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Mare Di Amarezze
Charley Brindley
Un uomo ritorna in Thailandia dopo cinquant'anni di assenza. Quando si trovava a Bangkok, durante la guerra del Vietnam, egli aveva conosciuto una ragazza e se n'era innamorato. In seguito ad una sanguinosa battaglia era rimasto gravemente ferito ed era stato ricoverato in un ospedale di San Diego. Una volta guarito torna a Bangkok alla ricerca della sua Chayan, ma lei non c'è più. L'anno dopo ritorna in Thailandia, ma una delle amiche di lei gli dice che la ragazza è morta durante un'epidemia di tifo. Distrutto, l'uomo torna negli Stati Uniti dove continua la sua professione di medico e si forma una famiglia. Ora, dopo cinquant'anni, si è recato nuovamente a Bangkok ma, piuttosto che Chayan, scopre che la vita laggiù è andata aventi senza di lui.

Charley Brindley
Mare di Amarezze

Mare di Amarezze
La Verga di Dio

Libro Secondo
Di
Charley Brindley
charleybrindley@yahoo.com

www.charleybrindley.com

Diritti di copertina di
Charley Brindley

Nel disegno di copertina
Prija è la ragazza a destra
Siskit quella a sinistra

Edito da
Karen Boston
Website https://bit.ly/2rJDq3f

Traduzione di
Patrizia Barrera

© 2019 by Charley Brindley, all rights reserved

Stampato negli Stati Uniti d’America

Prima Edizione 14 Ottobre 2019

Questo libro è dedicato a

Leo Alton Walker

Altri Libri di Charley Brindley
1. La verga di Dio, Libro 1: sull’orlo del baratro.
2. La miniera di Oxana
3. Raji , Libro Uno: Octavia Pompeii
4. Raj, Libro Due: L’Accademia
5. Raji, Libro Tre Book Three: Dire Kawa
6. Raji, Libro Quattro
7. La ragazza dell’elefante di Annibale 1
8. La ragazza dell’elefante di Annibale 2
9. Cian
10. L’ultima missione del Settimo Cavalleria
11. L’ultimo avamposto di Hindenburg
12. Libellula contro Monarca: Libro Uno
13. Libellula contro Monarca : Libro Due
14. Il mare della tranquillità 2.0. Libro Uno
15. Il mare della tranquillità 2.0, Libro Due
16. Il mare della tranquillità 2.0, Libro Tre
17. Il mare della tranquillità 2.0, Libro Quattro
18. Non rianimare
19. Ariion XXIII
20. Enrico IX
21. L’incubatore di Qubit
A breve
22. Libellula contro Monarca: Libro Tre
23. Viaggio in Valdazia
Maggiori informazioni sulle trame dei libri alla fine di questo romanzo.

CAPITOLO UNO
Scorsi una ragazza che camminava per strada, cercando di evitare la folla. La maggior parte di loro erano uomini, a gruppi di due o tre, o anche più.
Delle donne molto giovani erano schierate sul marciapiede, mostrando quanta più nudità possibile, invitando i maschi nei loro tuguri per qualche minuto di piacere.
Erano le due passate di notte, ma la strada era ancora piena di gente. Per lo più si trattava di persone a piedi, ma c’erano anche delle moto. Delle auto erano parcheggiate sul marciapiede, ma nessuna di queste cercava di farsi spazio tra la folla.
Degli uomini di mezz’età passavano in rassegna le donne, e ce n’era anche qualcuno vecchio come me. Americani, Inglesi, Australiani? Impossibile dirlo, fino a che non avessero aperto bocca.
La ragazza mi passò di nuovo davanti, con gli occhi fissi sulla gente. Sembrava un pesce fuor d’acqua, con la sua camicetta celeste ben stirata e la gonna marrone al ginocchio.
Scesi dal marciapiede cercando di guardarla meglio, ma lei m’ignorò.
Non è un prostituta? E allora che ci fa qui, a Ladrpao, il quartiere del sesso più famoso di Bangkok? Aspetta qualcuno? E’ giovane, diciotto anni o poco più.
Un gruppetto di quattro Thailandesi la fermò, e le dissero qualcosa. Ma lei scosse il capo. Allora uno dei giovani l’afferrò per un braccio, sussurrandole di nuovo qualcosa. Ma lei si divincolò e sgusciò via dal marciapiede, passandomi proprio davanti. Visibilmente atterrita.
L’uomo che l’aveva afferrata per il braccio le gridò: “Ciao taw nan ca mi kin xeng!"
Che non era affatto una frase gentile.
I quattro uomini si misero a ridere.
Mi voltai dall’altra parte, dando un’occhiata alle donne sul marciapiede. Quella era la quinta notte che passavo per strada.
Cosa mi aspetto di trovare?
Una ragazza in bikini rosa mi toccò un braccio: “Tu, Americano, vuoi venire con me a scopare?”
Sorrisi e scossi la testa.
Cavolo, come fanno sempre a capirlo?
Avevo lasciato la giacca e la cravatta all’albergo, cercando di apparire più casual. Certo, i miei lineamenti caucasici un po’ mi tradivano, ma perché non scambiarmi per un Inglese o un Canadese?
Non riesco proprio a liberarmi di questa faccia Americana!
Mi misi a camminare per la strada e, prima che arrivassi alla fine, molte altre donne mi fermarono per offrirmi il loro corpo; alla fine tornai indietro, dal lato opposto del marciapiede.
Il magnetismo dei visi delle donne Thailandesi mi attirava come un gattino in una stanza piena di giocattoli. Avevo respinto tutte le ragazze che mi avevano fermato per offrirsi a me – o, meglio, per avere i miei soldi. Al mio rifiuto tutte avevano incrociato le braccia e mi avevano mandato a quel paese, con fare altero; quella era la passione che mi attizzava!
Adoravo il loro atteggiamento arrogante, ma nessuna di loro aveva i lineamenti che cercavo: le sue labbra carnose, il nasino all’insù, e il viso piccolo e sottile, quasi infantile.
E i suoi occhi erano tizzoni ardenti pronti a briciare chiunque avesse osato avvicinarsi troppo a lei. E quei lunghi capelli neri, che lei gettava indietro di colpo, come a farli volare. E’ questo che mi è rimasto impresso di lei, la prima volta che c’incontrammo.
Nessuna avrebbe mai potuto eguagliare la dolce immagine che si era fissata nella mia mente, eppure vagavo, alla ricerca di qualcuna che almeno le assomigliasse…

Forse, magari, un giorno…
“Lasciami andare!”
Una voce di donna, proprio dietro alle mie spalle. Mi girai di scatto. La ragazza di prima! Un giovane l’aveva afferrata per un braccio e ora le sussurrava qualcosa che non riuscivo a sentire.
“N0!” gridò.
“Dai, solo un’oretta – le disse un altro thailandese, avvicinandosi a lei – Ti pagheremo bene.”
Era lo stesso quartetto di prima.
Lei provò a lottare contro di loro.
Gli altri due ragazzi del gruppo ora erano alle sue spalle, e ridevano, indicando al gruppo la sua faccia atterrita.
“Non voglio!” gridò ancora lei.
Due uomini la trascinarono per un braccio verso la porta di una stamberga. Gli altri due prima si guardarono titubanti in giro, e poi si unirono agli altri.
La ragazza cominciò a gridare aiuto.
“Ha detto che non vuole.” mi feci avanti io.
L’uomo che la teneva per un braccio si voltò verso di me e mi guardò in cagnesco: “ E’ meglio che giri al largo, vecchio – sibilò- o ti farai male.”
Mi spinse all’indietro e allungò una gamba, facendomi inciampare. Piombai con il culo per terra. I quattro uomini scoppiarono a ridere, mentre la ragazza si guardava intorno, in cerca di aiuto.
Mi alzai e afferrai l’uomo per un polso:” “Ti ho detto, lasciala andare!”
Mi allungò un pugno, ma io gli afferrai il braccio e glielo torsi prima dietro la testa e poi dietro la schiena. Quando quello lasciò andare la ragazza e si preparò a darmi un pugno nello stomaco, irrigidii i muscoli del ventre. Rimase spiazzato, non si aspettava di affondare un colpo su uno stomaco di piombo, e io ne approfittai per fargli uno sgambetto e lui crollò a terra. Andò giù come piombo.
Gli altri si fecero sotto. Schivai un pugno e affondai il mio sulla tempia di uno degli uomini. Il suo amico lo spinse via e venne minaccioso verso di me. M’infilai sotto le sue ascelle, mi rigirai e gli mollai un forte pugno sulle reni.
Nel frattempo, il primo uomo si era rialzato dal marciapiede e ora veniva verso di me brandendo un coltello. Mi sorrise, facendolo danzare davanti ai miei occhi.
Ok, posso farcela con quella lama.
Mi piegai davanti a lui, allargando le braccia:“ Ok bello, vediamo che sai fare!”
Intorno a noi si era formato un drappello di persone, che ora si apriva per darci spazio. La ragazza era in mezzo alla folla. Si guardò intorno.
Speriamo che se ne vada. Non sarà un bello spettacolo.
L’uomo col coltello iniziò a girare in tondo, cercando una breccia. Io non lo perdevo d’occhio un solo istante. Quando si lanciò a sinistra io balzai sul lato opposto. Si lanciò su di me, ma io mi girai e alzai un piede per sferrargli un colpo nelle costole. Lui barcollò un attimo, ma si riprese.
Il secondo ragazzo venne verso di me, prendendo qualcosa dalla cintola:” Ora basta con queste stronzate!” sibilò
Il calcio cromato della pistola automatica scintillò.
“Una pistola!” gridò qualcuno.
Il capannello di spettatori indietreggiò, atterrito dalla brutta piega che stava prendendo la situazione.
Ok, quindi abbiamo un coltello e una pistola. Devo prima liberarmi della pistola.
Mi voltai verso il ragazzo col coltello e mi mossi verso di lui, ma feci una finta a sinistra e mi lanciai su quello con la pistola. Quello provò a spararmi, ma ormai gli avevo già afferrato il polso. Glielo torsi e lui sparò in aria. Allora gli afferrai i polsi con entrambi le mani, torcendolo con forza.
IL dito dell’uomo s’incastrò nel calcio della pistola.
Gridò, ed io potei sentire chiaramente il rumore dell’osso che si spezzava, mentre gli strappavo la pistola dalle mani.

Quello indietreggiò, urlando e tenendosi il dito fratturato.
Io puntai l’arma contro il tizio col coltello, che a quel punto iniziò a guardarsi intorno, in cerca di una via di fuga.
Io aprii il caricatore, lo svuotai sul palmo della mano e gettai in terra le pallottole. Poi lanciai via la pistola scarica. Quello mi guardò, e poi venne verso di me agitando il coltello verso la mia gola.
Prima che potessi fare un fiato i suoi amici mi aggredirono alle spalle , tenendomi ferme le braccia. Io li usai come leva e li sbattei con forza contro il tizio col coltello, rompendogli la mascella.
Quello urlò e fece cadere il coltello.
Io mi gettai in avanti, trascinando i due uomini con me, che alzarono le braccia per parare la caduta.
Balzai velocemente sulle ginocchia e ne afferrai uno per i capelli, sbattendogli violentemente la faccia sul selciato. L’altro provò a fuggire, ma io gli mollai una ginocchiata nello stomaco, facendogli rilasciare di colpo l’aria dai polmoni. Mentre lui rantolava, cercando di respirare, gli mollai due pugni in faccia. Crollò a terra, esanime.
Guardai l’altro, che stava ancora per terra. Cercava di asciugarsi il sangue che colava dal naso rotto. Ok, è finita.
Quello col coltello giaceva sull’asfalto, con la mascella fracassata. Lanciai uno sguardo tra la folla, alla ricerca di quello della pistola. Stava in mezzo alla gente, e piangeva, tenendosi il dito rotto.
Lo sparo aveva indotto qualcuno a chiamare la Polizia. Quando si udì la sirena della volante, la folla si diradò all’istante. Anche i quattro aggressori si dissolsero, evidentemente non volendo avere a che fare con la Polizia.
Io afferrai la mano della ragazza, e la portai via. Quando la volante passò accanto a noi la voltai di spalle, per nasconderle la faccia.
“Cammina piano e con naturalezza.” le sussurrai.
Lei annuì, ma sentii la sua mano tremare nella mia.
La folla era stata veloce ad eclissarsi, prima dell’arrivo della Polizia. Quando gli agenti arrivarono sul posto ciò che trovarono fu solo una piccola macchia di sangue, lì dove avevo fracassato il naso del ragazzo. Perfino la pistola vuota e il caricatore con tutte le pallottole erano spariti, così come il bossolo da cui si era levato lo sparo.
I Poliziotti provarono a fare qualche domanda ai pochi presenti, ma tutti si limitarono a scuotere il capo e a dire che non avevano visto o sentito nulla.
Passammo davanti alla Polizia, facendo finta di essere dei curiosi. Entrammo in un bar e le porsi una sedia. Lei ci crollò sopra, affranta.
La toccai per il braccio, su cui già compariva un livido viola. “Stai bene?”
Lei annuì, massaggiandosi il polso. “Sì, grazie. Quegli uomini avrebbero potuto ucciderti.”
Sorrisi. “Non conoscono i segreti del combattimento per strada.”
Una cameriera venne verso di noi.
“Cha Yen?” chiesi alla ragazza.
Lei annuì. Avevo ordinato due the freddi con latte. La cameriera andò a prenderli.
“Hai fame?” chiesi.
“No. Come ti chiami?”
“Sassone. E tu?”
“Siskit.”
“Lavori per strada?”
“No. Aspettavo mia sorella.”
La cameriera ci portò i drink. Facemmo qualche sorso.
“Buono.” Dissi.
“E’ vero. Adorò il the ghiacciato col latte. E tanto zucchero.”
Io annuii. “Tua sorella lavora per strada?”
“Sì.”
“E tu vieni qui ogni sera a prenderla?”
“No, solo il sabato notte. La domenica nessuna di noi lavora, e quindi possiamo dormire fino a tardi.”
“Vivete insieme?”
Lei finì il suo the. “Condividiamo un appartamento in Song Wat Road.”
“Sul fiume?”
“Sì, si gode una bella vista dell’acqua, e anche delle barche.”
Aspettavo che Siskit si calmasse, per farla parlare un po’.
“Io lavoro nell’ufficio Esportazioni, dal lunedì al sabato.” mi disse.
“Parli bene l’Inglese. Dove lo hai imparato?”
“A scuola. Io e Prjia potevamo scegliere tra Inglese e Francese. E chiaramente, come i nostri genitori, odiamo ancora i Francesi.”
“Prijia?”
“Mia sorella.
Parlammo di Bangkok, della Thailandia quando ancora si chiamava Siam, e del suo lavoro al reparto Spedizioni.
Verso le 4 del mattino le strade cominciarono a svuotarsi.
“Ora dovrei andare…” cominciai a dire. Ma una voce alle mie spalle mi bloccò.
“Che ci fai con questo?”
Qualcuno mi dette un colpo alle spalle, rovesciandomi in grembo il bicchiere che avevo in mano.
“Cosa ti ha fatto!”
Afferrò il polso livido di Siskit, girandolo verso di me.
“Sei stato tu a farle questo?” urlò, in Thailandese.
“Prijia, non…”
“Lurido fottuto vecchiaccio Americano! – continuò a sbraitare lei – Pensi di poter venire qui dal tuo paese per fare del male a noi donne , e poi rabbonirle portandole a bere per farci altro?”
Temendo che mi volesse aggredire fisicamente, mi alzai dalla sedia e indietreggiai.
Siskit si alzò e la prese per un braccio. “Fermati, Prijia, non è stato lui…” E poi cominciarono a parlare tra di loro sottovoce in Thailandese.
“Chi allora?– esclamò Prija, lanciandomi un’occhiataccia – se non questo bastardo vecchio di un Americano?”
Siskit le raccontò degli uomini che volevano violentarla e di tutto il resto. Prija continuò a guardarmi con occhio torvo. A un certo punto la sua espressione di odio si mitigò, ma non troppo. I suoi occhi, neri come tizzoni ardenti, parvero acquietarsi.
Prija era una ragazza molto carina, bruna e formosa al punto giusto, e la sua bellezza era messa in risalto dalla gonna marrone chiara che indossava. Se non avesse avuto quell’aria torva, sarebbe sembrata più una bambina che una ragazza.
Siskit si alzò e mi tese la mano. “Vogliamo ringraziarti per avermi salvata. Quegli uomini avrebbero potuto farti qualcosa di brutto.”
“Sì – sibilò Prija – grazie.” E si aggiustò i capelli sulle spalle.
“Grazie. Sedetevi ora.” Prija prese una sedia e si mise seduta accanto a Siskit.
“Erano solo in quattro e con una pistola – dissi sorridendo in Thailandesi – non sei.” Fissai il volto di Prija e mi sedetti di fronte a loro.
Lei rimase interdetta per un attimo.
“Parli bene il thailandese.” osservò.
“E’ vero! – aggiunse Siskit – Dove lo hai imparato?”
“Qui. – dissi, facendo un gesto verso la strada dove i venditori ambulanti stavano cominciando ad arrivare – A Ladprao.”
“Vivi qui?”
“No. Sono solo un lurido fottuto vecchio Americano in trasferta.”
“Allora sei qui per trovarti una femmina , – sibilò Prija – per far divertire il tuo vecchio cazzo come non puoi fare nel tuo Paese!” I suoi occhi lanciarono scintille, mettendomi in guardia se mi fossi avvicinato troppo.
Mi alzai facendo indietro la sedia, misi la mano nel portafoglio e tirai fuori 100 bath, che posai sul tavolo.
“E’ troppo per due the! – disse Siskit – Aspetta, che ti danno il resto!”
Sorrisi. “Tenetelo per voi. Ne avete più bisogno di me.”
Sorridevo ancora mentre uscivo dal bar.
E’ proprio questo che intendevo.

CAPITOLO DUE
La maggior parte delle ragazze che lavoravano in strada si prendevano la domenica di festa, quindi quel giorno non mi recai a Ladprao.
Nel primo pomeriggio presi un tuc-tuc per Rattanakosin, la città vecchia. Si trova nel centro di Bangkok, sulle rive del fiume Phraya. Tutta la zona è ricchissima di antichi edifici , che risalgono al periodo in cui la Thailandia era ancora il Siam.
Salii su una barchetta da escursione per navigare sul fiume. In sala pranzo ordinai una bottiglia di vino rosso e un pasto leggero a base di phat kaprao, pollo saltato in padella con basilico e peperoncino.
Mentre mi godevo la mia gita sul fiume, prendevo appunti sul mio iPad. Non digitai cose significative, ma cercai di trascrivere tutte le emozioni che provavo in quel momento, stimolati dal paesaggio che avevo davanti. C’è qualcosa di evocativo nel lasciarsi sommergere dalle emozioni guardando un paesaggio: la fantasia lavora per te i tuoi pensieri si trasformano in voli pindarici.
Un palazzo del IX secolo tutto colorato mi evocò il pensiero di una principessa prigioniera che invocava la libertà alla mia barca. E quel vecchio che stava lanciando la sua rete da pesca nell’acqua torbida: nei miei pensieri si trasformò in una spia che sorvegliava il palazzo.
E quei due innamorati che passeggiavano lungo la riva del fiume, mano nella mano…mi ricordarono un’altra coppia, di cinquant’anni fa.
Era così facile immergermi nelle mie fantasie, dove tutto era possibile. “Starò lontano solo per poco – le dissi – poi staremo insieme per tutta la vita.”
Era così che abbiamo trascorso gran parte delle nostre serate, facendo progetti sulla nostra vita futura e costruendole una cornice da sogno.
Ma la guerra aveva progetti diversi per noi. Un mare di amarezze ci attendeva.
IL fischio della sirena del battello che stava per arrivare al molo mi riportò bruscamente alla realtà.
* * * * *
Mercoledì sera, all’una di notte, io ero di nuovo in strada.
Vidi Prija appoggiata a un muro, che chiacchierava con altre ragazze. Tutte indossavano minigonne aderenti e toppini. Mentre parlavano guardavano distrattamente i loro cellulari e talvolta spuntavano un messaggio, ma sempre tenendo d’occhio i maschi che passavano.
Attraversai la strada per andare verso di lei, ma non intendevo parlarle: in realtà volevo guardarla ma senza avere a che fare con lei.
Mentre ero lì che la guardavo, lei si scostò da un muro per andare a parlare con un tizio che le era passato vicino. Non so cosa ci trovasse di particolare in lui, certo era che lo aveva preso di mira. Era un Thailandese di mezza età, ben vestito e curato. Probabilmente un uomo d’affari.
I due confabularono per un minuto. Poi lui le porse dei soldi e lei lo prese per mano e lo guidò verso una delle tante porte di un palazzo decrepito, che si apriva su un minuscolo tugurio.
Voltai lo sguardo. Non volevo vedere. Tutto ciò mi dava un gran fastidio. Eppure, sapevo quello che avrei visto.
E quindi, che cosa ci sono venuto a fare?
Passeggiai per tre isolati, poi girai i tacchi e tornai indietro. Entrai nel bar dove il sabato precedente avevo preso il the con Siskit e accesi l’iPad.
Quando iniziai a scrivere, rimasi sorpreso dal flusso di emozioni che si riversava fuori di me.
A volte, quando mi metto a scrivere, l’unica cosa che faccio è digitare. La maggior parte di ciò che viene fuori viene cestinata il giorno stesso, quando magari decido di modificare una trama, ma altre volte vado in una specie di trance e ciò che digito si trasforma in una storia. Un processo che può durare minuti o anche ore. Quando mi succede è come se entrassi in un tunnel che si apre misteriosamente davanti a me, e che io percorro senza sapere dove mi condurrà. E’ un’esperienza che mi piace molto, perché è come un viaggio che si apre a panorami insoliti.
La cameriera mi chiese se volevo qualcos’altro. Io ordinai qualcosa da mangiare, giusto per essere lasciato in pace.
In genere, questi viaggi dell’immaginazione vengono scatenati da qualcosa che mi ha turbato, e sono molto rari. Quando mi trovo in quel tunnel devo percorrerlo fino in fondo, anche se il cammino dovesse durare a lungo, perché so che dovrò aspettare molto prima che un’esperienza del genere si ripresenti. Potrebbero passare giorni, o addirittura settimane. Il tempo che intercorre tra un’esperienza e l’altra, lo passo a modificare ciò che ho scritto.
Persi completamente cognizione della realtà mentre scrivevo, fin quando una voce non mi parlò in Inglese. Era Prija.
“Che stai facendo?” mi chiese.
“Scrivo.” risposi, senza alzare lo sguardo dall’iPad.
“E che stai scrivendo?” chiese ancora. E, senza che la invitassi, si sedette al mio tavolo e prese con le dita un pezzo di maiale al forno.
“Perché non ti siedi e assaggi la mia cena?” le dissi, caustico.
“La tua cena è fredda.” rispose, senza minimamente scomporsi.
“Mi piace così. – dissi, freddamente. In realtà me n’ero completamente dimenticato. – Che cavolo ci fai qui?” Alzai gli occhi e scorsi i venditori ambulanti che stavano approntando le loro bancarelle.
“Vengo qui tutti i giorni, all’alba.”
“Sì, all’alba.” Si appoggiò coi gomiti sul tavolo e mi guardò fisso negli occhi. “Sei anche rincoglionito, oltre che vecchio?”
“Forse sì.”
“Che stai scrivendo?” Alligò il collo per dare un’occhiata al mio iPad.
“Niente che tu sia in grado di capire.” Girai il cellulare verso di lei.
Lesse la prima pagina, poi la girò e lesse la seconda.
“Queste frasi non hanno senso.” Esclamò, girando di nuovo il cellulare verso di me.
“Beh, finché leggerai le frasi al contrario continueranno a non averne. Magari leggere è difficile, per il tuo cervellino di pisello.”
“Cervellino di pisello? Intendi il legume o quel coso da cui esce la pipì?” Fece un sorso dal mio bicchiere.
“Nel tuo caso, la pipì.”
“Anche il tuo the è caldo come la pipì.” Alzò il bicchiere verso la cameriera.
“Immagino che tu sappia molte cose sulla temperatura della pipì.”
“Io so molto di tutto.” disse.
“Nel frattempo ti siedi al mio tavolo senza invito, mangi la mia cena, bevi il mio the, denigri i miei scritti e ora ti aspetti pure che paghi io.”
“Perché no? Hai soldi da strafottere. Perché cavolo mi segui?”
La cameriera ci portò del the freddo.
“In realtà aspettavo Siskit per fare una bella conversazione piacevole, e invece mi sei capitata tu.”
“Sei fortunato. In genere gli uomini mi pagano per questo.”
“Ti pagano per farsi insultare?”
“La maggior parte degli uomini merita di farsi insultare.”
“La maggior parte degli uomini è idiota.” dissi io.
“Tutti gli uomini sono dei perfetti idioti.” Sorseggiò il suo the. “Solo alcuni lo sono solo per metà.”
“Lo prendo come un complimento”
“Non lo era.”
Mi alzai. “Devo andare prima di mettermi a vomitare.”
“Sì, anch’io, prima di annoiarmi a morte.”
Lasciai dei soldi sul tavolo e infilai in tasca il mio iPad. “Ci vediamo.” dissi.
“Speriamo di no.” rispose.
Nella mia camera d’albergo mi feci portare un caffè, poi me ne dimenticai completamente.
A mezzogiorno lavoravo ancora sul mio PC.
A metà pomeriggio mi fermai e diedi un’occhiata a ciò che avevo scritto.
Wow, 115 pagine!
Di colpo provai fame e sonno.Indeciso sul da farsi, mi preparai una tazza di caffè solubile.
* * * * *
Giovedì notte. Mi sedetti al solito tavolo, a guardare Prija che lavorava. Provai a scrivere qualcosa sull’iPad, ma non ne venne fuori niente. Lei invece sembrava molto indaffarata.
Il mio cellulare trillò al suono di Johnny B. Goode.
“Ehi, numero Tre!” risposi. Ascoltai la voce al telefono. “ Sì, ero già sveglio. Che ore sono lì a L.A.?”
Dopo un attimo la voce rispose: “Circa l’una e mezza di notte.”
Non avevo molta voglia di parlare con lui, ma avevamo dei problemi da risolvere.
“Beh, comunque non riuscivo a dormire.” dissi.
“Ho fatto di nuovo i conti.”
“A che scopo?”
“Ho pensato che potremmo acquistare noi il materiale per il progetto e poi rivenderlo quando avremo finito.. Ho calcolato che comprarlo ci costerebbe di meno che noleggiarlo.”
“Perché parli al plurale?”
“Intendevo noi, tu ed io.”
“Ma potremmo chiudere il leasing, per alleggerire il nostro carico fiscale.”
“Potremmo invece ammortizzare gli acquisti.” disse il Numero Tre.
“Non funzionerà.”
“Ti mando le proiezioni P & L.”
“Mandale pure, ma ti ripeto che non funzionerà.”
“Problemi?” esclamò Prija, mentre si sedeva accanto a me.
“Devo lasciarti. Ci sentiamo più tardi.” Chiusi la comunicazione e gettai l’iPad sul tavolo.
“Con chi parlavi?”
“Col mio socio in affari.”
“Che tipo di affari?”
“La ristrutturazione dell’Ospedale di Los Angeles.”
“Sembra una cosa complicata.”
“Sì, è difficile infilare tutti nella stessa pagina.”
“Che pagina?”
Mi alzai stizzito, e afferrai il mio cellulare per mettermelo in tasca.
“Perché mi spii?”
“In verità, ero convinto che me ne sarei andato senza vederti.”
“Mi hai spiata tutta la notte.”
“Ho lavorato tutta la notte.” Le mostrai l’iPad che avevo ancora in mano.
“Spero che non siano le stesse stronzate dell’altra sera.” Rimase seduta al tavolo, ma io non avevo intenzione di restarci.
“No, questa volta erano cavolo e trippa.”
“Stai migliorando. Siediti, che sembri un corridore sull’asta di partenza.”
“Sono troppo vecchio per quello, ormai.”
Mi sedetti di nuovo. Lei fece un cenno alla cameriera.
“Quindi, sei una specie di guardone.” Si rivolse alla cameriera che era giunta al tavolo. “Ciao, Ringy. Ci porti due birre scure, per favore?”
Ringy sorrise e andò a prepararle.
“Come mai sei così gentile con lei?” le chiesi.
“Ha lavorato anche lei per strada, finché non è invecchiata troppo.”
“Come succederà a te. Forse la settimana prossima.”
“Divertente. Allora, che cavolo vieni a fare, qui?”
“Pensavo di trovare qualcosa che mi eccitasse mentalmente, e invece ho trovato solo le tue chiacchiere noiose.”
“Beh, anche l’eccitazione ha un costo.”
“Invece la noia è gratis?”
“Fin quando non troverò qualcuno disposto a pagarmela. E tu? Che ne diresti di qualcosa di eccitante?”
Mi misi a ridere. “IO? E perché dovrei?”
“Perché comunque sei un uomo.”
“E quindi desidero una vera donna.”
“E secondo te io non lo sono?”
“Secondo me tu sei… In quell’istante Ringy ci portò le birre e io zittii. Prija sorseggiò la sua, poi mi guardò con aria interrogativa.
“Credo che ci sia un tempo per scherzare e uno per fare le cose serie.” dissi.
“E perché? Sabato scorso ti ho detto che sei un lurido vecchiaccio Americano.”
“La verità non ha mai ucciso nessuno.”
“Allora dimmi la verità su di me.”
“Ok. Sei bellissima.”
“Oh, mi fai arrossire.”
“E lavori per strada perché in fabbrica non faresti gli stessi soldi.”
Il suo cellulare vibrò. Lei gli diede un’occhiata distratta ma non rispose.
“Come mai Siskit si adatta a lavorare al reparto spedizioni per un decimo di quello che guadagni tu?”
“Perché non le permetterò di fare il mio stesso lavoro.”
“Ma va bene per te, vero?”
“IO so cosa faccio.”
“Oh…e cosa stai facendo?”
Lei stette zitta per un attimo. “Va bene. Paga e tornatene al tuo lavoro.”
Si alzò. La guardai andarsene, prima di lasciare i soldi sul tavolo.
Meraviglioso. Proprio come ai bei vecchi tempi.
* * * * *
Le due di notte di sabato sera. Tutti i tavoli del solito caffè erano occupati. Mi misi a camminare sul marciapiede al alto opposto. Avevo il mio computer portatile nello zaino a tracolla.
Prija non era al solito posto.
Scrutai la strada in lungo e in largo: niente.
A un tratto vidi Prija uscire da una porticina dell’edificio e sistemarsi la gonna. Era in compagnia di un ometto basso e grasso.
“Sassone!” esclamò una voce alle mie spalle. Mi voltai.
“Siskit! Che piacere vederti!”
Mi abbracciò. “Che fai? Controlli Prija?”
“Ehmmm…sì, fino a poco fa.”
“Anch’io lo faccio, ogni tanto. Ho sempre paura che qualcuno le metta le mani addosso.”
”E’ già successo?”
“Sì, molte volte.”
“Perché lo fa?”
Siskit fece un cenno di saluto a Prija dall’altro lato della strada. Lei rispose con un cenno del capo.
Mi sta guardando?
Provai il forte impulso di salutarla, ma rimasi fermo con la mano avvinghiata allo zaino.
Se n’è accorta che prima la stavo guardando?
Tutti i soldi che guadagna li dà alla famiglia. Nostro padre è malato di cancro, e nostra madre è costretta sulla sedia a rotelle.”
“Oh, no. Che tipo di cancro?”
“Polmoni.”
“E’ in chemio?”
Mi guardò. “Che cos’è?”
“Ehmm…delle sostanze chimiche che ti danno per endovena.” Feci il gesto dell’ago ficcato nel braccio. “A volte te lo danno con le pillole.”
“Ah, sì. Dovrebbe farlo. Ma costa 300.000 bath al mese.”
“Allora fa la radio?”
“Sono sei mesi che la fa. Ha perso tutti i capelli, ormai.”
“Mi dispiace molto.”
“Non dire a Prija che te l’ho detto.”
“Ok.”
Arrivò un messaggio al suo telefono. Lei lo lesse e sorrise. Mi guardò.
“Allora, promesso?”
“Promesso. Ma non lo sa nessuno?”
“Solo un’altra persona. Comunque, Prija sta arrivando.”
Vidi Prija che dall’altra parte della strada aspettava che una moto passasse, prima di dirigersi verso di noi.
“Devo andare. Mi raggiungi più tardi al solito caffè?”
“Certo. Ma perché te ne vai’”
Dovetti scappare per non farmi sommergere dalle emozioni. Adoravo le mie chiacchierate acide con Prija, ma non volevo assolutamente che lo sapesse. E adoravo i suo viso, così simile a quello della donna scolpita nella mia memoria. E ora, la rivelazione che vendeva il suo corpo per pagare le medicine al padre gravemente malato. Tutto ciò stava mandando in tilt il mio cervello, come un pallone che si gonfiasse fin quasi a scoppiare. Qualcosa stava per cedere.
Se fossi stato un uomo abituato a bere, forse due bicchieri di vodka o di whiskey mi avrebbero rimesso in sesto. O mi avrebbero aiutato a dimenticare.
Odiavo quello che faceva Prija, ma nel contempo l’ammiravo. L’amore è così potente da condurre all’auto-distruzione? E io, se fossi stato al suo posto, avrei fatto come lei? No so se avrei la forza di fare un sacrificio simile, tale da cambiarmi la vita. Lei è disposta a sacrificare la sua giovane vita per il bene della sua famiglia.
Cosa avrei potuto dirle, la prossima volta che ci saremmo visti? Ogni mia accusa sarebbe crollata ai piedi di una sedia a rotelle e un vecchio morente. E i suoi genitori sapevano quello che faceva per loro? Probabilmente no. E cosa dire degli ubriachi e dei molestatori che le mettevano le mani addosso? Ogni sera, lei metteva in pericolo non solo la sua salute, ma la sua stessa vita.
La conosco da meno di una settimana e mi sento già immischiato nella sua vita. Devo andarmene da Bangkok, subito! Posso scrivere ovunque. Magari, me ne ritorno in Amazzonia. Nella foresta pluviale, lontano dal caos e dalla gente. Via dal cancro e dalle puttane. Lì, nel silenzio della jungla e senza distrazioni, l’unica cosa che mi serve è un collegamento satellitare, una bottiglia di repellente per insetti, e potrò starmene in pace finché ne avrò voglia.
* * * * *
Alle tre del mattino riuscii ad impossessarmi di un tavolo e ordinai qualcosa da mangiare, in modo che la cameriera non mi pregasse di andarmene subito. Se Siskit mi avesse raggiunto, avremmo potuto mangiare insieme.
Non passò molto prima che la sua dolce voce mi suonasse alle orecchie. Ceh bella ragazza, e che sorella affettuosa nei confronti di Prija!
“Sono contenta che mi hai aspettato.” disse, sedendosi.
Salutò Ringy. “Che vuoi da bere?” le chiesi, spingendo verso di lei il piatto con la cena. “Ti ho preso qualcosa da mangiare.”
“Ce l’hai ancora quella aranciata frizzante?” chiese a Ringy, in thailandese.
“Certo. Se volete, vi porto la bottiglia grande. Aranciata anche per lei, signore?”
“Sì, grazie.”
“Che fame!” esclamò Siskit.
Chiacchierammo del più e del meno in thailandese. Ero felice che sapessi parlarlo di nuovo.
Spinse il piatto verso di me. Feci un boccone anch’io.
“Che lavoro fai?” mi chiese.
“Medico e scrittore.”
“Davvero? E cosa scrivi?”
“Un po’ di tutto. Libri di avventura, storia, romanzi…”
“Qualcuno dei tuoi libri è stato tradotto in thailandese?”
“No. Esistono solo in Inglese.”
“E quanti ne hai scritti?”
“Sedici. E altri quattro sono in lavorazione.” Spinsi il piatto verso di lei. “Ma ora basta parlare di me. Ti piace i tuo lavoro al reparto spedizioni?”
“Sì, mi piace, ma non vedo l’ora di tornare al mio villaggio a Pattani.”
Smisi di masticare e la fissai.
“Mi manca la mia famiglia.” Spinse il patto verso di me. “Che c’è?”
Io ingoiai e bevvi un sorso d’acqua. “Pattani, giù al sud?”
“Sì. Lo conosci?”
“Allora sei musulmana.”
“Certo. Anche Prija lo è. Veniamo da un piccolo villaggio.”
“Ma non vi coprite i capelli.”
“Non siamo praticanti. Non ci inginocchiamo nemmeno le 5 volte al giorno per pregare verso la Mecca. Lo facciamo solo quando siamo al villaggio. Sai, per non dare scandalo.”
Ora, ero completamente nel pallone. Provincia di Pattani… Da quanto tempo non sentivo più queste parole? Sarei dovuto andare lì, appena tornato in Thailandia.
“Che dottore sei?”
“Scusa?”
“Che tipo di dottore sei?”
“Oh…uno qualunque.”
“Hai detto che sei già venuto a Bangkok, tempo fa.” Fece un boccone di riso al curry.
“Sì.” Sollevai il bicchiere vuoto verso Ringy.
Non voglio rispondere a queste domande. Ma non voglio essere scortese con questa ragazza. Non c’è motivo.
“Circa cinquant’anni fa.”
“E dopo tanto tempo, ricordi ancora la nostra lingua!”
“Quando sono arrivato, due settimane fa, ho avuto dei problemi. Poi, piano piano, ho ricominciato a parlarlo.”
“Lo parli bene. Perché cinquant’anni fa eri qui?”
Feci ruotare il bicchiere sul tavolo, con lo sguardo fisso sulle goccioline di umido che lasciava sul tavolo.
“Mi fai una domanda abbastanza semplice, Siskit. Ma la risposta non è…”
“Credevo che te ne fossi andato!”
“Ecco che arriva Prija, –esclamai – e come al solito interrompe i nostri discorsi!”
“Cosa ho interrotto?” chiese lei, prendendosi una sedia e servendosi del mio bicchiere di aranciata fredda.
“Una conversazione piacevole con la mia amica.”
“Oh, hai un’amica?” Sorrise a Priskit e posò il cellulare sul tavolo.
“Sì, l’ho rubata a te.” Presi il mio drink e ci feci un sorso. “Stai ancora lavorando?”
“Infatti.”
“Non ci farai un soldo a scherzare con me.”
“Fossi in te, non ci giurerei.”
“Sai che è un dottore? – disse Siskit – E ha anche scritto sedici libri!”
“Che tipo di dottore?”
“Ehmm…uno per le donne.” dissi, in Inglese. Feci un profondo sospiro. “Ginecologo.”
“Cosa?’” chiese Siskit.
“Tipo…una dottoressa.” rispose Priskit, con un sorriso cattivo.
“Lasciamo perdere, ok?”
Il suo cellulare squillò. Diede un’occhiata. “Devo andare.” Si voltò verso di me. “Resta lì finché non torno. Non abbiamo ancora finito, io e te.” E sgusciò via.
“Oddio! A volte penso che dovrei tapparmi la bocca!” esclamai.
“Perché? – chiese Siskit – Ti fa schifo essere paragonato ad una dottoressa?”
“Niente affatto, ma Prija mi sfotterà a lungo per questo.”
Siskit sorrise. “Hai ragione!” esclamò.
“Parliamo del tuo lavoro. Ti occupi delle vendite dirette?”
“No, sto a logistica.”
“Sembra difficile.”
“Per niente. Sto al computer e mi occupo di riempire di merci i containers, e poi assegnarli alle navi dirette in America o in Europa.”
Si dilungò sul modo migliore per utilizzare gli imballaggi in base alle loro dimensioni. E a come assegnarli ai vari containers in modo che quelli in cima fossero i primi da scaricare.
“Wow, affascinante! Ma che…?!?!”
“Ho un’eruzione cutanea!”
“Oddio, eccola che torna!” Mi misi le mani sulla faccia. “Monistar, Prija. Compralo in farmacia. Non c’è bisogno della ricetta medica. Siskit e io stavamo parlando.”
“Di me?” E sorrise. Per la terza volta, quella sera.
Devo andarmene subito, prima di spiattellare tutto.
“Oh, Signore.” Mi appoggiai allo schienale della sedia, per prendere i soldi dalla tasca dei pantaloni. “Proprio divertente. Ora devo andare.”
“Perché te ne devi andare?” chiese Siskit.
“Ho bisogno di dormire.” dissi.
“Domani è domenica. Nessuno lavora.” aggiunse Prija.
“C’è gente costretta a lavorare tutti i giorni.”
“Sulle femmine o sui libri?” chiese Prija.
“Non ti arrendi mai, vero?” Sorrisi.
Lei scosse la testa, ridendo.
“Devo iniziare un nuovo libro.”
“E di che parla?”
“Non te lo posso dire. E’ una storia triste.”
“A me piace leggere.”
“Pensi di essere capace?”
“Leggo meglio di come scrivi tu.”
“Buonanotte, signore.”
“Ci vediamo domani.” disse Siskit.
“Ti porteremo in un bel ristorante.” disse Prija.
Scossi il capo: sapevo che stavano scherzando.

CAPITOLO TRE
Un bussare alla mia porta mi spaventò. Chi poteva essere? Diedi un’occhiata all’orologio sul microonde: le quattro pomeridiane di domenica.
Aprii la porta e mi trovai faccia a faccia con due ragazze sorridenti.
Prija mi scavalcò entrando. “Allora, sei pronto per uscire? Ti devi cambiare questa camicia puzzolente!” Esaminò con cura il mio appartamento.
Siskit mi sorrise e mi abbracciò.
“Che bello vederti, Siskit! – le dissi – Credevo che steste scherzando quando mi avete parlato dell’andare fuori a cena!” Chiusi la porta.
“Ti abbiamo avvisato che saremmo venute a prenderti.” Disse Prija, sedendosi davanti allo schermo del PC.
“Ho creduto che non faceste sul serio, perché non vi ho mai detto dove alloggiavo.”
“Che roba è?” chiese Prija, indicando le cifre sul monitor.
“La stima del budget necessario per i lavori di ristrutturazione dell’ospedale e la nostra offerta.”
“Wow, quanti numeri!” Guardo la cifra del totale. “ Cosa? Diciassette milioni di dollari?”
“Si, questa è la stima che hanno fatto i miei soci.”
Prija si alzò. “Siskit, tu che sei pratica di conti, dai un’occhiata a questo.” Porse la sedia alla sorella. “Vai daccapo.”
Le due ragazze cominciarono a scorrere i numeri.
“E’ una cosa piuttosto noiosa. – dissi – Allora, è tutto esatto?”
“Oh Oh! – disse Siskit, indicando alla sorella delle cifre. Scorse velocemente la pagina successiva.
“Che cos’è “il mix pronto?” chiese Prija.
“E’ la miscela di calcestruzzo, pronta per l’utilizzo.” risposi.
“E quante sono dodicimila iarde?”
Feci un rapido calcolo mentale. “Circa 120 camion pieni.”
Le sorelle si guardarono. “Guarda, che c’è un errore sui 120 camion di calcestruzzo.” esclamò Prija.
“Che dici?” Mi fiondai anch’io a guardare lo schermo.
“Guarda. 204 dollari per dodicimila metri cubi di calcestruzzo.” E m’indicò il numero.
“Santo cielo!” Mi precipitai al telefono. “Dovrebbero essere 20.400 dollari!” Feci il numero. “Scendi all’ultima pagina.” IL telefono squillò. “Sottrai 20000 dal totale. Ehi, numero Tre!”
“Che c’è?”
“A che punto siamo con la nostra offerta per i lavori di ristrutturazione dell’ospedale?”
“Che ore sono lì?”
“Le quattro del pomeriggio. Allora? Dai un’occhiata alla cifra totale dei costi.”
“Ma che c’è? – bofonchiò l’uomo dall’altro capo del telefono – Vuoi darmi almeno il tempo d svegliarmi prima di cominciare a urlare?”
“Ma che fai, dormi?”
“Di solito è quello che si fa a notte fonda. Dammi il tempo di aprire gli occhi e accendere il PC.”
Tamburellai impaziente con le dita sul tavolo.
“Ok, sono davanti al PC e sto guardando l’offerta.”
“La vedi la cifra totale per i costi del mix pronto?”
“Aspetta, sto arrivando…Oddio!”
“Proprio così!”
“Dovrebbero essere 20400 dollari, non 204!”
“Esatto. A che punto siamo della trattativa?”
“Beh…”
“Cioè?”
“Abbiamo presentato l’offerta venerdì.”
Crollai sul divano. “Cosa? Che avete fatto?” Sentii la pressione schizzarmi a mille.
“Abbiamo presentato…”
Chi, chi l’ha presentata? Senza il mio consenso?” urlai.
“Io e il numero Due abbiamo pensato…”
“Se quell’offerta verrà accettata, e probabilmente sarà così con quelle cifre, chi pagherà i 20000 dollari di disavanzo sul mix pronto?”
“Io non…”
“Cazzo! Ne hai fatte di stronzate nella tua vita, ma questa è sicuramente il massimo!”
“Lo so, ma ora che…”
“Mettiti subito al telefono e vedi se puoi ritirarla. O se puoi modificarla, se l’hanno già accettata. I miei contabili per ora hanno trovato quest’errore, ma stanno verificando anche tutto il resto. E auguriamoci che non ci sia altro!”
“I…tuoi contabili?”
“Sì. Fammi chiamare subito dal numero Due!” Interruppi la comunicazione e, furioso, lanciai il cellulare sul tavolo.
Le ragazze mi fissavano. Io sprofondai nel divano, a braccia conserte, e tirai un lungo sospiro.

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