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Minotauro
Sergio Ochoa


MINOTAURO
CRIMINE o MARTIRIO?
Di
Sergio Ochoa M.

A Don Sergio, mio padre
A Don Jorge, mio amico
Tutte le storie dovrebbero avere un lieto fine.

Tradotto da Patrizia Barrera

Copyright © 2020 - Sergio Ochoa M.

CAPITOLO PRIMO
Un Poliziotto
Roberto Velarde è un poliziotto dalla nascita, per vocazione. Si potrebbe dire che già lo era nel momento in cui fu concepito.
Se diamo uno sguardo al suo passato possiamo dire che è come se non avesse fatto altro che accumulare distintivi, incarichi e foto rigorosamente in uniforme. Diventare un poliziotto è sempre stato il suo obiettivo, e lo ha sempre saputo, così chiaramente da rinunciare ai piaceri della sua giovinezza per dedicarsi completamente all'Accademia del Distretto Federale.
Nelle sue viscere covava l’ardente desiderio di diventare un detective, di combattere i crimini più gravi; di diventare un eroe, qualcosa di simile alla versione Messicana di Dick Tracy - i suoi fumetti della domenica.
Ma la politica, le lotte di fazioni e gli interessi economici avevano gradualmente distrutto il suo desiderio di giustizia, fino ad estinguerlo del tutto. Più di una volta Velarde era stato testimone della compravendita della giustizia 1

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e della sua corruzione: il prezzo con cui si compra la legalità.
Se aveva deciso di rimanere un poliziotto, era più per un ideale che per altro, forse anche per vocazione. Nel profondo della sua anima sentiva ancora l’esigenza di rimettere a posto le cose, dirimere, fare la differenza; insomma, distinguersi.
Quando Roberto Velarde era ancora molto giovane, all'età di 19 anni, fu reclutato dallo stesso dott. Alfonso Quiroz Cuarón - un caro amico di suo padre e suo compaesano - a far parte
del
gruppo
di
detectives
che
investigarono, tennero d’occhio e infine inchiodarono importanti criminali del tempo, incluso uno che avrebbe posto il Distretto Federale al centro degli interessi della stampa mondiale e di centinaia di articoli: stiamo parlando nientepopodimeno che del famoso Gregorio Cárdenas Hernández, noto anche come "Gregorio il Cardinale".
Furono
momenti
decisivi
nella
sua
formazione, nella sua sete investigativa. Il mondo della psicologia criminale che imparò a conoscere giorno dopo giorno grazie all’aiuto di Quiroz Cuarón, finì per fare di lui un
meraviglioso
agente
della
polizia
giudiziaria federale (e di acquisire quelle 2

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abilità e competenze che gli permisero di collaborare più volte con i servizi segreti, come agente sotto copertura.)
Ma ormai è un bel po’ che questa sua vocazione e il desiderio di combattere per la giustizia sono drasticamente scemati...
Sono trascorsi quasi quarant'anni da allora e Velarde, ormai con il grado di Capitano, lavora come detective nell'area omicidi della capitale di Chihuahua. Non c'è molto lavoro da fare, almeno rispetto ai decenni precedenti; ora la mafia locale guidata da un famoso trafficante di droga di Guadalajara e da un ricercato della giustizia, sembra andare a braccetto con le diverse autorità di zona, nel bene e nel male. Velarde e la sua esperienza vengono ignorati, completamente.
Se solo i suoi superiori considerassero che questo ragazzo ha più missioni di spionaggio sulle spalle di qualsiasi altro militare attivo e che all'epoca era il discepolo preferito di Marcelino García Barragán! Ma la gente presto dimentica e nessuno dei suoi colleghi lo collega ormai a "quei vecchietti", come ama definirli lui quando si riferisce a se stesso, soprattutto quando sente dai novellini appena arrivati i colossali errori di indagine e di ricerca che fanno continuamente!
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Velarde integra la giornata di lavoro con gli straordinari riordinando pratiche d'ufficio, e con grande sorpresa dei suoi colleghi è davvero bravo nell’archiviazione dei files e a smanettare sul PC IBM 5150; da giovane era stato anche dattilografo, e a quanto pare ciò lo ha molto aiutato, in queste cose. La differenza è che invece di usare i fogli di carta carbone, esegue il backup delle informazioni su floppy disk da 5 ”¼ e quando è necessario inserire un file, il rumore della stampante ad aghi non si ferma. Inoltre riordina, unisce files, e strappa ai topi molte cartelle di pratiche altrimenti destinate all’oblio.
Ormai il suoi mondo è tutto lì, nei files archiviati che studia e che riordina, ed è curioso di tutto, e analizza con cura e digitalizza anche le vecchie indagini da antiche cartelle cartacee che altrimenti verrebbero distrutte dai topi. Lì, dove una volta facevano bella mostra di sé le macchine da scrivere Remington prima di essere regalate ad altri uffici o semplicemente gettate nella spazzatura; lì dove l'odore di umido antico e la polvere del tempo formano uno strato denso come la crema; lì dove non gli restano altro che i ricordi, Velarde si rifugia, ormai guardato con sopportazione e 4

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sospetto dai suoi stessi colleghi, e in attesa della pensione, ormai sempre più vicina.
“Cosa farò dopo?” si chiedeva spesso.
Sarebbe diventato uno di quegli squallidi detective di provincia, intenti a inseguire mariti infedeli?
Non avrebbe lottato mai più contro la vera criminalità organizzata, non sarebbe finito mai più sui giornali per aver risolto un caso importante.
La vita non è come si vede nei films. Per lui, ci sarebbe stato solo l’oblio.

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CAPITOLO SECONDO
Jorge Sogna
Mercoledì notte, 5 agosto 1982, una meravigliosa luna illuminava il cielo della città di Chihuahua. Le notti cominciavano a rinfrescare, e non erano più così calde come prima. Un forte vento cominciò a soffiare per le strade, e i giganteschi pioppi cominciarono ad ondeggiare pericolosamente. L’autunno era alle porte, o almeno quello era l’avviso che la bella stagione stava per finire.
La luce della luna era appena velata dalle foglie degli alberi, quando una forte corrente d’aria fredda s’insinuò da qualche crepa nascosta della stanza del signor Jorge Ledezema, che rabbrividì e fece un incubo Sognò di un giorno qualsiasi della sua infanzia nei sobborghi; stava correndo lungo il marciapiede della strada dello Specchio, recando in mano un cartoccio di caramelle appena acquistato e se ne riempiva la bocca con voracità. Entrando nel proprio quartiere si scontrò con le gambe di una donna comparsa dal nulla, andandoci a sbattere con tanta violenza da farla quasi cadere per terra.
Era una donna alta, snella, dall'aspetto 6

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semplice ma lo sguardo cupo, con meravigliosi capelli biondi quasi platino che incorniciavano un viso con dei bellissimi occhi scuri ma l’espressione vuota.
La donna si sporse verso di lui e, come se lo conoscesse, lo afferrò per le spalle con entrambe le mani, esclamando con voce dura e roca: "Ragazzo, quando sarai pronto mi sognerai e io ti dirò cosa fare" ...” Jorge si svegliò di soprassalto, mentre la porta della sua stanza sbatteva con fragore, fracassando uno dei suoi cristalli da collezione.
Si tirò su, guardandosi intorno confuso ...
Sudava freddo e mentre ansimava e guardava la piccola lampada sul comodino che tremolava mentre fuori il vento continuava a fischiare, non poté fare a meno di pensare alla spada di Damocle.
La mattina dopo si lavò e si vestì di fretta, uscì di casa senza fare colazione - come faceva quasi ogni giorno - percorse un paio di isolati fino a Paseo Bolívar e salì su un taxi per andare nel suo ufficio, che si trova nella parte alta della città: c'erano alcuni files a cui voleva dare un’occhiata.
Il suo lavoro come consulente tecnico del Congresso di Stato includeva, tra le altre 7

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cose, la revisione delle proproste dei deputati locali, in modo che la loro ambizione di distinguersi per farsi rieleggere sfornando progetti, programmi, riforme e altre boiate del genere
non
s’infrangesse
davanti
a
contraddizioni e incoerenze logistiche o costituzionali. O magari su entrambi i fronti, che era l’errore che, a quanto pare, facevano tutti. Anzi, ad ogni nuova legislatura, gli ignoranti aumentavano.
C'erano un sacco di aspetti da vagliare e su cui documentarsi, come codici, regolamenti e vademecum, ma quella mattina non era concentrato appieno sul suo lavoro. Non riusciva a scrollarsi di dosso il sogno della notte prima: era stato un incubo, una premonizione o un vecchio ricordo? Qualcosa che apparteneva al suo passato e che aveva ormai
dimenticato?
Ricordava
bene
l'immagine della donna, come se l’avesse scolpita nella sua mente…ma era reale?
L’aveva già incontrata da qualche parte...ma dove e quando? Esisteva davvero?
I ricordi dell'infanzia erano abbastanza confusi: una volta adulto si accorgeva di averne rimossi parecchi, preferendo ricordare solo quelli felici, come il suo primo amore, i bagordi con gli amici e il suo arrivo nella 8

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Capitale, quando aveva abbandonato la sua amata Ciudad Juárez per diventare un Chihuahuita. Anche ora si sentiva uno straniero ammalato di nostalgia per il suo paese, sebbene completamente integrato con la nuova realtà.
Anche lui, come molti altri forestieri, era stato accolto e trattato meravigliosamente bene dalla capitale dello stato di Chihuahua, non solo per il carattere gioviale degli abitanti ma anche per suoi meriti personali, essendosi dimostrato uno dei migliori studenti dell’Accademia. In parte i suoi successi gli avevano alienato le simpatie di alcuni compagni di corso, già pupilli del rettore. In particolare era inviso agli studenti più anziani, quelli per cui una cattedra rappresenta più un debito nei confronti del proprio partito politico ai quali devono obbedienza da sempre, e un’ emblema del proprio status, piuttosto che il frutto di una passione personale..
Chiaramente, non era così per tutti e fu facile a Jorge riconoscere e distinguere chi credeva davvero nel proprio lavoro e chi no. Anche se non
amava
frequentare
qualcuno
in
particolare, e con nessuno aveva stretto una profonda amicizia. Ai colleghi di Accademia 9

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che venivano da fuori, come lui, piaceva la sua capacità di dialogo e di oratoria.
Amavano la sua compagnia, e Jorge ne frequentò parecchi , di diversi semestri e tutti allievi dalle grandi capacità. Era diventato famoso tra loro come narratore e critico di molti libri. Ma oltre a ciò, continuava a condurre una vita solitaria.
Sprofondato nei suoi pensieri non si accorse del tempo che passava e tornò alla realtà solo quando fu scosso dal brusio dei colleghi degli altri uffici che uscivano per fare pausa pranzo. Allora si rese conto che non aveva ancora mangiato niente, quella mattina, nemmeno uno di quegli squisiti burritos di machaca con uovo che Donna Rosy vendeva nella sua rosticceria, a pochi passi da lì.

Quando Jorge non era nel suo ufficio, si sentiva come un pesce fuor d’acqua nel Palazzo del Governo; gli era sempre sembrato assurdo che l'ufficio del Governatore e quello del Congresso di Stato si trovassero nello stesso edificio, comunque non poteva fare altro che costringersi ad abituarsi.
Tentò di immergersi di nuovo nel suo lavoro, ma il sogno era ancora nella sua mente e non 10

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intendeva abbandonarlo: cercò di ricordarsi se l’aveva fatto già altre volte e poi se n’era dimenticato. Magari un altro paio, o forse tre? E chi cavolo era quella donna bionda?
Qualche vecchia maestra della scuola elementare? Qualche vicina di casa?
Capì che era inutile continuare a fingere di lavorare e che doveva rilassarsi in qualche modo. Inoltre era già giovedì, quindi una breve visita alla cantina centenaria “LaAntigua Paz” per un paio di "jaiboles" gli avrebbe fatto bene. In fondo, si trovava a un paio d’isolati dal suo ufficio, il che era un gran bel vantaggio...

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CAPITOLO TERZO

Il Papà di Marianna
Mariana aveva perso suo padre all’età di diciassette anni, e ci aveva messo un bel po’, per elaborare questa perdita. La morte del padre le aveva permesso in parte di riorganizzare meglio la sua vita, ma per lo più gliel’aveva completamente sconvolta.
Sì, per gli altri, per tutti gli altri, si era trattato di una grave perdita dal punto di vista sociale e collettivo. Mariana era consapevole del ruolo che svolgeva suo padre.
Adesso, grazie al suo lavoro da psicologa, stava ricostruendo i frammenti della sua vita.
Suo padre le aveva lasciato abbastanza soldi per garantirle un futuro tranquillo, ma anche di dipendenza: benché l’Ingegnere Salgado fosse un uomo colto, era anche decisamente maschilista ed era sempre stato convinto che il posto della donna fosse a casa e che toccasse all’uomo di famiglia lavorare e procurare il pane.. Non solo: che la superiorità del maschio non potesse essere messa in discussione, soprattutto da una femmina, com’era appunto lei.
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Poco prima della morte del patriarca della famiglia Salgado, i litigi erano all’ordine del giorno e si gridava sempre, anche nei fine settimana, quando la famiglia era solita cenare in lussuosi ristoranti, o andava al lago, o partecipava a eventi sociali di rilievo, che ne accrescessero l’immagine pubblica.
Mariana era sempre in contrasto con suo padre e con ciò che egli rappresentava, accusandolo continuamente di predicare bene e razzolare male, dato che aveva anche avuto un paio di figli illegittimi. Quella donna che, da piccola, amava stare sempre con lui per andare a mangiarsi un gelato o farsi comprare dei bei libri da leggere, crescendo era diventata una figlia ribelle, sempre al centro delle liti tra i suoi genitori, fastidiosamente lagnosa e contestatrice, che si sentiva disprezzata perché non era nata maschio.
“ Senti, Marianita, te l’ho già detto e non intendo ripeterlo: stasera devi uscire con noi!”
“Uffa, mamma! Non ci voglio venire! MI annoio a queste riunioni di papà!”
“Non importa, devi venire e basta! Lo sai che queste riunioni sono importanti per tuo 13

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padre e per la famiglia! Dobbiamo mostrarci uniti ed essere di sostegno a papà. Non ti voglio vedere ferma in un angolo e con il muso lungo! LO sai quanta pressione deve già sostenere tuo padre per il suo…”
“ ... lavoro, sì, lo so! Sempre la stessa canzone! Non ne posso più! Ma tu che c’entri? Perché non viene lui, a dirmelo, invece di mandare avanti te?”
“Non ti permettere di mancarmi di rispetto, Mariana, non sono la tua serva! Se non viene lui a parlare con te è perché è stufo delle tue lagne e dei tuoi dispetti, e non vuole sentirsi costretto a punirti!”
“Sì, mamma, ma quale lavoro fa davvero papà? Perché non ne parla mai? Che cosa nasconde?”
“Non nasconde proprio niente, e lo so bene io, perché lo conosco, era già mio marito quando tu stavi ancora nel mondo della luna! “
diceva sempre sua madre, sapendo di mentire.
“ Sì ... prima che io nascessi, quando stavate meglio senza di me, era questo che volevi sbattermi in faccia, non è vero?”
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“E smettila, Mariana, ora mi hai veramente stufata!”
No, non c'era via d’uscita a quelle raffiche di litigi e di interrogatori del tipo Gestapo e all’atmosfera pesante creata da quella ragazzina una volta adorabile e ora costantemente sul piede di guerra! Tutto ciò aveva portato l'Ing. Salgado a farsi assorbire ancora di più dal suo lavoro e a rifugiarsi in biblioteca, nelle rare occasioni in cui era a casa, dove non c’era nulla che potesse attirare la figlia, e dove lui poteva restarsene in pace. La ragazza, invece, passava le sue giornate nel salotto a sfogliare libri o a parlare al telefono con le sue amiche.
Quei pomeriggi da sogno in cui l’ingegnere e la
sua
bellissima
figlioletta
Mariana
correvano nel giardino con in mano una girandola, o si sedevano accanto alla fontana a mangiare un gelato o che se ne stavano sdraiati a terra in giardino a guardare il cielo e a dare un volto alle nuvole, appartenevano ormai al passato. Tutto ciò, nel tempo, aveva creato un forte sentimento di rancore nel cuore della signora Julia Viuda de Salgado, che alla fine accusò la figlia di essere stata la causa della morte prematura del marito.
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“Quella stupida e i suoi capricci! - urlava la madre fuori di sé – E ha voluto anche studiare, la signorina! Ha voluto fare psicologia! Lei, proprio lei! Non le bastava essere ricca e potersi permettere di sposare chiunque, magari un brav’uomo che mi riempisse la casa di nipotini! Ma no, lei voleva
essere
indipendente,
lavorare,
studiare, come se fosse un uomo! Ah, ma perché non ho avuto un maschio, invece di quella stupida femmina!”
L'ingegnere Mario Salgado era morto improvvisamente di infarto, un giorno che si trovava nel suo ufficio, il suo unico rifugio.
Stava recensendo, per così dire, un libro che Jacobo Aguilar aveva ricevuto per caso nella sua libreria. Non faceva parte di alcun ordine, era contenuto in una scatola insieme ad altri libri che erano stati richiesti a un editore del Distretto Federale, ma questo particolare volume era impacchettato con molta cura, avvolto in carta di giornale, e protetto da una coperta .
Era un volume spagnolo della fine del 1800, pesava poco più di due chili ed era in perfette condizioni. Jacobo lo aveva già letto dall’inizio alla fine e ne aveva detto miracoli, l’ultima volta che si erano incontrati lui e l’ingegnere 16

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in una di quelle riunioni segrete nella Loggia, di cui entrambi facevano parte.
Mariana aveva riflettuto a lungo sulla comparsa improvvisa di quello strano libro chiuso in una scatola. Si era chiesta se ci fosse una relazione con la morte del padre.
Sì, ma di che tipo? Questo pensiero la faceva sentire spesso a disagio.
Essendo un uomo di cultura, come amava spesso definirsi, Jacobo si era mostrato contento che l’Ingegnere chi avesse chiesto il libro in prestito, per poterselo leggere a casa.
Riferì che avrebbe voluto proporglielo lui stesso, ma un po’ gli dispiaceva separarsene, quindi era stato lieto che l’amico gli avesse, per così dire, risolto il problema. Era un vezzo, quello di Jacobo: voleva che l’ingegnere lo leggesse, ma non voleva che lo facesse a casa sua o alla loggia.
D’altra parte, non è che a Salgado interessasse particolarmente leggere quel libro: si trattava di una raccolta di opere di Wagner, che lui aveva già letto, ma era la bellezza e la qualità della traduzione che lo aveva incuriosito.

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CAPITOLO QUARTO
Buon Compleanno!
Quel pomeriggio Jorge entrò nel bar di un noto ristorante che si trovava proprio al confine tra Avenida Colón e Avenida Juárez.
Quel posto era, per così dire, uno dei suoi quartieri centri operativi, che lui definiva
"quello con la tovaglia"
La solita stanchezza da fine settimana già lo affliggeva, quindi stancamente si trovò un tavolo, si sedette, salutò il cameriere, aggiornò il suo credito e si apprestò al solito rituale del venerdì, con il consueto menù fisso.
A pochi metri dal suo tavolo un gruppo di ragazze si è riunito per festeggiare un compleanno: quella di Mariana Salgado, una donna alta, di carnagione chiara e capelli scuri, che oggi compie 29 anni. Mariana ha una voce decisa e ammaliante che cattura subito l'attenzione di Jorge, il quale non riesce a nascondere il proprio interesse e la propria ammirazione. Ma a quanto pare non gli è permesso neanche il minimo approccio, a vedere la fitta rete di protezione che le amiche
stanno
alzando
intorno
alla
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festeggiata. Jorge si rassegna e rispetta la loro volontà. Saluta le ragazze con affettata galanteria e, con discrezione, ordina al cameriere di offrire alle signore una bottiglia di champagne. Poi si rimette a mangiare per i fatti suoi, senza disturbare nessuno.
“Miguel!”
“ Buongiorno, signorine! Cosa vi porto?” dice il cameriere.
“Per adesso, portaci un giro di drink di quello che stanno bevendo quelle ragazze laggiù…ma mi raccomando, con discrezione!”
“ Ovviamente, signorina.”
“ Fra un paio di giri ti diremo cosa sgranocchiarci vicino!”
“Oh, Signorine, volete che mi ritirino la licenza!” scherza il cameriere.
“E tu digli che è colpa nostra, Miguel!”
scherzano a loro volta le ragazze.
E poi giù, tutti a ridere.
Le amiche forse sono un po’ troppo chiassose. Fanno a Mariana due regali separati e lei le ringrazia con calore, guardandole direttamente negli occhi. Non 19

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finge un comportamento gioioso, ma anzi si mantiene tranquilla ed elegante nei gesti, da vera signora. Sembra una ragazza di gran classe, molto oltre l’ordinario, e decisamente diversa dalle sue amiche. E’ capace di far sentire bene le persone intorno a sé e sembra anche molto brava a parlare con gli occhi.
“Esagerate come al solito! Andrea, Luisa, perché vi siete messe in cerimonie! Questa borsa vi deve essere costata una fortuna!”
“Sì e no, Marianita. E poi, lo sappiamo che le borse ti piacciono molto!”
“Comunque, visto che ci è costata una fortuna – intervenne Luisa, ridacchiando- ti conviene dire che ti piace e che la userai tutti i giorni! Altrimenti ci offendiamo!”
E di nuovo tutte a ridere.
Intanto Andrea, una delle amiche di Mariana, non la smetteva di girarsi intorno e guardare di nascosto in direzione del tavolo di Jorge.
Aveva notato gli sguardi di ammirazione dell’uomo per Mariana ma, più lo guardava, più le pareva che l’uomo avesse un’aria distaccata e poco interessata. Un paio di volte i loro sguardi si erano anche incrociati, ma 20

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Jorge non aveva fatto alcun tipo di avances.
Forse, si era sbagliata, concluse la ragazza.
Nel tempo necessario per due giri di bevande, o di una birra come nel caso di Jorge, era riuscito a capire che le amiche della festeggiata erano entrambe sposate, ma lei no. Nel frattempo il cameriere aveva portato al tavolo delle ragazze lo champagne ordinato da lui, e le ragazze si girano tutte insieme verso il suo tavolo, con la faccia sorpresa, mentre il cameriere sussurra, come da prassi.
” Lo champagne lo offre quel signore laggiù per il compleanno della signorina, con tanti auguri.”
Mariana arrossisce. Miguel, il cameriere, deve aver fatto molto bene il suo lavoro.
Il ghiaccio si è rotto, le donne prendono i calici in mano, li alzano e brindano tutte nella direzione di Jorge, che si unisce da lontano
al
brindisi.
Esclama”
Buon
Compleanno!” di rimando, e finalmente riesce a incrociare lo sguardo di Mariana, che lo ringrazia con gli occhi. Ormai è sicuro che, prima di andarsene, lei verrà al suo tavolo per ringraziarlo della gentilezza.
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Il brindisi si è concluso, e le ragazze decidono di riunirsi a casa di Mariana, per continuare i festeggiamenti. Una esclama: “Allora, andiamo?” E l’altra ammicca a Mariana: “
Noi
ti
aspettiamo
fuori…”
Entrambe
sorridono ma guardano anche con un po’ di sospetto quell’uomo gentile seduto al tavolo che fa finta di non accorgersi di nulla, e se ne sta a capo chino per i fatti suoi a dare un’occhiata al giornale.
Mariana si avvicina al tavolo di Jorge, per ringraziarlo. E’ bellissima! Indossa un abito in tinta unita molto elegante e una classica collana di perle a un filo al collo, uguale agli orecchini. Ricorda vagamente Diana Spencer per lo stile, ma i capelli scuri la fanno apparire più bella.
Lei lo saluta a voce alta, e Jorge fa finta di essersi accorto di lei solo in quel momento.
“Salve! Posso sedermi?” chiese, appoggiando sul tavolo la borsa Halston in stile clutch che portava sotto il braccio destro,e quando lo fa le borchie metalliche sulla pelle della borsa scintillano come piccoli soli dorati.
“Prego, con piacere!” esclama Jorge, come risvegliandosi da un lungo sonno.
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Con leggero imbarazzo Mariana gli dice:
“Ha presente? Sono la ragazza che ha festeggiato il compleanno al tavolo accanto al suo.” E gli sorride con calore.
“Ah, certo, mi scusi, mi presento: Jorge Ledezma, ai suoi ordini.” Esclamò Jorge, con finta indifferenza, come se in realtà non gl’importasse nulla di lei.
“Mariana Salgado, molto piacere – rispose lei, un po’ contrariata – ma vedo che è occupato. Forse è meglio che me ne vada.” E
si alzò per andarsene. Ma Jorge la trattenne.
“No ... no, mi scusi. Non sto facendo nulla d’importante, anzi sono felice che lei sia venuta a salutarmi.”
Lei si rimise a sedere, per cortesia.
“Indossa un bellissimo anello: è un regalo di suo padre?” esclamò Jorge, senza immaginare di toccare un tasto dolente.
La sua intenzione non era certamente quella di farle del male, ma il risultato fu che quella frase colpì la ragazza come una mazzata, con una violenza tale che lei sbattè gli occhi per un attimo. Quando si riprese era tutta rossa e aveva lo sguardo perso nel vuoto: quella 23

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frase le aveva risvegliato un lontano ricordo legato a quell’anello. La persona che glielo aveva regalato ormai non c’era più..
“Sì! Era di mio padre. Me lo ha regalato per la maturità, e lo ha fatto adattare per me. Ci sono delle incisioni, sopra.”
Mariana si sfilò l'anello e lo mise nelle mani di Jorge, che lo osservò con grande attenzione. Era un bel gioiello pesante in oro 14
carati,
con
due
incisioni:
una
rappresentava
lo
scudo
della
loggia
massonica del rito scozzese di El Paso in Texas, l'altro era una "X" formata da due pergamene arrotolate su una foglia d'ulivo, il che indicava il gruppo di appartenenza del padre, che evidentemente era custode della biblioteca e depositario degli accordi, e poi c’era la classica bussola sul monte e la piazza, emblema della massoneria. Sotto a tutto due grossi rubini e le iniziali G11.
“Il simbolo della massoneria.” mormorò Jorge.
Mariana non si era mai sfilata quel pezzo d’oro dal dito per mostrarlo a qualcuno, e quando all’improvviso se ne rese conto sulle prime si sentì in imbarazzo, ma poi il suo istinto la convinse che non aveva nulla da 24

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temere, da quell’uomo pacifico che la guardava con sincera ammirazione.
“Sei un Massone, o che? - chiese Mariana –
Come ha fatto a capirlo?”
“No, non appartengo alla Massoneria!”
esclamò Jorge, di slancio. E non era una bugia. Aveva avuto a che fare spesso con dei Massoni, nella sua carriera da poliziotto, ma non di più.
“Davvero? E che lavoro fa?” indagò la ragazza.
“Sono un dipendente del governo, e faccio un lavoro "legale."
“Cioè?”
“Sono Avvocato, ma non seguo cause.”
“Davvero? E allora cosa fa, di preciso?”
“Faccio il consulente, sa, quelli che consigliano solo ... E adesso, dove va di bello a festeggiare?” provò a cambiare discorso Jorge.
Mariana si sentì di nuovo a disagio, non era abituata a così tante domande e in un attimo Jorge aveva saputo su di lei più cose di 25

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quante ne sapessero i suoi amici, che frequentava da anni.
“Beh, andiamo tutti a casa mia. Ma è una cosa intima, solo per noi amiche.” disse Mariana. Si accorse quasi subito che poteva sembrare scortese e si corresse. “A dire la verità sono indecisa se invitarla o no, sa, siamo tutti amici…” Cavolo, si sentiva presa tra due fuochi!
“Non preoccuparti - ti dispiace se ti do del tu? - non sentirti in imbarazzo, ho capito. Ci sarà occasione di rivederci. Vengo qui spesso.
E il buon Miguel mi conosce bene. Vero, Miguel?” esclamò in direzione del cameriere che, a quanto pare, aveva le orecchie puntate su di loro.
Infatti il cameriere, pur stando a buona distanza dal loro tavolo, annuì sorridendo, anche se non pensava che Jorge se ne sarebbe accorto che stava origliando. Jorge alzò il bicchiere di birra nella sua direzione e lo salutò, ammiccando.
“Ok, Jorge, ormai siamo qui e chissà se ci rivedremo. Magari, dammi il tuo numero di telefono che semmai ti chiamo. E ora scusa ma devo proprio andare! Mia madre starà già dando in escandescenze perché sono in 26

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ritardo! Non vorrei litigare con lei anche oggi!”
esclamò la ragazza, riprendendosi la borsa e alzandosi dal tavolo.
“Non sia mai!" esclamò Jorge. Prese il suo bigliettino da visita dalla tasca della giacca e glielo porse.
Quando la ragazza se ne fu andata, Jorge si prese un’altra birra. Di solito non faceva mai cose come questa, e men che mai cercava di attaccare bottone con una ragazza…ma c’era qualcosa in quella Mariana che lo attirava.
Provò a non pensarci, ma l’impulso di correre da lei e conoscerla meglio lo perseguitava.
Non erano solo le lunghe gambe di Mariana, ma anche un interesse professionale.
Quell’anello… pensò tra sé e sé, quasi per giustificare il suo interesse. E l’eventuale invito a cena della ragazza, se davvero lei gli avesse telefonato…

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CAPITOLO QUINTO
Maestro Jacobo
L'amico più intimo dell'ingegnere Salgado era il Maestro Jacobo Aguilar. I due, oltre ad essere compagni di Loggia ed essere entrambi laureati, condividevano anche una vera passione per i libri antichi, e passavano lunghe ore a leggere libri, analizzarli, revisionarli…e ciò non solo per conto della Massoneria ma anche per gusto personale.
Erano eccitati come bambini ogni volta che arrivava un pacco da parte di una casa editrice o di un collezionista. Il Maestro Jacobo Aguilar era il proprietario della libreria “El Compás”, situata all'angolo tra Calle Libertad e Calle 15ª, proprio al centro della città.
Quando Jacobo ricevette una di quelle famose scatole con i libri dal corriere, lo disse subito all'ingegnere Salgado, il quale ne fu talmente felice che annullò tutti i suoi impegni per quel giorno, tornò a casa, mangiò in fretta e andò a prendere a scuola la sua piccola Mariana, per andare insieme dallo zio Jacobo, come soleva chiamarlo.
Lungo la strada si erano fermati a comprare 28

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un gelato, delle noccioline e dei dolcetti, per festeggiare.
La piccola Mariana si era portata appresso portava anche i suoi libri da colorare e la scatola di matite colorate, perché anche lei da bambina viveva quelle visite come una festa.
Una volta cresciuta, invece, quelle visite cominciarono
a
stufarla
e
poi
da
adolescente…beh, abbiamo già visto che effetto le faceva stare in compagnia di suo padre!
L'ultimo volume del diario di Jacobo Aguilar era il numero XVI, che lui iniziò a scrivere alla fine del luglio 1971 e completò nel febbraio 1972. In esso venivano annotati, a volte in dettaglio, a volte meno, tutto quello che faceva ogni giorno, cioè tutti gli appuntamenti, le persone che incontrava, gli argomenti di cui aveva parlato, i luoghi che aveva visitato…e perfino i suoi appuntamenti mensili col medico e i risultati delle sue analisi!
Questo ultimo volume si trovava ora sotto la gelosa protezione di Donna Julia, vedova di Aguilar, che dopo la morte del marito, del suo amato compagno, aveva cercato in tutti i modi di capire cosa fosse davvero successo.
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La zia acquisita aveva dato segni di ansia eccessiva, dopo il funerale del marito. Si era messa a spulciare quasi con ossessione le pagine di quel diario, trascorrendo notti insonni nella minuziosa ricerca, tra quelle pagine, di una nota, un particolare, insomma qualcosa che le chiarisse i suoi dubbi. Perché lei era fermamente convinta che la morte di Jacobo non fosse dovuta a un incidente!
Ormai il marito non era più con lei, era andato in cielo – sicuramente! – ma Donna Julia sapeva che lui doveva averle lasciato qualche traccia per aiutarla a capire il mistero della sua morte e a sbrogliare quella intricata matassa. E lei, come una certosina, ogni giorno, in ogni suo momento libero, cercava di decifrare quel segno, provando a districarsi tra tutti quegli impegni, quegli appuntamenti e quelle pagine di lunghe annotazioni alla ricerca del bandolo della matassa che avrebbe dovuto condurla alla fine di quel labirinto, come fece Arianna col filo di Teseo …Doveva solo trovare il primo indizio, il primo segno. Gli altri sarebbero venuti a catena.
Ma poi un giorno zia Julia ebbe un’illuminazione. Quel diario non c’entrava niente, era solo un modo per depistare! Il 30

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segno doveva trovarsi nella gigantesca biblioteca di cui Jacobo era proprietario!
Zia Julia ricordò che spesso il marito amava parlare per enigmi, e anche quando traduceva i suoi vecchi libri non lo faceva mai in modo letterale, ma anzi si prendeva delle belle libertà. Spesso se ne usciva con delle metafore, anche molto divertenti. Ad esempio, soleva riferirsi alla visita al mercato rionale sulla Quarta Strada come “il viaggio in Terrasanta”, oppure i lavori di contabilità per conto dei suoi clienti come “ Le scimmie dello zoo”.
Insomma,
amava
prendere
in
giro
avvenimenti e persone. Perché questo era, il caro zio Jacobo, un enigma vivente!

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CAPITOLO SESTO
Fantasmi
Quello che fa Velarde è un lavoro di routine, estremamente noioso. Molti anni fa, però, non lo era. A volte si prendeva delle pause, ma solo se lo voleva.
Era passato del tempo da quando aveva deciso di lasciare le strade per rifugiarsi nel lavoro di archivio: le sue ginocchia non erano più scattanti come una volta. Quindi, il seminterrato
della
Polizia
Federale
Giudiziaria era diventato il suo rifugio, il suo santuario. Centinaia di scatole impilate e ammuffite erano la sua unica compagnia.
Sebbene Velarde ormai non fosse più in attività, amava portare con sé un’arma ben carica, per ogni evenienza. Anche quella era una vecchia arma, ma tenuta in ottime condizioni. IL fatto che l’avesse ricevuta dalle mani di Gustavo Dioz Ordaz lo rendeva, a tutti gli effetti, un poliziotto a vita.
Velarde si sente molto umiliato per il lavoro che fa, anche se ammette che all’inizio gli faceva comodo poter rimanere a far parte del Corpo della Polizia senza mettere a rischio la 32

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sua
vita.

Ma
negli
ultimi
tempi
quell’inattività gli pesa e non di rado gli piacerebbe partecipare ancora a qualche operazione, ma sa che i suoi superiori ormai non si fidano più del suo stato di salute. Non è stato ancora licenziato per via delle sue amicizie al Distretto ( che sono sempre di meno) e per il fatto che accetta volentieri di lavorare anche durante le ferie e di fare straordinari non pagati.
Da tempo nessuno viene più a disturbarlo in questo suo esilio volontario, tanto che i rumori esterni che talvolta riescono a filtrare nel seminterrato si trasformano in un grido interiore di accusa che lo stizzisce, gli aggrava il peso della sua prematura vecchiaia e della disistima degli altri, e lo fa sentire ancora più solo. Ormai vive con sospetto anche un mormorio sommesso e uno sguardo di sfuggita.
L’isolamento forzato, che prima gli dava conforto, ora gli crea solo ansia, lo confonde, lo innervosisce al punto da farlo litigare con i suoi colleghi per un nonnulla. E’ irritabile e irascibile, sempre sulla difensiva.
E poi si arriva alla goccia che fa traboccare il vaso: una strisciata sul parafango della sua auto. Roberto fa irruzione al Comando come 33

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una furia, urlando rabbioso che bisogna trovare l’autore di quello scempio! E continua a
urlare
come
un
ossesso
finché,
tempestando di pugni la scrivania del Comandante, mentre tutti lo guardano come se fosse matto, fa cadere la brocca di vetro sul pavimento, che esplode in mille frantumi.
Quello strepito arriva fino alle orecchie del Comandante, che lascia ciò che sta facendo per vedere che cos’è successo. Quando si rende conto dell’accaduto, subito ordina ai sottoposti di pulire quel macello e grida a Velarde di seguirlo nell’altro ufficio.
“Velarde ... Velarde ... Capitano Velarde!”
urla.
“Sì, signore!” esclama Velarde uscendo lentamente dal suo stato di pazzia.
“Venite con me!” grida ancora il Capitano.
Pieno di vergogna e cercando di ricordare quello che è successo Velarde scruta uno per uno i volti dei suoi colleghi, che lo fissano ancora
stupiti
per
il
suo
assurdo
comportamento: il poliziotto più esperto e famoso del Dipartimento è uscito di senno, si è messo a urlare come un ossesso e ha offerto di sé un’immagine assolutamente 34

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deprecabile! Velarde si vergogna come un bambino, vorrebbe persino scoppiare a piangere, proprio come un moccioso che ha fatto i capricci!
All'interno sente la solita vocina dentro di sé che si prende gioco di lui: “Bravo, bella figura! Hai dimostrato a tutti chi sei e quanto vali! Ora finalmente si sono accorti di te, anche il Capitano! Bravissimo…. Stupido cazzone!”
Velarde non rimane sorpreso da quella vocina. Anzi, fa un sorriso sardonico e, con quell’espressione da stronzo, segue il Comandante nel suo ufficio per ricevere la sua bella( e meritata) lavata di testa.

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CAPITOLO SETTIMO
Secondo sogno
Una volta a casa Jorge, sfinito fisicamente e mentalmente, crollò sul letto e si addormentò di colpo, tanto da non avere avuto neanche il tempo di togliersi le scarpe.
Rimase
ore
nella
stessa
posizione,
completamente immerso in un sonno pesante, finché, a un certo punto, il suo corpo cominciò a tremare e lui fece un sogno, dove gli sembrò di stare seduto a un tavolo a bere del vino. Stava partecipando a un grande banchetto e, chiudendo gli occhi, fece una bella sorsata dal suo bicchiere. Quando li riaprì, si trovò davanti la bionda del primo sogno che, seduta di fronte a lui, lo fissava:
” Ti ho detto che ci saremmo rivisti!” esclamò lei.
Jorge iniziò ad agitarsi nel sonno e a menare calci e pugni alla trapunta che gli dava d’impaccio e ai cuscini che gli tappavano la bocca. Ma non si svegliò. Nella sua mente combatteva ancora con il ricordo della figuraccia della mattina, ma continuò a sognare la bionda che ora non era più 36

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davanti a lui, ma seduta a un altro tavolo, che lo fissava con un’espressione cordiale.
Lui invece era ancora al suo posto, con la bottiglia di vino e due calici davanti a sé.
Sembrava che ci fosse una certa e familiarità tra loro. Jorge bevve un altro sorso dal suo bicchiere e guardò meglio il viso della donna, come si fa abitualmente quando stai a tavola per i fatti tuoi e vedi delle amiche che fanno baldoria e offri loro un calice…come gli era capitato qualche giorno prima, in effetti, anche se in questo caso c’erano delle differenze perché la donna laggiù era una signora di una certa età…forse un po’ più vecchia di lui ma ancora piacente.
Più la guardava, più sentiva di averla vista da bambino…e in effetti la ricordava proprio così, con quella camicetta bianca di canapa e quel medaglione antico intorno al collo, e perfino con quella giacchetta rosso porpora, di una tonalità molto simile ai riflessi che faceva il vino nel suo calice. I capelli era gonfi e voluminosi ma ben pettinati ed emanavano uno strano splendore, quasi ipnotico. Jorge non aveva mai visto una donna così vistosamente ossigenata e questa volta, sia per la sua età, sia per la situazione, scoprì in 37

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lei una sensualità che prima non aveva notato.

Sembrava che la donna si fosse accorta degli sguardi insistenti di Jorge e che non solo non le dessero fastidio, ma anzi ne fosse lusingata. Lei si alzò e andò al suo tavolo, prese la bottiglia di vino che, malgrado lui ne avesse bevuto già, era sempre piena, e ne versò un po’ nei due calici. Lui parlò, e la sua voce gli arrivò troppo forte alle orecchie, quasi fosse un’eco profonda in quella bella sala da ricevimento dove in realtà c’erano loro due soli.
“Salve! Beh, grazie.” esclamò, un po’ ruvido.
"Non ti disturbare a ringraziarmi, Jorge, bevi un altro sorso e poi parlami di te: dimmi, che fai nella vita? Ti trovi bene qui, nella capitale? E che ne dici del vino? Sai, è il mio vitigno preferito…” esclamò la donna, con confidenza.
“Sì, tutto bene. Sono molti anni che mi sono trasferito qui a Chihuahua e non ho alcuna intenzione di tornare a Ciudad Juárez Tu, invece, che fai qui?”
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“Ah, bella domanda, Jorge! Sei uno che va per le spicce! Bene, allora ti risponderò senza preamboli: sono venuta qui perché ho bisogno di un piccolo favore da parte tua…Niente di particolare, una piccola cosa, e sono sicura che non avrai alcun problema ad accontentarmi. E’ un favore che richiede una certa dirittura morale, e chi meglio di te?
Per dirla in breve, sono una collezionista…e anche tu, in un certo senso lo sei, non è vero, Jorge? - disse la signora, sorridendo maliziosa - Mi scuserai, ma non ho potuto fare a meno di dare un’occhiatina a casa tua e ho notato che hai una gran bella collezione di libri! E anche quei vecchi strumenti musicali, come sono belli! Il mio preferito è senza dubbio quella piccola fisarmonica che hai sul tavolino, quella che somiglia a una mandala dipinta a mano ”.
Poi il sogno si fece confuso, distorto, una leggera nebbia e un forte profumo di violette invasero tutta la sala e di botto, come succede nei film quando le immagini scorrono accelerate, la nebbia si dissolse lasciando solo il profumo e Jorge si ritrovò in compagnia della donna in un ambiente familiare…accidenti, erano nel salotto di casa sua, che lui bazzicava poco malgrado avesse belle poltrone e l’illuminazione soffusa, ideale 39

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per una sana lettura, perché preferiva leggere e scrivere in cucina o in sala da pranzo. Era un’abitudine che aveva preso da bambino, forse perché la casa in cui era nato era molto piccola.
Nel sogno cominciò a rilassarsi e a cedere a quel senso di familiarità; così prese a guardarsi intorno, e apprezzò l’arredamento del suo salotto, anche se notò che sui mobili c’era delle polvere, segno che la donna delle pulizie non lo spolverava sempre. Erano due settimane che veniva, avrebbe dovuto indagare: perché non lo puliva? E, con un senso quasi di divertimento, ricordò che lui non ci andava mai in quella stanza, anche perché preferiva entrare in casa dal cortile sul retro, che dava direttamente in cucina.
Stava appunto riflettendo su questo quando notò che la donna con i capelli di platino era di nuovo seduta accanto a lui reggendo in mano il suo calice di vino, mentre la bottiglia, che in pratica non si svuotava mai, era sempre appoggiata sul tavolino in mezzo a loro. Presero entrambi un’altra coppa di vino, mentre la donna continuava a parlare:
“Te l’ho detto, il mio strumento preferito è quella vecchia fisarmonica laggiù, mi ricorda i musicisti che suonavano il tango nella 40

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piazza che era vicino a casa tua ... beh, all’epoca eri solo un bambino!”
“È anche il mio preferito! Mi piace che sia il primo pezzo che nota chi entra nella stanza, e penso che l’angolo TV sia il suo posto ideale.
Anche a me piace il tango, mi commuovono e mi eccitano nello stesso tempo, trovo che sia una musica con un certo carattere. A volte anche violento. Malgrado il suono che esce dalla fisarmonica in realtà sia abbastanza dolce. M’identifico con quel suono, forse perché mi ricorda quello delle tarantelle: sai, in parte io sono Italiano!”
“Jorge, che piacere ritrovarti così socievole, sereno!. Le mie visite di solito non sono tanto lunghe - né così ben accolte, devo aggiungere
– è la prima volta che ti trovo così! Ne sono davvero felice! Accidenti, Jorge, ci siamo fatti fuori il secondo bicchiere di vino e non me ne sono neanche accorta! Cavolo, sei proprio un latin lover!”
"No, non ... ahahah, quello che voglio dire...
anche se non ricordo dove ti ho conosciuta né chi sei, comunque trovo davvero piacevole la tua compagnia! È strano, perché so che non sarà l'ultima volta che ci vedremo e questo mi fa un immenso piacere!” .
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La signora fece una lunga, lunga risata, posò il bicchiere sul tavolo e si tirò indietro i capelli con entrambe le mani.
"Oh, zitto Jorge! Che maleducato! Non ti ricordi nemmeno chi sono, ecco perché non mi hai mai notata! Sei adorabile! Comunque, non mi sarei mai immaginata che fossi diventato un tipo così interessante! Perché, diciamoci la verità, visto da fuori sembri proprio una persona ordinaria! Vai ogni giorno in ufficio, prendi una tazza di caffè per la colazione e ti fai una sigaretta, vesti sempre uguale, con le scarpe belle lucide…
Non capisco perché non usi mai un portafogli! A pausa pranzo vai sempre nel solito locale, e poi a sera te ne stai seduto in un bar, fai sguardi languidi a tutte e non esci con nessuna…E sei sempre ligio e integerrimo, che noia! "
"Beh sai, con la mano destra faccio cose interessanti, ma con la sinistra sono un vero strazio!” se ne uscì lui, con una delle sue solite battute, per sdrammatizzare la situazione. La donna scoppiò di nuovo in risate fragorose, la luminosità dei suoi occhi oscurò quella dei suoi capelli mentre rideva fino alle lacrime, che poi si asciugò con le mani senza formalismi, e incurante del 42

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trucco che poteva rovinarsi o dal fatto che sul tavolo non c’erano tovaglioli.
Dopo essersi ripreso dalle risate, Jorge e la donna si fissarono piacevolmente. Lui era ancora in attesa di sentire che tipo di favore gli avrebbe chiesto, ma comunque stava bene con lei, come con una vecchia amica.
"Jorge, Jorge ... è passato molto tempo da quando ho pianto a questo modo, ma grazie, grazie davvero! Perché questa volta ho pianto per le risate, mentre allora fu a causa di un uomo, con il quale ebbi una storia triste e travagliata, e magari un giorno te la racconterò. Oddio, avrei tante cose da raccontarti ma ormai è tempo che io vada. Ti ringrazio della tua ospitalità: dici di non conoscermi, e forse è vero, ma mi hai trattata come una vecchia amica, e di questo te ne sono grata. Il vino è stata un’idea tua, sai?
Grazie anche per quello. Ora devo andare.
Non vorrei, ma purtroppo non ho scelta. Ma ci rivedremo presto, caro Jorge. Ora svegliati, svegliati, svegliati….”
E Jorge si sveglia.

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CAPITOLO OTTAVO
Una rapina finita male
Solo il capitano Roberto Velarde sa quando è stata l'ultima volta che ha sparato con la sua pistola contro qualcuno. Fu nella fredda mattina del 15 gennaio 1972, durante una rapina in banca da parte di tre malviventi, che fu misteriosamente sventata.
Andò così: si trattava di un gruppo di giovani anarchici radicali, che per diversi mesi si erano
metodicamente
infiltrati
tra
il
personale della banca e avevano preso nota di ogni maneggiamento di denaro, compreso quello che sarebbe rimasto in cassaforte il giorno in questione. Velarde non era in servizio, perché si stava occupando a tempo pieno di un serial killer nella città di Ciudad Juárez - entro i confini del corso principale della città, cioè via 15 settembre - ma dato che quel giorno si era trovato per caso nella capitale l’allora governatore Óscar Flores Sánchez
gli
chiese
personalmente
di
partecipare ad una missione “speciale”.
"Vai e lascia che i militari facciano le loro cose, è un ordine che viene dall'alto ... ma non voglio essere escluso dal gioco. Inoltre, 44

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quel bastardo di Fernando vuole trasformare la città in un fottuto Egitto. Va bene, facciano pure quello che vogliono, ma controlla che non ne abusino!”
Quella mattina sul presto tre militari in abiti civili passarono a prendere Velarde su una berlina VW bianca - secondo quanto convenuto – davanti a una delle tante bancarelle che si trovano nello storico parco Lerdo, sul lato di Avenida Ocampo. Velarde indossava un abito marrone scuro, non aveva con sé il portafoglio ma solo il suo distintivo, nascosto nell’interno della borsa, i suoi occhiali Persol 649 e il suo revolver Nagant m1895, una rarità sovietica da sette colpi 7,62 x calibro 38 mm, da cui non si separava mai..
Sulla canna dell’arma erano incisi due simboli molto importanti per lui: da un lato il
"Cap. R. Velarde ", dall'altra parte" Cmdt.
Supreme G.D.O. 1969 ", trofeo ricevuto dalle stesse mani dell'allora presidente della Repubblica Gustavo Díaz Ordaz per l’
"eccezionale lavoro" effettuato nei sei anni del suo mandato.
Velarde, insieme a tre soldati in borghese, stava di guardia fuori della succursale Chuviscar del Banco Comercial Mexicano, ma 45

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l'impazienza lo sopraffece e decise di entrare in banca e si mise in coda come un cliente qualsiasi, sebbene tra tutti i presenti fosse l'unico civile che portava sotto l’ascella un'arma a canna corta. Almeno fino a quel momento. All'interno della banca scorse la guardia di turno, un ragazzo molto giovane, e alcuni clienti - troppi per i suoi gusti.
"Mi piacerebbe che non ci fosse nessuno."
pensò.
Era in fila da poco quando tre persone si avvicinarono alla porta urlando "Questa è una rapina!” Da quel momento in poi le cose accaddero molto rapidamente: una donna che era davanti a lui in fila venne presa dal panico e cercò di scappare, ma fu subito colpita alla schiena da un proiettile e crollò a terra, morta. Allora la guardia tirò fuori la pistola, ma fu immediatamente colpita da uno dei malviventi e si trascinò dietro a uno degli
schermi
protettivi,
dove
morì
dissanguata poco dopo. Dall’esterno della banca qualcuno cominciò a sparare e un altro cliente cadde a terra ferito mentre Velarde, istintivamente, fece un balzo all’indietro per sfuggire al fuoco incrociato, e si appiattì al muro, da dove velocemente riuscì a fare il punto della situazione.
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In mezzo a tutta quella confusione vide uno dei malviventi col volto coperto da un passamontagna rosso e bianco, che stava sparando senza sosta verso l’esterno dell’edificio... I militari avevano aperto il fuoco prima che i criminali uscissero dalla banca, ma perché? Questo, a suo avviso, fu il primo grave errore. Il secondo fu sparare da fuori senza capire come fossero le cose all’interno. Se avessero continuato tutti a sparare ci sarebbero stati altri morti, perché alcuni clienti e un paio di impiegati erano rimasti paralizzati dalla paura, e quindi erano un bersaglio facile.
Con cautela e senza movimenti affrettati, Velarde fece come da manuale: estrasse la sua Nagant dalla fondina che teneva sotto l’ascella e la impugnò lentamente con la mano destra, premette il cane dell’arma con il pollice destro, fece inclinare il caricatore posizionandolo direttamente sulla canna e sigillando qualsiasi fuoriuscita di gas -
caratteristica peculiare di questo modello -
poi prese la pistola con entrambe le mani, mirò con precisione e sparò un unico colpo pulito in direzione di uno dei malviventi che stavano terrorizzando gli ostaggi.
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Un corpo cadde a terra, ucciso all’istante dal proiettile, che lo aveva colpito in fronte e fracassato il cranio.

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