Читать онлайн книгу «Sanctuary – Serie ”Legami Di Sangue” – Volume 9» автора Amy Blankenship

Sanctuary – Serie ”Legami Di Sangue” – Volume 9
Amy Blankenship
Michael appariva sempre calmo nelle situazioni più pericolose... ma, ben presto, tutti si rendono conto che è dalle persone tranquille che bisogna difendersi. Il suo potere e la sua tempra finiscono fuori controllo quando diventa ossessionato da una ragazza che continua ad accendere la sua passione, per poi scomparire prima che potesse scoprire qualcosa su di lei. Ad ogni assaggio che ha di lei, la sua ossessione si trasforma rapidamente in dipendenza.
Michael appariva sempre calmo nelle situazioni più pericolose... ma ben presto tutti si rendono conto che è dalle persone tranquille che bisogna difendersi. Il suo potere e la sua tempra finiscono fuori controllo quando diventa ossessionato da una ragazza che continua ad accendere la sua passione, per poi scomparire prima che potesse scoprire qualcosa su di lei. Ad ogni assaggio che ha di lei, la sua ossessione si trasforma rapidamente in dipendenza. Aurora è legata contro la sua volontà a Samuel, un demone antico e potente, che la segue ancora ad ogni sua mossa. Mantenere la propria libertà significa dover stare un passo avanti al demone possessivo. Quando si ritrova attratta da un amante dagli occhi ametista, scopre rapidamente che la sua passione per questo sconosciuto sta portando Samuel direttamente da lei e dall’uomo che lei vuole proteggere.
Samuel giura di fare tutto il necessario per tenere Aurora legata a sé. Nel suo desiderio di forzare l’obbedienza di Aurora, egli alimenta inconsapevolmente i fuochi di un potere che non aveva alcuna speranza di distruggere... la virtuosa furia di un Dio del Sole.



Table of Contents

Capitolo 1 (#ulink_eab097b1-0063-5ab3-a8c4-4e3e3f2b3a1e)
Capitolo 2 (#ulink_e989d3df-54fe-5165-9d5a-86cb58760e45)
Capitolo 3 (#ulink_809df939-1af8-598e-844e-f9e979ef4211)
Capitolo 4 (#ulink_fff82634-b969-50e8-bb7b-d43c57615c5d)
Capitolo 5 (#ulink_520c3bf8-0e9b-505c-bdbc-15d10fbbc193)
Capitolo 6 (#litres_trial_promo)
Capitolo 7 (#litres_trial_promo)
Capitolo 8 (#litres_trial_promo)
Capitolo 9 (#litres_trial_promo)
Capitolo 10 (#litres_trial_promo)
Capitolo 11 (#litres_trial_promo)
Capitolo 12 (#litres_trial_promo)
Capitolo 13 (#litres_trial_promo)
Capitolo 14 (#litres_trial_promo)
Capitolo 15 (#litres_trial_promo)
Capitolo 16 (#litres_trial_promo)
Capitolo 17 (#litres_trial_promo)

“Sanctuary”
Serie “Legami di Sangue” - Volume 9

Author: Amy Blankenship & RK Melton
Translated by Ilaria Fortuna

Copyright © 2012 Amy Blankenship
Seconda Edizione Pubblicata da Amy Blankenship
Tutti i diritti riservati.

Capitolo 1
Nick parcheggiò la sua auto a un paio di isolati dal ‘The Witch’s Brew’. La verità era che aveva bisogno di camminare a passo svelto per qualche minuto, per scaricare un po’ dell’adrenalina che aveva accumulato. Le parole ‘per una notte’ lo stavano facendo infuriare e voleva sapere se per Gypsy avevano lo stesso significato. E poi... era una scusa come un’altra per allontanarsi da Devon e dal casino in cui si trovava.
Sapeva che lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per Envy ma quel suo scatto d’ira era un po’ troppo. Nick espirò, chiedendosi se avrebbe affrontato la situazione meglio di suo fratello maggiore... improbabile. Doveva essere una rottura avere i propri pensieri così esposti... specialmente quando feriscono qualcuno. Se i pensieri fossero un peccato, allora questo mondo sarebbe in guai seri.
La cosa divertente erano Devon e Trevor; Nick pensava che Trevor si trovasse nel giusto stato d’animo. Lui non aveva sofferto abbastanza da pianificare un omicidio... a differenza di Devon che, probabilmente, aveva già deciso dove seppellire il corpo. Intanto aveva la sensazione che Trevor fosse gentile solo in apparenza ma, almeno, si sforzava per non lasciare che i suoi sentimenti personali verso Devon interferissero.
In questo momento entrambi dovevano collaborare e fare in modo che Envy fosse il più tranquilla e felice possibile. Finora... ciò non era accaduto. Se le cose fossero continuate così, Envy avrebbe potuto stressarsi e perdere il bambino.
“Idioti.” mormorò tra sé.
Svoltando l’ultimo angolo, Nick vide un uomo davanti la vetrina davanti del negozio e si nascose subito. L’uomo era in piedi, perfettamente immobile, con le mani contro il vetro... a spiare dentro come un guardone.
“Cos’abbiamo qui, un nottambulo... o uno stalker?”. Nick alzò un sopracciglio scrutando il tizio. Sembrava un playboy, con i suoi gioielli d’oro di Armani, senza contare il costoso taglio di capelli in stile ‘Sono il più figo’. Si scostò i capelli dal viso, respingendo mentalmente il flusso di gelosia che sentiva.
Si chinò e prese una pietra, rigirandola in mano prima di lanciarla forte. Essa colpì il lampione dietro l’uomo con un forte tintinnio, che risuonò ancora più forte nella notte.
Quando l’uomo si girò intorno per vedere cosa avesse provocato quel rumore, Nick vide il rosso innaturale dei suoi occhi mentre la luce li illuminava. Ringhiò dentro di sé, chiedendosi se la città si sarebbe mai liberata di quei dannati vampiri.
Estraendo silenziosamente la pistola dalla fondina, si assicurò che restasse nascosta mentre controllava che la camera fosse carica. L’ultima cosa che voleva era ferire quella creatura pericolosa invece di ucciderla. Montò il silenziatore, non voleva testimoni.
Non riusciva a capire perché un vampiro si aggirasse intorno al negozio... proprio lì dove vendevano armi per ucciderli.
Sbirciando da dietro l’angolo, alzò il braccio sinistro e centrò il vampiro nel mirino. Premendo il grilletto sorrise quando la creatura si girò e lo guardò poco prima che il proiettile lo colpisse sopra l’occhio destro.
Nick si mosse abbastanza velocemente dal suo nascondiglio per afferrare il succhiasangue prima che cadesse a terra. Vide alcuni pedoni guardare verso di lui e sospirò di sollievo. Ai loro occhi sembravano soltanto due amici che si sorreggevano a vicenda dopo una notte di bagordi. Barcollò un po’ per fare scena, prima di svoltare l’angolo dell’edificio e scaricare il corpo dietro il cassonetto della spazzatura.
Rimase fermo per un attimo, prima di avvicinarsi al vampiro per assicurarsi che fosse morto. Sentì qualcosa muoversi e si voltò verso l’ingresso del vicolo, appena in tempo per vedere un altro succhiasangue puntare verso di lui.
Quei vampiri erano codardi e non giravano quasi mai da soli. Non poteva certo biasimarli, con tutti i demoni che c’erano in giro. Aggrottò la fronte per il triste cambiamento della situazione in città.
Il vampiro balzò verso di lui e Nick allungò le braccia, afferrandolo per la maglietta. Sfruttò lo slancio per farlo volare lungo il vicolo. Imprecò quando lo sentì afferrare la pistola e strappargliela di mano. Era fortunato che Nick non avesse il dito sul grilletto, altrimenti il proiettile non l’avrebbe mancato di certo.
“Hai ucciso Bernard.” sibilò il vampiro.
Nick guardò il cadavere dell’altro “Non ti preoccupare, presto ti unirai al tuo amichetto.”.
“Mutante schifoso.” il vampiro imprecò e si precipitò verso di lui.
Nick si accovacciò e lasciò che il proprio istinto prendesse il sopravvento. Il vampiro cominciò a girargli intorno e lui era contento che Michael gli avesse mostrato come neutralizzare quel trucco. Non era difficile per un vampiro ma quelli appena nati ci mettevano un po’ per imparare a farlo in modo impeccabile.
Quel succhiasangue era capace ma sembrava tremolare come se si stesse muovendo sotto una luce stroboscopica, piuttosto che comparire e scomparire gradualmente da un punto all’altro.
“Sei poco attento.” mormorò Nick e allungò una mano verso il fodero legato ai jeans. Proprio quando il vampiro fu sopra di lui, Nick estrasse il pugnale di legno e lo conficcò in profondità nella sua gola.
Il sangue denso e scuro colò dalla ferita fin sulla mano di Nick. Lui piegò il polso e il pugnale si spezzò, lasciando il legno di pino sepolto all’interno del vampiro. Nick piegò la testa di lato con fare felino mentre il vampiro barcollava all’indietro, prima di balbettare qualcosa di incomprensibile e cadere a terra.
Decise di assicurarsi che morisse e affondò il pesante anfibio nella sua testa, schiacciandola. Sollevando il piede fece una smorfia per le condizioni della suola, prima di strofinarla a terra nel tentativo di pulirla.
Alla fine, soddisfatto, andò a recuperare la pistola e fissò il pugnale rotto.
“Accidenti, adesso devo farne uno nuovo.” si lamentò e prese il suo cellulare.
Il telefono squillò tre volte prima che una voce molto familiare gli rispondesse.
“Ehi, Nick.” disse la voce.
Nick si accigliò “Il mio numero non è memorizzato...”.
“Lo so, ma è l’unico che compare come ‘privato’.”.
Nick sospirò “Mi serve un favore, Harley. Ho un lavoretto per gli addetti alle pulizie. C’è un vampiro dietro il cassonetto del ‘The Witches Brew’ e un altro con la testa schiacciata a poca distanza, nello stesso vicolo.”.
“Saranno lì in cinque minuti.” disse Harley con gli occhi spalancati, poi sospirò quando Nick riagganciò.
Era stato detto a tutti di non affrontare i vampiri perché poteva essere pericoloso, e adesso Nick ne aveva fatti fuori due nella stessa notte... e non era la prima volta.
“Maledetti vampiri.” mormorò, e ricaricò rapidamente la pistola. Non volendo sfidare la sorte, uscì dal vicolo buio restando concentrato su ogni movimento. Si mise in tasca il manico del pugnale e vi nascose anche la mano coperta di sangue... avrebbe lavato i jeans più tardi.
Si accigliò quando tornò alla porta e trovò il cartello ‘Chiuso’. Lo guardò storto. Come diavolo aveva fatto a non accorgersene? A sua discolpa, era stato un po’ impegnato con un paio di denti aguzzi. Lesse l’avviso... il negozio sarebbe stato chiuso domani.
“Maledizione.” Nick imprecò, reprimendo l’impulso di prendere a calci la porta.
L’appuntamento doveva essere stato riprogrammato. Il vecchio detto “Chi dorme non piglia pesci” tornò a perseguitarlo. Dimenticò completamente la propria paranoia per i vampiri e tornò nel vicolo, dove si trovava la porta laterale del negozio. Estraendo la pistola, controllò la porta e la trovò chiusa a chiave.
“Grandioso.” sussurrò e s’inginocchiò davanti la porta. “Una serata piena di sorprese.” borbottò. “Che ti aspettavi? Che lei ti chiamasse e ti avvisasse che stava andando a un appuntamento? Idiota, non sei il suo fidanzato né altro. Solo perché non le hai chiesto di uscire non significa che gli altri non lo faranno.” disse a se stesso.
Nick fissò la serratura come se fosse colpa sua. Aveva già notato che il sistema di allarme del negozio era solo per finta, da quando il vecchio era morto. O Gypsy non aveva pagato la bolletta o lo aveva spento pensando di non averne bisogno.
Sogghignò, i catenacci potevano bastare a tenere lontani i novellini ma quella era una città... e lui era un esperto. La ragazza aveva innegabilmente bisogno di qualcuno che la proteggesse.
Estraendo un piccolo oggetto simile a un portafogli, lo aprì e tirò fuori due strumenti che sembravano piccoli punteruoli. Inserendoli entrambi nella serratura della porta, la aprì. Quando il lucchetto scattò, lui sorrise e mise subito via gli attrezzi.
Guardandosi attorno per assicurarsi di essere solo, sgattaiolò all’interno e sprangò la porta dietro di sé. Quando Gypsy sarebbe tornata a casa, avrebbe dovuto dirle qualcosa a proposito del suo sistema di “sicurezza”. Magari si sarebbe anche offerto come aiutante... gratis, naturalmente.
Nick rimase immobile per un momento, lasciando che la sua visione notturna entrasse in azione prima di attraversare il magazzino e andare nella stanza principale.
Il negozio era bellissimo di notte, le luci dei lampioni riflettevano su tutti i cristalli sparsi per la stanza. Le bottiglie di pozioni e profumi riflettevano colori diversi e il luccichio delle brillanti armi argentate adornava le pareti. Era calmante e ipnotico per i suoi sensi felini.
Facendo attenzione a non spostare nulla, si mosse nel negozio con una missione... trovare tutto quello che poteva riguardo il luogo in cui era andata Gypsy e chi doveva incontrare. Se aveva un rivale, voleva un volto e un nome.
“Geloso? Io? Nooo.”. Nick sogghignò per la sua stessa battuta. Non era mai stato davvero geloso prima d’ora ed esserlo adesso lo incuriosiva da morire.
Dopo aver letto tutti i documenti accanto al bancone, concluse che stava cercando nel posto sbagliato. Tornando indietro da dov’era venuto, passò nel deposito finché non giunse ad una serie di gradini che scendevano nel seminterrato. Era da un po’ che voleva sapere cosa ci fosse nascosto lì e adesso, a quanto pare, aveva la possibilità di scoprirlo.
Il suo sorriso svanì e i suoi occhi si socchiusero. Il fondo delle scale era sbarrato da quella che sembrava una porta a volta in stile antico, che era stata ricavata nella parete. Alzò un sopracciglio, rendendosi conto che il negozio doveva essere stato costruito su un rifugio antiaereo. Come se la cosa non fosse già evidente. La grande ruota sulla porta di metallo gli fece capire che si trattava di un lucchetto a combinazione.
“Fantastico.” si lamentò “Questo posto è sotto chiave più di Envy con Devon.”.
Strofinandosi le mani, si avvicinò e fece girare la ruota. Poi, premendo l’orecchio contro la porta, si concentrò, lasciando che i suoi sensi felini rilevassero anche il minimo clic. Cominciò a muovere la ruota lentamente e metodicamente finché, alla fine, udì l’ultimo clic e la leva rumoreggiò mentre si sganciava.
“Fatto.” sussurrò, e aprì la spessa porta d’acciaio. Sentì l’eccitazione esplodere in lui quando si rese conto che stava per vedere il luogo segreto di Gypsy.
La prima cosa che notò fu che le luci erano accese... luci non normali. Sparsi qua e là c’erano diversi vasi di cristallo con enormi candele che, probabilmente, potevano durare per una settimana se fossero state lasciate accese. Conferivano un’atmosfera mistica alla stanza, illuminando molti degli stessi cristalli venduti al piano di sopra. A quanto pare, probabilmente lei sceglieva i suoi preferiti da ogni carico e li teneva per sé.
Facendo scorrere le dita su un mago di cristallo e poi su un drago di cristallo nero, Nick accennò ad un sorriso realizzando cosa avrebbe potuto regalarle per Natale. La sua Gypsy aveva la passione per i cristalli... era una cosa fantastica da collezionare. Era un’ambientazione rinascimentale adatta a lei.
L’arredamento era ben utilizzato e in modo confortevole. Nick era sicuro che doveva essere costato una fortuna, originariamente. Ora la tappezzeria color viola scuro, quasi nero, stava iniziando a mostrare segni di usura e lui sorrise sfiorando un piccolo strappo che era stato ricucito con del filo nero.
I suoi occhi s’illuminarono vedendo l’esposizione di armi medievali sul muro. Lei non sembrava il tipo che sapesse come usarle se non per arredamento, ma gli andava bene così. Non gli erano mai piaciute le ragazze che facevano le dure... gli rendevano difficile fare la parte dell’eroe.
Si avvicinò alla scrivania con il computer e spostò con cautela i pochi oggetti, cercando di trovare qualche indizio. Accendendo il computer, imprecò sottovoce quando vide che era protetto da password.
“Maledizione.” borbottò e fece per voltarsi, quando vide qualcosa ancora sul vassoio della stampante. Prendendo il foglio, i suoi occhi s’illuminarono quando vide che si trattava di un volo modificato... per New York. Lei aveva annullato un volo e ne aveva prenotato un altro.
“Quindi è partita un giorno prima del previsto.” disse Nick, e per un attimo pensò di saltare sul primo aereo per New York, poi cambiò idea. Non sapeva nemmeno dove sarebbe andata una volta arrivata lì.
Rimise il foglio dove l’aveva trovato e si appoggiò al bracciolo del divano. Lo infastidiva ancora il fatto che quei vampiri avessero preso di mira il negozio e si chiese se sarebbe dovuto rimanere fino al suo ritorno. Ci pensò, cercando di trovare un buon motivo per restare.
Il negozio era abbastanza sicuro di giorno ma non sarebbe stata una cattiva idea sorvegliarlo di notte. Il volo di ritorno di Gypsy era per la sera dopo e il sistema di sicurezza al piano di sopra era un colabrodo, per come la vedeva lui... mentre il piano di sotto era ai massimi livelli di sicurezza.
Nick alzò un sopracciglio... d’accordo, avrebbe passato la notte lì per fare la guardia. Il suo sguardo si posò sulla stanza sul retro, che era separata dal resto dell’enorme rifugio antiaereo. C’erano tantissimi fili di perline di cristallo che pendevano per formare un divisorio. Nick aguzzò la vista verso la camera da letto e il bagno.
Attraversando le perline, si diresse verso il bagno e si tolse la giacca e la camicia. Lasciandoli a terra, si lavò via il sangue dalla mano e prese la camicia per esaminarla. Lì non c’era sangue ma sulla manica della giacca sì.
Riaprendo l’acqua fredda, usò il sapone per lavarla meglio che poté, prima di strizzarla e appenderla al gancio. Guardò la vasca e sorrise per le sue dimensioni.
Era così grande da farci entrare comodamente quattro persone. Le immagini di lei che faceva il bagno da sola lo fecero sospirare e si unì a lei nella sua visione.
Scuotendo la testa, andò in camera da letto per guardarsi intorno e rimase perplesso davanti al letto king size. Era ovvio che a Gypsy piacessero le cose grandi e lui sogghignò mentre un pensiero malvagio gli balenava nella mente. Andando ai piedi del letto, allargò le braccia e vi si gettò a faccia in giù.
*****
Warren entrò nell’area principale del club e si tolse la polvere di intonaco dai capelli. I lavori servivano all’ampliamento ma, a quel ritmo, sarebbero finiti giusto in tempo per la festa di Halloween. Era appena entrato in bagno per una doccia quando il suo cellulare emise un bip.
Prendendo il dispositivo, Warren si accigliò leggendo il messaggio di Kat. Scuotendo la testa con un forte sospiro, chiuse l’acqua nella doccia e si diresse verso la sala principale del Moon Dance. Almeno non era già sotto l’acqua quando era arrivato il messaggio... non capitava tutti i giorni che Kat gli mandasse un messaggio con scritto ‘Emergenza’.
Quando apparve dalla porta laterale, Warren rimase perplesso nel vedere lo stato in cui era Devon. Suo fratello si era trasformato in giaguaro, aveva gli occhi sbarrati e sembrava molto sofferente. Kat era in piedi davanti a lui con le mani sui fianchi, come se gli stesse facendo la predica.
L’espressione seria sul viso di lei gli fece capire che la situazione era davvero seria. Lanciò un’occhiata a Quinn, che era palesemente divertito, a giudicare dal suo sorrisetto...
“Devi ascoltare quello che ti ha detto Kriss.” disse Kat. “Se non lo fai, starai ancora così e io non proverò alcuna compassione per te.”.
Incrociò le braccia al petto, esasperata. Trevor se n’era andato da almeno venti minuti e quella testa dura di suo fratello non riusciva ancora a rimettersi in piedi. Si chiese come avesse fatto Trevor ad andare via così tranquillamente. Era sicura che anche lui si sentisse come Devon ma sapeva che non sarebbe riuscito a muoversi se avesse avuto ancora cattivi pensieri.
Guardò storto Devon quando lui ringhiò “Non ringhiare contro di me. Almeno Trevor ha avuto un briciolo di cervello per smettere di agire così.”.
“Perché Devon è a terra?” chiese Warren attraversando la stanza.
Quinn sorrise “A quanto pare Envy è incinta di Trevor e Devon vuole ucciderlo per questo.”.
Warren fece una smorfia a Quinn perché nessuno gli aveva ancora spiegato il motivo per cui Devon si stesse rotolando a terra.
“Quando si è accoppiata con Devon era già incinta e non lo sapeva.” Kat lanciò un’occhiataccia a Quinn per essere stato così vago. “Nessuno di loro lo sapeva fin quando Envy non è svenuta e la signora Tully ha fatto delle analisi per sicurezza. Siccome il bambino è di Trevor, Devon vuole ucciderlo.”.
Warren strizzò gli occhi e si strinse il naso. Questo spiegava alcune cose... ma non rispondeva ancora alla sua domanda iniziale. Sospirò e decise di riprovarci “Perché.. Devon.. è a terra?”.
“È a terra perché Kane ha lanciato a entrambi un... incantesimo.” Kat strinse le spalle, non sapendo come altro chiamarlo. “Ora, se cercano di ferirsi a vicenda, o se lo pensano soltanto... si riducono così.” Allargò le braccia indicando quell’idiota di suo fratello a terra.
Warren aggrottò la fronte “Vediamo se ho capito. Devon è arrabbiato perché Envy è rimasta incinta prima di incontrarlo e vuole uccidere il padre del bambino... ma non può, perché Kane è stato abbastanza intelligente da lanciargli un incantesimo di costrizione?”.
Quinn scrollò le spalle “In sostanza è così.”.
“Uomo saggio.” mormorò Warren poi scosse la testa, chiedendosi perché non lo avesse saputo da Michael, invece che da Kat. Si appoggiò al bancone e fissò suo fratello per un momento.
La situazione era piuttosto divertente ma, allo stesso tempo, non riusciva a credere che Devon si stesse comportando in quel modo. Era ovvio che suo fratello non fosse molto lucido. Se uccidesse Trevor, che ne sarebbe stato del bambino? Envy gli avrebbe portato rancore per sempre, per aver negato a suo figlio la possibilità di conoscere il suo vero padre. Questo fece infuriare Warren oltre ogni limite.
“Lascialo stare, lo capirà.” disse Warren con voce fredda.
Kat fece una smorfia “Oh, piuttosto brutale.”.
“Hai detto che si riducono così quando pensano di uccidersi a vicenda.” ripeté Warren agitando la mano verso Devon. “L’unica cosa logica sarebbe smettere di pensarlo. Noi non possiamo costringere Devon a cambiare il suo modo di pensare. Ma se ama la sua compagna smetterà di comportarsi da idiota.”.
Warren vide le orecchie di Devon abbassarsi, e un ringhio non proprio amichevole rimbombò nella stanza. La ruggente risposta di Warren zittì il ringhio e Devon abbassò lo sguardo a terra, prima di chiudere di nuovo gli occhi.
Non c’era niente che Warren potesse fare per salvarlo, questa volta. Era una questione che Devon doveva risolvere da solo... o forse aveva davvero bisogno dell’aiuto di suo fratello maggiore. Un lento e sinistro sorriso apparve sulle labbra di Warren quando capì come risolvere il problema.
“Conosco quello sguardo, Warren...” disse piano Kat, sentendosi in pena per Devon “Non pensarci neanche.”.
Quinn sogghignò di nuovo “Devo iniziare ad andare sempre in giro con una macchina fotografica?!”.
“Sì.” rispose Warren.
“No!” gridò Kat nello stesso momento.
Warren si avvicinò a Devon, sovrastandolo. “E se il seme di Trevor fosse in profondità dentro Envy?” sottolineò ‘in profondità’ di proposito solo per far reagire Devon... e funzionò. “Per quanto ne so... sono andati a letto insieme per mesi, prima che tu posassi gli occhi su di lei.”.
Devon ringhiò e sobbalzò, cercando di scacciare il dolore.
“Hanno fatto l’amore per tanto tempo...” Warren continuò e si picchiettò le dita sul mento, pensieroso. “Ho sentito dire che possono verificarsi anche due gravidanze.” sorrise compiaciuto, chiedendosi quanto ci avrebbe messo Devon a diventare immune alle provocazioni.
Il suo atteggiamento lo aveva fatto trasformare in giaguaro e, di conseguenza, i suoi istinti animaleschi lo istigavano a colpire l’altro maschio, che stava cercando di rubargli la compagna. Devon girò la testa verso la porta e lottò contro il dolore mentre iniziava a trascinarsi a terra in quella direzione.
“Dove credi di andare?” chiese Warren.
Afferrò Devon per le zampe posteriori e iniziò a tirarlo. “Trevor era venuto qui, all’inizio di tutto, pensando che tu fossi un assassino... stai cercando di dimostrargli che aveva ragione? E cosa pensi che succederebbe, se anche riuscissi a ucciderlo? Credi che Envy ti ringrazierà e correrà tra le tue braccia?”.
Devon ringhiò verso Kat come se fosse lei quella che lo stava trascinando a terra. Affondò gli artigli nel pavimento, lasciando lunghi graffi sulla superficie nuova. Kat osservava impotente mentre Warren trascinava Devon giù per le scale fino alla pista da ballo, facendolo sbattere a ogni gradino.
Quinn si coprì gli occhi con una mano e iniziò a ridere ma si fermò di colpo quando Kat lo schiaffeggiò dietro la nuca.
“Che c’è?” esclamò lui, incapace di nascondere il proprio sorriso. “È un’idea geniale. Quando Warren avrà finito, Devon sarà completamente indifferente all’argomento.”.
Kat si voltò di nuovo verso le scale. “Non sottovalutare la testardaggine di Devon.” disse. “Come ti sentiresti tu, se io fossi incinta di un altro?”.
Quinn sobbalzò a quel pensiero orribile “Beh, ti consiglierei di dire a Kane di ripassare tutti i suoi incantesimi... ne servirebbe più di uno.”.
Kat sbatté le palpebre sorpresa, poi sospirò. Almeno così Quinn aveva smesso di prendere in giro Devon.

Capitolo 2
Chad entrò nel vialetto di Trevor e parcheggiò accanto a Evey. Spense il motore e, per un momento, si fermò a pensare a tutto quello che era successo nelle ultime due settimane. Tra lui e sua sorella, non sapeva chi fosse più incasinato, adesso... beh, d’accordo, forse avrebbe vinto Envy. Tuttavia, neanche lui se l’era passata bene.
Il pensiero di essere stato ucciso e poi riportato in vita da Kriss e Dean lo tormentava. Gli dava i brividi pensare che avrebbe dovuto essere sepolto da qualche parte in un cimitero... lo spaventava a morte. A peggiorare le cose era che nessuno dei due caduti sembrava sapere quali sarebbero state le conseguenze delle loro azioni.
Era tornato al quartier generale del PIT per prendere la sua roba e, per fortuna, Ren era da solo nel suo ufficio. Aveva colto l’occasione per chiedergli di nuovo se c’era qualcosa che doveva sapere. Purtroppo l’onnisciente non sapeva niente più di Kriss e Dean e la cosa urtò i nervi di Chad.
Di questo passo, probabilmente avrebbe passato le prossime settimane a camminare con gli occhi aperti, per assicurarsi che non accadesse nient’altro... tuttavia, con il suo lavoro, quella non era mai una garanzia. Alla fine Chad ignorò la cosa, era umano come lo era sempre stato e al diavolo i misteri. La decisione gli aveva effettivamente tolto un peso dalle spalle.
“Ciao Chad.” si udì la voce suadente di Evey.
Lui guardò fuori dal finestrino del passeggero e sorrise “Ciao, Evey.” Scese dalla sua auto e si diresse verso il lato del guidatore di Evey. Quando lei abbassò il finestrino, lui si chinò come per parlare davvero con qualcuno, sebbene il suo sguardo fosse focalizzato sul cruscotto illuminato. “Come stai?”.
“Quando tu sei così bello, è difficile non stare bene.” rispose Evey, facendo sorridere Chad.
“Non posso oppormi al tuo ragionamento.” rispose lui, passandole una mano sul tettuccio.
“Trevor ha lasciato le chiavi di casa nel cruscotto.” disse lei mentre apriva lo sportello del passeggero. “Sono tutte tue.”.
Chad fece un passo indietro quando lo sportello si aprì, poi scivolò sul sedile anteriore per aprire il vano portaoggetti. “Come sta Trevor?”.
Evey sospirò “Temo che non sia qui... ha detto qualcosa a proposito di sbollire la rabbia prendendo a calci qualche brutto ceffo.”.
Chad aggrottò la fronte, era tipico di Trevor ma... perché non guidare Evey?
“Perché non sei con lui?” le chiese con tono curioso.
“Ha detto che aveva bisogno di stare da solo per un po’.” rispose lei. “È arrabbiato perché ha paura che il conflitto tra lui e Devon sconvolgerà Envy e le farà perdere il bambino.”.
Chad scosse la testa “Non penso che si arriverà a quel punto. Entrambi sono testardi ma non le hanno mai fatto del male.”.
“Lui la ama.” disse Evey, quasi con tono triste.
Chad annuì “Sì, lo so.”.
“Quindi, invece di pensare a Devon, è andato a cercare qualcos’altro con cui sfogarsi?” Evey aveva bisogno di chiarimenti sul mistero della natura umana. Più imparava, più diventava curiosa.
“Perché non l’hai seguito?” le chiese Chad, eludendo la sua domanda. Aveva l’impressione di sapere per chi tifava Evey, quando si trattava di quei due.
“I miei scanner possono rintracciarlo solo quando è in forma umana. Trevor lo sa e ha voluto seminarmi. Prima di andarsene si è trasformato in gufo ed è volato via.” spiegò Evey.
Chad prese le chiavi di casa dal cruscotto e tornò alla sua auto per prendere il borsone. Appoggiandosi guardò Evey, le piaceva sempre di più ogni volta che entrava in contatto con lei. “Allora non c’è molto che possiamo fare, vero?”.
Evey sospirò “Immagino di no.”.
Chad rimase lì per un momento, notò l’aspetto polveroso dell’auto e sorrise. “Che ne pensi di un bel bagno e una passata di cera?”.
Evey iniziò a rumoreggiare e Chad annuì “Bagno in arrivo... vado a cambiarmi.”.
“Chad.” esclamò Evey mentre lui si avvicinava alla porta.
Lui la guardò da sopra la spalla “Cosa c’è?”.
“Non mettere la maglietta.” Evey fece le fusa.
“Ah, vuoi un Chad sexy, eh?” Finse di pensarci su poi le fece l’occhiolino “Si può fare.”.
L’auto continuò a fargli le fusa.
*****
Envy entrò nell’appartamento di Kriss e si sedette subito sul divano. Devon le mancava già... anche Chad... e ogni volta che iniziava a pensare a Trevor le veniva da piangere. L’unica ragione per cui non lo faceva era il bambino... aveva un effetto calmante su di lei. Mescolando il tutto stava iniziando a sentirsi un po’ intorpidita, onestamente.
Dean lanciò un’occhiata interrogativa a Kriss, che scosse la testa facendogli cenno che gli avrebbe spiegato più tardi.
“È un casino di prima categoria.” disse Envy a bassa voce e afferrò uno dei cuscini per abbracciarlo.
Kriss sospirò “Tutto quello che è successo non è colpa tua. Devon deve solo far entrare nella sua testa dura che non può attaccare il padre del tuo bambino.”.
Envy affondò il mento sul cuscino, stringendolo un po’ più forte “Lui... lui aveva promesso che non avrebbe attaccato Trevor.”.
“Quando?” le chiese Kriss, incuriosito dal perché le avrebbe fatto una promessa del genere.
“Al ritorno dalla vacanza con te e Tabby... hanno litigato davanti casa di Chad. Dopodiché gli feci promettere di non fare niente contro Trevor perché non volevo vedere ferito nessuno dei due.”. Si morse il labbro inferiore, sentendosi un peso sul petto. Non si erano feriti a vicenda ma Envy era sicura di averli feriti lei abbastanza, in cambio.
Dean si accigliò “Forse dovresti ricordare al tuo gattino di quella promessa...”.
“Dean...” disse Kriss in tono di avvertimento.
“Che c’è?” chiese l’altro. “Se Santos la ama dovrebbe dimostrarlo mantenendo la sua parola.”.
Envy espirò rumorosamente “Dean ha ragione, Kriss.”.
“Ragione o no, io non penso che questo sia il momento giusto per farlo.” si lamentò Kriss.
“E quando allora? Io devo iniziare a pensare al piccolo.” disse Envy tranquillamente. “Non credo che il club sarebbe il posto ideale in cui far crescere un bambino. Voglio dire, è andato bene per Devon e la sua famiglia ma... io non voglio crescere mio figlio in un night club.”.
“Certo che no.” concordò Kriss “Ma cosa vuoi fare, tornare a casa di Chad?”.
Envy scosse la testa “Oh cielo, no. Chad ha già i suoi problemi. L’ultima cosa di cui ha bisogno è affrontare anche i miei. E poi... si è trasferito dal padre del bambino... No, finché non si sistemerà tutto credo che fingerò di essere una madre single.”.
“Che ne dici di un altro appartamento?” propose Dean, prima che Kriss fosse così stupido da suggerirle di stare con loro... in modo permanente.
Envy strinse le spalle “È un’idea, ho sempre sperato di avere una casa quando avrei deciso di avere dei figli.”.
L’espressione di Kriss si rianimò immediatamente “Si va a caccia di case!”.
La sua esclamazione fece sobbalzare Envy, che alzò la testa di scatto e lo guardò attonita. “A caccia di case?”.
“Certo.” disse Kriss. “Non vuoi stare al club quando nascerà il bambino, giusto? Trovare una casa e riempirla di mobili e oggetti per lui sarebbe una distrazione perfetta.”.
“Ma dove li prendo i soldi per una casa nuova?” gli chiese Envy. “Guadagno bene lavorando al Moon Dance... ma non fino a questo punto.”.
Kriss sorrise in modo rassicurante e le prese la mano “Tesoro... questo è l’ultimo dei problemi. Ti aiuterò a trovare la casa dei tuoi sogni, se è quello che vuoi... e non ti azzardare a farmi la predica. Stiamo parlando del mio figlioccio.” disse, indicando di nuovo il suo basso ventre. Envy sorrise ma scosse la testa “Non posso permettertelo, Kriss... tu non hai tutti quei soldi. Voglio dire... io faccio la barista e tu lo spogliarellista part-time.”.
“L’unico motivo per cui faccio spogliarelli è perché mi diverte. Ho un conto in banca, titoli, obbligazioni e altre cose di cui non so neanche il nome.” rispose Kriss, sembrando quasi impertinente. “Non so perché ma il tizio della banca continua a chiamarmi ‘il suo miliardario preferito’.”.
“Sei un deficiente.” disse Envy con una risatina e gli lanciò un cuscino.
“Ahia.” disse lui impassibile quando il cuscino lo colpì in pieno viso.
Dean nascose il suo sorrisetto, sapendo che quello era esattamente ciò di cui Kriss aveva bisogno... qualcuno di cui occuparsi, anche se solo per poco. A quanto pare, entrambi attiravano casi umani.
Ignorò il giocoso litigio dei due e osservò la città impietosa dall’enorme finestra dell’attico. Era ovvio che Kriss sarebbe stato impegnato per un po’ e, alla fine, Envy avrebbe avuto la sicurezza di cui lei e il bambino avevano bisogno. Era l’occasione perfetta per rincorrere di nuovo il caduto ibrido che era stato intrappolato da Misery.
Dean lo aveva trovato per caso e, da allora, lo aveva silenziosamente tenuto d’occhio da lontano. Dopo alcuni giorni di osservazione, aveva iniziato a lasciargli vestiti puliti, coperte e qualcosa da mangiare. Non mangiava spesso ma, d’altra parte, il cibo umano non era una necessità. La sua razza poteva anche vivere senza. Gli abiti e le coperte, invece, sparivano ogni volta.
Finora l’ibrido non aveva mostrato tendenze malvagie ed evitava i demoni come la peste. Era un segno positivo del suo stato mentale... ma le cose tendevano a cambiare se tali creature venivano lasciate sole per troppo tempo.
Da ciò che aveva osservato Dean, l’ibrido era più un caduto che un demone e avrebbe scommesso i suoi miliardi che sarebbe riuscito a convincerlo a fidarsi di lui, se avesse avuto un po’ più di tempo. Se ciò fosse accaduto forse avrebbe potuto salvarlo dalla stranezza di questo mondo, in cui era stato improvvisamente catapultato.
Chiuse gli occhi, ricordando le lacrime dell’uomo mentre schizzava fuori dalla parete della caverna e fuggiva nella notte. Quello era stato il fattore determinante... i demoni non piangono.
“Esco un attimo.” disse Dean all’improvviso, e si diresse verso la porta.
“Prendi lo sciroppo di cioccolato, già che ci sei.” urlò Kriss prima che lui arrivasse alla porta.
Dean si fermò e si girò a guardarlo “Sciroppo di cioccolato? A che cavolo ti serve?”.
“Latte al cioccolato.” risposero Kriss ed Envy all’unisono.
Dean scosse la testa sorridendo e uscì dall’attico, chiudendo la porta divertito.
Envy guardò Kriss “Non ho portato niente con me e inizio ad avere sonno. È stata una giornata lunga... Hai qualcosa che posso mettermi?”.
Kriss annuì “Nella seconda camera da letto.” Indicò una porta chiusa, poi le fece l’occhiolino “È lì che dormo quando sono incazzato con Dean. Nell’armadio ci sono alcune magliette larghe e qualche paio di boxer, serviti pure.”.
“Litigate spesso?” disse Envy preoccupata, non volendo privare Kriss del suo rifugio.
“Solo quando si comporta da coglione.” Kriss sorrise, poi indicò un’altra porta chiusa. “Quella sarà la sua stanza, se lo caccio.”.
Envy non poté fare a meno di ridere “Sei proprio matto... lo sai?”.
“È la mia ambizione nella vita.” Kriss sospirò scherzosamente, poi si avviò verso la cucina. Doveva fare una nuova lista della spesa, prima che iniziassero le sue voglie e quelle di Envy. Si fermò a metà strada e si voltò verso l’ingresso. Al diavolo la lista... aveva voglia di sottaceti, adesso. “Vado a svuotare il supermercato... non aspettarmi alzata.”.
Envy aspettò fin quando non se ne fu andato, prima di alzarsi lentamente dal divano per dare un’occhiata alla sua stanza. Chiudendo la porta dietro di sé, aprì l’armadio e sorrise vedendo le magliette. Alcune erano simpatiche, con piccoli pupazzetti, altre avevano frasi divertenti e altre ancora erano a tinta unita. Scegliendo una semplice maglietta nera e un paio di boxer di Sponge Bob, li mise sul letto e si spogliò.
La propria immagine riflessa allo specchio attirò la sua attenzione e lei si accarezzò la pelle morbida e liscia della pancia. Piegò la testa di lato, cercando di immaginare la pancia cresciuta, e si mise di profilo per esaminarla.
“Chissà come sarai.” disse rivolta al piccolo. “Sarai come me, selvaggio e testardo, o come lui, intelligente e... testardo? Spero di essere una buona madre e... so che Trevor sarà un bravo papà.”.
Envy sorrise al proprio riflesso, immaginando la piccola anima dentro di lei. “Sei già fortunato, lo sai? Avrai tanti zii e padrini che ti proteggeranno, scommetto che non ti taglierai neanche con un foglio di carta.”.
Vide un movimento dietro di sé, nel riflesso dello specchio, e si voltò per vedere cosa fosse. Avvicinandosi al balcone, scostò la tenda e sussultò per il bellissimo gufo bianco poggiato sulla ringhiera, che la osservava con occhi neri e profondi.
L’animale piegò la testa come se la stesse esaminando, prima di girarsi dall’altro lato. Envy non ne aveva mai visto uno così da vicino e temeva che, distogliendo lo sguardo, sarebbe sparito.
Il gufo girò di nuovo la testa verso di lei, prima di voltarsi e volare via. Spiegò le ali nel vento e volò sulla città, verso la Foresta Nazionale.
Envy ricordò di aver letto da qualche parte che i gufi erano simbolo di saggezza e sperò che fosse un segno che stava facendo la cosa giusta.
*****
Aurora strinse più forte la sua piccola spada e guardò l’edificio, cercando una traccia di Samuel. Non riusciva a credere di essere stata così negligente da permettergli di avvicinarsi di soppiatto in quel modo. Era stato un incredibile colpo di fortuna l’essersi allontanata dal tetto del grattacielo tutta intera.
Mentre cadeva giù si era rassegnata al dolore che avrebbe sentito, ma un insolito salvatore l’aveva aiutata. Su quel grattacielo c’erano statue di falchi che, per fortuna, erano sporgenti. Lei era riuscita ad afferrarne una e ad appendersi essa, nascondendosi da Samuel quando lui guardò giù.
Le sembrò di aver resistito per un tempo infinito, quando la presenza della sua aura iniziò finalmente a svanire. Quando fu sicura che Samuel se n’era andato, si tirò su e riuscì a strisciare sulla testa del falco.
Stanca e senza fiato, si appoggiò al muro dell’edificio per riposare un attimo. Le ci volle qualche minuto per riprendersi, ogni pausa lontano dall’ossessione di Samuel era più che benvenuta. Dentro di sé sapeva perché lui continuava ad inseguirla... lussuria, nient’altro.
Non negava che Samuel fosse attraente ma quello era il fascino dei demoni più potenti. Erano belli finché non si vedeva cosa si celava sotto il loro aspetto. Samuel era più bello della maggior parte dei demoni ma, sotto molti aspetti, era anche molto più oscuro di loro.
Lo stava evitando come poteva e sembrava che, alla fine, lo aveva seminato di nuovo... almeno per ora. Stargli accanto le aveva lasciato una sensazione nauseante nello stomaco e non sapeva per quanto tempo ancora avrebbe potuto combatterlo, prima di arrendersi a ciò cui era abituata.
Lo odiava ma, allo stesso tempo, quasi desiderava ciò che lui le offriva... ciò che lei aveva accettato dopo tanto tempo. Stare da sola era eccitante ma anche spaventoso.
Provava qualcosa per Samuel... aveva goduto del suo corpo e, per un breve periodo, anche della sua compagnia. Nell’altra dimensione gli era sfuggita innumerevoli volte, solo per essere messa all’angolo da demoni che non facevano parte del suo esercito. Era stata quasi uccisa e una piccola parte di sé aveva bramato l’idea di libertà... in qualsiasi modo.
Samuel era sempre arrivato appena in tempo per salvarla... aveva recitato la parte dell’eroe diverse volte, ma lei non era una stupida. Non la salvava perché la amava, anzi, la puniva sempre in modo brutale per essere scappata. Era una sua proprietà... gli serviva per sfogare la propria crudeltà e per fare l’amore. Adesso che aveva di nuovo la sua spada forse aveva una possibilità per separarsi completamente da lui.
Guardando l’arma nella sua mano, Aurora sospirò profondamente. L’aveva scoperta quando era piccola. Era orfana e per molto tempo aveva creduto che il suo nome fosse “Topo di Fogna”. Era stato un demone a chiamarla con il suo vero nome... poco prima che tentasse di ucciderla. Mentre si difendeva aveva sentito la lama comparire nella sua mano e aveva vinto.
Non seppe mai come faceva il demone a conoscere il suo nome ma, alla fine, non le importava davvero. Di sicuro era molto meglio di ‘Topo di Fogna’.
Da allora la spada l’aveva protetta fin quando non finì nella crepa. Aveva passato gli ultimi mille anni in un regno controllato da demoni e sotto il dominio di Samuel. L’arma non era mai apparsa per salvarla lì, a prescindere da quali guai affrontasse. Sospirò, desiderando avere qualcuno con cui parlarne e a cui porre domande che necessitavano di una risposta.
La lama brillò improvvisamente quando svanì di nuovo nel suo corpo. Riteneva che lei fosse al sicuro, quindi probabilmente era così. Aurora sentì i propri muscoli tesi rilassarsi e decise che era ora di scendere da quell’edificio, prima che qualcuno la vedesse.
Guardò giù oltre la statua del falco e inspirò mentre il vento soffiava verso l’alto, spettinandole i capelli sul viso. Era ancora troppo in alto e non si sarebbe lanciata per due motivi. Primo, probabilmente si sarebbe fatta male; secondo, il motivo principale, non voleva che nessuno la vedesse.
Aveva pensato di morire quando era nella crepa, mentre ora aveva una possibilità di libertà... non voleva più morire, quindi non si sarebbe lanciata da un grattacielo.
Arrampicandosi sull’ala del falco, vide un balcone diversi piani più sotto e ne calcolò la distanza. Si tenne al bordo dell’ala e si lanciò verso il balcone, godendo della sensazione della caduta libera. Atterrando accovacciata in silenzio, guardò oltre la finestra e si bloccò.
Percepì un movimento attraverso le tende e si avvicinò per vedere meglio. Rimase sorpresa quando vide una donna in camicia da notte, che sorrideva timidamente ad un uomo seduto sul divano dall’altra parte della stanza. La donna si scostò le spalline di seta, lasciandole cadere lungo le braccia e scoprendo la biancheria succinta.
Aurora spostò lo sguardo sull’uomo, vedendo i suoi occhi pieni di passione. Lui si alzò e si tolse la camicia, gettandola dietro di sé prima di avanzare verso la donna come un gatto che si avvicina lentamente alla sua preda. Lei sorrise di nuovo e lasciò cadere la camicia a terra... scoprendo tutto ciò che aveva da offrire.
L’uomo le si avvicinò e la prese tra le braccia. Si diedero un bacio appassionato prima che l’uomo si abbassasse per prenderla in braccio. Le lunghe gambe di lei gli si avvolsero attorno alla vita e, quando lui la scostò leggermente, la donna piegò la testa all’indietro esponendo la propria gola.
Il respiro di Aurora accelerò quando le labbra dell’uomo sfiorarono la pelle della donna, facendola rabbrividire. Lui si voltò e si diresse in un’altra stanza, chiudendo la porta e impedendo ad Aurora di vedere altro. Un lieve sorriso triste le sfiorò le labbra e, per un momento, desiderò essere umana.
Si girò e si appoggiò all’edificio, scivolando lentamente lungo il muro finché non fu seduta con le ginocchia piegate davanti a sé.
Aveva passato la sua infanzia a nascondere ciò che era, cercando di fingersi un essere umano. Il suo unico desiderio era sempre stato quello di essere come gli umani. Se lo fosse stata, non avrebbe scoperto l’inferno di Samuel e sarebbe stata libera di amare chiunque avesse scelto.
Era stato un suo coetaneo ad informarla di ciò che era veramente. Il suo nome era Skye. Per gli umani, lui aveva solo sette anni ma lei sapeva la verità. Era stato il suo migliore amico per molto tempo e l’unico compagno di cui potesse fidarsi.
Sorridevano quando gli umani li scambiavano per fratelli, avevano quasi gli stessi colori e, secondo i canoni di questo mondo, erano bellissimi.
Skye le aveva raccontato le storie sui caduti e sui demoni che essi avevano inavvertitamente generato. Lui lo sapeva, era una di quelle creature, ma ciò non lo preoccupava. Una volta le disse che gli piaceva somigliare ad un caduto, perché era meglio essere un angelo che un demone. L’aveva anche avvertita che gli umani avevano paura e, se avessero mai scoperto cos’era veramente, avrebbero cercato di ucciderla.
Per anni lei e Skye erano stati insieme, spostandosi periodicamente da un luogo all’altro prima che gli umani si accorgessero che non crescevano come i bambini normali.
Ricordava ancora l’ultima volta che aveva visto Skye. Le aveva sorriso prima di addentrarsi nella foresta con alcuni uomini del villaggio, per una perlustrazione.
Quello fu il giorno in cui arrivarono i demoni... erano in tanti ed eliminavano tutto ciò che li ostacolava. La terra tremò e si squarciò, sprofondando prima che una grande spaccatura fendesse la piazza centrale del villaggio.
Aurora non poté fare altro che assistere terrorizzata a ciò che stava accadendo. Inciampò all’indietro quando un demone corse ruggendo verso di lei, proprio mentre tre uomini si precipitavano per fermarlo. Gridò per lo spavento quando, invece di cadere a terra, sentì il terreno sollevarsi.
Un guerriero del villaggio si lanciò dietro di lei ma fu afferrato a mezz’aria da un demone... quella fu l’ultima volta che lo vide. Anche altri uomini stavano sprofondando e, all’improvviso, si rese conto di essere finita proprio nell’enorme crepa. Le sue ali apparvero come un’ombra e lei cercò di tornare in superficie, ma una forza inspiegabile continuava a trascinarla giù... lontano dalla casa che aveva scelto con Skye.
Prima che le grida svanissero, l’intero villaggio era già sprofondato nella crepa... intrappolando umani e demoni allo stesso modo. Aurora chiuse gli occhi per cancellare dalla mente ciò che era successo e rivolse i propri pensieri a Skye, contenta che lui non fosse lì ad assistere alla distruzione. Ancora adesso, l’unica speranza a cui si aggrappava era che fosse ancora vivo e felice.
Tornando al presente, Aurora si avvicinò al vetro per sbirciare, la coppia umana non era tornata dall’altra stanza. Allungò una mano e sospirò quando il balcone si aprì facilmente. Sgattaiolò all’interno e si diresse silenziosamente verso la porta d’ingresso, uscendo nell’atrio del palazzo.
Arrivata in strada, si assicurò di camminare nelle zone ben illuminate, nel caso in cui Samuel fosse riapparso per un altro round... non si sentiva più così sicura di poter vincere. Non sapeva dove stesse andando né da quanto tempo stesse camminando... tutto quello che voleva era riposare per una notte.
Quand’era stata l’ultima volta che aveva dormito davvero, senza temere di essere attaccata? Era successo prima di cadere nella crepa e, da quando si era liberata, l’unico attimo di felicità l’aveva vissuto con quell’uomo nel tunnel della metropolitana.
Allungò la mano per toccarsi la collana, si sentiva combattuta tra la malinconia e l’eccitazione per quegli attimi di felicità rubata. Quell’oggetto era un ricordo di lui... sapeva che non lo avrebbe mai più rivisto.
Aurora distolse lo sguardo dalla recinzione accanto a lei e si guardò intorno, nascondendo la collana nella camicia. Per la prima volta, da quando era uscita dalla crepa, non sentiva demoni nelle vicinanze. La recinzione metallica circondava un edificio enorme e, avvicinandosi, osservò il parcheggio.
Non sapeva leggere l’insegna rossa illuminata e, non essendoci demoni nei paraggi, ribattezzò l’edificio con ‘santuario’, dopodiché si arrampicò sulla recinzione e raggiunse il tetto del palazzo.
Muovendosi silenziosamente come al solito, si rannicchiò accanto all’unica porta che conduceva all’interno. C’era una piccola tettoia che le avrebbe impedito di essere svegliata troppo presto dalla luce del sole. Si sentì al sicuro e sorrise... finalmente un posto dove poter riposare.
Rimase distesa con gli occhi chiusi e acuì i propri sensi, percependo tutte le barriere che circondavano quel luogo. Non sapeva né come né perché ma si sentiva come su un’isola in un mare di demoni, che non potevano uscire dall’acqua per prenderla. Aprendo gli occhi, inspirò profondamente quando sentì l’energia demoniaca attorno al perimetro della barriera.
Percepiva la rabbia e la frustrazione dei demoni che cercavano di entrare e non poté fare a meno di sorridere... quella notte non sarebbero riusciti a prenderla.

Capitolo 3
Dire che Skye fosse confuso era un eufemismo. In qualche modo era passato da una prigione all’altra, senza rendersene conto finché non fu troppo tardi. Dopo essere stato inaspettatamente liberato dalla caverna in cui era prigioniero, aveva seguito Misery, sapendo della sua intenzione di liberare i demoni dalla crepa.
Una parte di sé sperava davvero che lei riuscisse nel suo intento, ma non per le ragioni che si potrebbero pensare... solo perché lui era un demone, non significava che simpatizzasse per quelli della sua razza.
Per secoli aveva sperato che Aurora fosse ancora viva da qualche parte, alla ricerca di un modo per tornare in questo mondo. Tuttavia, quando vide tutto ciò che fuoriuscì dalla crepa, le sue speranze si spensero e provava dolore ancora adesso. Non c’erano possibilità che Aurora fosse sopravvissuta in mezzo a tutti quei mostri.
Lui era stato intrappolato con un solo demone, Misery, e riusciva comunque a percepire il mondo esterno. Trovarsi ad un passo dalla libertà gli aveva ridato la speranza di cui aveva bisogno per rimanere lucido. Aurora, invece, era rimasta intrappolata in un altro mondo con una miriade di demoni, tra cui molti maestri.
Era così innocente, candida e pura, ma per i demoni era uguale al nemico che dava loro la caccia, perseguitandoli e intrappolandoli.
Adesso la città era piena di quelle creature e Skye era stato costretto a mimetizzarsi tra gli umani. Aveva notato anche un piccolo esercito di cacciatori di demoni che ne eliminavano un po’ per volta, solitamente appena essi conquistavano un territorio. Molti altri, invece, avevano già reclamato un’area e stavano cercando di mimetizzarsi come lui.
Mescolarsi agli umani era una cosa che aveva imparato a fare molto presto nella sua vita, poi aveva condiviso quell’abilità con Aurora.
Quando la incontrò per la prima volta capì che avrebbero avuto bisogno di proteggersi a vicenda. Lui veniva spesso scambiato per un caduto, mentre Aurora appariva effettivamente per ciò che era... a meno che non avrebbe imparato a nascondere la sua natura.
Il cuore gli era sprofondato nel petto quando, al ritorno dalla perlustrazione, aveva trovato il villaggio distrutto e quasi tutti gli abitanti spariti. Gli umani non erano estranei alla guerra, erano una razza resiliente a pieno titolo. Alcuni sopravvissuti erano sfuggiti al massacro nascondendosi nella foresta e fu così che lui scoprì cos’era successo.
Gli abitanti del villaggio gridavano che i demoni erano arrivati per divorare le loro anime e che poi gli dei erano scesi dal cielo per salvarli, anche se c’erano state molte vittime. Piangevano per i morti ma erano grati che gli dei avessero salvato loro.
Lui e gli altri guerrieri radunarono i sopravvissuti e si diressero verso un altro villaggio, visto che il loro era distrutto. Dopo due notti passate all’addiaccio, Skye aveva notato una sconosciuta tra loro... una bambina. Nessuno si era chiesto della sua presenza, pensavano che fosse fuggita da un altro villaggio distrutto... si chiamava Misery.
La terza notte, la bimba lo prese in disparte e gli raccontò i dettagli di cos’era realmente accaduto al suo villaggio... era colpa dei Caduti. Per quanto lui riuscisse a reprimere il proprio potere, lei sapeva che non era umano e la cosa lo turbava. La bambina gli disse che era stata la sua tristezza a smascherarlo.
Dal momento in cui raggiunsero il nuovo villaggio, Skye iniziò a temere che lei rivelasse la sua natura agli umani e, per questo, se ne stava in silenzio.
Nelle settimane successive, Misery terrorizzò ripetutamente gli abitanti con i suoi scherzi. A notte fonda si aggirava nella sua forma putrefatta e spaventava i malcapitati di turno, seminando il panico generale. Alcuni erano riusciti a salvarsi, mentre altri non erano stati così fortunati.
L’ultima goccia che fece traboccare il vaso fu quando tre guerrieri, amici da una vita, si uccisero a vicenda lasciando la piazza del villaggio in un lago di sangue.
Alla fine gli abitanti iniziarono a sprangare le porte di notte e si avventuravano fuori soltanto di giorno. Non molto tempo dopo, uno sconosciuto iniziò a frequentare il villaggio facendo acquisti al mercato. Skye riconobbe la sua vera natura e non disse nulla... rimase lontano dagli abitanti e lasciò Misery alla sua rovina.
Il suo piano di autoconservazione fallì quando Misery bussò forte alla sua porta, nel cuore della notte, chiedendogli di farla entrare. Lui l’aveva ignorata ed era sgattaiolato fuori di casa dalla porta sul retro. Sapeva che il demone era stato scoperto dallo sconosciuto... un caduto che aveva sentito voci su di lei.
Per sua sfortuna Misery lo seguì e, di conseguenza, portò il caduto direttamente a lui. Skye si rifugiò in una grotta e si nascose, sperando con tutto se stesso di non essere trovato. Il cuore gli sprofondò nel petto quando Misery entrò di corsa nella caverna per nascondersi. Il caduto sfruttò la sua occasione, creando una sorta di barriera attorno alla grotta e intrappolandoli per l’eternità.
Skye scacciò i dolorosi ricordi dei secoli trascorsi in quella grotta e continuò a vagare senza meta per le strade di Los Angeles. Non aveva altro da fare, oltre a camminare in quel labirinto di edifici alti e vicoli bui. Era tardi e la maggior parte degli umani dormiva, tranne quelli che bramavano la notte.
Anche i demoni vagavano per le strade, cercando proprio quegli umani che, stupidamente, consideravano l’oscurità come la loro casa.
Era ancora sbalordito per le dimensioni della città, non aveva mai visto niente di simile da quando aveva iniziato a vagare per il pianeta. Toccava le menti degli umani, ottenendo così le informazioni necessarie per comprendere tutto ciò che vedeva. Non aveva mai pensato che la razza umana potesse progredire fino a quel livello. Prima della sua prigionia, le abitazioni non erano altro che piccole capanne fatte di fango e paglia, mentre adesso erano torri alte fino al cielo.
Ciò che lo avviliva di più era che le storie sull’invasione dei demoni nel corso della storia venivano attribuite a leggende, miti e folclore. Se gli umani sapessero che i loro incubi peggiori sono reali, l’intera società andrebbe in pezzi o incolperebbe il governo di qualche esperimento sulla genetica umana.
Sentendo un improvviso bisogno di sicurezza, Skye iniziò ad evitare i pochi pedoni in giro, apparendo e scomparendo come una luce stroboscopica.
Si fermò davanti ad un vicolo buio e lo scrutò per un momento, poi si guardò intorno per accertarsi di non essere visto. Assicuratosi che la via era libera, avanzò senza esitazione. Gli edifici intorno a lui erano alti e creavano quasi un effetto del buio che lo inghiottiva. Ce ne aveva messo di tempo ma, alla fine, aveva trovato un nascondiglio nel seminterrato dell’enorme biblioteca.
Con la propria vista acuta individuò facilmente le sbarre che proteggevano la finestra nel buio. Accovacciandosi, sbirciò all’interno per assicurarsi che non ci fossero dipendenti ancora in servizio, com’era successo nell’ultima settimana.
Rimuovendo le sbarre in silenzio, scivolò lentamente nella stanza prima di girarsi e rimetterle a posto. Sospirò profondamente, sapendo che sarebbe stato al sicuro per un’altra notte. Dirigendosi verso l’area principale, si fece largo tra le innumerevoli file di scaffali che contenevano volumi antichi, finché non arrivò in una sezione che non veniva mai usata.
In mezzo agli scaffali c’era un vecchio divano, con lo schienale appoggiato ad un muro senza finestre. Intorno c’erano altri scaffali con scatole di libri qua e là. Accanto al divano c’era una lampada ma a Skye non era mai servita... avere la visione notturna era uno dei vantaggi di essere un mezzosangue.
Si era rifugiato lì molte volte dopo la fuga dalla grotta e, finora, non era mai stato disturbato. Pur non avendo bisogno di riposare tanto spesso, quella notte Skye era esausto. Aveva compiuto un eroico tentativo per lasciare la città ma qualcuno, o qualcosa, aveva eretto una barriera rendendo impossibile la fuga. Lui sapeva che c’era una via d’uscita, doveva solo trovare “la chiave”.
Avrebbe voluto sfogarsi contro Misery, era lei la causa di tutto, un demone potente con la mentalità di una mocciosa. Era rimasto intrappolato con lei per così tanto tempo che, quando trovò finalmente la libertà, non si rese conto che era una bugia. Non poteva lamentarsi, però... almeno questa seconda prigione era più grande e il paesaggio era migliore.
Misery aveva tenuto fede al suo piano di liberare i demoni in questo mondo, tuttavia lui ne aveva visti alcuni tentare di fuggire. Erano stati tutti liberati da una prigione per poi finire dritti in un’altra, apparentemente senza alcuna possibilità di fuga. Era quasi come se i due mondi si fossero scontrati creando una bolla.
Skye si avvicinò al divano per leggere un libro preso a caso. Le persone in biblioteca lo avevano indirettamente aiutato ad imparare a leggere ed era molto più facile di quanto si aspettasse. In pratica aveva toccato le loro menti per acquisire le conoscenze e, adesso, era in grado di leggere anche i libri più grossi in pochi minuti.
Un sorriso sfiorò le sue labbra perfette quando si rese conto che impiegava più tempo a girare le pagine che a leggere. Se riusciva ad assorbire la conoscenza dalle menti delle persone, perché non provare a fare lo stesso con i libri? Posando il volume sulla scatola, Skye vi poggiò la mano e chiuse gli occhi.
Dean era seduto su uno scaffale e osservava l’ibrido con curiosità. I suoi lunghi capelli biondi fluttuarono attorno a lui come se stesse volando e Dean alzò un sopracciglio quando un alone color ametista brillò attorno al corpo dell’uomo, facendolo oscillare. Era una visione affascinante.
Skye inspirò lentamente mentre scivolava nei libri. Un attimo era un pirata in mare aperto e quello dopo era innamorato di una principessa lontana; assaporò le sue labbra e sentì la stoffa dei pantaloni tendersi per il desiderio. Poi fu distratto da un drago nero, che fu ucciso da un mago più potente di lui.
“Tsk... figuriamoci.” si lamentò Skye, allontanandosi da quella che era, ovviamente, la sezione di narrativa.
Sospirando, fece per sedersi e si accigliò vedendo altri vestiti e un paio di scarpe da tennis nere. Chi diavolo era a lasciargli quella roba? Lui sapeva che i dipendenti andavano lì ogni tanto ma si assicurava che nessuno di loro lo sorprendesse ad usare il divano o i libri.
Imprecò tra sé quando si rese conto che, per la stanchezza, non aveva notato un’altra presenza. Si guardò attorno nervosamente ma non notò niente di strano. Si avvicinò e allungò una mano per toccare i vestiti, poi la ritrasse con sospetto.
Dean aveva deciso di restare nascosto per vedere cos’avrebbe fatto l’ibrido. Era piuttosto iperattivo ma, cavolo, rimanere intrappolato con Misery per secoli avrebbe fatto impazzire anche un santo. Ricordò di non averla sopportata già dopo pochi secondi e, di solito, il suo livello di pazienza era piuttosto alto... o almeno così credeva.
Guardò la scatola di libri che l’ibrido aveva appena visionato e quasi rise, notando il romanzo del vampiro più famoso del mondo. Ah, l’ironia della vita. Guardò di nuovo l’ibrido quando lo vide allontanarsi dai vestiti.
“Chi sei?” chiese Skye con i peli drizzati sulla nuca. Conosceva già la sensazione del sentirsi osservato dai caduti.
“Sono Dean.” sussurrò l’altro, cercando di non spaventarlo. Quando il silenzio cominciò a pesare, Dean si accigliò “Dovresti dirmi il tuo nome, se non vuoi farti chiamare ‘Ehi, tu!’...”.
“Cosa vuoi?” gli chiese Skye con voce fredda. Si guardò intorno nella stanza ma la voce sembrava provenire da dentro la sua testa, più che da una particolare direzione.
“Voglio solo parlare.” Dean scrollò le spalle, anche se l’altro uomo non poteva vederlo. Tirò su le gambe e si accovacciò, vedendo l’istinto della fuga brillare nei suoi occhi.
Skye digrignò i denti, non si fidava di quella voce senza un volto. “È davvero quello che vuoi?”
“A meno che tu non voglia altro...” La voce di Dean era sensuale e il suo sguardo scrutò il corpo dell’ibrido senza vergogna.
Quanto tempo era che quel ragazzo non sentiva il tocco di un’altra persona?! Era quasi un purosangue e i caduti non stabilivano alcun legame senza un contatto... era il loro modo di essere. Ecco perché aveva impedito a Kriss di toccare troppo Tabatha e il vederli abbracciati nel letto lo irritava. All’improvviso si chiese se Kriss sarebbe stato geloso, al posto suo.
“Perché dovrei crederti?”. Skye ringhiò, quello non era un gioco.
“Non sei obbligato.” dichiarò Dean, realizzando che, se voleva proteggere il piccolo ribelle, avrebbe dovuto andarci piano. “Ma che alternativa hai? O ti uccido prima che ti unisci ai demoni per solitudine, oppure...” sorrise maliziosamente, ansioso di combattere.
La paura di Skye schizzò fino al tetto e lui corse tra gli scaffali della libreria, poi sentì delle braccia possenti stringerlo da dietro. La forza della presa gli tose il fiato, sollevandolo da terra, e lui si dimenò senza preoccuparsi di respirare.
Le braccia lo strinsero più forte e lui ansimò rumorosamente sentendo quel corpo sodo premuto contro di lui. Si ricordò, all’improvviso, dell’ultima volta in cui era stato così vicino a qualcuno. Di notte, lui e Aurora si abbracciavano per stare al caldo o si tenevano per mano, sentendo l’uno il bisogno dell’altra. Adesso percepiva ogni cosa di quel corpo e ciò lo spaventava ancora di più.
“... oppure potresti unirti ai caduti.” gli sussurrò Dean all’orecchio.
“I caduti uccidono quelli come me.”. Skye ringhiò, afferrando il braccio attorno al proprio petto ma senza riuscire a liberarsi. “O li gettano in una caverna e se ne dimenticano.”. S’infuriò mentre il dolore e la rabbia si scontravano dentro di lui.
Dean sospirò e scosse la testa. Era in momenti come quello che avrebbe spaccato volentieri la testa ad alcuni suoi fratelli, per la loro negligenza durante le guerre demoniache.
“Se avessi saputo che eri laggiù con quel mostro, io ti avrei salvato!” sibilò Dean, scandendo ogni parola. “E voglio ancora salvarti.”.
Skye smise di lottare ma s’irrigidì per reprimere quel brivido che cercava di pervadergli il corpo. Girò lentamente la testa verso il suo rapitore ma si fermò quando sentì la pelle morbida e calda della sua guancia. Non riuscì ad impedire al dolore della solitudine di riaffiorare nel proprio sguardo... il tocco di quel caduto gli ricordava ciò che aveva perso con Aurora.
“Perché?” gli chiese Skye confuso.
Dean gli sfiorò la guancia, sentendo scendere una lacrima calda “Perché i demoni non piangono... tu sei un caduto. Anche Misery lo aveva detto, no?”.
*****
Kane sospirò e si girò sulla schiena, qualcosa non andava. Si voltò per guardare Tabatha e fu allora che lo sentì di nuovo. Guardando il soffitto, chiuse gli occhi e ascoltò attentamente. All’inizio il rumore era ovattato, come se provenisse da sotto un mucchio di cuscini, poi divenne martellante e costante.
I suoi occhi color ametista si riaprirono di scatto... era il debole rumore di un battito cardiaco in lontananza.
Sistemò con cura le coperte attorno a Tabatha e le diede un bacio sulla fronte, prima di scivolare giù dal letto. Infilandosi un paio di pantaloni di pelle nera, si fece strada nel club buio fino alla stanza della sicurezza, stropicciandosi gli occhi mentre camminava.
Non appena aprì la porta, una luce blu lo accecò. Guardò i monitor che mostravano ogni angolo esterno del club, compreso il tetto. Strinse gli occhi quando la telecamera sul tetto lampeggiò, segno che qualcosa aveva fatto scattare i sensori di movimento... un qualcosa che non doveva essere lì.
Toccando lo schermo, inquadrò meglio la porta che dava sul tetto e piegò la testa di lato. Non era roba che si vedeva tutti i giorni... una bella donna era rannicchiata sotto la tettoia e sembrava dormire profondamente.
“Proprio comodo, eh.” Kane fece una smorfia, sapendo che il pietrisco del catrame stava sicuramente pungendo quella pelle dall’aspetto delicato.
Tabatha aveva sentito Kane lasciare la camera da letto e si chiese cosa lo avesse destato dal riposo dopo ore di sfinimento.
Incuriosita, si alzò e seguì il suo odore fino alla stanza della sicurezza. Sbirciando dalla porta aperta, vide che era preso da qualcosa sullo schermo e si mosse in punta di piedi, nel tentativo di avvicinarsi di soppiatto. Ci era quasi riuscita quando la voce di lui la spaventò.
“Abbiamo visite.” Kane sorrise sentendo il sussulto di Tabatha.
“Accidenti.” lei sibilò e sbatté i piedi nudi sul tappeto morbido.
Kane si girò di scatto e la prese, tirandola a sé e rivolgendole un sorriso smagliante. “Non penserai davvero di poter spaventare l’uomo nero?”. La prese in giro, strofinandole il naso sulla guancia prima di rubarle un bacio.
Tabatha lo lasciò fare e sentì le dita dei piedi contrarsi per la passione, ma moriva dalla voglia di sapere chi era la ragazza che stava prendendo la tintarella di luna sul tetto di casa. Si scostò più velocemente di quanto Kane avrebbe voluto... o almeno fu quello che capì dal suo ringhio sommesso.
Gli leccò il labbro inferiore e poi lo morse. “E pensare che quando ero piccola avevo paura dell’uomo nero...”.
Le grida impaurite di una bambina sulla sua tomba tornò a perseguitarlo e la strinse più forte. La piccola aveva vagato nei boschi per giorni, da sola e spaventata, e il pensiero di ciò che doveva aver passato gli faceva ancora stringere il petto e cedere le ginocchia... ma risvegliava anche l’oscurità dentro di sé.
Tabatha percepì il cambiamento in lui e si scostò per guardarlo in quegli occhi che stavano diventando sempre più scuri. Non sapeva cosa avesse potuto farlo scattare, così cercò di riportare la sua attenzione al tetto.
“Credevo che demoni e umani non potessero avvicinarsi a questo posto, se non invitati.” e fece un cenno verso il monitor.
“Infatti è così.” rispose Kane, poi sorrise quando lei alzò un sopracciglio.
“E allora chi è quella?”. Tabatha si sporse verso lo schermo, ignorando Kane che approfittò dell’occasione e le accarezzò la schiena. Sembrava che la ragazza stesse dormendo, tuttavia si muoveva leggermente... come per allontanarsi da qualcosa.
Tabatha provò tristezza per lei, sembrava smarrita e sola. “Cos’ha?”.
Kane abbassò la mano e si girò per vedere cos’aveva catturato l’interesse della sua compagna. Riconobbe i sintomi di un incubo e disse “Sta sognando, tesoro.”.
Gli occhi di Tabatha si socchiusero quando la ragazza si girò “Hai ragione, sta tremando per un incubo. Non possiamo lasciarla lì fuori.”.
“Ma che...?”. Kane ringhiò quando Tabatha corse fuori dalla stanza. Spalancò gli occhi quando sentì la porta d’ingresso chiudersi piano. Si rese conto che lei si stava arrampicando in camicia da notte e sogghignò. In un lampo, uscì e guardò quello spettacolo mozzafiato da sotto.
“È questo il Paradiso.” sussurrò con un sorriso ammiccante.
Tabatha gli lanciò un’occhiataccia ma, in realtà, se lo aspettava... non sarebbe stato Kane, senza i suoi momenti di perversione.

Capitolo 4
Nel sogno, Aurora correva all’impazzata. Le ombre la circondavano ed erano terrificanti. Le sembrava di trovarsi in un labirinto senza uscita, con vicoli ciechi ad ogni angolo. Il terrore si faceva travolgente e lei inciampava spesso, stanca di correre... di fuggire sempre dai potenti. Non importava quanto lontano andasse o quanto velocemente corresse, l’oscurità la stava raggiungendo.
Ansimò rumorosamente e i suoi occhi si spalancarono per lo spavento. Vide le stelle e, all’improvviso, si rese conto che qualcosa di potente le si stava davvero avvicinando. Ancora spaventata e con il cuore a mille per il sogno, Aurora guardò oltre il tetto.
La stanchezza stava iniziando a prendere il sopravvento, era sfinita. Possibile che fosse così sfortunata da non poter riposare neanche in quel ‘santuario’? Sentendo una maniglia dietro la schiena, la cercò e aprì rapidamente la porta. Corse dentro, sperando di eludere la potente energia che la stava raggiungendo, ma sbatté contro un corpo sodo e percepì un altro strano potere.
Fece la prima cosa che il suo istinto di sopravvivenza le disse di fare... combattere. Con un calcio mandò l’uomo giù per le scale, fino al piano di sotto. Poi si voltò per affrontare qualunque fosse la creatura alle sue spalle, ma si fermò confusa quando vide una donna seminuda davanti alla porta.
Tabatha la vide impallidire ma il suo sguardo era esplicito... era spaventata a morte e pronta a combattere per uscire da lì, se necessario. Deglutì e allungò le mani con i palmi rivolti verso di lei, per calmarla.
“Va tutto bene.” le disse. “Vogliamo solo aiutarti.”.
Aurora restrinse lo sguardo sulla donna. Perché qualcuno di così potente voleva aiutarla?
Tabatha fece un passo avanti e le tese una mano. “Qui sei al sicuro.” disse dolcemente e sperò che lei le credesse. Ad ogni modo, qualsiasi progresso poteva aver fatto andò in fumo quando Kane corse per le scale e afferrò la ragazza in una presa soffocante.
Tabatha scrollò le spalle e sospirò “Kane, ti prego, l’abbiamo spaventata. Lasciala andare.”.
Lui le rivolse uno sguardo ferito “Ma amore, mi ha appena dato un calcio fino al piano di sotto. Non dirmi che stai dalla sua parte!”.
“Ti si vedono i canini...” Tabatha lo guardò in cagnesco, poi alzò gli occhi al cielo quando lui si limitò a guardarsi i pantaloni per vedere se la cerniera era chiusa. Lei strinse i denti per non ridere, non poteva biasimarlo... dopotutto, aveva soltanto i pantaloni addosso... ed erano sbottonati.
Aurora girò la testa e fissò colui che la teneva stretta, cercando di vedere le zanne. Era un vampiro come l’uomo con cui aveva fatto l’amore nella metropolitana?
Kane notò che lei lo guardava e non riuscì a trattenersi, sorridendole con tanto di zanne.
“Kane.” esclamò Tabatha e fece un passo avanti, ma si fermò quando lui le lanciò un’occhiataccia, accompagnata da un ringhio pericoloso. “Sei meschino.” protestò lei un po’ arrabbiata, e incrociò le braccia al petto.
Vedendo le sue zanne, Aurora alzò lo sguardo verso i suoi occhi e rimase scioccata. Ricordava di averli già visti... erano profondi, color ametista e sembravano scrutarle l’anima.
Ora che aveva l’attenzione della ragazza, Kane smise di sorridere... non era un gioco. Se fosse stata Tabatha a cadere dalle scale, il risultato sarebbe stato lo stesso... ma con la differenza che, adesso, la creatura avrebbe avuto il collo spezzato.
Dilatò le pupille e le disse “Bene, io mi sono presentato. Sarebbe educato che lo faccia anche tu.”.
“Un vampiro.” Aurora sibilò e riprese a dimenarsi.
Kane sospirò, gli sembrava di avere una biscia tra le braccia. “No, tesoro... quello sono io. La domanda è cosa sei tu. Non sei umana, ed è ovvio. Se fossi un demone, avresti provato dolore già prima di superare le barriere che circondano la nostra casa. Te lo chiedo ancora una volta... come ti chiami e cosa sei?”.
Aurora serrò le labbra. Aveva imparato sin da bambina a non dire mai cos’era... anche se, di solito, gli esseri più pericolosi se ne accorgevano subito. Quell’uomo le aveva mentito, interpretando la parte del vampiro. Lei sapeva che non era vero, la sua anima era come un libro aperto... anche se, doveva ammetterlo, aveva qualcosa di strano.
Oltre alla sua anima, Aurora poteva vedere anche l’oscurità attorno ad essa e capì che lui ne sarebbe stato sopraffatto, se fosse stato provocato oltre il limite.
Il cuore le sprofondò nel petto quando si rese conto di avere ragione... quel posto era proprio un santuario. Lui aveva detto che i demoni non potevano oltrepassare le barriere e, a quel pensiero, le venne il disperato desiderio di restare. Smise di lottare e guardò la donna che aveva cercato di difenderla... poteva fidarsi di loro abbastanza da dirgli chi era veramente? Non ne era sicura.
“Cercavo solo un nascondiglio dai demoni.” disse onestamente, guardando l’altra donna negli occhi. “Non posso dirvi cosa sono... mi dispiace. Se mi lascerete libera, me ne andrò in silenzio e non tornerò mai più.”.
Kane notò l’ombra delle ali sul proprio braccio e, per un momento, fu indeciso se lasciarla andare o stringerla più forte. Guardò Tabatha per accertarsi che non se ne fosse accorta.
‘Kane, non vuole farmi del male.’ gli disse Tabatha nella sua mente, poi sussurrò ‘Ti prego, fallo per me... lasciala andare.”.
Allentando la presa, lui disse a bassa voce “Non credo che farai del male a qualcuno. Ti ho spaventata, vero? Sarai la benvenuta ogni volta che avrai bisogno di un rifugio... sarai al sicuro all’interno della barriera. Se invece vuoi dormire sul tetto, lascia almeno che ti dia delle coperte calde e un cuscino.”.
Trattenendo il respiro, Kane lasciò andare lentamente la femmina di caduto e fece un passo indietro, scomparendo giù per le scale. Tornando in camera da letto, prese subito delle coperte e due cuscini dall’armadio. Tornò indietro prima ancora che Tabatha potesse avvicinarsi alla ragazza e, posando a terra le coperte e i cuscini, le fece cenno di andare.
Tabatha annuì, mantenendo la calma nonostante avesse visto le mani di Kane tremare, poi guardò di sfuggita la ragazza mentre le passava accanto.
Aurora prese la biancheria e si appoggiò al muro, prima di spingere lentamente la porta dietro di sé. Si sentiva più esausta di prima, però aveva il suo rifugio... almeno per un altro paio d’ore.
Tabatha si girò verso Kane, pronta a rimproverarlo, ma si fermò quando lui le mise un dito sulle labbra.
“Shhh.” le sussurrò lui all’orecchio “Andiamo.”.
Tabatha annuì e rimase in silenzio mentre lo seguiva nella stanza della sicurezza. Lui chiuse la porta ed entrambi guardarono il monitor, vedendo la ragazza ancora in piedi lì dove l’avevano lasciata. Tabatha inspirò quando la vide asciugarsi una lacrima sulla guancia.
“Poverina. Odio vedere le persone sole e così spaventate. Chissà perché è da sola, è così bella.”. Guardò Kane, vedendo i muscoli della sua mascella scattare, e capì che stava stringendo i denti. “Perché hai cambiato idea all’improvviso e hai deciso di farla restare?” Tabatha sussurrò come se la ragazza potesse sentirli.
Kane fece un cenno verso il monitor “Fa bene a non dire a nessuno che cos’è.”. La ragazza, intanto, si appoggiò alla porta e poi si mise seduta. Kane scosse la testa, vedendo il modo in cui lei stava ancora fissando le coperte con gli occhi pieni di lacrime.
“Non può essere una creatura più rara di te.” Tabatha si accigliò, vedendo la preoccupazione negli occhi del suo compagno. Tornò a guardare il monitor e sentì il cuore spezzarsi quando la ragazza abbracciò le coperte, come se qualcuno potesse portargliele via all’improvviso.
“Penso che sia uscita dalla crepa insieme ai demoni.” disse Kane, evitando la questione della ‘creatura rara’.
Doveva riflettere e trovare buona ragione per non prendere il telefono e chiamare subito Dean. Ovviamente lei aveva vissuto tra i demoni per chissà quanto tempo, e il prezzo che doveva aver pagato era inimmaginabile. Non si fidava di nessuno e, adesso che lui ne conosceva il motivo, non poteva certo mandarla via. Guardò Tabatha, sentendo improvvisamente la sua tristezza.
“Kane... tu mi ami davvero?” gli chiese lei.
Lui annuì guardandola negli occhi “Con tutto me stesso.”.
Tabatha sorrise per la dolcezza delle sue parole e disse “Allora fidati di me e lasciami entrare nella tua anima, non sei più da solo.” Allungò una mano e gli accarezzò la guancia. “Sei preoccupato e voglio esserlo anch’io. Magari riesco addirittura a scacciare i tuoi demoni.”.
Kane fece un respiro profondo. “E se ti dicessi che, probabilmente, la ragazza è l’unico esemplare femmina della sua razza sulla Terra?” disse, con la mente che correva all’impazzata. “Deve stare con i suoi simili, con quelli della sua specie ma, se lo dico a loro, distruggerò tutto quello che hanno adesso. Non voglio sentirmi responsabile.”.
Tabatha si accigliò pensierosa. Era contenta che lui stesse provando a dirle tutto, anche se non era molto chiaro. Vide che stringeva lo schienale della sedia così forte da far diventare bianche le nocche delle dita e, a giudicare da ciò, capì che la cosa era un peso per lui.
“Il mio primo istinto è stato quello di alzare la cornetta e dire agli uomini della sua specie che lei è qui. Si sta nascondendo da qualcosa e, con il loro aiuto, sarebbe più protetta. Io voglio dirglielo, ma è sbagliato.” Scagliò via la sedia, che si schiantò contro il muro spaventando entrambi. “Maledizione!”.
Poi guardò Tabatha “Anche tu glielo diresti... e sbaglieremmo entrambi.”.
“Cosa succederebbe se glielo dicessimo?” chiese lei tranquillamente, ancora non del tutto sicura di cosa si trattasse.
Kane inspirò profondamente prima di fidarsi di lei e rivelarle i suoi pensieri più intimi. “I due uomini in questione smetterebbero di amarsi e sposterebbero quell’amore verso di lei... ma solo uno dei due può averla. Alla fine l’altro perderebbe tutto o, nel peggiore dei casi... lei potrebbe rifiutarli entrambi e il danno sarebbe già stato fatto.”.
Kane allungò una mano e le accarezzò la guancia. “Dire di lei a Kriss e Dean li distruggerebbe inevitabilmente.”.
Tabatha sbatté le palpebre, realizzando quello che Kane aveva cercato di dirle... la ragazza era una femmina di caduto. Guardò di nuovo il monitor e ricordò la prima volta che aveva incontrato Dean. Era furioso perché l’odore di Kriss era addosso a lei e credeva che fossero stati insieme. Possessivo e spaventoso erano le uniche due parole che le venivano in mente.
Si morse il labbro inferiore mentre ragionava su quello che aveva detto Kane. Se Kriss e la ragazza si fossero messi insieme, non c’era dubbio che Dean sarebbe diventato molto pericoloso. E se invece fosse stato Dean a mettersi con lei... quanto avrebbe sofferto Kriss? Proprio lui le aveva rivelato il motivo per cui un caduto può stare solo con un altro caduto. Sarebbe stato da solo senza Dean e la cosa lo avrebbe distrutto.
Kane chiuse gli occhi, ascoltando i pensieri di Tabatha. Lui guardava la cosa dal punto di vista di Dean, mentre lei era più preoccupata per Kriss... c’era da aspettarselo, ovviamente.
“Hai un cuore grande.” disse lei, cogliendolo di sorpresa. Gli sorrise e scivolò tra le sue braccia, premendogli l’orecchio sul petto per ascoltare il suo battito cardiaco. “Hai ragione. Io non ci avrei pensato su e li avrei telefonati subito, pensando che fosse la notizia più bella del mondo. Perché io tu riesci a vedere oltre le cose e io no?”.
Guardando lo schermo, aggiunse “Mi sento male per lei, però. Probabilmente pensa di essere sola al mondo.”.
Kane allungò una mano e spense il monitor “Ma noi non siamo senza cuore, adesso ha un posto dove stare se le serve un rifugio e ho la sensazione che la vedremo un bel po’.”.
“Mi serve qualcosa per distrarmi.” disse Tabatha sensualmente, prima di uscire velocemente dalla stanza.
“Donzelle in pericolo... le adoro.” Kane si diresse verso la camera da letto e si fermò per guardare il panorama... lei era stesa sul letto con la camicia da notte di seta ancora addosso e gli sorrideva. Kane si avvicinò al letto togliendosi i pantaloni.
Tabatha non capiva come lui riuscisse a rendere sexy un gesto così semplice, e con ottimi risultati. In pochi secondi, la sua camicia da notte sparì e si dedicarono di nuovo al passatempo preferito di Kane, la tortura sessuale... o almeno era così che Tabatha la vedeva.
*****
Sul tetto, intanto, Aurora cedette finalmente alla tentazione delle coperte. Ne stese una a terra e vi gettò un cuscino, abbracciando l’altro. Si avvolse nell’altra coperta e si distese, ripensando alla coppia che l’aveva trovata... avevano entrambi occhi color ametista.
Abbracciò il cuscino ancora di più quando si ricordò di un’altra persona con gli stessi occhi e si chiese se l’uomo con cui aveva fatto l’amore fosse della stessa razza. Aveva accusato l’uomo biondo di essere un vampiro anche se sapeva che non lo era, ma non aveva nient’altro con cui paragonarlo.
Non temeva i vampiri, ce n’erano parecchi nel regno dei demoni. Una delle tante volte in cui era scappata da Samuel, era finita in un nido e le creature l’avevano assalita come uno sciame di api arrabbiate. Era riuscita ad ucciderne buona parte a mani nude, prima di essere sopraffatta.
Ricordava ancora la sensazione degli artigli che le strappavano i vestiti e delle zanne che affondavano nella sua carne. Non sapeva chi fosse rimasto più sorpreso, se lei o i vampiri che, mordendola, iniziarono a bruciare dall’interno.
Alla fine, quelli rimasti tornarono indietro quando realizzarono di non poterla prosciugare. Lei alzò lo sguardo e vide Samuel che le sorrideva. I brandelli dei pochi vestiti che lui le faceva tenere furono strappati via e lei fu costretta per molto tempo in quelle condizioni, senza allontanarsi da lui.
Avrebbe potuto riprendersi i vestiti ma Samuel aveva insistito perché lei facesse l’amore con lui senza opporre resistenza, se voleva riavere il suo pudore e, in quel momento lei concluse che quella qualità era piuttosto sopravvalutata.
L’uomo nella metropolitana l’aveva morsa ma non le era sembrato come la spietata lacerazione della carne che aveva subito altre volte, e lui era sopravvissuto al sangue che le aveva succhiato. Piegò il collo ricordando quella sensazione, poi strinse le gambe quando sentì un impulso tra le cosce.
Si morse il labbro inferiore ricordando che, quando Samuel le aveva detto di aver ucciso il vampiro, il petto le era sembrato pesante, ma il sollievo di sapere che non era vero le tolse quel peso. Si accigliò, chiedendosi se l’uomo avesse battuto Samuel in un combattimento, poi sospirò, sapendo che era solo una sua speranza.
*****
Dall’altra parte della città, intanto, Michael se ne stava sulla soglia della porta, a contemplare la sua camera dopo averla rimessa a posto. Era tornato tutto come prima, tranne il letto... l’antico telaio che sosteneva il materasso non c’era più.
Ne sentiva già la mancanza ma, scrollando le spalle, decise che era meglio lasciarlo così finché non avrebbe imparato a controllare quei picchi di potere. Non aveva avuto il coraggio di gettarlo via e l’aveva riposto in soffitta. Con un po’ di fortuna, sarebbe riuscito a sistemarlo più in là.
Non poté fare a meno di ridere quando Scrappy saltò sul materasso. Il cagnolino lo fissò in modo strano per un momento, prima di girare in tondo così in fretta da non riuscire più a stare in piedi.
“Tu non stai bene, lo sai, vero?” esclamò Michael, scuotendo la testa.
Scrappy abbaiò e si rimise in piedi, ma Michael rise vedendolo camminare ancora in cerchio. Alla fine fu intenerito e lo prese in braccio.
“Beh, questo è un modo per ubriacarsi, ma io conosco un altro modo che potrebbe fare proprio al caso mio, stasera.” Accarezzò le orecchie di Scrappy “Speriamo che il mio compagno di bevute sia libero.” Mise giù il cucciolo e cercò il cellulare in tasca, poi si ricordò di averlo schiacciato accidentalmente nella metropolitana.
In quel momento squillò il telefono di casa e lui scese in soggiorno per rispondere.
“Di’ a Kat che mi serve una bottiglia di Heat... anzi, due.” Michael rispose andando dritto al punto.
“Brutta giornata, eh?” disse Warren, poi guardò Devon che era rinchiuso nella gabbia sulla pista da ballo. “Ho proprio qualcosa per distrarti dai tuoi problemi. Potrai avere tutto l’Heat che vuoi, se vieni a darmi una mano con Devon.”.
“Affare fatto.” Michael riagganciò, sentendo un’improvvisa scarica di adrenalina.
Decidendo di sfruttarla, uscì di casa prima che le lancette dell’orologio riuscissero a segnare il secondo successivo. Fermandosi di colpo, si girò sentendo Scrappy che grattava la porta.
Aprendola, giurò quasi di aver visto il cucciolo fulminarlo con lo sguardo prima di uscire. “Forse una porta basculante sarebbe una buona idea.” disse perplesso. “E non dirlo al tuo paparino.”
Scrappy abbaiò prima di andare sul retro della casa.
“Traditore.” gridò Michael.
Ascoltando il pesante silenzio della casa vuota, chiuse la porta... gli mancava avere tra i piedi Kane, Damon e Alicia. Aveva vissuto da solo per così tanto tempo, in passato, e non si era reso conto di essere effettivamente solo.
Con un sospiro, si allontanò e decise di arrivare al Moon Dance il più in fretta possibile. Per qualche ragione, non voleva stare da solo quella sera.
La prima cosa che vide quando entrò nel club furono Kat e Quinn affacciati alla ringhiera che dava sulla pista da ballo. Piegò la testa di lato, con un lieve sorriso sulle labbra.
“Che succede?” chiese, vedendo cosa stavano guardando i due.
“Devon sta facendo un nuovo balletto nella gabbia.” Quinn sogghignò, poi si tenne la testa quando Kat lo schiaffeggiò sulla nuca. “Che c’è?” le chiese con aria innocente.
Kat incrociò le braccia al petto e lo guardò come se fosse lui stupido della situazione “Stai scherzando?!”.
Michael si accigliò per le stramberie di quei due e rimase perplesso nel vedere l’altra scena. Warren era seduto su una sedia, con i piedi appoggiati su un secchio di vernice, e fissava Devon con uno sguardo avvilito. Michael alzò un sopracciglio quando notò che la porta della gabbia era bloccata da una catena massiccia.
“Per favore, puoi provare a far ragionare Warren?” lo supplicò Kat.
“Non è Devon quello che dovrebbe ragionare?” Quinn la corresse, poi indietreggiò di scatto quando lei gli lanciò un’occhiataccia.
“Allora vuoi proprio litigare?” chiese Kat, poi fece un passo indietro quando lui si avvicinò e rispose “Sì.” con una sensuale voce cupa.
Michael scosse la testa quando Kat corse su per le scale con Quinn alle calcagna. Doveva ammettere che, il più delle volte, lei era più intelligente dei suoi fratelli. Guardò di nuovo giù e vide un sorriso quasi perfido sul volto di Warren.
Eh sì, qualunque fosse la ragione per cui teneva Devon prigioniero, si stava divertendo a fare la parte del carceriere.
Sentendosi osservato, Warren alzò lo sguardo e salutò Michael. Prese la bottiglia di Heat da terra e la sollevò, in modo che l’altro potesse vederla. “Mi fai compagnia?”.
Devon sospirò, seduto con la schiena poggiata contro le sbarre. Vedere Michael scendere le scale era proprio quello di cui aveva bisogno. Sbatté la testa contro l’acciaio, facendo vibrare le sbarre. Non avrebbe avuto tregua, con quei due.
“Mi dispiace deluderti ma lo spettacolo è finito.” sibilò Devon.
“Che mi sono perso?” chiese Michael, strofinandosi il mento. Si fermò accanto a Warren, che si girò a guardarlo e gli chiese “Davvero non sai niente?!”.
“Niente cosa?” ribatté Michael. L’altro si mise a ridere e gli porse la bottiglia. “Ehi Devon, perché non glielo dici tu?” suggerì Warren, gasato dal fatto che Michael non sapesse nulla... c’era da divertirsi.
“Perché invece non vai all’inferno?” sbottò Devon, fissando il muro per non guardare loro. “Sto bene adesso... fammi andare da lei.”.
“Lei...? Lo stai tenendo lontano da Envy?” chiese Michael, sedendosi sul secchio di vernice.
Warren lo guardò e indicò Devon con un sorriso malizioso. “Non puoi andare da lei adesso, è notte fonda e probabilmente è a letto... accoccolata al suo ‘orsacchiotto’.”.
Quando Devon si tenne la testa e iniziò a urlare con voce stanca, Michael prese lentamente la bottiglia e fece un gran sorso. Trevor c’entrava qualcosa, lo aveva capito, ma perché tutta quella sceneggiata?
Michael sentì i suoi poteri di guarigione emergere e rimise la bottiglia a terra... sentiva il dolore di Devon e non gli piaceva. Si diresse verso la gabbia con l’intenzione di aiutarlo ma le parole di Warren lo fermarono. “Sta bene, lascialo perdere.” gli disse, facendo un cenno con la testa quando Michael lo guardò incuriosito. Poi aggiunse “Kane gli ha lanciato un incantesimo di costrizione.”.
“Kane?” Michael si strofinò la tempia confuso “Non mi avevi chiamato dicendo che ti serviva il mio aiuto?”.
Devon si calmò quando Warren scosse la testa e rispose “No, in realtà mi serve qualcos’altro.”. Poi aggiunse “Ma come fai a non saperlo? Dove sei stato negli ultimi due giorni? Al tuo cellulare risponde la segreteria.”.
“Ne parliamo dopo.” Michael scacciò via i suoi pensieri e si avvicinò di nuovo alla gabbia. Vedendo il dolore di Devon, capì perché Kat gli aveva chiesto di aiutarlo. Doveva fargli tornare la ragione in qualche modo.
Accovacciandosi accanto alla gabbia, afferrò le sbarre e provò a fare il contrario di Warren. “Devon, guardami.”.
“Non ci penso proprio.” rispose il giaguaro. “L’ultima volta che ho guardato uno della tua specie, ecco che è successo...”.
“D’accordo, allora ascoltami bene.” disse Michael con calma. “Io ti conosco... ti ho osservato dal giorno in cui sei nato. Sei una testa calda e metti tanta passione in tutto quello che fai ma, prima di tutto, sei un uomo d’onore. Che tu ci creda o no, io ti capisco perfettamente. Hai trovato la tua anima gemella e la ami con tutta la passione che hai. È per questo che Envy si è innamorata di te, lo sai, vero?”.
Devon rimase in silenzio mentre ascoltava la voce suadente di Michael, poi alla fine annuì lievemente con la testa. “Lei ci ama entrambi, però. L’ho sempre saputo. E adesso c’è di mezzo un bambino.”.
Michael chiuse gli occhi quando una visione di Aurora gli balenò nella mente, seguita dall’immagine del demone che pretendeva di possederla. Scacciando quei pensieri inquietanti, si concentrò sul giaguaro.
“Capisco... tu pensi che Trevor vincerà. Ma allora che intendi fare, lasciarla tornare da lui?” chiese Michael a bruciapelo.
“No... ma non so come batterlo.” Devon espresse la sua più grande paura.
Aveva un’espressione sofferente e Michael sapeva che non era colpa dell’emicrania, bensì di un dolore molto più profondo. “Non sono sicuro di cosa dovreste fare, ma Kane vi ha dato un indizio enorme, lanciandovi l’incantesimo. Il modo più rapido per perdere Envy è ferire l’uomo che ama... e questo vale per entrambi. Non è più una competizione.”.
“E allora che devo fare?”. Devon, finalmente, lo guardò.
“Questa è la parte facile... tu la ami esattamente come la amavi prima di scoprire che fosse incinta. L’hai sottratta a Trevor, ricordi?” disse Michael, facendo scattare il lucchetto. “Lui non c’entra con l’amore che Envy prova per te.”.
Quando Devon non si mosse per uscire dalla gabbia, Michael guardò verso Warren e poi verso le scale. Si allontanarono insieme e tornarono al piano di sopra.
Warren rimase in silenzio finché non raggiunsero il bar. Voleva bene a Michael per tanti motivi e non fu sorpreso del buon risultato ottenuto con Devon, laddove gli altri avevano fallito.
“Ecco perché ti ho chiamato. So di essere stato crudele con lui ma, all’inizio, pensavo che avrebbe funzionato.” Warren strinse le spalle.
Michael scosse la testa e andò dietro il bancone per prendere un’altra bottiglia di Heat. “L’averlo torturato prima del mio arrivo è stato, probabilmente, il motivo per cui era così sfinito da cedere, alla fine. Non fraintendermi... avrà ancora un bel mal di testa prima che sia tutto risolto, però non credo che avrebbe seguito i suoi cattivi pensieri. Neanche senza l’incantesimo di Kane. Ama troppo Envy per rischiare di farsi odiare da lei.”.
“Peccato che Trevor lo abbia capito per primo e, alla fine, l’orsetto mutante è passato per il bravo ragazzo... mentre Devon non ha fatto una bella figura.” dichiarò Warren.
“A proposito...” Michael fece una smorfia, sapendo che Trevor non era un orso mutante... Si strofinò la mano sugli occhi ricordando che, probabilmente, il bar era pieno di spie del PIT. Dunque non era il luogo ideale per svelare segreti. “Penso che sia meglio lasciare Devon da solo per un po’. Andiamo a fare un giro.”.
Warren estrasse dalla tasca due mazzi di chiavi e ne lanciò uno a Michael. “Stamattina ho comprato un paio di cose che potrebbero piacerti.” gli disse, accennando un sorrisetto intrigante.
Michael lo seguì nel garage privato e sorrise vedendo due eleganti motociclette nere, parcheggiate accanto alla Jaguar di Warren.
“Tu sì che conosci i miei gusti.” gli disse avvicinandosi.
“Dove andiamo?” chiese Warren.
Michael stava per rispondere “A casa mia.” ma poi cambiò idea, ricordando il senso di solitudine che aveva provato prima. “Andiamo al Love Bites, almeno lì non ci sono spie del PIT.”.
“Dev’essere una cosa importante, se vuoi tenerli all’oscuro.” disse Warren.
L’altro annuì e prese il casco “Fidati... è molto importante.”.
“Facciamo a chi arriva prima.” Warren lo stuzzicò mentre indossava il suo casco.
Michael sorrise “Oh sì, ti farò mangiare la polvere.”.

Capitolo 5
Destata da un rumore forte, Aurora si mise a sedere, dimenticandosi per un momento dove si trovasse. Il rumore cessò bruscamente e lei si alzò per indagare. Percorse il tetto fino all’enorme insegna e si nascose dietro le lettere rosse.
Vide qualcuno parcheggiare dei veicoli a due ruote all’ingresso. Aveva già visto molte persone cavalcare quegli aggeggi, erano molto veloci e si chiedeva come facessero a non ammazzarsi. Gli umani erano creature fragili e, di solito, erano i più spericolati a rendersene conto per primi.
S’incuriosì sentendo delle voci maschili e vide i due individui togliersi i loro strani elmetti.
Michael e Warren si tolsero i caschi e presero le bottiglie di Heat dalle bisacce, prima di avviarsi verso l’edificio.
“Ho vinto io.” disse Michael.
“Non è vero.” ribatté Warren. “Ti ho distaccato di almeno dieci centimetri.”.
Michael ridacchiò “Sì, come no, nei tuoi sogni.”.
Aurora si girò e si nascose dietro l’insegna, prima di allontanarsi. Il cuore le batteva forte, quasi da farle male. Lui era ancora vivo... grazie a Dio! Sembrava che il combattimento con Samuel non lo avesse neanche graffiato. Ad ogni modo... che ci faceva lì? Era riuscito a trovarla?
La sua mente tornò all’uomo di nome Kane... aveva i suoi stessi occhi di colore strano. Erano parenti e quella era la loro casa?
Il suo istinto le disse di correre via e lei quasi lo ascoltò, ma la curiosità la fermò. Non pensava che lo avrebbe mai più rivisto, in un mondo così grande e con tutte quelle persone. Eppure lo aveva ritrovato per caso, in un posto in cui Samuel non poteva raggiungerla... la cosa era quasi divertente.
Michael aprì la porta d’ingresso ed entrò seguito da Warren, che poi si fermò per ammirare l’interno.
“Allora è qui che sei stato negli ultimi due giorni?” gli chiese.
“No.” Michael scosse la testa “In poche parole... ho fatto l’amore con una sconosciuta nella metropolitana, sono stato attaccato da un demone geloso e mio padre mi ha ucciso.” Vedendo l’espressione inorridita di Warren gli fece l’occhiolino, poi aggiunse “Ad ogni modo, ti ho portato qui per parlare di Trevor senza rischiare che ci senta.”.
Kane era uscito dalla sua stanza dopo aver sentito l’inconfondibile rumore di due moto. Entrò nella zona del bar appena in tempo per sentire Michael che rivelava una parte di ciò che era successo l’altra sera.
“Hai fatto l’amore con una sconosciuta nella metro?!” chiese Kane, avvicinandosi e facendo tremare Warren. Quando Michael lo guardò, Kane scrollò le spalle “Che c’è? Ho sentito che stavi venendo, visto che il mio sangue è dentro di te. E poi lo sai che resisto al rombo di una moto.”.
“Come fa Michael ad avere il tuo sangue?!” chiese Tabatha, facendo girare tutti.
“Amore, ieri l’ho trovato morto... dovevo fare qualcosa per aiutarlo a guarire.” rispose Kane senza mezzi termini.
“Cosa?!” esclamarono Tabatha e Warren all’unisono.
Kane sospirò, iniziando a vedere la rabbia negli occhi di Tabatha, e provò a difendersi “Te l’avevo detto che ero con Michael.”.
“E hai pensato bene di non dirmi che era morto.” ribatté Tabatha, incrociando le braccia sul petto.
“Naa-na na-naa-na!” Michael lo prese in giro mentre camminava verso il bancone.
Kane ci provò di nuovo “Sapevo che sarebbe risuscitato presto.” Poi, per puro divertimento, ammise “Anche se, per la noia, ho fatto un po’ di cose...” Vide gli occhi di Tabatha incupirsi sempre più e decise che bisognava cambiare subito argomento. “Allora, Warren, come sta tuo fratello?”.
“Gli serve un flacone di aspirine.” rispose l’altro, poi raggiunse Michael al bancone e gli chiese “Perché non mi hai chiamato?”.
Michael rispose “Il mio cellulare è morto... come lo ero io.” Era da tanto che non si divertiva a confondere le idee a Warren.
“Voglio sapere di più su questa misteriosa ragazza che, ovviamente, ha fatto cadere tutte le tue inibizioni.” disse Kane, sedendosi su uno sgabello accanto a Michael.

Конец ознакомительного фрагмента.
Текст предоставлен ООО «ЛитРес».
Прочитайте эту книгу целиком, купив полную легальную версию (https://www.litres.ru/pages/biblio_book/?art=40208999) на ЛитРес.
Безопасно оплатить книгу можно банковской картой Visa, MasterCard, Maestro, со счета мобильного телефона, с платежного терминала, в салоне МТС или Связной, через PayPal, WebMoney, Яндекс.Деньги, QIWI Кошелек, бонусными картами или другим удобным Вам способом.