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Amando Una Spia Americana
Dawn Brower
La guerra, che li ha fatto incontrare, li ha poi costretti a lasciarsi. Anni dopo si ritrovano e potrebbero rivivere il loro amore, ma le paure di Victoria rendono tutto ciò impossibile. Sopravvissuti ad un mondo lacerato dalla guerra, dovranno attendere per sapere se il tempo riuscirà a guarire anche il loro amore... Mai William Collins avrebbe voluto abbandonare il piaceri della sua tenuta in Lilimar: un giorno l'intera proprietà sarebbe stata sua, e lui non voleva altro che farla prosperare. Ma, dopo lo scoppio della Grande Guerra che ha devastato il mondo, comprende che non può nascondersi e che deve fare la sua parte per la Patria. Deve combattere, per assicurare al mondo la stessa pace che lui ha sempre agognato. Quindi, accetta di diventare una spia, e si getta a capofitto nella sua missione. Victoria Grant è la figlia di un Vicario, forgiata al senso del dovere. Ha studiato da infermiera e, allo scoppio della guerra, non ci pensa su due volte per diventare crocerossina e andare a lavorare negli ospedali di frontiera. Durante il viaggio in treno alla volta del suo primo incarico, conosce un gentiluomo, di cui s'innamora e con cui inizia una relazione. La guerra, che li ha fatto incontrare, li ha poi costretti a lasciarsi. Anni dopo si ritrovano e potrebbero rivivere il loro amore, ma le paure di Victoria rendono tutto ciò impossibile. Sopravvissuti ad un mondo lacerato dalla guerra, dovranno attendere per sapere se il tempo riuscirà a guarire anche il loro amore...


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Amando Una Spia Americana

Indice
Parte I (#uf0293b1e-7bc6-5d88-a507-7dcbfb45e95a)
Capitolo Primo (#u48e9114e-2e36-54f6-a215-f13d0531736a)
Capitolo Secondo (#u0d225bb7-f77d-5e8f-93e7-36364b722352)
Capitolo Terzo (#u8e94c2da-7789-5421-95ec-f54e333c927e)
Parte II (#litres_trial_promo)
Capitolo Quarto (#litres_trial_promo)
Capitolo Quinto (#litres_trial_promo)
Capitolo Sesto (#litres_trial_promo)
Capitolo Settimo (#litres_trial_promo)
Capitolo Ottavo (#litres_trial_promo)
Capitolo Nono (#litres_trial_promo)
Capitolo Decimo (#litres_trial_promo)
Capitolo Undicesimo (#litres_trial_promo)
Epilogo (#litres_trial_promo)
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Parte I



Capitolo Primo


Gennaio 1915
Il fischio del treno echeggiò nell’area del terminal. Quel suono riportò alla realtà Victoria Grant, che sedeva su una panchina riservata ai viaggiatori. Era arrivata presto, in stazione, proprio per non perdere il treno che l’avrebbe portata in una piccola città della Francia. Da lì avrebbe viaggiato in compagnia di un intero reggimento, per arrivare in un ospedale da campo dove avrebbe lavorato come infermiera.
Il suo treno si stava appunto fermando alla banchina, facendo grandi sbuffate di vapore. I passeggeri scesero alla spicciolata e per un bel po’ Virginia non riuscì a salire. Attese il segnale dell’addetto, che dava il via libera ai nuovi passeggeri. I facchini stavano ancora scaricando i bagagli; presto altre valigie avrebbero preso il posto di quelle già scese.
Victoria si mise a passeggiare nervosamente per la stazione. Non aveva molti bagagli con sé perché, come infermiera, non necessitava di troppe cose. Quindi si era portata giusto le divise e i pochi effetti personali che le erano rimasti. Essendo figlia di un vicario, aveva imparato presto la frugalità. Era stata una buona allieva per suo padre, e si era forgiata all’aiuto dei bisognosi. Con la Grande Guerra che stava devastando il mondo, le donne come lei erano preziose. Aveva quindi deciso di utilizzare le sue abilità da infermiera per portare soccorso e mettersi al servizio della causa.
Camminando, si scontrò con un possente torace maschile. Imbarazzata, alzò lo sguardo e si trovò a fissare due occhi blu, ma così scuri da sembrare neri, e dei capelli talmente imbrillantinati da apparire spalmati di miele. “Perdonate!” esclamò, cercando di mettere distanza tra lei e l’uomo.
“E’ colpa mia! – esclamò quello, con un accento che a Virginia sembrò subito Americano, forse degli Stati del sud. Ne rimase fortemente sorpresa: da quando era scoppiata la guerra, non c’erano più molti Americani, in Francia. Per quel che sapeva, l’America stava cercando di mantenersi neutrale.
“Sarei dovuto stare più attento – aggiunse l’uomo, con un sorriso tale che Victoria si sentì totalmente perduta, e per un attimo faticò a mantenere il controllo. Ma subito si riprese: “Siete diretto verso il nord della Francia? – disse, tanto per darsi un tono. Ma si rese conto di avere fatto una domanda ovvia, se non banale.
Lui guardò un attimo il treno e sorrise di nuovo: “Certo. E voi, se non sono indiscreto?”
Victoria annuì con il capo. Si sentiva molto confusa. Era una strana conversazione, quella. In genere non le riusciva bene attaccare discorso. Con un uomo, poi! Non ne comprendeva bene il motivo, ma in genere gli uomini la mettevano in soggezione e, le rare volte che ci parlava, s’incartava con le parole. “Ehm…sì, anch’io…- disse. Si sentiva una perfetta idiota! Non vedeva l’ora di defilarsi e nascondersi da qualche parte!
Al suo imbarazzo in genere i maschi rispondevano con la medesima difficoltà, e alla fine Victoria si ritrovava solo a parlare di questione mediche o comunque legate al suo lavoro.
Lui ridacchiò sotto i baffi: “Allora, sarà un piacere fare il viaggio insieme.” esclamò. Lei si stupì e lo fissò per studiarlo meglio. Diceva sul serio o era uno di quelli che amava divertirsi alle spalle della gente? Ma, comunque, cosa importava? Di certo, non aveva alcuna voglia di approfondire quella conoscenza!
Uno degli addetti fece capolino dal treno e urlò: “Tutti in vettura!” A quelle parole, i passeggeri iniziarono a fare ressa per salire, e così fece anche Victoria. Non aveva un posto prenotato, o magari una cuccetta, dove rimanersene indisturbata per tutta la durata del viaggio. Quindi, doveva cercare di beccare almeno un posto in cui sedersi. Per fortuna, il viaggio non sarebbe stato troppo lungo.
Riuscì ad arrivare al corridoio di passaggio e a trovare un posto vicino al finestrino: almeno, guardando il paesaggio, avrebbe avuto qualcosa con cui svagarsi! Ma lo stesso uomo di prima la raggiunse e si sedette accanto a lei. “Come vedo, c’incontriamo di nuovo. – disse – Ma, perdonate i miei modi inurbani. Mi chiamo William!” E le porse una mano.
Victoria rimase a fissarlo, interdetta. Quell’uomo era un ammaliatore! Non potè trattenere un sorriso. “Io mi chiamo Victoria – disse, dopo qualche secondo di imbarazzato silenzio.
“E’ un piacere conoscervi, signorina Victoria. Sono molto felice di fare questo viaggio in vostra compagnia e di scambiare quattro chiacchiere!” Toh, sembrava sincero! Ma Victoria era convinta che si trattasse di pura e semplice cortesia. Non aveva molta voglia di chiacchierare. Magari, gli avrebbe fatto piacere lo stesso. In realtà, parlare un po’ con quello sconosciuto non le dispiaceva: odiava viaggiare, e si annoiava mortalmente durante il tragitto. Quell’uomo, William, poteva diventare una buona compagnia.
“Bene – disse – Di cosa dovremmo parlare?”
“Di tutto ciò che ci passa per la testa! – rispose lui, sorridendo – Parlatemi un po’ di voi…”
Di lei? Victoria pensò alla sua vita noiosa, in cui non succedeva mai niente. “Preferirei parlare di voi, invece.” Non voleva certo ammorbarlo con la quotidianità della sua piatta vita!
“Beh, questo è ciò che dicono tutte le belle signorine!” esclamò lui, facendole l’occhiolino. Il cuore di Victoria fece un balzo: non era abituata ai complimenti, e il fatto che provenissero da un uomo acuiva il suo imbarazzo. Come se le avesse letto nel pensiero, l’uomo le disse: “ Potremmo cominciare da qualcosa di più semplice, allora. Ad esempio, che tipo di fiore prediligete?”
Victoria si lasciò andare sul sedile, riflettendo su cosa rispondere. Nessuno le aveva mai fatto quella domanda. In effetti, i fiori le piacevano tutti: erano così belli! “Se dovessi sceglierne uno, direi…le violette! – rispose – Sono belle, resistenti e hanno un sacco di proprietà curative!”
Lui le sorrise di nuovo: “Voi…non siete una donna ordinaria, sapete?”
Lei arrossì violentemente: “E’ un bel complimento! Vi sono grata per avermelo fatto.”
Il tempo passò e, più parlavano, più in Victoria si faceva spazio il pensiero che quell’uomo stesse flirtando con lei. Non che ne avesse esperienza! Nessuno aveva mai flirtato con lei ma, per quel poco che ne sapeva, lui le dava proprio quell’impressione! Ma forse si sbagliava.
“Sono solo una donna con uno scopo e una missione nella vita – disse, semplicemente.- Tutto il resto non m’interessa.”
L’uomo s’incupì. “E’ molto triste ciò che dite. Suppongo che sia il vento di questa guerra. Siamo tutti in tensione per la nostra vita, e cerchiamo di rifugiarci nelle nostre sicurezze.”
“E’ vero – rispose lei – Sono tempi difficili, questi, e ognuno deve trovare in se stesso la forza per andare avanti.”
A Victoria William piaceva. Era una persona semplice e gentile. Desiderò disperatamente di averlo conosciuto in tempi migliori, non in quegli anni di guerra…Ma poi si disse che forse era meglio così; probabilmente in altre circostanze lui non l’avrebbe nemmeno notata.
“Avete ragione – concordò William – La guerra porta solo sventure. E’ un peccato che i grandi Governanti non abbiano trovato altro modo che questo, per sanare i propri diverbi. Ma, eccoci qui. E posso dirmi almeno felice di una cosa.”
“Cosa? – chiese lei, tremando per la risposta.
“Perché mi ha permesso di fare la vostra conoscenza.”
Ne era convinto. Victoria sarebbe stata la donna della sua vita. Lei ricambiò il sorriso. “Mi spiace, ma sono frasi senza senso…” Si accomodò meglio sul sedile. “Tuttavia, potrebbe esserci del buono in quello che avete detto. Prendiamo al volo questa opportunità e vediamo di conoscerci meglio. Vi va?”
“Se anche voi ne avrete il coraggio, non potrò che seguirvi a ruota. Cominciamo da voi, mia cara…”
Chiacchierarono per tutto il viaggio come se si conoscessero da sempre. William era il primo uomo con cui Victoria riusciva a sentirsi a proprio agio. Ciò che le dispiaceva era che, una volta arrivati, ognuno avrebbe seguito la propria strada e non si sarebbero mai più rivisti. Ora, cominciava a desiderare qualcosa di più di un incontro fortuito. Conoscere William aveva alimentato in lei la speranza: per la prima volta sentiva, nel profondo del suo cuore, che forse anche lei aveva diritto all’amore e alla gioia.
Era assurdo, ma quelle poche ore avevano cambiato la sua vita e la sua prospettiva delle cose. Immaginò un compagno. Forse non William, qualcun altro…anche se in fondo all’anima sperava che fosse proprio William quell’uomo. C’era qualcosa di speciale in lui, che ormai l’aveva rapita per sempre…


Un Mese dopo
Era arrivata una lettera per Victoria, e lei cercò di tenere a freno l’impulso di andare subito ad aprirla. William le aveva promesso che le avrebbe scritto, ma non credeva che lo avrebbe fatto sul serio. E ora, che era arrivata una sua lettera, aveva quasi il terrore di leggerla. E se l’uomo che ricordava non fosse lo stesso che appariva nella lettera? E se le avesse scritto solo per gentilezza, ma in realtà non aveva alcuna intenzione di continuare la loro conoscenza? E se si fosse completamente sbagliata?
Si portò una mano sul petto e si rifugiò nella tenda delle infermiere, per leggerla in santa pace. Si sedette in un angolo e rimase a fissare il nome scritto sulla lettera. La mano le tremava, mentre ci passava il dito sopra. “Buone notizie? – esclamò una voce femminile con un forte accento scozzese alle sue spalle. Era una giovane infermiera dai capelli di un rosso acceso e due occhi verdi come l’erba. “E allora? Cosa aspettate? Apritela, no? “ la incalzò la ragazza.
Victoria non aveva intenzione di far diventare la sua lettera un fatto pubblico, ma Aisling non sembrava essere della stesso parere. Si rifiutò di lasciarla in pace e continuò a incalzarla. Victoria non glielo aveva mai detto, ma in realtà era felice che la compagna la coinvolgesse. Senza di lei si sarebbe sentita davvero sola. Continuò ad accarezzare la busta sigillata: “Non so…forse non dovrei aprirla…”
“Oh, sciocchezze! – esclamò Aisling – Non sappiamo cosa avverrà domani e siamo a rischio di morire ogni minuto! Quindi, ben venga un pizzico di felicità e teniamocelo stretto!” Appoggiò la mano su quella di Victoria. “Non sprecate neanche un attimo della vostra vita, mia cara, e apprezzate questo dono, per quanto piccolo sia! Leggetela.” Con un sospiro profondo, Victoria strappò la busta e tirò fuori la lettera. Iniziò a leggerla.
Victoria,
mi auguro che questa lettera vi trovi in buona salute. Non posso e non voglio pensare a nessun’altra possibilità. Una guerra come questa lascia ferite indelebili nell’anima di un uomo – la mia anima! – e sapere di poter contare su una persona come voi è la mia unica luce. E’ solo un mese che non ci vediamo, ma a me è parso un tempo infinito. Ho un bisogno disperato di vedervi. Vi prego, fatemi solo un accenno e troverò il modo di raggiungervi!
Dal giorno che vi ho incontrato, la mia vita è completamente cambiata. Siete sempre nei miei pensieri, e io non riesco a spiegarvi a parole ciò che provo. Spero che anche voi sentiate per me i medesimi sentimenti. Da parte mia, sono disposto ad aspettarvi per tutta la vita, anche se spero che non dovremo arrivare a questo.
Vi chiedo perdono per una lettera tanto breve. Vorrei potervi dire tante cose, ma purtroppo questi tempi amari non concedono a un uomo la libertà di esprimersi seguendo il proprio cuore. Mi astengo dal raccontarvi le difficoltà e i pericoli della vita in trincea, poiché non voglio angustiarvi e raddoppiare le vostre sofferenze. Sappiate solo che vi penso continuamente, senza tregua.
Con affetto
William.
Victoria chiuse gli occhi e provò a deglutire, per liberarsi dal groppo che aveva in gola. Lui voleva disperatamente vederla! Doveva arrendersi a questo amore, e confessargli che anche lei non vedeva l’ora di riabbracciarlo?
“Quel sorriso sulla vostra faccia mi dice che si trattava di buone notizie! – ridacchiò Aisling.
Victoria si portò una mano al viso, per nascondersi. Non si era accorta che stava sorridendo! Non disse nulla, ma subito si mise al tavolino e tirò fuori l’occorrente per scrivere. Scrisse velocemente poche righe e poi si alzò, per andare a spedire la sua lettera. Sperava vivamente che l’indirizzo di William fosse corretto, e che quella lettera lo avesse trovato sempre lì. Spesso i soldati venivano spostati improvvisamente, e potevano passare mesi prima che ricevessero la loro corrispondenza. Ma cercò di non pensarci. William voleva rivederla, ed era tutto che contava per lei, in quel momento!

Capitolo Secondo


Primavera 1915
La pioggia cadeva ormai da ore. La terra , ormai zuppa, si era trasformata in fango sotto i piedi di Victoria Grant che, ad ogni passo, affondava a mezza gamba in quel putridume che le sporcava tutti gli stivali. Si sentiva come un soldato in trincea: era stufa di avere i piedi sempre fradici! Provò a fare passi più lunghi, per arrivare prima e liberarsi da quel fango. Ben presto raggiunse la tenda da campo, dove era stato allestito l’ospedale, spostò i lambi ed entrò.
“Oh, infermiera Grant! Avevo giusto bisogno di voi! – esclamò un medico - Sono arrivati nuovi feriti, e la maggior parte sono gravi!”
Avrebbe voluto dirgli che lo sapeva già. Aveva sentito la camionetta arrivare, e per questo si era diretta in gran fretta verso l’ospedale. Ogni giorno era peggio. Presto avrebbero avuti tanti di qui feriti da non sapere più dove metterli!
Si legò frettolosamente il suo grembiule da infermiera. Ben presto, sarebbe diventata lorda di sangue e di sporcizia, e voleva provare a difendere uno dei suoi pochi vestiti. Non disponeva di un nutrito guardaroba, e chiaramente nei pressi non era possibile trovare un emporio o anche una sarta che rammendasse i suoi abiti.
In quel momento, il medico si era avvicinato ad un tavolo operatorio, dove giaceva un uomo in stato semi comatoso, a causa della quantità di sangue perduto. Ma sembrava uno dei feriti meno gravi. Raggiunse il medico per aiutarlo. L’uomo ferito aveva i capelli castano dorati completamente imbrattati di sangue. La maggior parte del suo corpo nudo era coperta da un lenzuolo, ma qualcosa in lui attirò l’attenzione di Victoria. Gli guardò il viso e…rimase senza fiato quando lo riconobbe. Era William!
Temeva che non lo avrebbe mai più rivisto e ora, il ritrovarlo in quelle condizioni, confermò le sue paure. Ciò che notò era che l’uniforme che indossava, e che giaceva a un lato della barella, era Francese! Si sentiva tremendamente angosciata e confusa, ma lavorò alacremente insieme al medico per fermare l’emorragia. Il loro sforzo fu premiato e, dopo un’ora, l’uomo fu ritenuto fuori pericolo e la ferita venne ricucita.
Per fortuna c’era ancora qualche lettino libero, e William fu trasferito in uno di quelli. Victoria andò a lavarsi un attimo e poi prese posto al suo capezzale. Doveva cercare di tranquillizzare William, altrimenti non avrebbe riposato. Doveva vivere, doveva! Non era così che aveva immaginato il loro prossimo incontro. E lui, aveva ricevuto la sua lettera? Era stata tormentata dall’ansia, per tutto quel periodo, temendo che la lettera non gli sarebbe stata recapitata! E ora, eccolo lì, ferito! Si rifiutava di pensare che lui sarebbe morto e che la loro storia sarebbe finita! William , in quei pochi mesi, era diventato troppo importante per lei. Sentiva il cuore come un masso pesante nel petto, che le impediva di piangere. Ma piangere non avrebbe aiutato nessuno dei due, quindi si costrinse a farsi forza.
“Vi riprenderete! – gli sussurrò, ma parlava più a se stessa che a lui. Cercava disperatamente di aggrapparsi ad una piccola speranza, non le restava altro da fare! Qualsiasi altro pensiero era inconcepibile per lei! Chiuse gli occhi e si appoggiò alla testata del letto. Voleva solo rinfrancarsi un attimo, ma la stanchezza prese il sopravvento e si addormentò profondamente.
“Ecco la bella addormentata – esclamò la voce di un uomo. Era roca ma sembrava lievemente divertita. - “Vi bacerei per svegliarvi, come un bravo principe azzurro, ma temo di non avere abbastanza forza per muovermi.”
Victoria si tirò su di colpo e si stiracchiò. I muscoli le dolevano. “Non volevo addormentarmi! – disse. “Beh, neanche io avrei voluto sparare, ma purtroppo ci sono delle cose che proprio non si possono evitare.” – rispose lui.
Lei si accigliò. “Non c’è nulla da ridere in questo.”
“Sì, è vero! – cercò di ridacchiare William, ma subito ansimò per lo sforzo – Perdonate, ho cercato di regalarvi un po’ di buonumore.” La guardò e divenne subito serio. “ Mi siete mancata.” mormorò.
Lei provò a non guardarlo: cavolo, ma perché si era innamorata di lui? Cercò di cambiare argomento. “Perché indossate un’uniforme Francese? – chiese, indicando i calzoni, che erano l’unica cosa che gli era rimasta addosso.
Lui sospirò: “E’ una faccenda complicata.”
Victoria temeva la sua spiegazione, ma probabilmente aveva capito: William era una spia! La cosa un po’ la emozionò e le sembrava anche surreale, ma era l’unica spiegazione plausibile. Altrimenti, perché un Americano si sarebbe arruolato in una guerra che non lo riguardava?
“Capisco – disse lei. O era estremamente coraggioso, oppure era un pazzo. Forse era entrambe le cose. In ogni caso, Victoria provò un grande rispetto per lui. Quella guerra era una cosa da pazzi…beh, più o meno come tutte le guerre. Ma lei, in un modo o nell’altro, cercava di rimanerne fuori. Era come se stesse vivendo in un brutto sogno, e forse la parte che recitava William poteva rivelarsi utile a farlo terminare prima. Sapeva bene l’importanza delle spie, in tempi come quelli. E benché odiasse il loro ruolo, tuttavia non riusciva a condannare William per il fatto che fosse una di loro. Lui stava solo interpretando qualcun altro, come in una recita, e alla fine della guerra sarebbe tornato se stesso! Lei non l avrebbe certo giudicato, per questo.
“Ne dubito – rispose amaramente lui.
“Vi assicuro che è così. Comprendo più di quanto crediate. – disse lei. E lo fissò dritto negli occhi. “Purtroppo siamo in guerra e, dall’ultima volta che ci siamo visti, ne ho vissute di tutti i colori.!” Erano trascorsi solo sei mesi da quel momento, eppure le sembrava che fosse trascorsa una vita! Tutto quel sangue, e il lavoro all’ospedale, l’avevano come indurita. Victoria sapeva che, anche quando tutto fosse finito, mai avrebbe dimenticato gli orrori che aveva veduto e che, probabilmente, l’avrebbero perseguitata per il resto della sua vita.
Lui annuì col capo. “Allora, meglio non parlarne – disse con tristezza. William sembrava capire. Victoria si sentì confortata da questo.
“Sì, è meglio che tenga la tristezza solo per me. Ora voi mettetevi giù e riposatevi. Dovete pensare solo a guarire!” esclamò alzandosi e rimboccandogli le coperte.
Stava cercando di allontanarsi emotivamente da lui. Ancora un po’ e si sarebbe ritrovata perdutamente innamorata di quell’uomo, una spia! Non poteva permettersi di soffrire tanto! Sapeva che la maggior parte delle spie non aveva fatto più ritorno a casa e che quelle poche che ci erano riuscite…erano rimaste segnate per sempre.


Dicembre 1915
William s’infilò la giacca e se l’abbottonò. Doveva essere presto in un certo posto, e avrebbe dovuto camminare a piedi per mezza giornata, prima di arrivarci. Sapeva che i suoi compagni avrebbero fatto lo stesso. Fino a quando Lord Julian Kendall non si era recato a New York, William non aveva ancora capito di essere entrato a far parte della rete di spionaggio Britannica. Comunque, quella conoscenza poteva tornargli utile. Avrebbero discusso di molte cose, di lì a poco, e forse sarebbe riuscito a convincerlo di mettere in salvo anche sua sorella Brianne, e di allontanarla il più possibile. Odiava l’idea che lei s’innamorasse di un uomo costantemente in pericolo di vita!
“Dove state andando? – gli chiese Julian.
“Parigi – rispose laconicamente William.
“Oh, davvero? – esclamò Asher, marchese di Seabrook – Andate a fare conquiste?”
William ridacchiò: “Beh…più o meno. Devo recarmi presso un ospedale da campo, dove ho conosciuto un’infermiera per cui…provo dei sentimenti, anche se mi riesce difficile farvene partecipi.”
“Ciò può interessare solo Ash – intervenne Julian – Personalmente, non mi attirano molto le infermiere da campo. Allora, buon viaggio, amico mio. Vi accompagnerei volentieri, ma purtroppo devo assicurarmi che questo pazzo rimanga vivo, fintanto che sarete via. Sapete che si mette sempre nei guai!”
William annuì. “Se avrete bisogno di me…” “Sapremo come trovarvi – lo interruppe Julian – Correte dalla vostra infermiera! Presto sarà Natale, e mi auguro che questa pazza guerra finisca prima. Avrei cose più gradevoli da fare, che farmi ammazzare!”
William si trattenne dal chiedergli cosa provasse realmente l’amico per sua sorella. L’amava? Ma convenne con se stesso che non era il momento per queste confidenze. Magari, quando fosse tornato da Parigi…Julian era un brav’uomo e, in circostanze più favorevoli, avrebbe gradito il suo corteggiamento a Brianne. Ma, fintanto che fosse durata la guerra, era sua intenzione tenerlo il più possibile lontano da lei. In cuor suo si sentiva tremendamente egoista, per il fatto che lui andava a trovare Victoria e nel contempo negasse la stessa possibilità all’amico. Negli ultimi tempi, gli era sembrato più malinconico. Aveva perso la goliardia di una volta! A William sarebbe piaciuto che Julian si confidasse con lui, ma non voleva forzarlo. Avrebbe atteso che fosse l’amico a farlo.
Si mise a camminare di buona lena, senza soffermarsi un attimo a riflettere sui pericoli che stava correndo. Aveva un unico pensiero in mente: rivedere Victoria!
“Alt! – urlò una voce maschile in Tedesco alle sue spalle. William imprecò mentalmente. Era una maledetta sfortuna, per via dell’uniforme Francese che indossava. E ormai si trovava a una sola ora e mezza dall’ospedale da campo.
Alzò le braccia in segno di resa e si voltò lentamente, fino a incrociare lo sguardo della sentinella Tedesca, che gli stava puntando un’arma all’altezza del cuore. “Mi auguro non vogliate spararmi proprio oggi.” disse piano all’uomo, cercando di fare leva sul suo humor Britannico.
Ma quello continuò con frasi dichiaratamente minacciose. William non capiva quasi niente di ciò che l’uomo stava dicendo. Julian era molto più bravo di lui come interprete. Per questo William aveva preferito non lasciare la Francia: masticava molto meglio il Francese e l’Italiano che il Tedesco. Se fosse vissuto, avrebbe dovuto rispolverare la lingua teutonica.
“Non capisco una parola! – provò a spiegare al soldato, e fece un passo verso di lui. L’altro gridò per tenerlo indietro e William provò a prenderlo in contropiede, avventandosi sulla pistola che il Tedesco teneva ancora puntata contro di lui, cercando di sfilargliela dalla mano. Colluttarono per un attimo, e poi uno sparo fuoriuscì dall’arma. William pensò che così avrebbe attirato altri soldati e tentò il tutto per tutto. Diede una gomitata nello stomaco del soldato e si chinò ad afferrare la pistola, che era caduta per terra.
La sentinella tirò fuori un coltello e si lanciò su William, ma non fu abbastanza veloce e lo colpì solo di striscio ad un fianco. William gemette per il dolore e gli sferrò un violento pugno sulla faccia. L’uomo cadde a terra, e William continuò a massacrarlo di pugni e di calci, finché quello roteò gli occhi e perse conoscenza. Con un sospiro di sollievo, William iniziò a correre per nascondersi nella boscaglia, cercando di mettere quanta più distanza tra lui e il Tedesco.
Non appena capì di essere fuori pericolo, rallentò la sua corsa e si rimise in cammino in direzione dell’ospedale. Era ferito, ma non se ne curò. Quando avesse riabbracciato Victoria, ci avrebbe pensato lei a curarlo!
Una volta arrivato, William si avviò zoppicando verso la tenda dove l’ultima volta aveva lasciato Victoria. Erano già passati sette mesi, da allora, e non desiderava altro che stringerla tra le braccia. Quando era stata la sua infermiera, lo aveva curato con amore, arrivando addirittura a rimproverarlo perché si era fatto sparare. Era meravigliosa, e lui era pazzo di lei! Ma sicuramente Victoria non sarebbe stata contenta di vederlo tornare di nuovo ferito.
A volte si pentiva di essersi arruolato, soprattutto perché il suo Paese non era ancora entrato in guerra. Ma era fermamente convinto che ormai era solo questione di tempo e anche l’America si sarebbe fatta coinvolgere: e allora lui voleva essere già al suo posto. Sentiva che era suo dovere contribuire per la pace nel mondo, e voleva fare la sua parte.
Victoria uscì dalla tenda, avvolta in una rozza coperta di lana; rabbrividì per il freddo e si strofinò le mani. I suoi lunghi capelli biondi erano raccolti in una treccia, che le ricadeva giù per la schiena. Non lo aveva ancora visto. William si avvicinò a lei da dietro, e lei si stropicciò gli occhi, come non credendo a ciò che vedeva. “William? – esclamò. Subito si avventò su di lui e lo strinse forte a sé. “Perché non mi avete avvertito del vostro arrivo?”
“Fino a ieri non ero sicuro che ce l’avrei fatta, e volevo farvi una sorpresa – rispose lui, gemendo di dolore al suo abbraccio. La ferita sul fianco gli doleva da matti!
“Che c’è? – esclamò Victoria sorpresa e facendo un passo indietro. Poi, notando il dolore negli occhi dell’uomo provò ad aprirgli il cappotto. “Fatemi vedere!” Subito notò che ormai il sangue aveva completamente inzuppato a camicia di William, che era tutta rossa. Lei sospirò. “Ma perché arrivate da me sempre ferito?”
“Non era mia intenzione, ve lo assicuro – provò a sorridere lui – Ma una sentinella Tedesca mi ha sorpreso nel bosco, cercando di trattenermi. Ho provato a fargli capire che dovevo assolutamente vedervi, ma purtroppo quello insisteva nel tenermi lì…Perdonate il mio aspetto; non era certo così che volevo presentarmi a voi…- cercò di scherzare William.
“Venite con me – disse Victoria, prendendolo per mano – Vi medicherò per l’ennesima volta e mi racconterete cosa avete fatto negli ultimi mesi.”
Entrarono in tenda e lei lo condusse in un angolo appartato sul retro. Gli disse di stendersi su uno dei lettini e andò a prendere il necessario per medicare. “Toglietevi cappotto e camicia: devo dare un’occhiata alla ferita.”
“Non sarà un pretesto per vedermi nudo? – cercò ancora di scherzare lui. Victoria lo fulminò con lo sguardo. “Come potete scherzare, in una situazione come questa? – esclamò. Lui si sentì toccato.
“Perdonate – mormorò – cercavo solo di sdrammatizzare un po’. Ma si vedeva che era sofferente. Non appena Victoria lo toccò per disinfettare la ferita, urlò per il dolore.
“Mi dispiace, ma devo farlo – disse lei – Comunque siete fortunato: la ferita non è profonda e non c’è bisogno di suturarla. Ora vi fascerò per bene e sarete in condizioni di rimettervi in cammino.”
Continuò a medicarlo, ma questa volta un lungo silenzio scese tra loro. Quando ebbe finito, Victoria si lavò le mani in una bacinella d’acqua già pronta. “Rimarrete qui a lungo? – gli chiese.
Lui sussultò: perché quella domanda? “Volete che me ne vada?”
Lei distolse lo sguardo. “Non intendevo questo…- mormorò.
Lui si alzò di scatto e la prese tra le braccia. Lei appoggiò la testa sul suo petto. La sua intenzione era quella di darle conforto, e capì che quell’abbraccio era esattamente quello che lei aspettava. Anche per lui era così: sopra ogni cosa voleva farle capire che temeva per lei e non desiderava altro che stesse bene e al sicuro. “=h, mia cara – le sussurrò tra i capelli – Cosa posso fare per voi?”
“Lo state già facendo – rispose lei, senza staccarsi dal suo abbraccio – Ma ora, finite di vestirsi.” Si staccò da lui e lo guardò. “Avete qualcosa per cambiarvi?”
“Purtroppo no. Ma una camicia insanguinata non sarà la fine del mondo. Quando tornerò dai miei compagni mi cambierò.” Non era convinto di riuscirci, ma nascose questi tristi pensieri a Victoria. “Ora venite, camminiamo un po’.”
“Sì. – mormorò lei. Infilò la sua mano nella sua e insieme uscirono dalla tenda, dirigendosi verso il bosco. Faceva freddo, ma lei quasi non lo sentiva: era con William, il suo amore, ed era tutto ciò che voleva.
Trascorsero insieme varie ore, e William quasi parve dimenticare che erano in guerra, che era stato ferito e che presto sarebbe dovuto ripartire. Lei era la molla che lo spingeva a continuare a combattere e non bramava altro che la guerra finisse, e di poter vivere con lei per sempre.

Capitolo Terzo


Febbraio 1916
Scendendo dal treno, Victoria emise un profondo sospiro. Finalmente era a Parigi! Ne aveva abbastanza, ormai, di ospedali da campo. Non sapeva cosa aspettarsi, da un ospedale civile, ma almeno non sarebbe stata costretta a camminare nel fango! Sicuramente, la sua salute ne avrebbe risentito positivamente. Anche se non pioveva più così spesso da ridurre a fango il terreno. Quell’esperienza le si era fissata nella testa: cominciava a provare una forte avversione per quel miscuglio di letame e sporcizia che aveva dovuto sopportare costantemente sotto i piedi!
Salì sulla banchina. Era un miracolo che i Tedeschi non avessero ancora bombardato la ferrovia. Per tutto il viaggio non aveva fatto altro che temere una simile eventualità, e il terrore di doversela fare a piedi. Almeno così non era stata costretta a scarpinare per mezza Parigi.
Infilò una mano nella tasca del cappotto, per sincerarsi di avere ancora quel fascio di lettere: forse avrebbe dovuto distruggerle, ma era tutto ciò che le era rimasto di William. Ormai riuscivano a scriversi raramente e con lunghi intervalli. A volte la corrispondenza non arrivava, o magari William cambiava residenza. Ma lui cercava sempre di scriverle. Victoria non faceva che stare in ansia per lui, e aveva una tremenda paura di non rivederlo più. Tremando, rimise le lettere in tasca. Avrebbe voluto sedersi da qualche parte e rileggere le sue parole, ma cercò di controllarsi. Non era quello il momento di perdersi nei ricordi. A lei succedeva spesso, leggendo le lettere, ma era una brutta abitudine che doveva assolutamente perdere.
Cercò di pensare ad altro e si concentrò sulla stazione. La cosa importante, ora, era arrivare all’ospedale e smetterla di crogiolarsi nei ricordi. Aveva solo un baule a cui pensare. Aveva fatto piazza pulita di tutto il superfluo e di ciò che era ormai troppo consumato per poterlo usare. Così il suo bagaglio si era ridotto ad un’unica valigia in cui teneva le ultime tre divise che le erano rimaste, e qualche effetto personale. Sperava di trovare qualcuno a Parigi in grado di cucirgliene almeno un’altra. Allungò il passo e si diresse di buona lena verso l’uscita della stazione, sperando di buttarsi il passato alle spalle.
Come Dio volle, riuscì a trovare l’ospedale e finalmente vi entrò. Nessuno fece caso a lei le chiese chi fosse. Tutti correvano affannosamente di qua e di là, impegnati in qualcosa da fare. Victoria alzò una mano, cercando di farsi notare, ma nessuno le prestò attenzione. Lei sospirò e si diresse verso l’ala principale della struttura. Sembrava stesse per scoppiare: le stanze erano piene zeppe di feriti, e medici e infermieri si muovevano alacremente sui malati.
Una donna dai capelli rosso rame raccolti in un severo chignon le si avvicinò. Aveva gli occhi rossi e gonfi per la stanchezza. “Chi siete?” chiese.
“Sono l’infermiera Grant e sono stata assegnata a quest’ospedale – rispose lei.
La donna sospirò: “Grazie a Dio! Non potevate arrivare in un momento migliore! E’ arrivato da poco un altro carico di feriti e non sappiamo davvero dove mettere le mani!” Indicò le stanze con uno stanco gesto. “I medici li stanno visitando e bisognerà prendersi cura di loro.” Sorrise alla nuova arrivata. “Io sono Catherine Langdon. Venite, vi faccio vedere dove riporre i vostri bagagli. Così potrete cambiarvi e venire subito ad aiutarci.”
“Certo – esclamò Victoria – Sono qui per questo. Non sopporterei l’idea di dovermi riposare mentre tutti voi vi affannate sui feriti! Lasciate che mi cambi e sarò subito da voi!”
Victoria fu di parola. Una volta indossata l’uniforme e riposti i suoi bagagli, andò subito in sala, dove i medici stavano lavorando. Era quasi felice di essere così impegnata: era diventata crocerossina proprio per sentirsi utile, non certo per perdere il sonno su una storia d’amore!


Aprile 1916
Victoria si era subito inserita a pieno ritmo nell’ospedale, ben felice di non dover più sopportare il fango e la sporcizia dei piccoli ospedali da campo. Inoltre, si era molto affezionata al gatto di Catherine Langdon, che si chiamava Merlino…anche se non lo aveva mai confessato alla collega. In realtà, pensava che gli animali non dovessero circolare liberamente nei reparti, ma quel gatto aveva qualcosa di speciale. Era tutto nero ma, sotto al mento, aveva dei peli grigi che somigliavano ad una barba, proprio come nelle icone del leggendario Mago! Quella specie di barba lo facevano diventare quasi imponente. Comunque sia, era una creatura strana: Victoria si diceva spesso che forse era davvero la reincarnazione di Merlino!
Ma non aveva tanto tempo per pensarci. Anche Catherine era un po’ strana, un po’ strega. Talvolta le diceva cose senza senso, che poi si avveravano, quasi potesse leggere nel destino delle persone. A Victoria faceva quasi paura. Spesso avrebbe voluta chiamarla in disparte e chiederle se aveva delle sensazioni su di lei…ma poi lasciava perdere, timorosa di sapere cosa il destino le riservasse.
Per fortuna, quella giornata era cominciata bene; l’ospedale era ben gestito e molti feriti erano tornati già a casa. Victoria aveva un paio d’ore libere da dedicare a se stessa, cosa che non le capitava a…beh, da così tanto tempo che quasi le sembrava strana una tale libertà. Aveva deciso di fare una passeggiata per Parigi, a godersi la città e la mite aria primaverile. Ignorava se in futuro avrebbe avuto altre occasioni per farlo. La sua mente corse subito a William : chissà dov’era e cosa stava facendo in quel momento!
“Victoria!” Qualcuno urlò il suo nome. Si voltò e vide William che correva verso di lei. Era in abiti civili e lei stentò a riconoscerlo. Sembrava un gentiluomo qualsiasi, vestito a quel modo.

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