemito lungo e sofferto gli sfuggì dalle labbra. Da dove era arrivata quella visione così dettagliata? Rimase sdraiato a sorridere, desiderando che quelle immagini riempissero i suoi sogni ogni volta che dormiva, anche se si rimproverò perché non aveva portato a termine il suo compito e si sentiva così insoddisfatto. Era strano che avesse sognato la ragazzina dal viso lentigginoso alla quale aveva letto la mano l'ultima volta che si erano recati in quella cittadina- e il ricordo della sua giovinezza ed innocenza gli fece afflosciare il membro.
Broderick scoppiò a ridere per la reazione del suo corpo.
L'aveva vista abbastanza spesso, durante le numerose visite che la ragazza aveva fatto ad Amice, quindi era improbabile che lui la dimenticasse. Le sue incursioni segrete nella dispensa con il fratello, per rubare il miele, gli solleticarono la mente, insieme al modo in cui il cuore di Davina tambureggiava nel suo petto ogni volta che lo vedeva. Bella e innocente, era destinata a spezzare qualche cuore. Gli sfuggì una lieve risatina, al ricordo dalla predizione di Amice: Hai il suo cuore per sempre, figlio mio.
Quanti cuori aveva spezzato, dopo così tanti anni? Molti, se si era veramente trasformata nella visione adulta di bellezza del suo sogno. Broderick emise un gemito da predatore e il suo membro si risvegliò per il desiderio. Davina era ancora lì, dopo tutto quel tempo? Probabilmente cresciuta e circondata da una nidiata di marmocchi. Se lei fosse stata sua moglie, e se il suo sogno era un indizio di come sarebbe stata a letto, quella donna sarebbe stata eternamente incinta. Se lui fosse stato mortale.
Era proprio uno strano sogno, dopo tutti quegli anni. Tornare lì aveva forse scatenato il suo desiderio di proteggere la ragazza, dopo averle letto la sorte? Aveva avuto il futuro tormentato che lui aveva predetto? Quel desiderio di proteggerla doveva essere piuttosto forte, se gli aveva suscitato quel sogno dopo tanti decenni. Interessante.
Broderick si alzò per vestirsi. La sua spada rivestita d'argento era appoggiata contro il muro di pietra, insieme al rozzo sgabello sul quale erano posati i suoi vestiti, gli stivali e lo sporran- il sacchetto di cuoio che portava appeso alla cintura. Si era fatto preparare appositamente la spada in vista dello scontro con Angus Campbell, con la lama realizzata in argento- l'unica arma che sapeva avere effetto contro un Vamsyriano. Anche se non aveva avuto molti motivi per usare la spada negli ultimi decenni, Broderick si esercitava con la lama, usando la sua forza immortale e la sua velocità per maneggiare quell'arma come non aveva mai imparato a fare da mortale. Tenere la spada nella propria presa, godere del peso dell'arma, gli dava sicurezza nel senso mortale del termine. Tuttavia, la portava raramente con sé al campo e la lasciava appoggiata contro il muro della grotta. Se Angus fosse stato vicino, Broderick l'avrebbe saputo.
Dopo essersi vestito, uscì dalla grotta e perlustrò con lo sguardo la foresta circostante. Aveva preceduto la carovana degli zingari, conoscendo la loro destinazione, ed aveva trovato la grotta che aveva usato l'ultima volta che erano venuti a Stewart Glen. Le grotte erano l'ideale, ma non abbondavano nei terreni più piatti dell'estremità orientale della Scozia. Per fortuna, quella cittadina si annidava tra le alture di una terra rocciosa ricoperta da una fitta foresta, perfetta per nascondersi nelle ore diurne. Broderick preferiva qualcosa come una grotta o una casa abbandonata, che richiedevano pochi preparativi. Dall'altro lato, se non erano disponibili e la zona non sembrava sicura, scavare diventava necessario, a volte- un compito che Broderick disprezzava perché gli ricordava troppo una tomba. Sapeva di dormire nella trance dei non-morti durante il giorno, ma scavare nella terra a quell'ora non era il promemoria di cui aveva bisogno- troppo da incubo per i suoi gusti.
Il lento risvegliarsi della Fame gli stuzzicò le viscere. L'immortalità aveva i suoi vantaggi, ma non era priva di tormenti. Anche se poteva ancora mangiare, il cibo normale non gli serviva a niente. I Vamsyriani dovevano cibarsi di sangue umano. Non perché la mancanza di sangue fosse fatale- questo Broderick lo aveva scoperto cinque anni dopo la trasformazione, facendo il suo viaggio personale alla scoperta dei propri limiti nonostante i consigli del suo mentore, Rasheed. Quel viaggio personale aveva dato a Broderick dei vantaggi sul mentore e sugli altri Anziani, quindi aveva scelto di tenere segrete quelle lezioni private, per mantenere tali vantaggi. I Vamsyriani avevano dimostrato di essere una razza sospettosa. Uno stato mentale contagioso, ammise Broderick conriluttanza. Ancora una volta, il passato cercava di riemergere e lui scacciò quel terrore crescente. Ne aveva abbastanza di quel ripasso della propria storia. Era tempo di soddisfare la Fame.
Broderick sentì rizzarsi i peli dietro la nuca e saettò lo sguardo sulla foresta. Quella sensazione era un'altra cosa che non aveva provato per qualche anno- la presenza di un altro Vamsyriano. Arretrando verso la grotta, sfoderò la spada ed aprì i sensi a quell'esperienza, chiudendo gli occhi e perlustrando la zona intorno a sé. L'aria fresca della notte gli sfiorò le guance e un brivido leggermente familiare gli scese lungo le membra. Angus?
Broderick localizzò la direzione della presenza e si fiondò nella foresta, con gli alberi e i cespugli che scorrevano in un lampo. Anche se non era l'unico a possedere l'abilità di avvertire la presenza di un proprio simile- perché ogni Vamsyriano poteva percepire lo spirito di un altro- gli ci erano voluti molti anni per aumentare quel raggio più di tutti quelli che conosceva. Era uno dei vantaggi che aveva ottenuto dal suo mentore. Continuando l'inseguimento, si girò da una parte all'altra insieme alla presenza, sicuro che, chiunque fosse, sarebbe rientrato nei limiti di quello che Broderick chiamava confine standard. Invece, fu sorpreso fino a fermarsi gradualmente, avendo perso la percezione di quella presenza. Chiuse gli occhi ed estese la percezione. Ancora niente. Broderick serrò la mascella, sconfitto.
Una rapida perlustrazione della zona immediatamente circostante rivelò un lair- un buco profondo scavato nel terreno, il cui ingresso era nascosto dietro un grande masso che solo qualcuno dei suoi simili avrebbe avuto la forza di spostare. Broderick poteva stare in piedi nel rifugio a malapena e l'ampiezza era appena sufficiente ad ospitare una zona notte per qualcuno della sua taglia. Osservò la biancheria da letto di lana e lino nella penombra, e la sua vista immortale gli diede la capacità di scorgere i pochi effetti personali. Chiunque fosse il proprietario di quel lair non si era lasciato dietro abbastanza da fornire a Broderick qualche indizio... eccetto uno. L'aroma speziato che veniva dal letto gli sembrava vagamente familiare.
Broderick scosse la testa ed uscì dal buco. Non poteva essere certo che appartenesse ad Angus. Erano passati troppi anni, per essere sicuro che l'essenza che avvertiva o annusava fosse proprio quella del suo nemico. Quel buco avrebbe potuto ospitare qualcun altro, che lui aveva forse incontrato durante i suoi numerosi viaggi. Lui non sarebbe stato felice di trovare il proprio nascondiglio distrutto, quindi, finché non fosse stato sicuro, lo avrebbe lasciato perdere. Comunque, prese nota della collocazione e si voltò per dirigersi di nuovo verso il villaggio di Stewart Glen. Doveva ancora nutrirsi.

Gli zingari avevano montato l'accampamento sul limitare dei boschi intorno alla cittadina di Stewart Glen. Avevano eretto le tende, scaricato i carrozzoni e messo in mostra le merci per le due successive settimane di baratti, accattonaggio, spettacoli e persino qualche furto. Sarebbero rimasti più a lungo, se ci fosse stato un flusso costante di visitatori pronti a spendere il proprio denaro. O se avessero potuto trovare lavoro nelle fattorie, ma il raccolto era finito, quindi il lavoro sarebbe stato scarso. Persino il clima li avrebbe potuti trattenere nei dintorni, ma in generale preferivano evitare i soggiorni lunghi. Evitavano sempre di logorare quel benvenuto: non c'erano molti posti pronti ad accogliere gli zingari, in quel difficile periodo di pestilenza e povertà.
Il cielo avvolto nell'oscurità lasciava che i falò e le torce illuminassero l'accampamento di una danzante luce gialla. Broderick perlustrò con lo sguardo le numerose tende e i carrozzoni, avvicinandosi al campo, per scoprire dove si trovava quello di Amice e Veronique. Individuò il carrozzone mistico: la tenda era floscia e Broderick gemette. Aveva mostrato molte volte a Veronique come aiutare Amice a montare la tenda. Lei avrebbe dovuto iniziare ad assumersi più responsabilità. Era semplicemente pigra o le mancava veramente la capacità di montare una tenda correttamente? Quante altre volte Broderick avrebbe dovuto mostrarle come portare a termine quel compito? Scosse la testa. Almeno il loro accampamento si trovava in un punto vantaggioso, ai confini dell'insediamento- vicino alla cittadina, da dove gli abitanti sarebbero entrati in fila nel campo. Un falò invitante bruciava con un bagliore caldo e Broderick si avvicinò alla tenda, da dove poteva vedere l'ombra di Amice, che si preparava per quella serata di predizioni del futuro.
“C'était la fille,” disse Amice sottovoce, ma l'udito immortale di Broderick colse la sua voce anche a quella distanza. “So che era lei.”
Broderick si fermò sulla soglia della tenda. La figura curva di Amice si affaccendava lì intorno, sistemando il tavolo e gli sgabelli ed accendendo le lampade a olio. La natura protettiva di Amice lo accudiva come una madre, e lui aggrottò la fronte. Lei aveva saputo qualcosa del suo passato, anche se Broderick non aveva mai parlato a lungo della propria storia. Amice aveva colto dei frammenti e dei pezzi della sua vita negli anni, delle immagini che intuiva dentro di lui, prima che lui imparasse a controllare i pensieri. A volte Broderick si lasciava sfuggire qualcosa durante le loro conversazioni e rivelava ulteriori dettagli delle sue tragedie. Di conseguenza, Amice credeva di sapere di cosa lui avesse bisogno.
Broderick entrò nella tenda e la strinse in un abbaccio. “Bonsoir, Amice.”
“Buonasera, figlio mio,” gli rispose lei in francese, ricambiando l'abbraccio, poi continuò a preparare il tavolo per la serata. Accese l'incenso e soffiò sulle braci, fino a quando non avvamparono. Broderick adesso era abbastanza vicino da sentire i suoi pensieri. Lui non mi ascolterà. Farò meglio a non menzionarla affatto.
Broderick si avvicinò alle spalle di Amice e le sussurrò all'orecchio: “Stai progettando di farmi sposare, eh?”
Lei si voltò e lo fulminò con lo sguardo. Broderick indietreggiò di colpo, per evitare la sua ramanzina. “Resta fuori dai miei pensieri, Broderick MacDougal! Io non invado la tua mente! Mi aspetto la stessa cortesia!”
“Ho sentito le tue parole, mentre mi avvicinavo,” protestò lui. I pensieri di Amice le appartenevano e Broderick sapeva che lei odiava l'invasione della sua privacy, ma non poté fare a meno di prenderla in giro. Quei giochi mentali erano piuttosto innocui. “Sei così focosa, per essere una vecchia ragazza! E dimmi, chi avresti in mente?”
“Non avrei mai dovuto insegnarti a perfezionare i tuoi poteri mentali!”
“Ti procuro troppo denaro, per parlare sul serio,” scoppiò a ridere Broderick.
“Prova solo a continuare ad invadere la mia mente e vedrai quanto posso diventare focosa! Ti farò un incantesimo e... ti innamorerai di un pollo!” Annuì con enfasi.
Broderick cercò di trattenersi il più a lungo possibile dallo scoppiare a ridere per quella minaccia ridicola, stringendo forte le labbra, ma alla fine proruppe in una raffica di risatine. “Non ho scelto di nascondermi tra gli zingari per essere sposato in eterno con un pollo! Quale demone dell'Ade ti ha fatto pensare a una punizione del genere?” Broderick scosse la testa, continuando a ridere.
Amice stessa rise di quella sciocca maledizione, con il corpo curvo che sobbalzava come quello di una bambina. Scosse la testa, respirò a fondo e riprese il controllo della risata. “E' stata la prima cosa che mi è venuta in mente.” Accarezzando il viso di Broderick, disse: “Per favore, sistema la tenda, prima di andartene. So che devi nutrirti.”
“Va bene.”
* * * * *
La pioggia gli bersagliò il viso, mentre teneva indietro la testa e fissava lo sguardo verso le nuvole grigie. Troppo debole per muoversi, troppo debole persino per alzare la testa, emetteva dei respiri deboli e tremanti. Gli girava la testa e non riusciva ad orientarsi nell'ambiente circostante. Sbattendo gli occhi, cercò di schiarirsi la mente. Perdeva sangue. Il taglio sulla coscia faceva colare la sua vita sul campo di battaglia. Con la coda dell'occhio colse un movimento che fece accelerare il suo debole battito. I baffi tremolanti e il naso che si contraeva sembrarono enormi così vicini al viso. La pelliccia bagnata del ratto era arruffata in ciuffi e le gocce cadevano dalle estremità e dai baffi, solleticandogli le guance. Sentiva delle zampine che strisciavano sul suo ventre squarciato, altre lungo il fianco della sua gamba ferita. Lasciò uscire un grido disperato dalle labbra tremanti, con tutta la forza che aveva.

Tirandosi su a sedere nel letto, con il sudore che gocciolava dal naso, si risvegliò dall'incubo e respirò a fondo per calmare il cuore impazzito.
Delle mani callose gli sfiorarono il petto nudo, facendolo sobbalzare per quelle sensazioni graffianti, così simili ai ratti. “Su, su, amore,” stridette una voce roca. “E' solo un altro incubo.”
Lui rabbrividì e si voltò su un lato, lontano da lei. Gli faceva accapponare la pelle, ma era un mezzo per arrivare a uno scopo. Il suo naso di contrasse per il materasso di paglia ammuffito del suo giaciglio, mentre si rannicchiava in posizione fetale. Nonancora per molto, si consolò. Solo un'altra settimana o poco più, poi sarò libero.
* * * * *
Le strutture che ospitavano i negozi e le attività di Stewart Glen sovrastavano Broderick con una sentenza opprimente, mentre procedeva nelle strette strade lastricate. Camminava a testa alta e rifiutava di arrendersi al loro scrutinio. Il piccolo villaggio di Stewart Glen era cresciuto in quegli ultimi nove anni, e ciò gli andava molto bene, perché aveva aumentato le sue possibilità di trovare delle anime malvagie delle quali cibarsi. Una densa umidità permeava l'aria fredda, rendendo tutto sfocato e logoro. I suoi passi non facevano rumore sulle pietre, mentre cercava movimenti nell'ombra. Un grido soffocato lo raggiunse dall'oscurità lontana. Il rumore di una zuffa e dei piagnucolii stimolarono la sua sensibilità. Una voce aspra trafisse la sua compassione. Si avvicinò di soppiatto.
“Me lo devi! Ora dov'è?”
Il rumore inconfondibile di una mano che colpiva la carne- come quello di una bistecca che sbatteva su un tagliere di marmo- rimbombò nella penombra. Quando Broderick svoltò nel vicolo all'angolo dell'edificio, si fermò sul limitare delle ombre. Un uomo dall'aspetto di un orco torreggiava su un bambino rannicchiato in un angolo; il ragazzino teneva le mani sopra la testa, cercando di difendersi dall'aggressore.
“Qualsiasi cosa pensi che lui abbia,” disse Broderick interrompendo l'uomo, “credo che a questo punto te l'avrebbe già data.”
Il bambino osò guardare oltre le gambe da bue dell'uomo davanti a lui. Il suo viso era gonfio e pulsava, arrossato, aveva un occhio pesto e le labbra spaccate e sanguinanti. La Fame si risvegliò, ma Broderick tenne sotto controllo la brama di sangue.
Anche se aveva assistito molte volte a quel genere di abuso, i risultati di quella brutalità riuscivano ancora a scioccare Broderick. Entrò nel vicolo e si fermò imponente davanti all'uomo.
Ascoltò i pensieri di quel tipo. Dopo essersi ripreso dallo shock di essere sfidato da qualcuno, lui notò la struttura massiccia di Broderick e si spaventò. Posso farcela, pensò. Gonfiò il petto e ficcò un dito nella spalla di Broderick. “Non sono assolutamente affari tuoi! Ora girati e dimentica questa faccenda, oppure...”
Broderick afferrò la mano dell'uomo che lo toccava, spezzandogli le ossa come delle ali secche e facendolo cadere in ginocchio. Lo fulminò con lo sguardo, disgustato. Due istanti prima, quel tipo faceva il prepotente con un bambino indifeso, senza alcun riguardo. Ora il codardo piagnucolava e implorava di avere salva la vita, ricevendo un assaggio della sua stessa brutalità.
Broderick lasciò andare la mano, lo afferrò per il colletto della camicia macchiata di grasso e lo sollevò da terra, avvicinando il viso dell'uomo al suo. I suoni e gli odori della paura sembravano una sinfonia per i sensi di Broderick. Chiuse gli occhi e si godette la melodia. Il cuore dell'uomo batteva con una cadenza colma di paura; il suo sangue faceva il coro attraverso il suo corpo, riscaldando la pelle. Inalando a fondo il calore che gli accarezzava il viso e le narici, Broderick accolse la Fame che cresceva dentro di lui, mentre un prurito familiare gli solleticava le gengive e gli incisivi si allungavano. Il suo corpo tremava dal desiderio di sangue. Broderick ringhiò contro quell'uomo, fin troppo bramoso di soddisfare la Fame. Sorridendo soddisfatto, mostrò le zanne perché il tipo le vedesse.
Il codardo spalancò gli occhi, spinse e scalciò contro Broderick, cercando di scappare, mentre le sue grida agghiaccianti vibravano nel vicolo. Tuttavia, non appena iniziarono le urla, Broderick lanciò l'uomo contro il muro, riducendolo al silenzio. Gemendo per l'impatto, quest'ultimo si contorse agonizzante sul pavimento del vicolo. Broderick lo rimise in piedi: adesso la sua vittima era più arrendevole, quindi gli afferrò il viso, costringendolo a fissarlo negli occhi. Girandogli il volto da un lato, affondò le zanne nella gola dell'uomo.
Nutrirsi delle sue vittime gli concedeva l'accesso completo ai ricordi delle loro vite.
Una volta che Broderick si era cibato di qualcuno, non c'erano più segreti. Veniva a sapere tutto di loro, fino al momento in cui si era nutrito... e in quegli istanti, avrebbe voluto bloccare alcune delle loro esperienze. Broderick era spettatore di immagini orribili! Anche se quell'uomo era stato una vittima da bambino, una volta cresciuto aveva molestato abbondantemente ed abusato di bambini di ogni età e di entrambi i sessi. E peggio ancora, regnava su un gruppetto di bambini provenienti da Strathbogie, una città più grande, e vendeva i loro corpi in cambio di denaro a uomini e donne perversi della Corte, aristocratici che si eccitavano per il piacere di conoscere il corpo di un bambino. Il bambino di quella sera, nel vicolo, era uno dei pochi che facevano parte del nuovo gruppo organizzato a Stewart Glen.
Broderick riempì la mente dell'uomo con immagini terrificanti dell'inferno, dei demoni e della tortura eterna- quel tipo di tortura e abuso che l'uomo infliggeva a quei bambini. Lo avrebbe voluto prosciugare del sangue che ancora rimaneva nel suo corpo. Tuttavia, prima di reclamare la sua vita, riuscì a controllare la Fame e si costrinse a fermarsi, lasciando cadere l'uomo tra la sporcizia.
Broderick aveva già prosciugato l'uomo più del dovuto e immaginava che la guarigione sarebbe stata più lenta del solito, ma aveva smesso di nutrirsi in tempo. Non aveva ancora raggiunto il punto di non-ritorno. Se l'uomo temeva un possibile futuro, come Broderick sperava, si sarebbe nascosto per un po', per rimettersi in salute. Sarebbe sopravvissuto. Broderick sbuffò. Se la fortuna avesse avuto qualche influenza, quell'uomo non sarebbe riuscito a sopravvivere ai propri peccati e si sarebbe tolto la vita. Ma anche se Broderick pensava che la morte di quell'uomo sarebbe stata un atto di giustizia, non aveva il diritto di porre fine alla sua esistenza pietosa.
Voltandosi verso il bambino, Broderick gli si avvicinò, ma quello si rannicchiò ancora di più nell'angolo. “So che sei terrorizzato. Per favore, devi credermi se ti dico che non ti farò del male.”
Il bimbo rimase al suo posto.
Broderick provò per la seconda volta, ma nessuno dei suoi tentativi di convincere il bambino ebbe successo. Tuttavia, non poteva lasciarlo con quei terribili ricordi. Come un serpente che si avventa sulla preda, Broderick strappò il ragazzino dalle ombre e lo tenne tra le braccia. Prima che il bambino potesse capire cos'era successo e iniziasse a gridare, gli premette il palmo sulla fronte e chiuse gli occhi. Concentrandosi profondamente, cullò il bambino fino a farlo scivolare in un sonno profondo.
“Non ricordare nulla, piccolo,” sussurrò Broderick, cancellandogli quell'esperienza dalla mente.
Posò poi il corpo zoppicante del bimbo in terra, nel vicolo, e controllò le sue ferite. Estrasse il pugnale dallo sporran, si incise il palmo e premette il suo sangue immortale sulle piaghe del bambino, come un unguento. Le ferite guarirono in pochi istanti, come se non ci fossero mai state. Anche il taglio di Broderick guarì alla stessa velocità e lui riaprì la lesione più di una volta, per continuare a versare il sangue sulle ferite. Quando ebbe terminato, sistemò di nuovo il bimbo nell'angolo con gentilezza, rannicchiandolo in una posizione adatta al sonno, poi gli mise qualche billon penny nella tasca. Il ragazzino si sarebbe risvegliato da quella prova come se quell'esperienza fosse stata un terribile incubo. Si sarebbe solo chiesto da dove venivano le monete che aveva in tasca.
Broderick si voltò quindi verso il codardo che giaceva inerme nel vicolo, immerse un pollice e spalmò il suo sangue immortale sulle due piccole ferite sul collo dell'uomo. Si caricò quel tipo sulla spalla e lo trasportò fino ai margini della cittadina. Non voleva che fosse nei dintorni del bambino, quando si fosse svegliato. Provando ben pochi rimorsi gettò l'uomo tra i cespugli lungo la strada che conduceva a nord, verso Strathbogie.
Quando Broderick tornò all'accampamento degli zingari, Amice lo accolse con la fronte aggrottata. “Va tutto bene, figlio mio? Sembri scosso.”
“Sì, Amice. Tutto bene.” Broderick si costrinse a sorridere e baciò Amice sulla testa, poi scomparve nella tenda. Amice conosceva il suo umore, ma sapeva anche quando era meglio tenersi a distanza. Non l'avrebbe seguito nella tenda e non avrebbe insistito per avere più informazioni.
Broderick chiuse gli occhi, maledicendo le proprie emozioni. L'ira che aveva liberamente sfogato sulla sua vittima, quella sera, era una conseguenza del suo fallimento nell'inseguire la persona di cui aveva avvertito la presenza. Si meritava quello che avevaottenuto. Riaprì gli occhi e camminò avanti e indietro nella tenda, mentre un malessere gli formicolava nelle membra. Un uomo della sua taglia così meditabondo, non sarebbe riuscito a spingere i clienti ad essere generosi con il denaro, quindi si concesse un attimo per calmarsi e prepararsi a quella serata di previsioni del futuro, assicurandosi di mantenere i sensi in allerta. Si sedette dietro il tavolino sul cavalletto, con gli occhi chiusi e le braccia conserte. Fece un respiro profondo e confortante ed immaginò la tensione abbandonare il suo corpo come la sabbia attraverso un setaccio.
Sì, lascia andare tutto quanto. Meditare sul suo sogno sarebbe stata una piacevole distrazione. Un sorriso si formò sulle sue labbra.

“Davina!” chiamò Lilias, distogliendo l'attenzione della figlia dallo spettacolo sbalorditivo di un uomo che si metteva una torcia infuocata in bocca. Lilias era ferma davanti a uno zingaro che aveva le braccia traboccanti di nastri e fece cenno a Davina si andare da lei.
Davina si allontanò dallo spettacolo con molta riluttanza e si spostò nel punto in cui Lilias stava parlando con lo zingaro carico di nastri. “Oh, questi sembrano molto meglio di quelli che abbiamo visto questo pomeriggio,” concordò Davina.
Lilias era in estasi davanti a quella ricchezza di colori, alla varietà dei materiali e dei modelli e prese tutti quelli che riuscì ad infilare nella borsa. Pagò il mercante, poi lei e Davina si avviarono verso le altre tende, ammirando i gingilli e le merci provenienti da ogni angolo della terra. Davina tenne gli occhi ben aperti per tutto il tempo, cercando la vecchia zingara e il suo carrozzone mistico. Non aveva idea di dove fosse finita Rosselyn.
Lilias e Davina osservarono un arrotino molto esperto, che affilava una lama fino a farla brillare, poi si tennero i borsellini stretti contro il corpo, quando Lilias sorprese un ragazzino che tagliava un sacchetto di monete dalla cintura di un uomo. Davina lasciò vagare lo sguardo su un tavolo ricoperto di spille,fermagli e gioielli di tutte le forme. Il mercante si chinò in avanti con una spilla, cercando di convincerla a comprare quel gioiello, ma lei rifiutò scuotendo gentilmente la testa, mentre toccava la spilla che Kehr le aveva regalato e che le chiudeva il mantello sulle spalle. Una melodia triste sgorgava dalla “O” perfetta della boccuccia di una bimba zingara, mentre il suo anziano nonno teneva una tazza di latta ammaccata nella mano nodosa, chiedendo l'elemosina ai numerosi passanti. Davina lasciò cadere qualche billon penny nella tazza.
Mentre Davina e Lilias procedevano nel bel mezzo di quell'attività, un uomo scalciò una palla di argilla grande come un melone fuori dal fuoco davanti al suo carrozzone; la palla rotolò sul loro cammino, facendole sobbalzare. L'uomo si avvicinò per scusarsi e raccolse la palla bollente con uno straccio, riportandola dove era seduto. Davina deviò verso di lui, che spaccò la palla di argilla con una pietra. Raccolse quindi un coltello da terra accanto a sé e lo conficcò nella palla, rivelando un centro bianco e fumante. Davina si avvicinò ulteriormente, scrutando le sue azioni. “Cosa avete lì, signore?” chiese.
“Riccio arrostito,” rispose l'uomo, offrendole un pezzo di carne con la punta del pugnale. “Vorreste assaggiarlo, signora?”
Lilias storse il naso. “Oh no, Davina!” Afferrò la mano tesa della figlia e guardò sbalordita l'uomo, come se fosse matto. “Grazie, ma no!”
Davina rise della riluttanza di sua madre. “Suvvia, madre. Coraggio!” Davina prese la carne che le veniva offerta e soffiò per ridurre il calore. Annusò e le venne l'acquolina in bocca. “Oh, ha un profumo divino!” Si mise il boccone in bocca ed esplorò quel gusto nuovo, masticando molto lentamente e assaporando quel sapore succulento. “Quasi come il coniglio.”
Sua madre stava ancora scuotendo la testa ed aveva persino stretto le labbra, perché il suo messaggio fosse chiaro. Trascinò via Davina, che stava ringraziando l'uomo per l'assaggio.
Lilias spinse la figlia, poi puntò il dito a indicare la tenda dipinta con la donna dai capelli dorati che toccava un mazzo di carte, con lo sfondo notturno ed i simboli mistici intorno a lei. La vecchia era in piedi accanto ai lembi dell'apertura e faceva loro cenno di avvicinarsi. Il cuore di Davina prese a martellare contro la cassa toracica.
“Dovete farvi leggere la mano,” disse la donna anziana quando si avvicinarono, nel suo forte accento francese.
“Sembravate molto interessata a mia figlia questo pomeriggio, madame,” disse Lilias.
Davina fissò la zingara dritto negli occhi. “Mamma, questa è la gitana che sono venuta a trovare al villaggio molti anni fa.” Lilias espresse il suo piacere e Davina fece un passo avanti, afferrando le mani protese della donna. “Bonsoir, Amice.”
“E' bello vederti, bambina.” Amice fece un passo indietro ed ispezionò Davina. “Oh, chérie! Sei diventata una donna talmente bella! E' un miracolo che io ti abbia riconosciuta, quando siamo passati! Quanto mi sono mancate le nostre piccole conversazioni accanto al fuoco. Ero felice ogni volta che tornavi.” Amice guardò Liljas. “E' evidente che ha ereditato la bellezza da voi, madame.”
“Siete troppo gentile, Amice.” Lilias sorrise con orgoglio a sua figlia. “Devi farti predire la sorte, cara.”
“Anche voi, madame.”
“Oh, no. Sono sicura che il mio futuro non abbia in serbo niente di cui valga la pena discutere.” I lineamenti di Lilias si velarono di tristezza, che lei cercò di mascherare con un sorriso, ma Davina sapeva che sua madre piangeva il marito Parlan e il figlio Kehr. “Conoscere il futuro sarà più utile a mia figlia che a me.” Si voltò verso Davina. “Ti aspetterò qui, tesoro.” Amice fece cenno a Lilias si sedersi vicino al focolare e le porse una tazza di argilla colma di tè bollente. Due giovani abitanti della città che Davina riconobbe uscirono dalla tenda ridendo, e si fermarono di colpo per evitare di scontrarsi con lei. Fecero un inchino per scusarsi e se ne andarono.
Mentre sua madre ed Amice conversavano in privato, Davina scacciò un senso crescente di disagio, prima di entrare nella tenda. Non poteva permettere alle sue preoccupazioni di rovinare quel momento eccitante che aveva atteso così a lungo. L'aroma speziato di incenso le pervase i sensi e il suo corpo fremette al ricordo dell'ultima volta in cui era entrata in quel mondo esotico- ricordi che aveva rivissuto ancora e ancora negli ultimo nove anni.
Si voltò verso di lui.

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