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Scherzi Del Mare
Marco Fogliani
Alcuni brevi racconti su temi attinenti il mare (pescatori, sirene, mostri marini, vita di spiaggia, maremoti, messaggi in bottiglia ...)
Di seguito l'elenco dei racconti inclusi nella raccolta:
SERENA LA SIRENA: Reinterpretazione, in chiave moderna e con lettura anche poliziesca, della classica storia della Sirenetta.
OSVALDO IL PESCATORE: L'incredibile incontro, da parte di un pescatore, con un pesce magico, non solo perché parlante.
I MOSTRI MARINI: Storia fantastica ambientata tra i calamari giganti nel fondo degli abissi, dove a volte relitti di navi e di aerei provenienti dal mondo umano vengono a disturbare la loro tranquilla esistenza.
PAESAGGIO MOZZAFIATO: Appuntamento ipertecnologico tra un ragazzo romantico ed una sua amica con tutt'altri pensieri per la testa.
SULLA SPIAGGIA: La vicenda di due ragazzine che vanno in spiaggia per provare l'esperienza avventurosa di ”farsi rimorchiare”, ma che alla fine preferiranno giocare a pallavolo con dei bambini più piccoli di loro.
IL BRACCIALETTO SMARRITO: Storia di ragazzi e ragazze sulla spiaggia: timidi o fusti, intriganti o silenziose, sulla spiaggia basta un niente per cercare l'avventura.
LA STORIA DI JASMIN: Racconto inverosimile, ambientata sulla costiera amalfitana, tra una bella immigrata nelle mani della malavita ed un carabiniere che, nel corso di un'operazione contro la stessa malavita, se ne innamora.
UN FIASCO D'AMORE IN MEZZO AL MARE: Giovani turisti in vacanza ai tropici aggrediti da moderni pirati. Una delle vittime si salverà grazie ad un messaggio in una bottiglia.
L'ONDA MALANDRINA: Racconto di fantasia ambientato nello Sri Lanka durante lo tsunami del 2004. Una storia d'amore e di solidarietà.

Si avverte che, dato il carattere tematico della raccolta, alcuni di questi racconti potrebbero essere presenti anche in altre raccolte tematiche dello stesso autore,



Marco Fogliani
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Indice dei contenuti

SERENA LA SIRENA (#u2d7f9d11-eafa-5758-a27b-133110fd32c2)
OSVALDO IL PESCATORE (#u56027086-6943-5b63-9583-76cc5dc72bd5)
I MOSTRI MARINI (#uadc2478a-6d4a-5d8f-9fa9-dd62420c8fcf)
PAESAGGIO MOZZAFIATO (#uc3fab5e8-eb9f-5d09-874b-58210309d426)
SULLA SPIAGGIA (#litres_trial_promo)
IL BRACCIALETTO SMARRITO (#litres_trial_promo)
LA STORIA DI JASMIN (#litres_trial_promo)
UN FIASCO D'AMORE IN MEZZO AL MARE (#litres_trial_promo)
L'ONDA MALANDRINA (#litres_trial_promo)

SERENA LA SIRENA
Il mare calmo, la serata mite e la luna piena avevano richiamato sugli scogli non solo Aldo, un bel ragazzo dai capelli rossi, ma anche altri appassionati di pesca, forniti di canna e opportuna attrezzatura.
“Stai pescando?”. Aldo era lì da un po' quando si sentì rivolgere questa domanda.
“Non si vede?”, rispose secco lì per lì, senza guardare. Ma poi, vedendo chi gli aveva rivolto la parola, sorrise e cercò di essere più gentile.
“O almeno ci sto provando. Se invece vuoi sapere se finora ho preso qualcosa la risposta è no, non ancora.”
I due non si conoscevano. Lei aveva capelli chiari molto lunghi - fin quasi alla vita - ma soprattutto lucenti, che quasi sembravan seta. Così al chiarore della luna era difficile dire di che colore fossero; ma gli occhi sì, tra il celeste e l'acquamarina, e brillavano come due pietre preziose. Sembrava una visione. Magari sto sognando, pensò Aldo tra sé.
“Pescare in quel modo non mi sembra che richieda grande abilità o coraggio”, disse lei. “Però se lo fai per necessità, perché sei affamato come o più di loro … Perché loro abboccano perché sono affamati, dovresti saperlo: stanno solo cercando di procurarsi la cena di oggi, poverini.”
“No, non lo faccio per necessità, ma per svago. Pescare mi rilassa”, rispose lui.
“Strani modi che hai per rilassarti. Io per rilassarmi canto, o magari mi faccio un bel bagno e una bella nuotata. Meglio se con una meravigliosa luna piena come questa, e magari in compagnia di un bel ragazzo coi capelli rossi: a me i ragazzi coi capelli rossi piacciono da morire!”
Si mise a cantare, mentre iniziava ad entrare in acqua. Aveva una voce dolce e armoniosa, bellissima. Aldo si persuase ancora di più di stare sognando.
“Vuoi provare se per caso lo trovi rilassante anche tu?”, fece lei. “E comunque, ti prego, tira fuori dall'acqua quell'amo, che non abbia ad impigliarsi alle mie gambe.”
Aldo all'inizio era rimasto immobile, quasi in trance. Ma poi il canto e le parole della ragazza l'avevano indotto a lasciare la canna, restare in costume e seguirla in mare. Non sentiva freddo, e gli sembrava di muoversi lentamente, quasi come in un sogno. Lei continuava a cantare, e si muoveva nell'acqua come se fosse il suo elemento naturale.
“Come ti chiami? E dove abiti?”, le chiese.
“Mi chiamo Serena. Sono di qui, ci sono nata e cresciuta, per questo nuoto così bene. Tu invece sei in vacanza, vero? Non mi sembra di averti mai visto prima.”
“Sì. Vivo in città. Ma non mi dispiacerebbe trasferirmi in una località di mare, se mi capitasse la possibilità. Il mare mi piace molto.”
“Adesso ti faccio vedere come dovrebbe essere la pesca secondo me.”
Serena si immerse in acqua lì dove si trovava e vi rimase a lungo, forse più di un minuto. In quell'intervallo Aldo vide prima la superficie del mare incresparsi, e poi ombre scure guizzare veloci sul fondale. Alla fine Serena riemerse in superficie, tenendo in ciascuna delle due mani un pesce, uno più piccolo, l'altro più grande.
“Visto?”, disse. E poi lasciò cadere di nuovo i pesci in acqua. “Abilità e coraggio. Ma è solo un gioco. Perché adesso loro devono andare a mangiare, ed io invece non ho fame.”
“Sei davvero brava!”, esclamò Aldo allibito.
“Così mi sembra una gara ad armi pari, equa e divertente. Tu ti divertiresti se dal mare uscisse una corda che ti trascinasse sott'acqua, solo perché qualche pesce vuole rilassarsi?”
Aldo non raccolse la provocazione, e Serena riprese a cantare.

Trascorsero così in acqua un po' di tempo. Un denso nuvolone aveva iniziato a frapporsi ai raggi lunari e a far calare il buio, ma non tanto da non consentire di distinguere in lontananza, puntuale come ogni sera, il passaggio della grossa nave traghetto diretta alle isole.
“Si è fatto tardi, devo rientrare a casa.”
“Dove abiti? Ti posso riaccompagnare? Ci rivediamo domani?”, le chiese Aldo.
“Forse. Dipende … anche dalle nuvole …“ Serena non disse altro prima di ributtarsi in acqua. E lei era troppo veloce a nuotare sott'acqua, ed era troppo buio, perché Aldo riuscisse, come era sua intenzione, a seguirla con lo sguardo e a capire da che parte si dirigesse.

La sera seguente, allo stesso orario, Aldo si recò sul medesimo scoglio, sperando di incontrare nuovamente Serena. Portò con sé l'attrezzatura da pesca, ma non la usò. Guardava di qua e di là, sperando che lei arrivasse; e voleva anche capire da che parte venisse, per cercarla durante il giorno. Ma l’arrivo di lei lo colse nuovamente di sorpresa.
Alle sue spalle, ad un tratto, ecco il suo dolce canto, come se si fosse materializzata dal nulla.
“Peschi anche stasera?”, gli chiese Serena.
“No”, rispose lui. “E' solo per tenere occupato il nostro scoglio, e allontanare gli altri pescatori.”
Si sedettero a guardare la luna. Lui contemplava Serena, che era ancora più bella della luna, ed ascoltava il canto di lei, un po' malinconico ed in una lingua straniera e misteriosa.
“Che lingua è?”, le chiese.
“E' la lingua dei pesci”, rispose sorridendo. “Li avviso che ci sono dei pescatori. Dicono che questo canto tenga lontani i pesci … ma attiri i ragazzi!”
Era vero, pensò Aldo, che non riusciva a staccarle gli occhi di dosso quanto la trovava bella.
Chissà quanto rimasero così. Finché, in lontananza, ecco passare la nave traghetto. Aldo immaginava cosa sarebbe successo, e le prese la mano. Ma lei:
”E' ora che vada. Ma se vuoi ci rivediamo.”
“Sì”, rispose lui.
Quando lei si alzò per andarsene, volle alzarsi anche lui; ma Serena glielo impedì, mettendogli le mani sulle spalle.
“Ti prego, non mi seguire. Non oggi. Neanche con lo sguardo, come hai fatto ieri. Me lo prometti?”
“Ma … ”
“Se vuoi uno di questi giorni ti porterò a casa mia. Ti andrebbe?”
Lui fece cenno di sì col capo.
“Allora ti ci porterò. Ma questo vuol dire che dovrai conoscere i miei genitori. Te la senti?”
“ Quanto corri, esagerata”, avrebbe sicuramente risposto Aldo in altre circostanze e ad un'altra ragazza. Ed invece rispose con naturalezza:
“Certamente. Perché non dovrei? Sappi che non ho paura di nulla e di nessuno.”
“Va bene, allora aspettami domani”. E così dicendo sparì alle sue spalle.

L'indomani sera Aldo tornò al suo solito scoglio. Si portò come sempre l’occorrente per pescare, ma non lo fece, aspettando l'arrivo di Serena.
Il tempo era brutto, piovigginoso, e fece anche un paio di rapidi sgrulloni. Il cielo ed il mare, a tratti irrequieti, erano di un grigio oscuro, e non si vedeva quasi nulla. Ma ad un certo punto, dopo molto tempo, Aldo riuscì a scorgere in lontananza il traghetto che passava. L'ora del rientro, pensò Aldo sconsolato; per quella sera lei non sarebbe venuta. Per non pensarci si sedette e, nonostante la pioggia, cominciò a pescare con la sua canna.
Ed invece fu proprio allora che Serena lo venne a prendere. Una strana onda anomala, forse causata dal passaggio del traghetto ma non giustificata dalle buone condizioni del mare, si abbattè proprio e solo in quella piccola zona di scogli dove il ragazzo si trovava a pescare, e se lo portò via. Un fatto meteorologico e naturale raro ed inconsueto, breve ed improvviso, durante il quale, dichiararono concordemente i pochi pescatori che assistettero a questo accadimento strano ed incredibile, il vento si mise a fischiare, anzi ad urlare, in un modo strano, come se recitasse una specie di canto misterioso.
E qualcuno, fra i testimoni, affermò anche che il ragazzo non fosse il solo ad essere stato trascinato via dal mare, ma che con lui ci fosse anche una ragazza, dai lunghi capelli chiari e lucenti.

Fin qui la leggenda. Poi ci sono i fatti, signor commissario, tutti riportati dettagliatamente in questo faldone. E i fatti sono che, in oltre quindici anni, questo è il quarto ragazzo inghiottito dal mare nella stessa zona di scogli, e all’incirca nello stesso modo, a quanto pare. Tutti, guarda caso, con i capelli rossi. E anche stavolta le ricerche del corpo nelle acque circostanti non hanno restituito assolutamente nulla.

OSVALDO IL PESCATORE
Incontrai il mio amico Osvaldo al bar.
"E allora, Osvaldo, come è andata poi l'altro giorno la tua pesca?", gli chiesi. L'ultima volta che l'avevo visto, forse dieci giorni prima, era stato al porto mentre usciva per andare a pescare con la sua piccola barca, e gli avevo augurato buona fortuna.
"Bene, bene, grazie. All'inizio no, non ha abboccato niente di niente per parecchio tempo: tanto che pensavo che incontrarti mi avesse portato sfortuna. Ma poi … !"
"Poi?"
"Beh, come al solito ero andato al largo e avevo spento il motore; avevo fissato un capo della lenza al piccolo àrgano dell'àncora, e l'altro capo del filo pescava in mare. Non accadde niente per parecchio tempo, e mi stavo quasi appisolando: allora, come faccio in questi casi, ho sistemato sulla lenza i miei campanellini che mi avvertono se qualcosa abbocca. Ma dopo un po', sarà stato per la brezza o il dondolio anomalo delle onde, intuii che la barca era in movimento, quasi che fosse mossa da vele; e tu sai bene che di vele non ne ha.
La lenza era così tesa che mi stupii che non si fosse spezzata. Era proprio quel filo a muovere la barca: dovevo aver preso qualcosa di grosso, molto grosso. Pensai addirittura che l'amo si fosse impigliato in un sottomarino. Credo che non sarei riuscito a fare nulla se non avessi usato l'àrgano - non per niente mi sono attrezzato a pescare in quel modo - e comunque feci molta fatica a tirarlo a bordo, e in ogni momento temevo che il filo si spezzasse. Ma alla fine eccolo uscire dall'acqua, prima la testa e poi tutto il resto: era un pescione almeno lungo così."
Osvaldo, per farmi vedere le dimensioni della preda, dovette alzarsi e spostarsi per poter aprire le braccia in tutta la loro lunghezza.
"Ma dai, esagerato: secondo me ti sei addormentato e te lo sei sognato", gli dissi.
"No, no, te l'assicuro. Ma la cosa strabiliante, più che la dimensione del pesce, è che a un certo punto ho sentito una voce: eppure ero da solo la in mezzo al mare.
" Ti prego, toglimi questo coso di bocca e ributtami vivo in acqua. Vedrai che ti saprò ricompensare a dovere."
Puoi immaginarti come ci sono rimasto: un pesce che parla. Non mi era mai successa una cosa simile!"
"Neanche a me è mai successo", obbiettai io, sempre più incredulo.
"E quando gli ho detto, sorpreso:
"Ma come, tu sai parlare?", lui mi ha risposto:
"Naturalmente sì, e parlo correntemente cinque lingue di voi uomini. Ma adesso ti prego, rimettimi in acqua."
Mi stavo quasi impietosendo, alla vista di quel pesce che annaspava e si dimenava disperato; ma esitavo.
"Ma io ti avrei trasformato in una cena succulenta per almeno dieci persone. Se ti lascio andare, invece …"
"Come puoi dire che la mia carne sia buona? E comunque, se mi lasci andare, ti prometto che ti procurerò tanto di quel pesce prelibato che non dieci, ma venti persone potrai invitare alla tua tavola. Basta che sistemi delle belle ceste ai bordi della tua barca, ed io in poco tempo te le riempirò. Oggi e per un mese intero a venire."
Mi aveva quasi convinto. Feci per avvicinarmi a lui per liberarlo dall'amo; tuttavia esitai ancora.
"Ti voglio fare una bella foto per mostrarla come trofeo ai miei amici. Se ti libero nessuno crederà mai che io abbia pescato un pesce così grosso", gli dissi.
"Che problema vuoi che abbia a farmi fare una foto in tua compagnia. Basta che adesso mi butti un po' in acqua …"
Ed io lo feci, lasciandolo per un po' in acqua sempre attaccato all'amo. Poi andai a prendermi la mia macchina fotografica digitale e me la collocai in posizione per un autoscatto. Tirai di nuovo su l'enorme pesce, andai a scattare e tornai al mio posto, imbracciando il pesce e attendendo il flash della macchina.
"Bene: se adesso mi lasci andare, vado a prenderti i pesci che ti ho promesso", mi disse lui.
"Generoso lo sono sì, ma mica scemo. Chi mi garantisce che tu non scapperai appena ti libero dall'amo, senza mantenere la tua promessa? Anche perché di pesci che parlano, promettono e mantengono, in fede mia credo che non ce ne sia alcuna traccia nella storia del mondo."
E così dicendo lo liberai sì dall'amo, ma non prima di averlo legato per la coda ad un altro filo altrettanto robusto. E lo legai così stretto, per paura che si potesse divincolare aiutandosi con le sue squame scivolose, che forse ne soffrì ora più per questa stretta che non per l'amo che aveva in bocca in precedenza.
"Malfidato che non sei altro. Ma vedrai che ti pentirai amaramente di questa mancanza di fiducia: perché se tu mi avessi liberato completamente, ti avrei reso l'uomo più ricco della nazione. Non hai forse capito che sono un pesce magico? O pensi che qualunque pesce possa parlare?"
"Sì, puoi ben dire che sono malfidato; ma se nella vita avessi sempre dato credito a chi faceva promesse straordinarie come le tue, a quest'ora non sarei certo qui tranquillo a pescare, ma povero a elemosinare da qualche parte. E comunque sono stato di parola ed ho esaudito la tua richiesta, dato che tu volevi che ti liberassi dall'amo e ti lasciassi in acqua. Ora tocca a te essere di parola: tra un attimo metterò le ceste ai bordi della barca, e tu riempile."
Ma nonostante le mi precauzioni quello, una volta in mare, con un guizzo si liberò subito della stretta alla coda. Me l'ha fatta, pensai, salutando tra me e me l'idea di tornare a casa con abbondante pesce. Ma mi sbagliavo.
"Ti ho ben detto che sono un pesce magico. Ma quello che non ti ho detto è che volendo potrei tranquillamente restare fuori dall'acqua quanto voglio, e persino camminare e correre."
E per dimostrarmelo saltò di nuovo sulla mia barca, quasi ballandomi intorno come a sfidarmi di prenderlo. Ma dopo un po', visto che non raccoglievo la provocazione (ormai era chiaro che era davvero magico, e che aveva voluto solo mettermi alla prova), si ributtò in acqua.
"Però sono un pesce di parola, e manterrò quanto promesso."
E infatti in pochi minuti aveva riempito le mie tre ceste, tutte quelle che avevo a bordo, l'una di soli molluschi e crostacei, l'altra di pesci grandi e l'altra di pesci piccoli; alcuni portandoceli con la bocca, e altri che ci saltavano dentro da soli, come per magia. Tanto che poi sono dovuto passare al mercato del pesce, a cercare qualcuno che mi comprasse quello che avanzava alle mie necessità."
"Addirittura!", gli feci io.
"Già", mi rispose. "Però a pensarci bene credo che una parte del merito per tutto questo pescato sia stata anche tua. Mi hai augurato buona fortuna, e me ne hai portata davvero tanta, forse come non ne ho mai avuta. Lo so che se ti invito a pescare mi dici di no: ma che ne diresti allora di venire a cena da me, stasera? Penso a tutto io: magari tu porta solo una buona bottiglia di vino, bianco, naturalmente."
"Perché no, Osvaldo. Ci sarò. Va bene per le sette e mezza?"
"Va bene. Allora adesso ti lascio, che devo fare un salto al mercato del pesce. A stasera, allora."
Osvaldo uscì, ed io rimasi con calma a finirmi il caffè.
"E tu che cosa ne pensi di quello che ha raccontato il mio amico Osvaldo?", chiesi a Vincenzo, il barista, che in quel momento era impegnato a lavare alcune tazze. "Trovi che ci sia anche solo qualcosa di ragionevolmente credibile in tutto quello che ha detto?"
"Scusami, ma non sono stato a sentire cosa ha detto", mi rispose lui senza pensarci troppo.
"Frottole. Tutte frottole da pescatore", continuai io. "Mi chiedo perché mai i pescatori siano tutti così, almeno quelli che conosco: fantasiosi ed esagerati. Forse star fuori la notte, saltare i ritmi naturali del sonno e della luce gli fa questi scherzi. Chissà."
Gli pagai il mio caffè e feci per uscire.
"Ehi, aspetta. Stai dimenticando qualcosa qui sul banco. O forse l'ha lasciato qui il tuo amico. Come si chiama?"
"Osvaldo", gli risposi. Io non avevo niente con me. Controllai se fosse roba di Osvaldo. In effetti c'erano delle fatture del mercato ittico, e c'era su il suo nome come venditore. Poi c'era qualche altra cosa che non capivo cosa fosse, e … questa cos'era? Una foto. Fatta di sera, col flash. Aveva in braccio un pesce gigantesco, quasi più grande di lui. E, sembra strano a dirsi, questo grande pesce pareva proprio che sorridesse.

I MOSTRI MARINI
Vi chiedo scusa sin da ora se talvolta nella mia traduzione ho dovuto fare consistenti arrangiamenti oppure ho dovuto trascurare alcuni dettagli: vuoi perché io stesso certe cose non sono riuscito a comprenderle, vuoi perché taluni concetti di per sé non sono facilmente afferrabili da un ascoltatore umano. Il fatto è che ho raccolto questa storia alla fonte, cioè proprio laggiù nel profondo dell’oceano, dove si è svolta.
E’ bene quindi che vi spieghi in anticipo come ho utilizzato alcune parole, e come vadano interpretate.
Quando parlo di “tentacolati” mi riferisco ad una di quelle specie di calamari giganti che abitano le zone più profonde degli abissi marini. Un tentacolo, oltre ad una loro parte anatomica, è anche l’unità di lunghezza da loro adoperata: corrisponde al tentacolo più lungo di un adulto di medie dimensioni.
Persino le parole mamma, figli, maschi e femmine hanno un significato molto relativo per una specie di cui si conosce biologicamente e zoologicamente così poco, e di cui ogni nuovo esemplare del quale veniamo in possesso contribuisce a migliorare la nostra conoscenza. Giorni e settimane significano ancora meno, là dove una luce che filtra può considerarsi solo come un evento miracoloso (o catastrofico).
Nel loro linguaggio, la parola “pesce” indica qualunque essere che è o è stato vivo, ed in quanto tale può costituire nutrimento; perciò organismi in genere, ed in particolare animali. Gli “scorzoni” sono invece tutto ciò che è costituito da materiale molto duro e non commestibile. Così vengono chiamati, tra l'altro, gli oggetti pesanti e generalmente metallici che precipitano dalle alte quote: si tratta per lo più di relitti di imbarcazioni di ogni tipo, cavi, tubature o simili.
Quanto alla “Valle delle punte”, per finire, non so dirvi esattamente dove si trovi, ma penso che sia non molto distante da dove, nell’agosto 2002, si è verificato un famoso disastro aereo in cui, nel tentativo fallito di un ammaraggio di fortuna, morirono quasi duecento persone i cui corpi non sono stati ancora recuperati, e forse mai lo saranno.

I fratelli Dirko e Dalko erano due giovani esemplari maschi tentacolati, nel pieno delle loro forze e del loro vigore, ed anzi si poteva dire che fossero straordinariamente più robusti dei loro coetanei consimili.
Erano coraggiosi più di chiunque altro; anche troppo, pensava la loro mamma. Non sembravano preoccuparsi eccessivamente né del calore, né della luce o del rumore che salendo di quota diventano fastidiosi per i più, e per alcuni addirittura insopportabili. Dirko e Dalko muovevano i loro lunghi, forti ed eleganti tentacoli in lungo ed in largo per le distese oceaniche, talvolta assentandosi per giorni e settimane intere, ma sempre facendo ritorno dalla loro amata mamma.
“Dovete stare attenti! Il mare è diventato molto più pericoloso oggigiorno di quanto non lo fosse quando ero fanciulla. Proprio poco fa è caduto un affare come non se ne erano mai visti, lungo forse più di dieci tentacoli, con delle enormi pinne laterali. Doveva essere un pesce ferocissimo quando era in vita. Con una scorza durissima che nessuno è ancora riuscito neppure a scalfire. Molto diverso anche da quel buffo scorzone acuminato che giace da anni sul fondo della valle delle punte.”
Non aveva neanche finito di parlare che i due giovani avevano già raccolto quella che era sembrata loro una sfida, e avevano cominciato a perlustrare i fondali alla ricerca del mostro. Non fu difficile trovarlo. Le sue enormi pinne emanavano ancora calore. I tentacoli dei due fratelli non riuscirono né a scalfirlo né a spostarlo di un millimetro, così come non ci riuscivano numerosi altri tentacolati, tuttora presenti sul posto, che stavano coordinando i propri movimenti e le proprie energie in uno sforzo di gruppo.
“Se fosse stato un pesce, avremmo avuto una scorta di cibo enorme”. Era quello che pensavano tutti. “Almeno sui classici scorzoni qualche pesce lo si trova sempre; ma qui, anche se ce ne fossero all’interno, non riusciremmo mai a tirarli fuori.”

Ma come dice un noto proverbio sottomarino, il banco si muove sempre in gruppo. E così a quell’evento ne seguirono altri non meno strani e preoccupanti, tutti molto ravvicinati sia nello spazio che nel tempo.
Non trascorse più di un giorno che cominciò a percepirsi un tremito. Era lo stesso tipo di rumore che da anni si erano abituati (e rassegnati) a sopportare, ma sempre isolatamente e per pochi istanti. Questo nuovo, continuo ed ininterrotto, era però ben altra faccenda. Disturbava loro il sonno e la veglia; faceva scappare le prede. Non riuscivano neanche più ad accoppiarsi. Presto erano tutti così nervosi ed agitati, che per un nonnulla scoppiavano risse e litigi. Decisero perciò di riunire il consiglio di zona (era tantissimo che non si faceva più). La proposta che stava avendo maggior seguito era quella di emigrare tutti in un’altra regione abissale, con i rischi che ciò avrebbe comportato.
Erano ancora riuniti in questa loro assemblea, quando una fastidiosa luce cominciò a calarsi dall’alto. Dapprima si intravvide appena; poi, mano a mano che scendeva, diventava sempre più abbagliante e fastidiosa. A partire dai più anziani cominciarono a disperdersi e a cercare rifugio. Il presidente, prima di allontanarsi, proclamò che il consiglio avrebbe ripreso la riunione dopo pochi minuti più in là, ai confini con la valle delle punte. Era una scelta non del tutto priva di pericoli ed incognite, perché quel territorio costituiva motivo di continue scaramucce con un’altra tribù di tentacolati.

Dirko e Dalko, insieme ad un’altra mezza dozzina di giovani, non digerirono questa decisione.
“Questo territorio è nostro, e lo difenderemo a qualunque costo. Nessuno si è mai permesso di disturbare le nostre riunioni, e tantomeno di contrastare il nostro predominio tra questi confini. Dovranno vedersela con noi.”
Un drappello di tentacolati li seguì mentre salivano verso quella luce. Alcuni cercarono di intorbidare l’acqua con la sabbia, oltre che con tutto l’inchiostro che avevano in corpo. Altri, che avevano notato come i raggi luminosi fossero indirizzati verso il basso, cercarono di raggiungere l’obiettivo dall'alto, con una manovra aggirante. Quella lampada, ed il sottile cavo che la sorreggeva, furono aggrediti da una schiera di forti tentacoli impazziti dall’odio; chi tirava da una parte, chi dall’altra, con la rabbia e la forza in genere riservata ai pesci più feroci e pericolosi. In quello scuotimento la luce cominciò prima a vacillare e poi ad attenuarsi, finché, portata a fracassarsi contro una parete rocciosa, si spense completamente lasciando precipitare alcuni suoi frammenti verso il fondale nuovamente oscuro.
La lotta non fu del tutto indolore. Qualcuno nella foga ci rimise qualche pezzo di tentacolo; altri, a contatto con la sorgente luminosa, si procurarono ferite ed arrossamenti, in alcuni casi anche molto dolorosi.

Quei valorosi giovani furono da allora in poi trattati per quello che effettivamente si erano dimostrati: degli eroi coraggiosi. Ebbero pieno riconoscimento da tutti, anche dai più anziani, i quali li incaricarono della difesa del territorio per quanto fosse nelle loro capacità. Raccomandarono loro la massima prudenza perché ritenevano che il pericolo non poteva certamente dirsi passato. I più, anzi, supponevano che la situazione sarebbe presto peggiorata, dopo quanto accaduto.
Così mentre i più anziani, cercando di allacciare relazioni pacifiche coi vicini, si preoccupavano di spianare la strada ad una eventuale emigrazione, i giovani eroi si incaricarono della sorveglianza, organizzando turni di ronda ed attrezzandosi contro un nuovo possibile attacco. Furono predisposti ripari di emergenza e raccolte scorte di sassi e altri frammenti di scorzoni, considerati i mezzi più validi per contrastare eventuali altri pericoli provenienti dall'alto.

Il ricordo di quella luce dall'alto era ancora vivo in tutta la comunità (da allora il brusio di sottofondo non era cessato neanche per un istante) e la scorta di pietre non era ancora stata ultimata, quando sopravvenne un altro pericolo. Era una grossa palla con tanti occhi, che scendeva dall'alto non verticalmente come un sasso, ma con ampie volute e giri irregolari, come un pesce già sazio ancora in cerca di cibo. Era di colore giallo, il che più della sua flebile luce intermittente e fluorescente aveva messo in allarme i giovani di guardia e tutti gli altri, rapidamente distolti dalle loro attività per fronteggiare la nuova emergenza. Tra quel giallo gli occhi liquidi lasciavano intravedere altri piccoli pesci fluttuanti: nulla però che facesse pensare ad un'indole aggressiva.
"Vacci piano. Sembra abbastanza robusto e tranquillo. Forse non ha intenzioni cattive, e si allontanerà con la corrente così come è venuto." Dalko era sempre stato per natura il più prudente tra i due fratelli, ed aveva sempre mostrato un particolare interesse nell'osservare sia i pesci che gli scorzoni in cui gli capitava di imbattersi nelle sue passeggiate oceaniche. Dirko era invece più aggressivo: e data la sua mole non aveva paura di nulla.
Quel mostro giallo si fermò davanti a loro. Da dentro ai suoi occhi altri occhi sembravano fissarli. Dalko, osservato, lo studiava a sua volta con curiosità ed un poco di apprensione. Dirko invece era pronto a scattare, come un duellante sul punto di metter mano all'arma, e percepiva nell'intruso il suo stesso atteggiamento.
"Stai calmo, Dirko, non ti innervosire". Gli altri tentacolati osservavano un po' più distanti, non sapendo cosa fare e cosa aspettarsi.
"Se non se ne va da solo e in fretta lo convincerò io in un modo o nell'altro". Le dimensioni dell'intruso erano maggiori delle sue; ma Dirko aveva con sé la tranquillità di tanti amici pronti a venire in suo sostegno se necessario. Fu così che, quando la sfera gialla fece un ulteriore movimento lento e guardingo verso il fondale della comunità, Dirko le si avventò contro senza esitazione.

Si creò una situazione incredibile. Una massa di tentacoli si accanì contro quella sfera liscia, ricoprendone buona parte; ma ogni sforzo sembrava vano. Forse semplicemente non riuscivano a fare presa, o a trovare un punto debole nel nemico; il quale apparentemente sembrava inerme, immobile, senza armi di offesa né di difesa a parte l'impenetrabilità del suo guscio. Gli altri tentacolati non resistettero molto da spettatori a quel vano e disperato scalciare del loro capo. A poco a poco si unirono alla lotta, finché del giallo della sfera, diventata ormai un ammasso di polpa e tentacoli in movimento, non si distingueva più nulla.
La situazione non era mutata con l'aumento del numero dei combattenti; ma l'intricato ammasso in lotta cominciò, prima lentamente e poi con più decisione, a perdere quota dirigendosi verso il fondale, forse per una deliberata strategia o semplicemente per effetto della gravità.
La discesa era ormai evidente, quando la situazione prese una svolta imprevedibile. Uno, due sibili, e due nuove appendici sferiche si svilupparono dal corpo giallo, modificandone improvvisamente l'assetto. Tendevano verso l'alto, e spingevano con sé l'intricata massa avviluppata a sollevarsi; nel frattempo continuavano ad espandersi ingrossandosi. Queste protuberanze, che la pressione dei tentacoli deformava con una certa facilità, illusero il plotone di guardie di aver trovato il punto debole del mostro, rinvigorendo i loro sforzi. Però il mostro giallo continuava a sollevarsi, inarrestabile, finché la pressione e la temperatura cominciarono a farsi fastidiose per gli abitanti dell'abisso. Uno alla volta mollarono la presa, anche perché ormai l'estraneo poteva dirsi uscito dal loro territorio.
Gli ultimi a lasciare il nemico furono i due fratelli; ma Dalko si tratteneva solo per non lasciare da solo il fratello. "Vieni via, che qui finisce male. Non ci siamo mai spinti così in alto ed in acque così calde. Potrebbe essere pericoloso." Ma Dirko, che per una volta avrebbe voluto dar retta ai saggi consigli di Dalko, non riusciva a muoversi. I due palloni erano cresciuti a dismisura, e benché deformabili ed apparentemente morbidi come polpa di pesce, cominciavano a comprimerlo con forza, bloccando tutti i suoi movimenti.
"Non riesco a muovermi, non riesco. Aiutami!" Anche la sua voce era strozzata, quasi soffocata in quella morsa.
Ormai l'ascesa era veloce. Dalko cercò disperatamente e in tutti i modi di aiutare il fratello a liberarsi, finché ne ebbe le forze. Poi perse conoscenza, e quando la riprese si ritrovò adagiato sul fondo del mare, malconcio e circondato dai suoi giovani compagni.
Di suo fratello, purtroppo, nessuno seppe più niente.

Questo pressappoco avvenne quando la sonda iperbarica "Mistar", dopo un precedente fallito tentativo di esplorazione televisiva, si calò verso il fondale nel luogo della sciagura. I tre uomini di equipaggio ne ritornarono sconvolti, salvati dal perfetto funzionamento del sistema di emergenza a palloni ad aria compressa.
Il loro incredibile racconto fu solo in parte supportato dalle riprese televisive delle telecamere di bordo, messe fuori uso quasi subito dalla colluttazione; ma quel gigantesco ammasso molliccio e fortunatamente senza vita che riportarono in superficie sbalordì il mondo intero.
Il recupero delle salme del disastro aereo si palesò impraticabile, visti i rischi, le incognite ed i costi connessi: enormi, sebbene difficilmente quantificabili. Tuttavia l'interesse scientifico suscitato dal ritrovamento riaprì il dibattito sulla necessità di una nuova missione esplorativa, per cui le unità di salvataggio stazionarono nella zona del relitto per quasi un altro mese prima di rientrare alla base.
Adesso della vicenda non se ne parla quasi più, se non negli ambienti accademici interessati all'oceanografia; ma se ne tornerà a parlare presto, visto che una nuova esplorazione di quei fondali è stata inclusa nel programma elettorale di uno dei candidati in corsa per la Casa Bianca.

PAESAGGIO MOZZAFIATO
“E adesso chiudi gli occhi, e mi raccomando: non li riaprire finché non te lo dico io”, egli le disse.
Lei così fece, pregustando non sapeva bene quale gradita sorpresa. Si lasciò prendere per mano e guidare lentamente per qualche passo, in attesa fiduciosa di chissà cosa.
O meglio, una precisa speranza su cosa potesse accadere lei ce l'aveva; ma le venne anche in mente il racconto del primo bacio tra sua mamma e suo papà, e nel frattempo cominciava ad udire inatteso il rumore del mare, prima appena in sottofondo, poi sempre più fragoroso. Rumore di onde spumose che si infrangono con forza sulla scogliera.
In realtà non aveva la minima idea di quello che l'aspettasse.
“Siediti pure qui se vuoi, e mettiti comoda, ma sempre senza aprire gli occhi”.
Lei fece come le era stato detto, meravigliandosi di trovare ad accoglierla sotto di sé una specie di morbido tappeto anziché sassolini o qualche rocciosa sporgenza appuntita.
Il rumore del mare, ora leggermente attenuatosi, era comunque piacevole e rilassante, non disturbato dai versi, portati dal vento quasi a intermittenza, di alcuni gabbiani che andavano e venivano in volo. Anche quell'arietta fresca sulla faccia, una brezza leggera che sapeva di salsedine e di libertà, dava una sensazione piacevole. E dalle palpebre chiuse filtrava una luce di un bel colore che era una specie di rosa rossastro aranciato.
“Adesso puoi riaprire gli occhi.”
Di fronte a lei, come uno smisurato affresco animato del più grande artista che si sia mai conosciuto, stava il paesaggio mozzafiato di un tramonto sul mare, Qualcosa di più che solo una mirabile visione, perché ad un tratto le giunsero anche dei leggeri spruzzi d'acqua fresca sulla faccia e sul vestito.

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