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Approccio Alla Neuromatematica: Il Cervello Matematico
Juan Moisés De La Serna
Si è parlato molto di matematica negli ultimi anni, soprattutto in termini di necessità di un'istruzione applicata in tenera età, ad esempio nel caso dell'economia, come mezzo per preparare i minori al loro futuro impegno di cittadini. Ci sono stati anche miglioramenti nei processi di apprendimento relativi all'incorporazione di nuovi strumenti pedagogici importati da altri Paesi. Si è parlato molto di matematica negli ultimi anni, soprattutto in termini di necessità di un'istruzione applicata in tenera età, ad esempio nel caso dell'economia, come mezzo per preparare i minori al loro futuro impegno di cittadini. Ci sono stati anche miglioramenti nei processi di apprendimento relativi all'incorporazione di nuovi strumenti pedagogici importati da altri Paesi. Ma la più grande rivoluzione è avvenuta nel campo delle neuroscienze e il progresso che hanno avuto negli ultimi anni ha permesso di studiare e comprendere il funzionamento del cervello mentre sviluppa delle funzioni come la matematica. Da qui la necessità di disporre di lavori sempre aggiornati che affrontino i diversi temi legati al campo delle neuroscienze e della matematica. Un libro accessibile per tutti coloro che vogliono approfondire la conoscenza del cervello e come sfruttarne le potenzialità in termini di educazione matematica.


Approccio
alla
Neuromatematica
Il Cervello Matematico

Juan Moisés de la Serna
Traduzione italiana Valeria Bragante

Tektime Editore

2021
Titolo originale: “Aproximación a las Neuromatemáticas: el Cerebro Matemático”
Scritto da Juan Moisés de la Serna
Traduzione italiana Valeria Bragante
1a edizione: gennaio 2021
© Juan Moisés de la Serna, 2021
© Tektime Edizioni, 2021
Tutti i diritti riservati
Distribuito da Tektime
https://www.traduzionelibri.it

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Prologo

Si è parlato molto di matematica negli ultimi anni, soprattutto in termini di necessità di un’istruzione impartita in tenera età, ad esempio, nel caso dell’economia, come mezzo per preparare i minori al loro futuro impegno di cittadini.
Ci sono stati anche miglioramenti nei processi di apprendimento relativi all’incorporazione di nuovi strumenti pedagogici importati da altri Paesi.
Ma la rivoluzione più grande è derivata dalle neuroscienze e il progresso che hanno avuto negli ultimi anni che ha permesso di studiare e comprendere il cervello mentre sviluppa funzioni come la matematica.
Da qui la necessità di disporre di lavori sempre aggiornati che affrontino i diversi temi legati al campo delle neuroscienze e della matematica.
Un’opera accessibile per tutti coloro che vogliono approfondire la conoscenza del cervello e come sfruttarne le potenzialità in termini di educazione matematica.
Dedicato ai miei genitori
Indice degli argomenti

1. Introduzione alla Neuromatematica (#ulink_094923b3-14bf-5464-8e33-fa117673906d)
Le Strutture del Cervello (#ulink_a321500a-24e4-593f-9f35-5bc33e03ab14)
La relazione tra Cervello e Matematica (#ulink_887825c3-c113-5b66-b89b-08a2847177b7)
Riferimenti (#ulink_9150d4aa-a1b0-52f1-897e-d852fd26dacb)
2. LO Sviluppo Matematico (#ulink_5d3115d1-3b21-5df7-adc6-47b55cdb7e65)
La Funzione dell’Apprendimento (#ulink_9eb0fe41-36ba-5d0c-9a4e-5d481bca583f)
L’Apprendimento della Matematica (#ulink_868d4ee7-d4e2-51bc-b574-96dffac6d3f0)
SVILUPPO DEL CALCOLO MATEMATICO (#ulink_b557114b-37a6-5cbd-834c-1575458b1dad)
Errori nelle prestazioni matematiche (#ulink_488cf960-aa21-56ee-a9ab-f64cfa8e6c8f)
Migliorare la Didattica della Matematica (#ulink_60a78cf4-516d-5f14-945d-439388040201)
Riferimenti (#ulink_84c7e5d6-bc0b-5746-9c26-9b6001b092db)
3. Processi neuronali della matematica (#ulink_0e472c01-d4ad-5565-9887-3a885c57e1d8)
L’Attenzione e IL Cervello Matematico (#ulink_a1e413aa-2d73-5e95-a852-126adb5a34c3)
La Metacognizione in Matematica (#ulink_cd9808e9-53a9-53dc-bdd5-ae57c722f930)
La Memoria e il suo rapporto con la Matematica (#ulink_e7d3f1dc-e256-5426-8d06-54738a7b6f03)
Le Emozioni e il Cervello Matematico (#ulink_44228472-3484-58d7-9e58-935b5c0cf076)
Il Linguaggio e la Matematica (#ulink_acffde0e-a7a2-5835-be42-52791fb56cc7)
Il Pensiero Matematico (#ulink_12f817a3-2dab-5016-b978-74d83481d4fb)
Riferimenti (#ulink_4cb6cbb1-22ed-57ba-8844-bb05ba651c50)
4. Basi Neuronali dell’Intelligenza Matematica (#ulink_876cee3b-abee-574c-8013-6245f9e1440b)
Teorie implicite vs. Tendenze esplicite (#ulink_1f379196-0556-5c0c-81a4-ad3924f8daaa)
Moda e linguaggio neuronale (#ulink_f7e98dca-7e87-5dbe-9c7f-c05fb4e35928)
Bias matematici di base (#ulink_2f97e604-0e3f-5b49-b774-ce058cb893d6)
Bias matematici complessi (#ulink_9db737ce-ea2d-567e-8074-87e62b6ef18e)
Il Cervello del Genio della Matematica (#ulink_2f7531d0-d2b7-5276-a0be-2f028ceb5efb)
Riferimenti (#ulink_fe23385f-6495-5e56-bcc7-bf61963d8379)


1. Introduzione alla Neuromatematica
Quando si pensa ad un genio della matematica, di solito si pensa a qualcuno particolarmente dotato, in grado di risolvere quasi tutti i problemi e che ha poche difficoltà a trovare le soluzioni. Questo testo affronterà il concetto di intelligenza matematica, prestando particolare attenzione al cervello, e come questo faciliterà il lavoro di formazione nell’area della matematica. Tutto ciò basato sui principi dell’apprendimento e dello sviluppo delle capacità cognitive necessarie alla matematica.
Tenendo presente che parlare di genio significa parlare di qualcuno particolarmente dotato in uno o più settori, che si tratti di musica, pittura o matematica. Sebbene la società riconosca alcuni geni per le loro opere e produzioni, a volte i progressi in certe aree non sono sufficientemente apprezzati come nel caso della matematica. Essere affascinati quando si vede un dipinto o si ascolta una partitura musicale scritta da un genio è relativamente facile e provoca allo spettatore una certa sensazione di piccolezza, ma quando si tratta di matematica, genera confusione e mancanza di comprensione.
Se chiediamo a chiunque il nome di qualche genio famoso, sicuramente sarà in grado di menzionare più di un personaggio storico, quindi nel caso della pittura, potrebbe indicare Manet, Rubens, Van Gogh, Picasso…; in filosofia, Aristotele, Socrate, Descartes…; in musica Mozart, Beethoven, Verdi…; ma se la stessa domanda fosse posta a riguardo della matematica? Quanti matematici famosi saremmo in grado di ricordare? Sicuramente Einstein, e forse Newton, ricorderemo persino Pitagora, ma saremo in grado di indicarne pochi altri.
Tuttavia, questo libro non vuole limitarsi solo alla descrizione di ciò che rende un genio matematico diverso dagli altri, ma va un po’ oltre, avvicinandosi a questo argomento dal punto di vista delle neuroscienze, cioè scoprendo come funziona il cervello quando deve affrontare un compito matematico.
Nonostante lo studio del cervello non sia recente, negli ultimi anni si è assistito ad un grande accumulo di informazioni su questo organo e sul suo funzionamento, grazie al progresso della tecnica, soprattutto di tecniche non invasive, che ci permettono di verificare come funziona il cervello mentre alcune attività vengono svolte, come spiegato in questo libro, risolvendo compiti matematici.
Un piccolo paragrafo per chiarire la distinzione tra tecniche invasive e non invasive, le prime si riferiscono a quelle tecniche che richiedono una manipolazione diretta del cervello e che di solito comportano operazioni chirurgiche o impianti neurali, tra le altre cose. Le tecniche non invasive, invece, sono quelle che ci permettono di conoscere il cervello e il suo funzionamento dall’esterno, grazie a processi di inferenza, basati proprio su calcoli matematici.
Pertanto, le tecniche non invasive più utilizzate e conosciute sono quelle relative all’EEG (Elettroencefalogramma), che raccoglie informazioni dal cuoio capelluto e da lì si deduce come funziona il cervello; la TAC (Tomografia Assiale Computerizzata) che permette di ottenere immagini mediante raggi X; o la RMF (Risonanza Magnetica Funzionale) dove le radiofrequenze e un potente magnete vengono utilizzati per osservare il cervello al lavoro. Tutte queste tecniche utilizzate singolarmente o in combinazione, ci permettono di individuare quali centri neurali si stanno attivando, ciò indica la parte del cervello che sta intervenendo in un determinato compito, e non in un altro.
Questo, insieme ai contributi teorici, permette di capire come funziona il cervello, di fronte ai diversi compiti che la persona affronta, nel caso di questo libro, di fronte ai compiti matematici. Ma la relazione tra neuroscienze e matematica non serve solo a comprendere quali strutture partecipano a un compito matematico o ad un altro. Sono stati apportati importanti contributi matematici per svelare il cervello, come nel caso dell’Alzheimer, una malattia cronica e neurodegenerativa, sapendo che negli ultimi anni sono stati fatti molti progressi in termini di identificazione di biomarcatori, cioè indici che sono presenti quando viene diagnosticata la malattia di Alzheimer e che servono per cercare indizi su come questo progresso sta avvenendo.
L’approccio tradizionale cerca di trovare il fattore più importante in questa progressione, in modo che, una volta identificato, si possa intervenire per fermare le sue conseguenze sul cervello. Fino ad ora, sono stati rilevati una moltitudine di biomarcatori, alcuni legati all’età, poiché l’Alzheimer di solito si manifesta in età molto avanzate; e altri esclusivi dell’Alzheimer, ma che di per sé non spiegano la progressione della malattia, quindi è possibile prevedere matematicamente la progressione dell’Alzheimer?
A questo si è cercato di dare risposta attraverso una ricerca svolta dal Dipartimento di Informatica Biomedica, Università della Tessaglia (Grecia); insieme alla Global Novel Community Education Foundation e Enzymoics (Australia); il Center for Biomedical Research (USA); e la Metabolomics and Enzymology Unit, Fundamental and Applied Biology Group, King Fahd Medical Research Center, King Abdulaziz University, Arabia Saudita(Alexiou, Mantzavinos, Greig, & Kamal, 2017).
In questo studio, i partecipanti stessi non sono stati considerati, poiché si tratta di un approccio matematico basato su statistiche bayesiane, sui diversi biomarcatori che sono attualmente noti per avere un ruolo notevole nella progressione della malattia di Alzheimer. L’idea è di presumere che tutti i biomarcatori finora scoperti riflessi nella letteratura scientifica abbiano il loro ruolo nel progresso dell’Alzheimer, ma con un’importanza diversa, cioè, potrebbero esserci alcuni biomarcatori più rilevanti per l’avanzamento, mentre rispetto ad altri, pur avendo una presenza, il loro ruolo non è così notevole. Per questo, sono state adottate otto possibili situazioni nella malattia di Alzheimer:
- Morbo di Alzheimer nella sua fase prodromica: con sintomi clinici, disturbi della memoria, perdita di volume dell’ippocampo e biomarcatori del liquido cerebrospinale che portano alla patologia del morbo di Alzheimer.
- Morbo di Alzheimer con demenza: dove è interessatala la funzione sociale, con difficoltà nello svolgere complesse attività della vita quotidiana. È uno stato limite tra i cambiamenti della memoria e fattori più cognitivi.
- Tipico Morbo di Alzheimer: con progressiva perdita di memoria, con disturbi cognitivi e modificazioni neuropsichiatriche.
- Morbo di Alzheimer atipico: con afasia progressiva, afasia logopedica, morfologia frontale della malattia di Alzheimer e atrofia corticale nella sezione posteriore; dove spiccano i biomarcatori dell’amiloidosi nel cervello o nel liquido cerebrospinale.
- Morbo di Alzheimer misto: la cui incidenza corrisponde ai requisiti diagnostici del morbo di Alzheimer insieme ad altri disturbi come la malattia cerebrovascolare o la malattia dei corpi di Lewy.
- Stadi preclinici della malattia di Alzheimer: dove vi è evidenza di amiloidosi cerebrale in vivo, o individui le cui famiglie hanno la mutazione della malattia di Alzheimer autosomica dominante.
- Alzheimer patologico: con presenza di placche senili e grovigli neurofibrillari, con perdita di sinapsi neuronali e difetti amiloidi nella corteccia vascolare cerebrale.
- Compromissione cognitiva lieve, dove non esiste un carattere biologico clinico, sebbene vi sia una sintomatologia misurabile. Queste persone possono soffrire di Morbo di Alzheimer, ma non ci sono prove che sia diverso rispetto al normale invecchiamento.
Una volta identificate le diverse modalità di espressione del Morbo di Alzheimer, sono stati raccolti tutti i biomarcatori finora conosciuti, nello specifico sono stati analizzati fino a 30 biomarcatori differenti, che includevano la presenza di altri disturbi come i corpi di Lewy, Ipertensione, Diabete o Depressione, tra gli altri. Oltre ad alcuni fattori che sono stati trovati in correlazione con esso, come l’obesità, il processo infiammatorio, il fumo di tabacco…
Per ciascuno di questi 30 biomarcatori è stata stabilita la percentuale della loro presenza nella malattia di Alzheimer ed è stato effettuato un disegno matematico in cui è stato ricercato un valido modello predittivo. I risultati riportano che non esiste un modello unico e valido per tutti i casi, che devono essere distinti in base al tipo di Alzheimer; quindi, la presenza di depressione, obesità o consumo di tabacco spiega fino al 46% della fase promodica e mista della malattia di Alzheimer.
In presenza di alterazioni nelle attività della vita quotidiana, si registra un 99% di pazienti affetti da lieve Deterioramento cognitivo; e oltre il 50% dei malati di Alzheimer ad eccezione di Atipici e Patologici. In caso di alterazioni di Ab, Tau APP, APOE4 e disturbi vascolari, il 100% dei malati sono affetti da Alzheimer ad eccezione di Atipico, Patologico e Deterioramento cognitivo lieve.
Tra i limiti dello studio c’è che nessun test è stato effettuato con i pazienti per corroborarne i risultati, oltre a verificare quanto raccolto nella bibliografia scientifica. Allo stesso modo, la presenza contemporanea di variabili non indica che siano tutte necessarie, né cause, poiché alcune possono essere l’origine di altre, quindi non è un modello praticabile senza ridurre il numero di variabili in esso contenute.
Nonostante ciò, rappresenta un grande passo avanti per avere un’idea globale di biomarcatori, non limitandosi a identificare l’uno o l’altro, come fanno molti studi, cercando di migliorare la diagnosi della malattia, assicurando che possa essere ottenuta il prima possibile per iniziare il trattamento obbligatorio e prevenire l’avanzata dell’Alzheimer, e tutto grazie all’uso di sviluppi matematici.
Sebbene la relazione tra neuroscienze e matematica non si limiti all’applicazione di modelli matematici che aiutano a capire il cervello, ma si parla persino dell’esistenza di aree specializzate in questo tipo di elaborazione. Tuttavia, sebbene si sappia molto sul cervello linguistico e anche il cervello emotivo, il cervello matematico non ha ricevuto la stessa attenzione, almeno per quanto riguarda la conoscenza popolare.
Sicuramente si sente dire che le donne sono particolarmente dotate per il linguaggio rispetto agli uomini, l’area di Broca o l’area di Wernicke possono essere considerate centri di elaborazione linguistica, e anche si conoscono alcune patologie correlate come la balbuzie o le afasie, ma si può parlare di cervello matematico?
Nonostante possa essere considerato un grande sconosciuto, siamo tutti nati con un cervello particolarmente dotato per l’elaborazione della matematica come verrà presentato in questo lavoro, essendo alla base della differenza tra chiunque di noi e il genio che fin dall’infanzia si è dedicato alla sua “coltivazione”.
Come accade con un muscolo, il cervello risponde ad un “esercizio” costante di fronte a un determinato compito, quindi se dedichiamo otto ore al giorno ad essere un buon pittore, sebbene in linea di principio non abbiamo molte capacità per farlo, la pratica ci farà migliorare le nostre prestazioni, e accadrà anche se passiamo del tempo a giocare a tennis, miglioreremo la nostra tecnica e il nostro gioco.
La matematica da parte sua non potrebbe essere diversa, quindi, come ogni altra abilità, allenarla fin dall’infanzia, in modo sostenuto e costante per un numero elevato di ore consentirà una prestazione superiore a qualsiasi altra persona che non abbia tale formazione e quindi la sua esecuzione sarà sorprendente almeno nell’adolescenza e nella vita adulta.
Si tratta di una posizione contraria a quella di alcune attuali prospettive educative, dove il bambino è incoraggiato ad esplorare diversi ambiti senza limiti e soprattutto senza sforzo, così che in qualche modo è il bambino a scegliere ciò che desidera per il proprio futuro in base a ciò che più cattura la sua attenzione o gli piace in quel momento.
Indipendentemente dalla scoperta della tendenza alla matematica, per imposizione dei genitori, per auto-scoperta, o perché il centro educativo lo ha suggerito al momento di ottenere punteggi alti in alcuni dei test ai quali periodicamente vengono sottoposti i minori per conoscere il loro livello di sviluppo, comunque sia, il passo successivo è allenarsi per raggiungere il massimo potenziale e per questo interviene anche la neuroscienza, e tutto questo inizia con il conoscere come funziona il cervello.
Negli ultimi anni è emerso un nuovo termine a questo proposito, Neuromatematica, sebbene sia stato utilizzato per determinare quella branca della scienza incaricata di studiare e analizzare il cervello e la sua attività con metodi matematici (Almira & Aguilar Domingo, 2016).
D’altra parte, in questo lavoro viene presentato un significato diverso, considerando che la neuromatematica è responsabile dello studio e dell’analisi del funzionamento neuronale di fronte ai diversi compiti della matematica, siano essi semplici o complessi.
Un ambito poco sviluppato in alcuni Paesi, ma che sta gradualmente acquisendo importanza, non solo per la nuova prospettiva che offre sulla comprensione del cervello, ma anche per le possibilità di sviluppare nuove tecniche di apprendimento applicabili ai diversi livelli di istruzione. Ma a parte l’enorme vantaggio che il miglioramento del processo di apprendimento può portare agli studenti, forse il campo più emozionante è lo studio del cervello dei geni della matematica, ma dove sono?
A differenza dei grandi musicisti o artisti che si possono trovare nelle riviste di attualità, o anche partecipando ad un evento di beneficenza organizzato per determinate cause di solidarietà, è più difficile trovare i geni della matematica.
Forse in grandi aziende come Google ricoprono posizioni di ingegneri, anche se chiediamo loro di non considerarsi geni, ma dei normali dipendenti, come è successo a Dª Margaret Hamilton, una matematica e ingegnere di Software della NASA che ha sviluppato i calcoli necessari per arrivare sulla Luna.
Forse i geni della matematica potrebbero essere ricercati tra i vincitori del Premio Nobel, anche se è vero che c’è qualche matematico, non esiste un premio per questa categoria in quanto tale, solo nelle aree della fisica, della chimica, dell’economia, della medicina, letteratura e pace.
D’altra parte, i matematici più eminenti possono aspirare a una delle quattro medaglie Fields che vengono assegnate ogni quattro anni ai minori di 40 anni, equivalenti ai novizi, tenendo conto che si potrebbe intendere che questi vincitori siano vicini all’essere geni di matematica, soprattutto perché devono distinguersi in questo campo con un’età inferiore ai quarant’anni.
Ciò ha ritardato la conoscenza della matematica tra le più importanti in questo campo, anche se oggi grazie alle neuroscienze è possibile sapere quali sono le aree del cervello coinvolte e come potenziarle.

Le Strutture del Cervello
Per comprendere come funziona il cervello quando esegue un’operazione matematica più o meno complessa, la prima cosa da capire è che cos’è il cervello, di quali parti è composto e come funziona. Questa è la parte più difficile per qualsiasi matematico che voglia avvicinarsi alle neuroscienze, ma proprio per questo proverò a presentarla in modo breve e semplice senza entrare troppo in profondità, ma con informazioni sufficienti per comprendere la complessità di questo organo.
La prima cosa che va indicata e spiegata è che ci sono termini che sono usati colloquialmente in modo simile ma che non lo sono anatomicamente, cioè come di solito si parla di testa, cervello o encefalo indistintamente, che è adeguato e corretto per qualsiasi altro ambito, ma all’interno delle neuroscienze è necessario fare delle distinzioni. Il cervello è diviso in tronco cerebrale, cervelletto, diencefalo e cervello.
- Il tronco encefalico è costituito da tre parti, il midollo allungato (dove vengono regolate alcune funzioni come respiratoria, diametro vascolare e battito cardiaco; oltre a singhiozzo, tosse o vomito); rigonfiamento (partecipa alla regolazione della respirazione); e mesencefalo (contiene la substantia nigra e partecipa alla regolazione dell’attività muscolare). Dal tronco escono dieci nervi cranici che innervano le strutture della testa. La formazione reticolare mantiene l’attenzione e lo stato di allerta.
- Il cervelletto è responsabile della coordinazione motoria fine e grossolana, oltre a partecipare alla postura, all’equilibrio e al tono muscolare.
- Il diencefalo è diviso in talamo (responsabile dell’integrazione di informazioni, coscienza, apprendimento, controllo emotivo e memoria) e ipotalamo (regola comportamento ed emozioni, temperatura corporea, sete e fame, cicli circadiani e stati di coscienza, secrezione dell’ormone ipofisario e regolazione del sistema nervoso autonomo).
- Il cervello, dove si sviluppano le funzioni cognitive, le decisioni consapevoli, l’apprendimento relazionale o il linguaggio, tra molte altre cose.
Una volta presentate le diverse parti, va chiarito che tutto questo appartiene a quello che è noto come sistema nervoso, il cui sviluppo inizia nel grembo materno, e al momento della nascita non ha ancora finito di formarsi, richiedendo anni per arrivare allo stato adulto.
Il sistema nervoso si sviluppa a partire dal tubo neuronale dove, intorno alla quarta settimana di gestazione, si divide in tre vescicole cerebrali, il romboencefalo, il mesencefalo e il proencefalo. A cinque settimane di gestazione, le cinque vescicole da cui si svilupperà il cervello sono già formate, dividendo il romboencefalo in metencefalo (ponte e cervelletto) e mielencefalo (tronco encefalico o bulbo); il mesencefalo darà origine al peduncolo cerebrale e quattro collicoli, due superiori legati alla vista e due inferiori legati all’udito; il proencefalo sarà diviso in due, il diencefalo (talamo, ipotalamo, sottalamo, epitalamo e terzo ventricolo) e il telencefalo (emisferi cerebrali).
Sebbene il cervello non finisca di svilupparsi all’interno dell’utero, è stato dimostrato come il bambino sia in grado di captare le differenze di stimolo, sia visive che uditive, e attraverso queste gli si può “insegnare”, ma è necessario capire i limiti del processo, perché i circuiti neurali non sono consolidati, nonostante i cambiamenti nell’attività elettrica cerebrale sono stati osservati nei neonati, a fronte di determinati stimoli presentati mentre nell’utero, confrontando i bambini esposti con quelli non esposti a determinati stimoli, mostrando così l’apprendimento.
Una volta spiegate le parti dell’encefalo e la loro differenziazione dal cervello, si deve fare la distinzione rispetto al termine usato colloquialmente per indicare la testa, che si riferirebbe al contenitore dell’encefalo, cioè quella parte protetta dalle ossa del cranio e dalle meningi (duramadre, aracnoide e piamadre) fluttuanti nel liquido cerebrospinale. È anche possibile distinguere tra:
- la materia grigia (corteccia cerebrale), formata da corpi neuronali e dendriti, dove avviene l’integrazione delle informazioni e delle funzioni cognitive superiori, e assume la forma di nuclei, corteccia e formazione reticolare.
- la sostanza bianca, costituita da fibre nervose mieliniche che interconnettono diverse aree neuronali, assumendo la forma di tratti, fascicoli e commessure.
- i nuclei striati, all’interno della sostanza bianca.
Anatomicamente, la corteccia cerebrale è divisa dal solco centrale, lasciando l’emisfero destro da un lato e il sinistro dall’altro, e sotto entrambi si trova il diencefalo, che sono strutture interne (talamo, subtalamo, ipotalamo, epitalamo metatalamico e terzo ventricolo) che si collega con il tronco cerebrale (mesencefalo, ponte varoliano e midollo allungato). Gli emisferi possono essere suddivisi in lobo frontale (situato nella parte frontale del cervello), lobo parietale (dopo il lobo frontale, sopra il lobo temporale e davanti al lobo occipitale), lobo temporale (sotto il lobo occipitale) e lobo occipitale (situato nella parte posteriore del cervello). In ognuno di questi lobi si possono identificare diverse funzioni, ma in questo testo verranno evidenziate quelle relative alla matematica, quindi:
-Il lobo frontale è dove “tutte” le informazioni vengono ricevute ed elaborate ed è associato alle funzioni esecutive, cioè la capacità di organizzazione, decisione e supervisione di queste ultime. è coinvolto nel rendimento accademico in abilità quali il calcolo mentale rapido, concettualizzazione astratta e operazioni matematiche altamente complesse.
-Il lobo parietale, che è il centro delle informazioni sensoriali, ha un ruolo preminente nel linguaggio e la sua lesione può causare difficoltà nel linguaggio, nel movimento e nella matematica, in quest’ultimo caso chiamata discalculia. Nello specifico, il lobo parietale sinistro è correlato a calcoli numerici, in modo che chi lo ha danneggiato non può riconoscere cifre aritmetiche e ha difficoltà nell’eseguire calcoli elementari.
-Il lobo temporale, coinvolto nei processi linguistici legati all’elaborazione uditiva, partecipa anche ai processi di consolidamento della memoria a lungo termine, quindi, è essenziale per la memoria di serie di numeri, così come per il linguaggio subvocale durante la risoluzione di problemi matematici.
-Il lobo occipitale, dove si trova il centro di elaborazione visiva, dove tramite i nervi ottici arrivano tutte le informazioni percepite dalla vista, essendo essenziali per la discriminazione dei simboli matematici scritti.
Per quanto riguarda la localizzazione di aspetti come l’attenzione, il linguaggio o la memoria, va notato che in ognuna di essi sono coinvolte diverse strutture. La lesione di uno dei lobi provoca la perdita totale o parziale di detta funzione. Abbandonando così definitivamente la teoria della localizzazione che ha governato per decenni lo studio delle neuroscienze, dove si trattava di assegnare a ciascuna regione del cervello una certa funzione psicologica, in modo tale che una determinata lesione impediva alla persona di svolgere quella funzione. Un esempio di localizzazione era la frenologia, dove si “interpretava” la forma della testa o ogni “uscita o entrata” del cranio come se la persona avesse una capacità maggiore o minore di un tipo o dell’altro.
Attualmente è noto che esiste una qualche specializzazione localizzata, ma che quando le regioni che “tradizionalmente” effettuano tale processo, per qualsiasi motivo, non funzionano correttamente, normalmente se ne occupano le regioni annesse. Pertanto, si può dire che le funzioni cognitive sono distribuite nel cervello, e sebbene ci siano centri specializzati per l’elaborazione di determinate informazioni, siano esse uditive, visive, propriocettive… tutto questo verrà poi distribuito per costituire le tracce di memoria.
Una volta note le strutture e le funzioni del cervello, va detto che in precedenza e tenendo conto dei limiti del tempo, questa scienza è iniziata con lo studio dei casi post-mortem, dove si analizzavano le strutture visibili danneggiate di persone che in vita mostravano qualche tipo di carenza o problema cognitivo o comportamentale. Così, uno dei casi più riconosciuti nella storia delle neuroscienze è quello di Phineas Gage (Damasio, 2018), che subì un infortunio sul lavoro in una miniera dove lavorava, con una tale sfortuna che una delle sbarre gli trafisse il cranio, da quel momento in poi il suo comportamento cambiò diventando irregolare, imprevedibile e persino temerario.
Lo studio post-mortem ha permesso di conoscere le aree colpite, in particolare il lobo frontale sinistro, che ha reso possibile stabilire le prime ipotesi sul ruolo del lobo frontale nel controllo degli impulsi e nel giudizio, nonché di dedurne il ruolo preminente nella pianificazione, coordinamento, esecuzione e supervisione dei comportamenti.
Attualmente, l’avanzamento delle tecniche consente di osservare il cervello lavorare dal vivo davanti a determinati compiti, il che ha permesso di conoscere non solo le aree cerebrali coinvolte, ma anche i percorsi di comunicazione tra aree corticali e sottocorticali di determinati processi, siano essi di tipo più fisiologico o cognitivo, che applicato al campo medico, consente di confrontare il cervello dei pazienti, con il “normale” e quindi determinare a che punto è il “problema” in ogni caso, particolarmente importante al momento dell’intervento chirurgico, quando gli altri trattamenti non hanno l’efficacia attesa per la risoluzione.
Oggigiorno, la conoscenza scientifica si ottiene con tecniche come la risonanza magnetica funzionale o l’elettroencefalografia, cioè tecniche non invasive che informano su ciò che sta accadendo all’interno della testa, ma senza la necessità di “aprire” o “attendere” l’analisi post-mortem.
Nel caso cdi cui si occupa questo libro, si trovano riferimenti nella bibliografia scientifica di lesioni legate alla matematica dal 1908, dove per la prima volta si riporta l’alterazione del calcolo; essendo nel 1919 quando fu utilizzato per la prima volta il termine acalculia, da allora iniziò una branca delle neuroscienze orientata alla conoscenza del rapporto dei processi matematici con altri processi cognitivi, tutti basati sulla conoscenza del cervello (Vargas Vargas, 2016).

La relazione tra Cervello e Matematica
Parlare di numeri significa parlare delle unità di base che verranno composte successivamente in un “linguaggio” matematico con il quale possiamo comunicare, ma è anche un modo di comprendere e manipolare la realtà che ci circonda, quindi si può considerare che le nozioni dei numeri e le quantità che rappresentano derivano dalla loro denominazione con il linguaggio. Pertanto i numeri sarebbero l’equivalente delle lettere, e le formule, le parole, potendo così comunicare pensieri e idee tanto o più complessi che con il linguaggio (Gelman & Butterworth, 2005). Basta guardare alla formula della relatività, che ha richiesto anni per essere sviluppata e dimostrata, e che attualmente è in pieno vigore nonostante gli anni trascorsi da quando è stata enunciata per la prima volta.
In precedenza, la concezione di sé di fronte agli altri, o di pochi di fronte a molti, era sufficiente a stabilire le differenze fondamentali per la convivenza, ma dall’emergere dei numeri gli elementi possono essere “divisi” in unità, contati e identificati, il che permette lo sviluppo della matematica più semplice con l’aggiunta e la sottrazione di elementi, e tutto questo grazie alle etichette verbali. I numeri, quindi, non sono importanti sia per la denominazione in sé che per il concetto di quantità ad essa associato, che adempie ad una serie di caratteristiche che permettono di applicare su di essi operazioni e funzioni.
Aspetto che rappresenta un grande salto evolutivo nello sviluppo delle società, dove le persone sono capaci di contare, dividere o sommare quantità, come l’aritmetica che era già utilizzata in epoca egizia e che nel tempo è aumentata di complessità. Tale è l’importanza dei numeri nella nostra vita che è stato stabilito che il loro studio è obbligatorio durante la fase formativa nel sistema educativo, occupando buona parte degli anni che lo studente impiega nel corso studi scelto. La complessità del campo dei numeri è stata tale che è diventata una materia di studio all’università, creando lauree specifiche a questo proposito, sia in matematica, sia nella sua applicazione in diversi campi come la statistica o l’economia, tra gli altri.
Nonostante quanto sopra, non tutti i processi matematici coinvolgeranno un processo linguistico, aspetto che è stato evidenziato grazie alla ricerca con persone con lesioni cerebrali o che mostrano altri problemi legati alla parola come nel caso dell’afasia, conservando intatte le abilità matematiche. Per quanto riguarda la lateralità delle funzioni, negli anni ‘80 è stata ripresa la prospettiva della dominanza emisferica, il che spiega un maggior sviluppo di uno degli emisferi, a scapito dell’altro, a causa delle esigenze sociali, quindi si ritiene che gli occidentali sviluppino maggiormente l’emisfero sinistro, privilegiando così il pensiero scientifico, matematico e logico a scapito dell’emisfero destro, trascurando l’educazione alla creatività e all’arte.
Attualmente è noto che l’emisfero sinistro è responsabile del riconoscimento di gruppi di lettere che formano parole e gruppi di parole che formano frasi, sia nella lingua parlata che scritta; è implicato anche nella numerazione, nella matematica e nella logica.
Per quanto riguarda l’elaborazione del linguaggio, ogni emisfero è specializzato in un aspetto diverso, quindi l’emisfero sinistro interviene nel riconoscimento dei modelli linguistici e matematici; mentre l’emisfero destro partecipa, in un certo grado, al livello di comprensione verbale.
Quando viene colpito è il lobo parietale, che è il centro delle informazioni sensibili, con un ruolo di primo piano nel linguaggio, si verifica la comparsa di discalculia (problemi con la matematica), dislessia (problemi con il linguaggio), afasia (problemi di pronuncia), aprassia (problemi di movimento), agnosia (problemi di riconoscimento); ma la matematica è molto di più che numeri e quantità, poiché implicano un’elaborazione di questi. Questa materia verrà insegnata dalle basi, aritmetica (proprietà dei numeri, calcolo numerico, operazioni numeriche), algebra (con variabili, equazioni, calcolo, ipotesi e previsioni, tutte basate sul linguaggio algebrico), geometria (o trigonometria euclidea, o analitica, legata alla fisica), probabilità e statistica (a fini sia descrittivi che predittivi) e calcolo differenziale e integrale (su fenomeni che cambiano nel tempo come nell’economia).
Il cervello è appositamente progettato per raccogliere e analizzare le informazioni esterne e interne, elaborarle ed emettere una risposta, iniziata dai sensi, grazie ai recettori che trasmettono le informazioni al cervello una volta superato il filtro attenzionale. Informazioni che vengono distribuite e analizzate separatamente per essere successivamente integrate e confrontate con tracce di memoria esistenti e quindi generare nuova conoscenza. Quindi l’informazione ricevuta deve essere “convertita” in percezione, per la quale richiede un certo livello di consapevolezza e attenzione, aspetto che funge da primo filtro per “ignorare” e “dimenticare” informazioni ridondanti e irrilevanti.
Nonostante quanto sopra, è stato possibile verificare come alcune sensazioni abbiano i propri meccanismi di attenzione, potendo parlare di attenzione visiva, attenzione uditiva…quindi, l’attenzione visiva comporterà movimenti di orientamento e ricerca di “fonti” di origine della stimolazione coinvolgendo la regione superiore e inferiore del lobo parietale, le aree visive frontali e subcorticali come il collicolo superiore, il nucleo pulvinare e il reticolare del talamo. Ma è stato verificato che per alcuni soggetti esistono anche meccanismi specializzati come nel caso dell’attenzione matematica, dove interviene il sistema parietale bilaterale posteriore-superiore, che consente l’orientamento spaziale e non spaziale nel sistema di rappresentazione mentale delle quantità. Pertanto, si può dire che il cervello è pronto a occuparsi della matematica e quindi ad avviare il processo di scomposizione e analisi di tali informazioni.
Diverse sono le teorie che hanno cercato di rendere conto del rapporto tra matematica e cervello, quindi dall’approssimazione dei quadranti cerebrali, dove si separa in base al rapporto tra la corteccia (sinistra e destra) e il sistema limbico (sinistra e destra) dando così origine ad un individuo con maggiore predominio di:
- Corticale destro, sarebbe più intuitivo, inclusivo, spaziale e fantasioso, optando per innovazione, creatività e ricerca.
- Corticale sinistro, sarebbe più logico, critico, analitico e realistico, optando per problem solving, matematica e finanza.
- Limbico destro, sarebbe più comunicativo, musicale, empatico ed espressivo, optando per il contatto umano, l’insegnamento e l’espressione orale e scritta.
- Limbico sinistro, sarebbe più sequenziale, dettagliato, amministratore e pianificatore, optando per amministrazione e gestione, essendo un buon oratore e lavoratore.
La persona predisposta alla matematica sarebbe quella che ha una dominanza corticale sinistra, che faciliterebbe questo lavoro, e consentirebbe un maggiore e migliore sviluppo professionale nelle aree legate ai numeri. Ma sebbene si sappia che queste dominazioni esistono, possono essere considerate parte dello sviluppo della cultura e della pratica, che, grazie alla neuroplasticità, renderà possibile che ci siano persone meglio preparate di altre per compiti matematici. Quindi se mettiamo due individui di fronte a un problema matematico, uno con laurea umanistica e un altro con laurea scientifica, ci si aspetterebbe che il secondo avesse una maggiore rete di connessioni neurali, che faciliterebbe il consumo di risorse, al momento di eseguire calcoli matematici, e quindi, alla fine, potrebbe dare la risposta corretta molto prima, nella risoluzione del problema posto, a differenza dell’altro, che ha percorsi e neuroni sviluppati per le lettere.
Si può quindi parlare di cervello matematico, o almeno di predisposizione alla matematica nel cervello per chi ci ha lavorato fin dall’infanzia, così come per altri ambiti in cui lo sviluppa, grazie alla didattica e all’istruzione che riceve fin da giovane e che accompagnerà gran parte dello studente che progressivamente aumenterà in difficoltà per le materie collegate alla matematica, sia quantitativamente che qualitativamente. Tutto ciò darà forma al pensiero matematico astratto, grossolano con capacità di memoria, lettura, attenzione, metacognitive e di autoregolazione, che consentiranno lo sviluppo di tutte le potenzialità in questo settore.
Ma le neuroscienze non solo ci dicono quando il cervello funziona in modo redditizio per quanto riguarda la matematica, ma anche quando sorgono problemi come nel caso dell’acalculia, identificata per la prima volta da Lewandowski e Stadelman nel 1908 che dà conto di alterazioni semantiche sulle quantità, deficit nella comprensione ed espressione dei numeri e problemi nei calcoli matematici. Quando l’acalculia è accompagnata anche da disorientamento destro-sinistro, agrafia e agnosia digitale, si parla di sindrome di Gerstmann, che influenza l’apprendimento della matematica di base (somma, sottrazione, moltiplicazione e divisione) e non tanto matematica avanzata quanto l’algebra, la trigonometria o la geometria, senza influenzare qualsiasi altra area del linguaggio.
Pertanto, le informazioni riguardanti la lesione neuronale ci consentono di conoscere quali aree del cervello sono coinvolte nella manipolazione del numero. Per quanto riguarda la sua rappresentazione, sono state stabilite tre tipologie: araba (1, 2, 3…), romana (I, II, III…); verbale (“uno” in italiano, “one” in inglese, “un” in francese…) o scritto (quarantacinque; 45…), e può anche essere astratto (collegato a grandezze) o adempiere ad una funzione nominale, riferendosi a ad una conoscenza enciclopedica (1492 data della scoperta dell’America da parte di Colombo). Aspetti strettamente correlati tra loro, quindi un numero scritto può rappresentare una quantità e a sua volta essere una conoscenza specifica, nonostante la loro apparente interconnessione, i pazienti con afasia, agrafia o alessia ci hanno permesso di capire come siano processi indipendenti, uno di essi può essere colpito, lasciando gli altri intatti.
Per quanto riguarda le basi neuronali, è stato dimostrato come la comprensione e l’espressione del numero in forma verbale si trova nell’area del linguaggio, nell’emisfero dominante, solitamente il sinistro, nel giro angolare. La rappresentazione dei numeri viene invece elaborata nella corteccia occipito-temporale ventrale media e nel giro fusiforme. Per quanto riguarda la rappresentazione astratta delle quantità, i solchi intraparietali sono coinvolti in modo biemisferico.
Seguendo il modello a triplo codice chiamato “neuro-funzionale” (Dehaene & Cognition, 1995), ci sono tre casi in cui i numeri vengono manipolati mentalmente. Quindi un input verbale attiva una rappresentazione verbale che è identificata dalle sue cifre o con una rappresentazione di quantità, quindi la parola “una dozzina” verrà tradotta come “una” + “dozzina”. Ma allo stesso modo la lettura di una cifra “1492” provocherà l’identificazione di cifre per poi trasformarla in una rappresentazione verbale ed enunciarla a parole attraverso un output, per il quale sono richieste due attività o conoscenze fondamentali:
- Manipolazione interna di quantità, che include sia comprensione numerica (di confronto, prossimità…) che aritmetica con elaborazione semantica (di sottrazione).
- Conoscenze numeriche lessicali non quantitative, riferite a date, eventi e altri dati enciclopedici.
Esiste una relazione di dipendenza funzionale tra la comprensione numerica ed il calcolo. Si può quindi affermare che oltre alla localizzazione di una struttura neuronale preposta all’elaborazione di stimoli legati al numero, esiste un’intera rete distribuita a livello neuronale dove sono ripartiti i diversi compiti che accompagneranno l’analisi della stimolazione, l’identificazione dello stimolo, l’assegnazione di valore e quantità e la sua manipolazione. Tutto questo prima ancora di poter pronunciare la parola corrispondente a quella cifra.
Ma se una struttura neuronale si è distinta nella gestione della matematica, quella è stata il solco intraparietale la cui morfologia (profondità e lunghezza) è stata correlata ai deficit nel processo di subitizzazione nei minori con sindrome di Turner e in quelli con discalculia, non risultando significativo con i compiti di conteggio o confronto di quantità. (Pérez et al., 2016)

Riferimenti
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Dehaene, S., & Cognition, L. C. (1995). Towards an anatomical and functional model of number processing. In Mathematical. Retrieved from https://books.google.com/books?hl=es&lr=&id=eK4egLfRgGkC&oi=fnd&pg=PA83&ots=AG-QTQx2nN&sig=Qkaf1MGkmhJwJasXvtlcufi0gG0
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Pérez, N. E., Gómez, Y. A., Suárez, R. M., Morales, B. R., Cápiro, M. R., Isangue, R. M., … Sosa, M. V. (2016). A Study of Intraparietal Sulcus’ Morphometric Properties in Children with Developmental Dyscalculia Exhibiting Significant Subitizing Deficits. Revista Neuropsicología, Neuropsiquiatría y Neurociencias, 16, 53–74.
Vargas Vargas, A. R. (2016). Matemáticas y neurociencias: una aproximación al desarrollo del pensamiento matemático desde una perspectiva biológica. Revista Iberoamericana de Educación Matemática, 36, 37–46. Retrieved from www.fisem.org/web/union

2. LO Sviluppo Matematico
Sebbene fino ad ora si sia parlato delle diverse strutture neuronali che intervengono nell’elaborazione matematica, bisogna tenere conto che si tratta di un processo che si sviluppa nel tempo, grazie all’apprendimento, in modo che abilità e capacità si incrementino con la pratica.
Nonostante il fatto che alcuni teorici difendano l’approccio della matematica innata o naturale che serve a identificare le differenze tra le quantità, questa ha svolto la sua funzione all’inizio della civiltà umana, e in seguito la rappresentazione dei numeri, la divisione delle quantità ed il rapporto di proporzione tra di esse, così come lo sviluppo della matematica stessa ha permesso il progresso della conoscenza nello stesso momento in cui la società diventava sempre più complessa.
Matematica che è stata plasmata in tutti i tipi di calcoli, sia nel campo del commercio, che dell’astronomia o dell’edilizia, tra gli altri, in modo che con il progresso di questa scienza, i sistemi su cui questi settori si basano sono stati perfezionati.
Tutto ciò ha portato allo sviluppo di diversi studi basati sulla matematica che vengono trasmessi dai primi anni di scuola all’università, aumentando ogni anno di complessità. Nonostante sia una materia obbligatoria, c’è chi sostiene che il numero di ore dedicate sia insufficiente, e anche che le materie di matematica applicata dovrebbero essere incorporate nella scuola, ad esempio l’economia, che alla fine degli studi consente allo studente di essere in grado di destreggiarsi nel mondo del lavoro, così come altre competenze orientate allo sviluppo di un curriculum professionale o di lavoro autonomo.
Ma tutto quanto sopra si basa sull’apprendimento e all’interno di un sistema di insegnamento formale, in modo che l‘“esperto” che è l’insegnante cerchi di trasmettere la sua conoscenza ed “esperienza” con la matematica allo studente in modo che questo a poco a poco sviluppi le sue competenze, sapendo che nell’anno successivo non solo aumenterà la complessità della materia, ma si baserà anche sull’apprendimento precedente. Una caratteristica che conferisce un certo grado di difficoltà in più, soprattutto a chi non riesce a superare la materia o lo fa con un apprendimento “debole”, che porta “molti” studenti a ritenere che la matematica non è la loro materia preferita, cercando di “liberarsene” senza approfondirne l’apprendimento.

La Funzione dell’Apprendimento
Quando si pensa all’apprendimento, di solito lo si fa in relazione agli studi, quindi più anni una persona dedica alla formazione in una determinata materia, più alto sarà il suo livello di apprendimento e, al contrario, se una persona non è andata a scuola o ha abbandonato prima di completare gli studi, si può considerare che non abbia completato il proprio ciclo di apprendimento. Ma questa visione, nonostante non sia errata, è limitata, poiché viene preso in considerazione solo un campo di apprendimento relativo all’ambito accademico. Il concetto di apprendimento è più ampio e coinvolge qualsiasi nuova conoscenza o abilità che non era stata precedentemente posseduta e che ora viene acquisita.
Pertanto, competenze e abilità possono essere apprese oltre alle conoscenze teoriche, un esempio di questo può essere visto quando si impara a guidare, infatti si devono superare due tipi di test per ottenere la patente di guida, uno di tipo teorico, dove si deve dimostrare padronanza delle conoscenze relative al veicolo e al codice della strada; e l’esame pratico dove si dimostrano le capacità necessarie alla guida in città o in autostrada, senza mettere in pericolo i pedoni o altri veicoli, nel rispetto delle norme stabilite. Se la persona fallisce in uno dei due test non si ritiene che possa ottenere la patente di guida, poiché sarebbe un segno di apprendimento incompleto.
In altri casi, l’apprendimento è solo teorico, essendo superato mediante prove a scelta multipla o di scrittura; o esclusivamente pratico, la cui valutazione viene solitamente realizzata eseguendo quell’abilità per dimostrare la padronanza. L’apprendimento può essere considerato come un processo naturale che fa parte delle caratteristiche di molti esseri viventi, permette loro di dare una risposta migliore alle richieste dell’ambiente, in quanto si perfeziona attraverso tentativi ed errori, o altre pratiche di apprendimento, per cui richiede:
- Una capacità sensibile con cui percepire il mondo esterno.
- Un trattamento, anche elementare, di informazioni sensibili che provocherà una risposta.
- Un sistema di archiviazione delle informazioni, in cui vengono raccolte sia le informazioni sensibili che la risposta e le relative conseguenze.
È proprio a questo punto del feedback sulla risposta che si inizia a delimitare il processo di apprendimento, che consente di ottimizzare il modo di soddisfare le esigenze ambientali, adattandosi ad esse.
Senza l’apprendimento, sarebbe solo una risposta più o meno fortuita, ogni volta che si presenta uno stimolo, sebbene sia lo stesso più e più volte. Come accade a quelle persone che, a causa di qualche infortunio e trauma cranico, non possono accedere alla memoria a lungo termine, affidandosi esclusivamente alla memoria a breve termine, dove, dopo pochi istanti, quei “ricordi” si dissipano e tutto sembra nuovo e originale. Pertanto, l’apprendimento può essere considerato come un processo superiore, a cui partecipano altri più basilari, come la sensazione, la percezione, l’attenzione, la memoria e le emozioni.
A livello cerebrale ci sono diversi sistemi che parteciperanno al processo di apprendimento, come il sistema nervoso periferico, incaricato di ricevere informazioni sensoriali-ricettive e di far rispettare gli ordini, in termini di offerta della risposta comportamentale appropriata.
A livello del sistema nervoso centrale, l’informazione è condotta al cervello, che la elabora, la classifica e la memorizza, in caso di apprendimento, oltre a dare le precise indicazioni per la risposta pertinente, trovandosi in aree specializzate del cervello, dove intervengono i processi di attenzione, percezione, memoria ed emozione, senza i quali l’apprendimento non sarebbe possibile.
Va tenuto presente che il cervello è “progettato” per imparare, infatti, è ciò che fa “meglio”, ecco perché in esso sono coinvolte varie strutture neuronali, sebbene non esista un “centro di apprendimento” per così dire, ma sono le funzioni e le abilità che la persona sviluppa e che hanno il loro correlato nel cervello, che vengono modificate e adattate al nuovo apprendimento. Pertanto, le informazioni relative alla visione coinvolgeranno una serie di strutture cerebrali, che, man mano che la persona ha esperienza, cambiano e alterano il loro funzionamento, adattandosi all’apprendimento.
E tutto questo a partire da un cervello “vuoto”, che è stato strutturato e guidato geneticamente, senza necessità di intervento ambientale, ma che poi dovrà essere “plasmato” man mano che la persona acquisisce nuove conoscenze ed esperienze, che la aiuteranno a sviluppare se tue capacità e ad essere funzionale nel contesto sociale in cui vive.
Sebbene non sia letteralmente “vuoto”, dato che il bambino può sentire, vedere e percepire anche dal grembo materno, inoltre il cervello acquisisce a poco a poco la capacità di controllo muscolare, a cui vanno aggiunti i movimenti riflessi che si mostreranno durante i primi mesi di vita.
Il processo di apprendimento è normalmente avviato dai sensi, le cui informazioni vengono portate al cervello, dove viene separato in due vie, una emotiva e l’altra cognitiva, dove lo stimolo viene percepito una volta analizzato, attraverso le aree specializzate per ogni senso e da lì rimane nella memoria. Per questo e come base fondamentale c’è l’ippocampo, dove verrà immagazzinata la memoria a breve termine, prima di essere scartata o archiviata nella memoria a lungo termine, producendo così apprendimento.
Va tenuto presente che, fino a pochi decenni fa, si considerava che l’apprendimento avvenisse dal momento della nascita, fino all’età adulta, perdendo questa capacità al raggiungimento della terza o quarta età. Oggi, e grazie ai progressi delle neuroscienze, si sa che questo processo inizia ancor prima della nascita e che accompagna l’essere umano, in tutte le sue fasi, compresa l’ultima. La velocità dell’apprendimento cambia con l’età: è maggiore durante le prime fasi della vita e rallenta nelle fasi successive.
Una capacità di apprendimento in cui i giovanissimi, come i giovani, sembrano privilegiati per acquisire nuove conoscenze, dove è facile per loro iniziare una nuova lingua o studiare la trigonometria. Qualcosa che fino a pochi anni fa la scienza aveva proibito agli anziani, sostenendo che loro, come i più piccoli, non erano preparati a questa nuova conoscenza.
La scoperta della rigenerazione neuronale e la creazione di nuove connessioni tra neuroni, anche in età avanzata, hanno messo in discussione queste affermazioni, difendendo la posizione secondo cui tutti, a qualsiasi età, possono imparare quello che vogliono, poiché il cervello è pronto per questo. Qualcosa che ha costretto a cambiare i quadri teorici esistenti, che da un lato ha confermato la difficoltà degli anziani e dall’altro avevano gli strumenti pronti per l’apprendimento.
L’importanza del cervello nell’apprendimento si riflette non appena si verifica il suo deterioramento, ad esempio nel caso dell’Alzheimer, una malattia neurodegenerativa il cui sintomo principale è la perdita di memoria, che mostra come l’apprendimento “fallisca” gli apprendimenti acquisiti durante la vita, non sapendo come si chiamano gli oggetti, qual è la loro funzione o come vestirsi, aspetti che normalmente non si apprezzano come apprendimento e che sono essenziali per essere indipendenti e avere una buona qualità di vita.
Va tenuto presente che non tutte le esperienze implicheranno l’apprendimento, poiché affinché questo avvenga è necessaria una serie di “passaggi” nell’elaborazione cognitiva, che includerà aspetti legati alla sensazione, attenzione, percezione e memoria tra gli altri. Così, da quando siamo nati, osserviamo gli altri e da loro impariamo a rispondere all’ambiente, risposte che riproduciamo e che ci permettono di ottenere ciò che vogliamo o meno. In base a questo impariamo a dare o meno, la stessa risposta in un altro momento. Questo tipo di apprendimento è chiamato incidentale e può essere considerato come non è pre-programmato e che si verifica intenzionalmente o meno.
All’interno della categoria dell’apprendimento accidentale non intenzionale, ci sarebbero tutti quegli apprendimenti che vengono acquisiti senza che ci sia un’intenzione, al momento della sua realizzazione, ad esempio, un apprendimento osservativo, dove vediamo come una certa persona agisce e quali conseguenze ha, dato che la persona tende a ripetere quei comportamenti che hanno avuto risultati positivi e piacevoli; e al contrario, evitare quelli che non hanno permesso di raggiungere i risultati attesi e a causa dei quali ha persino ricevuto delle punizioni.
Un esempio potrebbe essere quello di vedere come una persona attraversa il centro della strada per raggiungere l’altro lato e prendere un autobus, che si è appena fermato alla fermata. Se la persona dopo essere passata, senza grosse preoccupazioni, raggiunge l’autobus, sale e parte, imparerà che questo è un comportamento utile, in modo da non perdere tempo ad aspettare un nuovo autobus, che può passare dopo un quarto d’ora, mezz’ora o un’ora. D’altra parte, se la persona è quasi investita quando attraversa la strada e dopo lo spavento non raggiunge l’autobus che parte senza aspettare, impara che mettere in atto un comportamento così sconsiderato non gli permette di raggiungere il suo obiettivo e quindi non lo ripeterà. Ebbene, proprio come in questo caso, stiamo continuamente imparando involontariamente, o mettendo in evidenza gli apprendimenti che già avevamo, come nel caso precedente, se già sapevamo che non si deve attraversare la strada da nessun lato, perché è pericoloso, vedere come la persona è quasi investita per averlo fatto rafforzerà il nostro apprendimento precedente.
All’interno della categoria dell’apprendimento incidentale intenzionale, ci sarebbero, ad esempio, i programmi “educativi” in televisione, i corsi a fascicoli che accompagnano alcuni giornali, o i video di autoapprendimento su YouTube, tra le altre cose. Ma sono anche le ripetizioni che fa la madre finché il bambino non riesce a dire mamma o papà, tutti alla ricerca di un fine, quello di modificare il modo di pensare, sentire o agire dell’individuo. Nonostante ciò, l’intenzione esplicita di trasmettere informazioni o conoscenze non è considerata apprendimento istituzionale, poiché non è all’interno di un sistema di apprendimento formale, con una struttura per tema ed età, né ricerca obiettivi appropriati per ogni fase evolutiva. Ma questi apprendimenti intenzionali non sono solo finalizzati ad aumentare la conoscenza degli altri, poiché possono concretizzarsi nello sviluppo di determinate abilità e capacità, come le scuole calcio, finalizzate al miglioramento delle prestazioni sportive dei minori.
A volte questo apprendimento non richiede che nessuno si istruisca in modo intenzionale, per lo sviluppo di determinate capacità e abilità, dato che per tentativi ed errori si impara a perfezionarsi, come accade con la bicicletta, che con la pratica si riesce controllare l’equilibrio per non cadere, senza bisogno che nessuno ci istruisca al riguardo. Questo tipo di apprendimento è considerato più “naturale”, poiché è legato alla vita quotidiana di ogni giorno, ed è diventato esso stesso una metodologia di insegnamento, dove si cerca di “far scendere in strada” la scuola, in modo che lo studente impari abilità che può sviluppare per il resto della sua vita.
Un approccio a questo si può trovare in alcune innovazioni educative dove si tratta di offrire esperienze quotidiane con applicazioni di concetti matematici visti in precedenza in classe, ad esempio incoraggiando gli studenti ad organizzare un mercatino per raccogliere fondi per una causa di beneficenza, dove i minori impareranno a gestire le somme di denaro, a stabilire una percentuale di profitto sulle vendite, a realizzare un progetto di beneficienza programmata…
Questo modello di insegnamento incidentale offre anche una serie di vantaggi, come facilitare l’apprendimento significativo, cioè che può essere applicato a posteriori nella vita di tutti i giorni; coinvolgere gli studenti nell’apprendimento; sviluppato in un ambiente flessibile e motivante; accrescere la curiosità degli studenti. Sulla base di questi vantaggi, alcuni genitori propongono che l’insegnamento si svolga nelle proprie case, senza richiedere scuole a questo riguardo, e che i genitori siano i docenti, insegnando ciò che “servirà” nella vita al bambino, e non conoscenze poco “pratiche” per la vita quotidiana.
Una posizione non priva di limitazioni, dovute alla scarsa preparazione dei genitori, per il ruolo di insegnanti, di tutte le materie che il bambino deve imparare per mantenere lo stesso livello di apprendimento dei suoi coetanei che frequentano le lezioni scolastiche. Allo stesso modo, la valutazione dell’apprendimento incidentale è difficile, poiché non è conforme agli standard stabiliti nel sistema educativo. Nonostante quanto sopra, a seconda del Paese in cui si vive, questa sarà la possibilità o meno che i genitori possano istruire i propri figli a casa (istruzione parentale).
Contrariamente all’apprendimento incidentale, l’apprendimento istituzionale è stabilito in piani di formazione finalizzati all’acquisizione di determinate abilità, capacità e modi di comportarsi come parte di un piano strutturato più o meno flessibile che cerca:
- L’integrazione dell’individuo nella società, per la quale scuole e centri educativi sono trasmettitori di valori che, a seconda di ciascuna società, si specificano in un modo o nell’altro.
- Adattamento del comportamento alle regole sociali, stabilendo premi e punizioni per modellare il comportamento degli studenti.
- Raggiungimento di determinati traguardi in base all’età del minore, questi possono includere l’apprendimento più o meno meccanico, nonché lo sviluppo di altre capacità e abilità.
Per quanto riguarda le ricompense e le punizioni utilizzate, queste evolveranno con l’età degli studenti, quindi, e rispetto alle ricompense, queste vengono inizialmente somministrate fisicamente, dove lo studente che conosce la lezione, o che si comporta bene in classe, riceve una sorta di “regalo” che sarà gradualmente sostituito da premi sociali, cioè riconoscimenti sociali davanti ai coetanei, come un “bravo studente”, a parte applausi e congratulazioni. Nelle fasi successive, i premi non sono più amministrati dall’insegnante e diventano l’asse motivazionale dello studente, per raggiungere la promozione, o un voto più alto, come compenso per lo sforzo di apprendimento.
Per quanto riguarda le punizioni, nei precedenti modelli educativi la punizione fisica era utilizzata come mezzo per “insegnare” ai più piccoli, per mantenere comportamenti appropriati, frequentare le lezioni o conoscere la lezione. Tuttavia, queste punizioni sono state sostituite da altre di natura sociale, in cui gli studenti che non rispondevano alle aspettative stabilite dall’insegnante venivano “ridicolizzati” o sminuiti; passando ad età più avanzate, diventa “sospensione”, la punizione ottenuta per un lavoro carente o non adeguato ai criteri accademici del proprio corso o livello.
Al giorno d’oggi si ritiene che la pratica della punizione fisica o sociale sia inadeguata e che gli studenti si sentano più motivati da stimoli positivi che da quelli negativi. Nonostante quanto sopra, voti in età più avanzata e la bocciatura per “ripetere l’anno” sono ancora utilizzati per modellare la velocità di apprendimento dei contenuti stabiliti nel corso in base all’età dello studente. Questi apprendimenti sono più o meno durevoli nel tempo, sia a breve che a lungo termine. L’obiettivo delle istituzioni educative è che gli studenti acquisiscano conoscenze che rimangono, a lungo termine, in modo che possano essere applicate in futuro.
Inoltre, questa conoscenza è solitamente strutturata, a seconda del livello di complessità, quindi nelle prime fasi vengono insegnate le conoscenze e le abilità necessarie per poter acquisirne altre più complesse a livelli educativi superiori. Sebbene l’apprendimento sia un’attività relativamente semplice a seconda dell’ambito a cui si riferisce, può essere enormemente complicato, quindi il livello di esperto in una materia richiede in molti casi anni di studio o pratica prima di raggiungere la padronanza su di essa. Pertanto, un primo approccio all’apprendimento consiste nella differenziazione tra inesperto ed esperto, sapendo che in molti casi la distinzione tra i due è la mancanza di esposizione, studio e pratica del primo rispetto all’esperto.
Proprio in base a questa differenza è nata l’idea dell’insegnamento, come mezzo per trasmettere informazioni su conoscenze e abilità da un esperto a uno studente, un aspetto dura nel tempo fino a quando l’allievo impara la materia. A volte questa trasmissione del sapere veniva effettuata all’interno della famiglia, perpetuando così il mestiere di generazione in generazione, sapendo che i loro discendenti avrebbero mantenuto viva la conoscenza.
Un aspetto che per molti anni ha “segnato” le famiglie, rendendo difficile l’accesso a tali conoscenze e pratiche per chi non era nato in quell’ambiente. Ma l’istruzione e soprattutto il sistema educativo sono intervenuti per rompere questa esclusività dell’apprendimento, consentendo a chiunque abbia interesse e voglia di studiare di scegliere il proprio corso di studi, indipendentemente dalla precedente formazione dei genitori, arrivando così ad essere, per esempio, il primo medico o avvocato della famiglia.
Nonostante quanto sopra, e le strutture che esistono per accedere all’apprendimento, non tutti sembrano “interessati” allo stesso modo a questa opportunità, mostrando qualche problema in più per mantenere lo stesso livello del resto della classe, che in alcuni casi “costringe” i genitori a “rimuoverli” dal sistema, perché capiscono che il loro bambino è “non utile” per l’apprendimento. Un approccio che denota un rapporto scuola-apprendimento non del tutto corretto, poiché quello stesso ragazzo collocato in un altro tipo di istituzione scolastica come gli istituti professionali, dove le abilità e le conoscenze pratiche sono ulteriormente sviluppate, riesce non solo a stare al passo con i suoi coetanei, ma può anche distinguersi; e tutto questo per fare una scelta migliore riguardo all’apprendimento del bambino, adattato ai suoi bisogni e interessi.
Pertanto, l’apprendimento è un’attività che viene svolta “ogni volta” che viene acquisita nuova conoscenza, ma anche quando vengono sviluppate nuove abilità. Può anche essere considerato apprendimento quando le conoscenze e le abilità precedenti vengono migliorate, avvicinando la persona al livello di esperto, sviluppando il dominio delle abilità stesse.
Bisogna tener conto che una persona può essere esperta in una materia e non in un’altra, questo perché il nostro tempo è limitato e dobbiamo “scegliere” dove occuparlo, quindi a ciò che dedichiamo più tempo è più probabile che il nostro apprendimento si sviluppi più velocemente e più sostenuto nel tempo, rispetto ad altre attività che iniziamo e “abbandoniamo” a breve, il che significa che non saremo in grado di diventare esperti in quella materia.

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